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Contenuti del libro
Informazioni
“Viaggio tra i dervisci tra passato e presente” di Thomas Zorzi ti porta nel cuore del Sufismo, un cammino spirituale affascinante che non è solo storia antica, ma una realtà viva e complessa oggi. Questo libro esplora la tarīqa, la via dei dervisci e dei maestri Sufi, combinando lo studio dei testi con l’esperienza diretta in luoghi lontani. Scoprirai pratiche centrali come il dhikr, il ricordo di Dio, e il samā’, l’ascolto spirituale, che portano a stati di trance ed estasi. Il viaggio si snoda attraverso diverse geografie, dalle tradizioni antiche tramandate da figure come al-Sulamī, ai rituali di guarigione nel Makran, alle danze dhamāl in Punjab, fino ai lignaggi Naqshbandiyya e Qādiriyya in Fergana Valley e Yarkand. Incontrerai la diversità dei Sufi, dai dotti ai malang itineranti, e capirai l’importanza dei santi (awliyā) e degli oggetti devozionali come il dhāgo. È un’immersione in un mondo dove la spiritualità si intreccia con la vita quotidiana, la musica, la danza e la ricerca interiore, mostrandoti come la sapienza dei maestri continui a guidare chi cerca una comprensione più profonda della realtà.Riassunto Breve
Il Sufismo è un percorso spirituale che cerca una comprensione più profonda dell’Islam, visto come un viaggio interiore per purificare l’anima. Questo cammino, chiamato *tarīqa*, include pratiche come il *dhikr*, il ricordo di Dio, che può essere silenzioso o vocale, e il *samā’*, l’ascolto spirituale che porta a stati elevati di coscienza. Figure centrali sono i maestri e i santi (*awliyā*), le cui vite e insegnamenti guidano i praticanti. Testi antichi, come quelli raccolti da al-Sulamī, trasmettono la sapienza dei primi maestri, enfatizzando la conoscenza di Dio oltre la logica, la fiducia totale, la lotta contro i difetti interiori e l’importanza della sincerità. La pratica Sufi si manifesta in modi diversi a seconda dei luoghi e delle tradizioni. Nella regione del Makran, ad esempio, si trova il rituale di guarigione *guāti-damāli*, guidato da officianti (*halipa*) che entrano in trance attraverso musica e danza, invocando santi come ‘Abd al-Qādir Gīlānī e Shahbāz La‘l Qalandar. Nel Punjab, la diversità Sufi include studiosi legati alla legge islamica, mistici contemplativi e dervisci antinomici (*malang*), tutti con diverse percezioni sulla povertà e la ricchezza spirituale. Figure ascetiche come Bābā Fīrūz Sā’īn mostrano un percorso di rinuncia al mondo, dedizione al lavoro umile e aiuto ai bisognosi, considerando queste azioni più importanti di preghiere e digiuni formali. La danza estatica (*dhamāl*) è un’altra forma di espressione spirituale, vista come una religione incarnata che porta alla trance e unisce i partecipanti. Oggetti devozionali come il *dhāgo*, un filo legato al polso, simboleggiano il legame tra maestro e discepolo, offrono protezione e aiutano a definire l’identità di una comunità. La trasmissione della conoscenza spirituale avviene spesso attraverso il movimento di maestri e discepoli, come nella tradizione Naqshbandiyya Mujaddidiyya, che ha creato reti spirituali tra diverse regioni. Le sedi Sufi (*khānaqāh*) sono centri vitali per l’insegnamento e la pratica. Le vite dei santi sono raccontate in agiografie (*manāqib*) che non sono solo storia esteriore, ma riflettono realtà spirituali, mostrando il loro potere e la loro vicinanza al divino. Alcune branche della Naqshbandiyya praticano il *dhikr* vocale (*jahrī*) oltre a quello silenzioso (*khafī*), includendo anche forme di danza (*raqs-i samā‘*) come conseguenza spontanea del *dhikr* per raggiungere l’amore divino, sebbene l’uso della musica possa variare. Lignaggi come quello di ‘Ubayd Allāh Khān Tūram a Yarkand mostrano come diverse tradizioni, come la Naqshbandiyya e la Qādiriyya, possano integrarsi, praticando sia il *dhikr* silenzioso che quello vocale e la danza, trasmettendo insegnamenti attraverso scritti e simboli. La pratica Sufi offre un modo per vivere la realtà dove la percezione e le azioni strutturano l’esistenza e la connessione con il divino.Riassunto Lungo
1. Il Cammino Sufi e la Sapienza dei Maestri
Il Sufismo è un percorso spirituale che si esplora attraverso lo studio dei testi storici unito alla ricerca diretta sul campo. Questo modo di procedere permette di cogliere le diverse facce del Sufismo, considerando sia il suo contesto storico e sociale sia la sua dimensione più intima e spirituale. Un’idea fondamentale in questo cammino è il “viaggio”, che non significa solo spostarsi fisicamente, ma soprattutto intraprendere un percorso interiore per purificare e affinare l’anima.Il Percorso Spirituale e le Pratiche Fondamentali
Questo cammino spirituale viene chiamato tarīqa. In origine indicava la via stretta che conduce a una comprensione più profonda della fede islamica. Con il tempo, il termine ha iniziato a definire anche le confraternite che si sono organizzate, ognuna con i propri insegnamenti e modi di praticare. Una pratica essenziale nel Sufismo è il dhikr, che significa il ricordo costante di Dio. Viene usato per imprimere la presenza divina nella mente e per purificare l’anima dai suoi difetti. Il dhikr può essere svolto in silenzio, in modo interiore, oppure ad alta voce, in gruppo. Un’altra pratica significativa è il samā’, che consiste nell’ascolto spirituale, spesso attraverso canti o musica, e ha lo scopo di favorire stati elevati di coscienza. Figure molto importanti nella storia e nella spiritualità Sufi sono i santi, chiamati awliyā. Sono venerati sia dalle persone più colte che dalla gente comune, e le loro vite e i loro insegnamenti vengono tramandati attraverso racconti e detti che ispirano i praticanti.La Sapienza degli Antichi Maestri: L’Esempio di al-Sulamī
Shaykh Abū ‘Abd al-Rahmān al-Sulamī, vissuto tra il X e l’XI secolo nella città di Nīshāpūr, è una figura chiave. Le sue opere sono una fonte primaria per conoscere le dottrine e le pratiche del Sufismo delle origini. Ha raccolto e trasmesso insegnamenti che erano stati tramandati oralmente o per iscritto, usando un metodo molto attento e preciso, simile a quello usato per raccogliere gli hadīth, i detti e le azioni del profeta Maometto. Tra i suoi scritti si trovano commentari del Corano, biografie di importanti maestri Sufi e manuali che spiegano come comportarsi.Attraverso i suoi lavori, specialmente la raccolta di storie sui primi Sufi, si può capire meglio l’ambiente e le idee che hanno dato forma al Sufismo. Questi racconti illustrano principi fondamentali che guidano chi segue questo cammino. Mostrano, ad esempio, che la vera conoscenza di Dio va oltre la semplice logica e richiede un’apertura del cuore. Sottolineano l’importanza di avere una fiducia totale in Dio e di lottare contro i propri difetti interiori per migliorarsi costantemente. Evidenziano anche quanto siano importanti la sincerità nelle intenzioni e una condotta giusta e rispettosa nei rapporti con gli altri. La sapienza di questi maestri antichi, conservata grazie al lavoro di studiosi come al-Sulamī, continua ancora oggi a essere un punto di riferimento essenziale per chi pratica il Sufismo.Ma cosa si intende esattamente per “ricerca diretta sul campo” nel cammino Sufi, e come si distingue dallo studio dei testi?
Il capitolo introduce l’idea che il Sufismo si esplori unendo lo studio dei testi storici alla “ricerca diretta sul campo”, ma non chiarisce in cosa consista quest’ultima. Questa lacuna metodologica lascia aperta la questione di come si debba concretamente procedere per integrare l’esperienza diretta con la conoscenza libresca. Per approfondire questo aspetto e comprendere le diverse metodologie di studio del Sufismo, che non si limitano alla sola lettura, è utile esplorare l’antropologia delle religioni e la sociologia delle pratiche spirituali. Autori come Carl W. Ernst hanno affrontato lo studio del Sufismo combinando diverse prospettive, e la lettura di lavori che descrivono le pratiche attuali e le interazioni nelle confraternite può gettare luce su cosa possa significare “ricerca sul campo” in questo contesto.2. Rituali di Trance e Vie Sufi
Nella regione del Makran, che si estende tra Pakistan e Iran, si pratica un particolare rituale di guarigione che utilizza la musica, chiamato guāti-damāli. Questo rito è guidato da una figura centrale, l’officiante noto come halipa, il quale entra in uno stato di trance durante la cerimonia. Il nome stesso del rituale ha un significato profondo: il termine guāt si traduce come ‘vento’ e si collega a pratiche spirituali legate agli ‘spiriti del vento’, mentre damāl è un termine associato ai jinn, entità spirituali. Esiste anche una versione del rito eseguita per puro piacere o intrattenimento, che prende il nome di showqi, a dimostrazione della versatilità di queste pratiche culturali.Le figure degli officianti
Gli officianti che guidano il guāti-damāli sono conosciuti con diversi nomi, tra cui halipa, pakir o malang, e la loro capacità di guarire deriva dal permesso ricevuto da un importante santo. Durante il rituale, entrano in uno stato estatico, spesso coprendosi il capo e dedicandosi alla danza, elementi fondamentali per raggiungere la trance. In questo stato alterato, possono offrire ai partecipanti amuleti protettivi o trasmettere potere curativo attraverso il respiro. La capacità di raggiungere la trance e di operare guarigioni non è sempre acquisita allo stesso modo: può essere una dote ereditaria, trasmessa di generazione in generazione all’interno di certe famiglie, oppure può essere appresa attraverso un lungo e rigoroso apprendistato sotto la guida di un maestro esperto. Molti di questi officianti hanno anche superato una malattia che viene considerata una sorta di iniziazione spirituale, un passaggio necessario per poter svolgere questo ruolo. La trance è un elemento cruciale per l’officiante, poiché gli permette di fare diagnosi accurate e di stabilire una connessione diretta con il mondo spirituale, da cui attinge la sua forza curativa.Lo svolgimento del rituale
I rituali guāti-damāli si svolgono tradizionalmente di notte, in un’atmosfera carica di elementi simbolici e sensoriali. La cerimonia prevede l’uso del fuoco, che illumina lo spazio e simboleggia purificazione e trasformazione. L’aria viene profumata con incenso e oli aromatici, creando un ambiente propizio all’esperienza spirituale. Un altro elemento visivo importante è l’uso di un velo, che può essere indossato dall’officiante o utilizzato in altri modi simbolici durante il rito. Tuttavia, l’elemento più cruciale per indurre lo stato di trance è la musica, suonata con strumenti tradizionali che creano ritmi ipnotici e melodie evocative. Tra gli strumenti utilizzati spiccano il sorud, un tipo di violino che produce suoni melodici e penetranti, e il tanburag, un liuto ritmico che fornisce la base pulsante per la danza e la trance, dimostrando come suono e movimento siano intrinsecamente legati in questa pratica curativa.Santi e guide spirituali
Nel contesto di questi rituali e più in generale nelle tradizioni Sufi, la venerazione dei santi occupa un posto centrale. Figure spirituali di grande importanza vengono invocate e onorate per la loro benedizione e il loro aiuto. Tra i santi più significativi nel guāti-damāli spicca ‘Abd al-Qādir Gīlānī, una figura associata al potere spirituale e alla guida dei fedeli, considerato un punto di riferimento per molti praticanti. Un altro santo fondamentale è Shahbāz La‘l Qalandar, che incarna l’essenza della trance estatica ed è venerato come patrono dei musicisti, riconoscendo il ruolo vitale della musica nel percorso spirituale. Oltre a queste figure prominenti, vengono invocati anche altri santi, sia quelli legati alle tradizioni locali specifiche della regione, sia quelli connessi a tradizioni spirituali di origine araba e africana, come quelle associate ai riti del zār e ai mashāyikh, evidenziando la ricchezza e la diversità delle influenze spirituali che convergono in queste pratiche.La diversità delle vie Sufi
Il patrimonio Sufi si manifesta in modi diversi a seconda delle regioni e delle comunità. Ad esempio, nel Punjab pakistano, in città come Faisalabad, si osserva una grande varietà di approcci e pratiche spirituali. All’interno della vasta famiglia Sufi, si possono distinguere diverse figure. Ci sono studiosi Sufi che pongono una forte enfasi sul rispetto della Sharia, la legge islamica, e che si dedicano allo studio approfondito dei testi sacri e delle tradizioni giuridiche. Accanto a loro, si trovano mistici contemplativi, la cui vita è dedicata alla rinuncia ai beni materiali e alle pratiche devozionali intense, spesso svolte nei santuari dedicati ai santi. Esiste poi la categoria dei dervisci antinomici, noti anche come malang, che si distinguono per le loro pratiche considerate trasgressive o non convenzionali rispetto alle norme sociali e religiose più rigide. Nonostante queste differenze nei modi di vivere e praticare la spiritualità, alcune figure di santi godono di una venerazione trasversale, unendo credenti appartenenti a diverse correnti. Tra questi, ‘Alī Hujwīrī e ‘Abd al-Qādir Jilānī sono venerati da un’ampia gamma di seguaci Sufi, a testimonianza di una base spirituale condivisa che trascende le distinzioni tra le varie vie.Ma come si spiega, al di là della fede, la capacità di guarigione e lo stato di trance descritti nel capitolo?
Il capitolo descrive in dettaglio le pratiche e le credenze legate al rituale guāti-damāli e alle vie Sufi, inclusi gli stati di trance e la guarigione, ma non offre un’analisi o una spiegazione di questi fenomeni da prospettive esterne al sistema di fede. Per approfondire la comprensione della trance, dei suoi meccanismi psicofisiologici e del concetto di guarigione in contesti rituali, sarebbe utile consultare studi nell’ambito dell’antropologia medica, della psicologia transculturale o delle neuroscienze cognitive. Autori che si sono occupati di stati alterati di coscienza o di sistemi terapeutici non occidentali possono fornire spunti critici e analitici.3. Ascetismo e Fili di Devozione
In Pakistan, il Sufismo popolare si manifesta attraverso diverse figure, come i dervisci che viaggiano o vivono in modo anticonformista, noti come malang e qalandar, e i maestri più stabili e colti, chiamati pir e shaikh. Questa varietà si riflette anche nel modo in cui vengono percepite la povertà e la ricchezza tra queste figure. Alcuni santi del passato e maestri ereditari sono lodati per la loro generosità o per una povertà intesa come distacco spirituale, mentre altri, considerati “falsi” pir o malang, sono criticati per corruzione o per un eccessivo interesse per i beni materiali.Un Esempio di Vita Ascetica: Bābā Fīrūz Sā’īn
Un esempio significativo di figura ascetica è Bābā Fīrūz Sā’īn, un derviscio che vive a Lahore. La sua dimora si trova in un cimitero a Kot Lakhpat, dove vive insieme ai suoi seguaci, i faqir. La sua abitazione è molto semplice, destinata a diventare il suo mausoleo dopo la morte. Nato in una famiglia modesta, Fīrūz Sā’īn lavorava come meccanico prima di diventare discepolo di Bābā Sirāj al-Dīn. Ha compiuto la scelta di abbandonare la sua famiglia e ogni proprietà, rinunciando completamente al mondo materiale. Ha adottato uno stile di vita rigoroso, smettendo di fumare e bere e riprendendo a fare le preghiere regolari. Per mantenere sé stesso e i suoi faqir, lavora trasportando verdure con un carretto, considerando questo lavoro umile una parte essenziale della vita di un faqir. Si dedica anche alla cura degli animali feriti e aiuta i poveri del quartiere, credendo che assistere chi ha bisogno sia più importante della preghiera e del digiuno. Accetta solo offerte che gli vengono date spontaneamente dai fedeli.La Danza Estatica: il Dhamāl
In gioventù, Fīrūz Sā’īn era noto per essere un abile danzatore di trance, praticando il dhamāl presso il santuario di Bābā Shāh Jamāl. Il dhamāl è una danza estatica strettamente legata al ritmo incalzante del tamburo, chiamato dhol. È considerata una forma di espressione religiosa attraverso il corpo e il movimento, vista come una “religione incarnata o danzata”, distinta dall’Islam più formale. Questa danza, che presenta elementi che ricordano le antiche feste dionisiache, ha radici profonde che risalgono anche allo Shivaísmo ascetico. Il dhamāl è un ballo di totale abbandono che porta chi lo pratica a stati di trance o vera e propria estasi, creando un legame forte tra danzatori, chi guarda, i musicisti e il loro maestro spirituale. Per Fīrūz Sā’īn, questa danza estatica era un modo per esprimere il dolore provato per la separazione dal suo maestro spirituale.Il Filo Devozionale: il Dhāgo
Un altro elemento devozionale molto diffuso in Asia meridionale è il dhāgo, che consiste in un semplice filo o una corda. Viene utilizzato in diverse tradizioni religiose della regione, non solo nel Sufismo, ma anche nell’Induismo e nell’Ismailismo. Legare un filo al polso è un gesto comune compiuto per cercare protezione divina. Nella cultura della regione del Sindh, il dhāgo assume un significato particolare: simboleggia il legame profondo che unisce il maestro spirituale al suo discepolo e serve anche come supporto materiale per mantenere i voti presi. La sua creazione coinvolge artigiani locali e spesso donne. In luoghi di grande afflusso come Sehwan Sharif, il dhāgo è diventato un oggetto ampiamente commercializzato, venduto nei bazar e distribuito ai pellegrini. Sebbene possa funzionare come un amuleto per offrire protezione, il dhāgo è anche uno strumento importante per identificare l’appartenenza a una certa tradizione religiosa o a un particolare maestro. In alcune comunità, come i Daryapanthi e storicamente gli Ismaili, legare il dhāgo contribuisce in modo significativo a costruire e definire i confini della comunità stessa. Nonostante la sua semplicità materiale, il dhāgo è un supporto fondamentale per funzioni primarie come la protezione e la ricerca della salvezza spirituale.Ma quanto c’è di verificabile storicamente nelle vite dei santi, al di là della “realtà spirituale” che il capitolo contrappone esplicitamente agli “eventi storici esterni”?
Il capitolo presenta l’agiografia come un genere che trascende la storia esterna per narrare una “realtà spirituale”. Tuttavia, questa distinzione solleva interrogativi sulla verificabilità delle affermazioni, in particolare quelle relative a miracoli, interventi divini e all’influenza su figure politiche come i sultani Timuridi, che il testo definisce il “miracolo più grande” di Khwājā Ahrār. Per colmare questa lacuna e analizzare criticamente tali narrazioni, è fondamentale approfondire la storia delle religioni, la sociologia del potere e la critica delle fonti storiche. Approcci offerti da studiosi come Max Weber o specialisti di storia dell’Islam possono fornire strumenti per comprendere come le figure spirituali interagiscono con le strutture di potere e come le loro vite vengono narrate e interpretate nel tempo.6. Un Lignaggio Sufi tra Tradizioni a Yarkand
Nel ventesimo secolo, figure importanti hanno rappresentato il sufismo nello Xinjiang, in particolare nella città di Yarkand. Tra queste spicca ‘Ubayd Allāh Khān Tūram, morto nel 1993, che apparteneva all’ordine Naqshbandiyya. La storia di questo lignaggio a Yarkand inizia con suo padre, ‘Abd Allāh Khān, che fuggì dalla Valle di Fergana nel 1928. Stabilendosi a Yarkand, ‘Abd Allāh Khān portò con sé il lignaggio di Majdhūb ‘Abd al-‘Azīz Namangānī, una tradizione spirituale legata sia alla Naqshbandiyya che alla Qādiriyya.Guida e Struttura del Lignaggio
‘Ubayd Allāh succedette al padre alla guida della khānaqāh, che è la sede principale del lignaggio. Sia lui che suo padre furono imprigionati durante il periodo della Rivoluzione Culturale. Nonostante le difficoltà, ‘Ubayd Allāh ricevette una formazione religiosa completa e divenne anche un medico esperto nella medicina tradizionale uigura. Oggi, suo figlio Hidāyat Allāh è l’attuale capo del lignaggio. Egli continua a gestire sia la khānaqāh che la farmacia che fu fondata da suo padre. I capi del lignaggio sono riconosciuti con il titolo di ishān. Essi hanno l’autorità di nominare i loro rappresentanti, chiamati khalīfa, attraverso documenti formali noti come ijāzat-nāma. Questi diplomi includono le genealogie spirituali, o shajara, che attestano la linea di trasmissione degli insegnamenti.Pratiche Spirituali
Le pratiche spirituali di questo lignaggio includono diverse forme di dhikr, la litania o ricordo di Dio. Viene praticato sia il dhikr vocale, chiamato jahrī, che quello silenzioso, detto khafī. Un elemento distintivo e importante per il lignaggio è la danza spirituale, conosciuta come raqs u-samā‘. Questa danza non è vista come una performance strutturata, ma piuttosto come una conseguenza spontanea e naturale che può manifestarsi durante il dhikr. È considerata un mezzo potente per raggiungere l’amore divino. Durante l’esecuzione del dhikr, i partecipanti possono sperimentare stati di estasi o assorbimento spirituale, noti come jadhb. È importante notare che, a differenza di alcuni altri gruppi Sufi, l’uso della musica strumentale è proibito in questo lignaggio.Insegnamenti e Diffusione
‘Ubayd Allāh fu anche un autore prolifico. Scrisse diversi libri che coprivano vari argomenti, tra cui il sufismo, la medicina e le scienze religiose. Questi scritti furono ampiamente diffusi tra i suoi discepoli e seguaci. Nei suoi testi, ‘Ubayd Allāh spiegava in dettaglio le pratiche fondamentali del lignaggio, come il dhikr e la contemplazione (murāqaba). Esponeva anche i principi guida dell’ordine spirituale. Un punto che ‘Ubayd Allāh sottolineò con particolare enfasi nei suoi insegnamenti fu l’importanza di rispettare e obbedire alle leggi stabilite dal governo. Gli insegnamenti del lignaggio non sono trasmessi solo tramite i testi scritti. Vengono diffusi anche attraverso poster che vengono esposti nella khānaqāh, rendendo così i principi e le pratiche accessibili a un pubblico più vasto di visitatori e fedeli.Identità e Riconoscimento
L’identità spirituale di questo lignaggio è piuttosto complessa e presenta una certa ambiguità. Formalmente, il lignaggio è affiliato all’ordine Naqshbandiyya, che è tradizionalmente associato alla pratica del dhikr silenzioso. Tuttavia, include anche elementi e pratiche della Qādiriyya, ordine noto per il dhikr vocale. ‘Ubayd Allāh stesso considerava questi due lignaggi come inseparabili, vedendo una profonda connessione tra le loro vie spirituali. L’attuale capo, Hidāyat Allāh, a volte tende a enfatizzare maggiormente l’identità Qādiriyya del gruppo. Questa complessità e integrazione di diverse tradizioni riflette la storia del sufismo nella regione, in particolare l’evoluzione della Naqshbandiyya-Mujaddidiyya che spesso ha incorporato elementi di altri ordini. La khānaqāh di Yarkand che ospita questo lignaggio è una delle quattro sedi Sufi che hanno ricevuto l’autorizzazione ufficiale dal governo. Il lignaggio mantiene attive relazioni e scambi con altri gruppi Sufi presenti nella zona, contribuendo al tessuto spirituale locale.Come può un lignaggio Sufi mantenere la propria autenticità spirituale e le proprie pratiche in un contesto di controllo governativo così stringente come quello dello Xinjiang, ricevendo peraltro “autorizzazione ufficiale”?
Il capitolo presenta l’autorizzazione ufficiale della khānaqāh e l’enfasi sull’obbedienza alle leggi governative senza esplorare le implicazioni di tale rapporto in un’area nota per la repressione religiosa. Manca un’analisi critica di come la sopravvivenza e le pratiche del lignaggio possano essere influenzate o compromesse dalla necessità di operare sotto stretta sorveglianza statale. Per comprendere meglio questa dinamica, sarebbe fondamentale approfondire gli studi sulla politica religiosa in Cina, in particolare nello Xinjiang, e le strategie di adattamento (o resistenza) delle comunità religiose locali. Autori come James Millward o Sean Roberts hanno scritto ampiamente su questi temi.Abbiamo riassunto il possibile
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