Contenuti del libro
Informazioni
“Via Polara n. 5” di Nicola Schicchi è un libro che ti prende e ti porta dentro una casa speciale a Palermo, al numero 5 di via Polara, che per decenni, tra gli anni Venti e Cinquanta, è stata il cuore pulsante di una grande famiglia siciliana e di un’intera comunità. Non era solo un appartamento, ma un vero rifugio, pieno di vita, odori e rumori, testimone silenzioso di un mondo che sembrava eterno. Qui si mescolavano le radici Arbëreshë della famiglia Mandalà con la cultura siciliana, in un viavai continuo di parenti, amici e personaggi unici, dai papas orientali agli artigiani del quartiere. Il libro racconta la vita quotidiana, le tradizioni, le feste di strada, i giochi dei ragazzi, ma anche come la storia, dalla guerra al dopoguerra, abbia cambiato tutto. Poi, piano piano, la casa si svuota, i giovani cercano fortuna altrove, e quel luogo magico viene abbandonato, diventando un rudere sigillato che oggi parla solo di un passato svanito. L’autore, scrivendo da lontano, da Nairobi, usa i ricordi di quella casa di famiglia e di quella vita come un rifugio, un modo per far rivivere un mondo perduto e trovare felicità nell’evasione della memoria. È un viaggio intimo nel passato, un affresco di una Palermo che non c’è più, visto attraverso gli occhi di chi l’ha vissuta.Riassunto Breve
Una casa al secondo piano in via Polara 5 a Palermo è il centro di vita per una grande famiglia allargata tra gli anni Venti e Cinquanta. Questa dimora non è solo un luogo dove si abita, ma un punto di riferimento per un vasto gruppo di parenti, amici e conoscenti. Al centro ci sono il commendatore Giorgio Mandalà e sua moglie Mimì Traina, con figli e una servetta, ma la casa accoglie molte altre persone. La casa stessa è importante, ogni parte ha odori e rumori suoi, è testimone della vita che scorre. Oggi, lo stesso palazzo appare abbandonato, il portone rovinato, l’appartamento sigillato dal 1961, le persiane chiuse, le piante sui balconi morte. L’interno è in rovina, abitato da insetti e topi, protetto da una porta blindata dopo un tentativo di furto. Una vista dall’alto mostra parte del tetto crollato.La vita di un tempo nella casa era fatta di abitudini lente. Si entrava dal portone chiuso con un piccolo uscio laterale. Le scale portavano al secondo piano, piene dell’odore della pasta fresca del pastificio al piano terra. L’appartamento del commendatore, a volte con un piccolo spazio affittato, ha una disposizione interna con un lungo corridoio centrale. La cucina è buia e lontana dalla sala da pranzo. Le stanze migliori si usano poco, solo per occasioni speciali. La stanza più vissuta è quella che dà sul cortile, chiamata stanza del giardino, dove c’è un grande tavolo usato per mangiare, lavorare e incontrarsi. Qui Mimì accoglie tutti.La famiglia Mandalà ha origini arbëreshë, da Piana degli Albanesi, mentre Mimì Traina viene da Collesano, nelle Madonie. Questa unione mescola culture diverse. Gli arbëreshë sono discendenti di albanesi fuggiti in Italia secoli fa, mantengono la loro lingua e il rito greco-cattolico. In Sicilia, Piana degli Albanesi è una comunità importante. C’è una certa diffidenza tra arbëreshë, madoniti e palermitani di città. Gli arbëreshë usano la loro lingua per parlare liberamente. La comunità arbëreshë a Palermo si trova in zone come via Polara. Figure importanti sono i papas, sacerdoti di rito orientale che possono sposarsi, come Papas Tani Petrotta, studioso e promotore della cultura arbëreshë. Altri intellettuali e religiosi dall’Albania si uniscono a questo ambiente. Ci sono anche rifugiati albanesi che vivono di espedienti. La famiglia principale si affida a una rete di “parrucciani”, fornitori e artigiani considerati quasi di casa, come il barbiere Latino, l’impresario di pompe funebri Velletri, l’ex poliziotto Milia che insegna a guidare, e sarte come la signora Tina e la poverissima signura Manzella.La vita sociale si svolge molto per strada, sui balconi e nelle botteghe. Ci sono feste di quartiere come quella della Madonna dell’Orto con la “vulata di l’ancilu”. I mercati come Ballarò e il Capo sono pieni di vita con le grida dei venditori. Le famiglie si visitano, ci sono momenti di musica e socialità. I matrimoni iniziano a mescolare persone di diverse provenienze. I bambini e i ragazzi passano il tempo tra la scuola, spesso religiosa con regole severe, e i giochi per strada o in casa, come il calcio con palloni improvvisati o costruire radio. Personaggi come Mario e Tutù animano la vita quotidiana con le loro avventure.Negli anni Cinquanta, la casa di via Polara perde importanza. I giovani guardano alla città di Palermo per cercare opportunità e una vita diversa, sperando di migliorare la propria condizione. La vita sociale dei ragazzi include la frequentazione delle case di tolleranza, le feste da ballo in case private con musica jazz, latino-americana e slow americani. Il cinema è un divertimento accessibile, con sale di vario tipo. D’estate, la spiaggia di Mondello è un luogo di ritrovo, raggiungibile in tram, dove si fanno bagni e gite in barca. La mobilità aumenta con le prime auto come la Fiat 500, che permettono viaggi più lunghi. La mancanza di lavoro a Palermo spinge i giovani laureati a emigrare. Questo allontanamento, insieme alla morte degli anziani, porta all’abbandono e al degrado della casa di famiglia.Lontano da Palermo, a Nairobi nel 1991, una persona vive una routine noiosa e malinconica in un hotel per stranieri. La città è pericolosa di sera, le opzioni per il tempo libero sono poche. La noia spinge a cercare una via di fuga nei ricordi del passato, specialmente quelli dell’infanzia e giovinezza a Palermo. Questi ricordi riemergono pieni di dettagli. Per non perderli, si inizia a scriverli, anche durante il lavoro. Scrivere i ricordi fa passare il tempo più velocemente e permette di estraniarsi dalla realtà presente. Anche durante le gite, la mente torna ai luoghi amati in Sicilia. Questa immersione nei ricordi crea un contrasto con la realtà in Africa e permette di trovare un senso di felicità, dimostrando che si può essere felici rifugiandosi nel proprio mondo interiore fatto di ricordi. Questo processo crea un insieme di immagini e sensazioni che formano un caleidoscopio personale.Riassunto Lungo
1. La Casa Tribale e il Suo Silenzio
L’appartamento al secondo piano in via Polara 5 è stato per molti anni, tra il 1920 e il 1950, il cuore di una grande famiglia. Non era solo una casa, ma un punto di riferimento sicuro, un rifugio e un simbolo importante per un intero gruppo di persone. Al centro di tutto c’erano il commendatore Giorgio Mandalà e sua moglie Mimì Traina, insieme ai figli e alla servetta. Intorno a loro si muovevano parenti vicini e lontani, amici e tante altre persone che frequentavano la casa. La casa stessa non era un semplice contenitore, ma sembrava viva. Ogni stanza aveva un suo carattere, i suoi odori e i suoi rumori tipici, legati ai momenti della giornata e agli eventi che vi accadevano. Questa casa era come un personaggio in più, che assisteva alla storia della famiglia, una storia che, anche se sembrava durare per sempre, in realtà è finita piuttosto in fretta.
Dentro la Casa: Entrata e Disposizione
Entrare nel palazzo significava passare per un grande portone quasi sempre chiuso. Bisognava usare un piccolo ingresso laterale, così basso da doversi chinare per passare. Le scale portavano al secondo piano e salendo si sentiva forte l’odore della pasta fresca. Questo profumo arrivava dal pastificio che si trovava al piano terra e si diffondeva in tutto l’edificio, diventando un odore familiare per chiunque entrasse. L’appartamento al secondo piano apparteneva al commendatore, anche se per un periodo una parte era stata affittata. La disposizione interna non era delle migliori, con un lungo corridoio centrale da cui si accedeva alle varie stanze. La cucina, ad esempio, era buia e lontana dalla sala da pranzo, rendendo scomodo il servizio durante i pasti. Le stanze più belle e luminose, invece, venivano usate poco, quasi solo per le occasioni speciali, come se fossero troppo preziose per la vita di tutti i giorni.
La Stanza più Vissuta: Quella sul Giardino
La stanza dove si passava più tempo era quella affacciata sul giardino, collegata direttamente alla cucina. Questa stanza dava su un cortile interno dove c’erano piante e si vedevano ancora i segni di vecchi orti. Era uno spazio sempre pieno di gente, un viavai continuo di persone che venivano accolte da Mimì, la signora di casa che gestiva tutto. Al centro di questa stanza c’era un grande tavolo, usato per mangiare, lavorare, studiare, chiacchierare e incontrarsi. Era il vero cuore della casa. Un lampadario appeso sopra il tavolo illuminava la scena ed era un testimone silenzioso di tutta la vita, le discussioni, le risate e i silenzi che si erano succeduti lì per anni.
Oggi: Il Silenzio e l’Abbandono
Oggi, il palazzo di via Polara ha un aspetto molto diverso, segnato dall’abbandono. Il grande portone è rovinato e l’appartamento al secondo piano è chiuso e sigillato dal 1961. Le persiane sono abbassate e chiuse, le piante che un tempo erano sui balconi sono secche e morte. Dentro, l’appartamento è in pessime condizioni, quasi in rovina, abitato solo da insetti e piccoli animali. C’è stato un tentativo di furto, ma è fallito, e dopo quell’episodio un signore anziano legato alla storia della casa ha fatto mettere una porta blindata per proteggerla. Guardando dall’alto, da una foto aerea del 2007, si vede che parte del tetto è crollata. La casa è diventata un luogo dove non si può più entrare, un ricordo concreto di un passato che non esiste più.
Come si è passati, in un lampo storico, dal “cuore di una grande famiglia” al “chiuso e sigillato dal 1961”?
Il capitolo descrive con efficacia l’atmosfera vibrante della casa nel suo periodo di massimo splendore, ma la transizione verso l’abbandono e la rovina è presentata come un fatto compiuto, senza esplorare le cause profonde e gli eventi specifici che hanno portato alla fine di questa “storia che, anche se sembrava durare per sempre, in realtà è finita piuttosto in fretta”. Per colmare questa lacuna argomentativa e comprendere il perché di un declino così rapido, sarebbe fondamentale indagare la storia sociale del periodo, le vicende specifiche della famiglia e il contesto economico e urbano che potrebbe aver influenzato tale abbandono. Approfondire studi di storia sociale e demografia familiare potrebbe offrire le chiavi di lettura necessarie.2. Radici balcaniche e destini siciliani
Le comunità arbëreshë hanno radici nei Balcani. Sono discendenti di cristiani fuggiti dalla loro terra d’origine, l’Arbëria (oggi Albania e zone vicine), tra il 1300 e il 1700 per scappare dagli Ottomani. Questi profughi trovarono rifugio in varie parti del sud Italia. Riuscirono a conservare con tenacia la loro lingua e il rito religioso greco-cattolico, elementi fondamentali della loro identità. In Sicilia, Piana degli Albanesi è uno dei luoghi dove la loro presenza è più forte e importante, rappresentando un centro vitale per la cultura arbëreshë sull’isola.La famiglia Mandalà e l’incontro di culture
Tra le famiglie legate a Piana degli Albanesi e alla sua eredità arbëreshë c’è la famiglia Mandalà. Un membro di spicco è il Commendatore Giorgio Mandalà, un magistrato. La sua storia personale è profondamente influenzata dal matrimonio con Mimì Traina. Lei viene da Collesano, un paese delle Madonie, e rappresenta la cultura siciliana più radicata nel territorio. Le nozze tra Giorgio e Mimì uniscono due mondi diversi, quello arbëreshë e quello siciliano. Questa unione mette in luce le differenze che esistono tra loro, non solo nella cultura e nella lingua, ma anche nella posizione sociale. Nonostante questo, il Commendatore Giorgio cerca in vari modi di mantenere vive le tradizioni e l’identità arbëreshë all’interno della sua famiglia.L’impatto dei grandi eventi storici
Le grandi vicende storiche, come il periodo fascista e la Seconda Guerra Mondiale, segnano profondamente la vita delle famiglie. Quando l’Italia fascista annette l’Albania, alcuni membri della famiglia Mandalà si trasferiscono a Tirana per lavorare in uffici amministrativi. Gli anni della guerra portano difficoltà ovunque. A Palermo, la famiglia subisce i bombardamenti. In Albania, vivono sulla loro pelle le difficoltà dell’occupazione, prima italiana e poi tedesca, e in seguito l’inizio del regime comunista guidato da Enver Hoxha. Finita la guerra, il rientro in Sicilia avviene in una situazione difficile. Trovano distruzione, povertà diffusa e un mercato nero che condiziona la vita quotidiana. La famiglia deve adattarsi a questa nuova realtà, anche se le vecchie abitudini e i rapporti personali continuano a influenzare le loro vite.È davvero sufficiente definire l’unione tra le famiglie Mandalà e Traina un semplice “incontro di culture”, o non si tratta piuttosto di un punto cruciale per esplorare le tensioni e le dinamiche (anche di potere) tra identità minoritarie e maggioritarie in un contesto storico complesso?
Il capitolo presenta l’unione tra le famiglie Mandalà e Traina come un “incontro di culture” che mette in luce le differenze. Tuttavia, la realtà del contatto culturale, specialmente tra una minoranza storicamente insediata e la cultura dominante, implica processi ben più complessi di semplice “incontro”. Si tratta di negoziazione, adattamento, e talvolta pressione all’assimilazione. Il capitolo accenna alle differenze, inclusa la posizione sociale, ma non approfondisce le dinamiche di potere storiche o le specifiche sfide affrontate dagli Arbëreshë nel preservare la loro identità per secoli in Sicilia. Per comprendere meglio questa complessità, è utile approfondire la storia sociale del Mezzogiorno, gli studi sulle minoranze etno-linguistiche in Italia, e l’antropologia culturale, discipline che offrono gli strumenti per analizzare le dinamiche di identità, assimilazione e resistenza culturale in contesti di migrazione e convivenza.3. Gente d’Oriente e di Casa
Attorno a una casa a Palermo si raccoglie un insieme di persone, molte delle quali provengono da Piana dei Greci e sono di origine arbëreshë, mentre altre sono madonite. Tra questi gruppi esiste una certa diffidenza reciproca. Allo stesso tempo, sia gli arbëreshë che i madoniti condividono una profonda sfiducia verso gli abitanti della città di Palermo. Gli arbëreshë usano la loro lingua madre per comunicare liberamente tra loro, creando uno spazio di privacy e identità, mentre i madoniti tendono a parlare meno, forse per maggiore cautela.Radici e luoghi della comunità Arbëreshë
La presenza della comunità arbëreshë in Sicilia ha origini antiche, ma nonostante ciò, persiste un pregiudizio popolare che li dipinge come persone astute e poco inclini al lavoro. I centri vitali di questa comunità si trovano in luoghi specifici della città, come via Polara e Palazzo Fici. Queste zone sono state scelte strategicamente per la loro vicinanza ai punti dove arrivavano coloro che emigravano, facilitando così l’integrazione e il supporto reciproco per i nuovi arrivati.Papas e figure di cultura
Figure centrali in questo ambiente sono i papas, i sacerdoti che seguono il rito orientale. Si distinguono per il loro aspetto e per pratiche religiose diverse da quelle del rito latino, inclusa la possibilità per i sacerdoti di sposarsi. Tra loro spicca Papas Tani Petrotta, un uomo di grande cultura, studioso di lingue antiche. La sua figura è fondamentale per la cultura arbëreshë: si è impegnato attivamente per l’insegnamento della lingua albanese all’università e ha lottato per il riconoscimento ufficiale dell’Eparchia. Altri intellettuali e religiosi si inseriscono in questo contesto, spesso dopo essere fuggiti dall’Albania. Tra questi, Karl Gurakuqi e Padre Giuseppe Valentini, che in seguito diventerà anch’egli papas, trovano accoglienza e un ruolo all’interno di questa vivace comunità.Rifugiati e mediatori
Accanto alle figure religiose e culturali, gravitano persone che hanno cercato rifugio in questo ambiente. Dopo la guerra, molti sono arrivati dall’Albania, e tra loro ci sono figure a volte enigmatiche. Queste persone vivono spesso di espedienti, trovando protezione e sostegno grazie all’aiuto dei papas. In questo quadro, Rosolino Petrotta, che è il genero del Commendatore, assume un ruolo importante. Agisce come figura politica e si dedica a mediare e offrire supporto ai rifugiati albanesi, facilitando la loro integrazione e aiutandoli ad affrontare le difficoltà legate alla loro nuova condizione.La rete dei “parrucciani”
La vita quotidiana della famiglia principale è sostenuta da una fitta rete di persone che vengono chiamate “parrucciani”. Si tratta di fornitori e artigiani che non sono semplici prestatori d’opera, ma vengono considerati quasi parte della famiglia stessa. La loro presenza e il loro lavoro sono essenziali per il funzionamento della casa e per il benessere dei suoi abitanti. Ogni “parrucciano” ha un ruolo specifico e contribuisce in modo unico a questo sistema di supporto.Fanno parte di questa rete figure come il signor Latino, un barbiere noto per la sua discrezione e il suo silenzio, che offre i suoi servizi direttamente a domicilio. C’è Velletri, l’impresario di pompe funebri, una figura la cui presenza è legata ai momenti più dolorosi della vita familiare; è lui a gestire ogni aspetto pratico e organizzativo delle esequie. Milia è un ex poliziotto che si occupa di insegnare a guidare la prima automobile acquistata dalla famiglia, un segno dei tempi che cambiano. Non mancano le artigiane fondamentali per l’abbigliamento: la Viarengo, una modista di origine piemontese che crea i cappelli, la signora Tina, una sarta che realizza gli abiti su misura, e la signura Manzella, una cucitrice in condizioni di povertà che si occupa delle riparazioni, incarnando con la sua resilienza la forza e la dignità della plebe urbana. Queste diverse figure, con le loro storie e mestieri, disegnano un quadro dettagliato del contesto sociale ed economico che circonda la famiglia e l’intera comunità.Se Palermo offriva “nuove opportunità”, perché i giovani laureati erano costretti a emigrare per trovare lavoro?
Il capitolo presenta la città come un polo d’attrazione, un luogo di rinascita e opportunità per la gioventù che cerca di allontanarsi dall’arretratezza. Tuttavia, subito dopo, si afferma che la mancanza di prospettive professionali concrete spinge molti laureati a emigrare. Questa apparente contraddizione lascia un vuoto argomentativo. Quali erano esattamente queste “opportunità” se non si traducevano in sbocchi lavorativi per i più qualificati? Per comprendere meglio questo divario, sarebbe utile approfondire la storia economica e sociale della Sicilia nel dopoguerra, analizzando la struttura del mercato del lavoro urbano e le dinamiche dell’emigrazione qualificata. Autori che hanno studiato il Mezzogiorno e i flussi migratori italiani potrebbero fornire il contesto necessario.6. L’Evasione nei Ricordi
Un esperto europeo si trova a Nairobi nel 1991, alloggiando in un hotel frequentato da altri stranieri. La vita quotidiana in questo luogo è segnata da un ambiente poco curato, con la presenza costante di venditori e guardie all’ingresso. Le giornate lavorative sono scandite da attività d’ufficio, riunioni e visite a stabilimenti, una routine che si ripete senza grandi variazioni. Dopo il lavoro, il tempo libero è molto limitato e la città diventa pericolosa dopo il tramonto, rendendo quasi impossibile spostarsi a piedi. Le opzioni per trascorrere la serata sono scarse, spesso ridotte a rimanere in hotel, dove il cibo è poco invitante e la musica di una band locale è monotona e ripetitiva. Questa situazione porta inevitabilmente a provare una profonda noia e un senso di malinconia.L’evasione nei ricordi
Una sera, la noia diventa così forte da essere insopportabile. È in questo momento che si scopre una via di fuga inattesa: i ricordi del passato. In particolare, riaffiorano con grande intensità le memorie legate all’infanzia e alla giovinezza trascorsa a Palermo. Questi ricordi emergono vividi, ricchi di dettagli e sensazioni dimenticate. Sembrano un rifugio sicuro, un mondo interiore a cui accedere per sfuggire alla monotonia e alla difficoltà del presente. Permettono di rivivere mentalmente momenti felici e spensierati, creando un forte contrasto con la realtà vissuta in Africa.Scrivere per non dimenticare
Per preservare e non perdere questo prezioso flusso di memorie, si inizia a scriverle. L’atto di scrivere diventa un modo per fissare sulla carta i pensieri e le immagini che affiorano, senza seguire un ordine cronologico o logico preciso. Questa attività viene svolta in diversi momenti della giornata, anche in situazioni formali come durante le riunioni di lavoro. Scrivere permette di estraniarsi dalla realtà circostante, creando una bolla personale in cui rifugiarsi. Il tempo stesso sembra scorrere in modo diverso, più velocemente, quando si è immersi nella scrittura dei ricordi. Anche durante le gite fuori città, la mente tende a tornare ai luoghi amati della Sicilia, dimostrando quanto sia forte il legame con il passato.Il rifugio nel passato e la felicità
Questa immersione profonda nei ricordi e nei sogni del passato crea un netto contrasto con la realtà difficile e monotona vissuta in Africa. L’evasione mentale non è una semplice distrazione, ma una vera e propria fonte di gioia e benessere interiore. Dimostra che è possibile trovare un senso di felicità anche quando le condizioni esterne sono avverse. Basta sapersi rifugiare nel proprio mondo interiore, attingendo alla ricchezza dei ricordi e delle esperienze passate. Questo processo continuo genera un insieme variegato e mutevole di immagini, sensazioni ed emozioni che formano un personale “caleidoscopio” interiore, un tesoro da cui attingere.È davvero sufficiente “sapersi rifugiare nel proprio mondo interiore” per trovare la felicità, anche quando la realtà esterna è avversa?
Il capitolo presenta l’evasione nei ricordi come una fonte quasi miracolosa di gioia e benessere, capace di contrastare una realtà difficile e monotona. Tuttavia, l’idea che la felicità possa dipendere esclusivamente da un rifugio mentale, ignorando le condizioni esterne o le potenziali complessità psicologiche legate all’evitamento della realtà, appare quantomeno semplicistica. Per comprendere meglio la relazione tra mondo interiore, memoria e benessere psicologico, e per valutare i limiti di un approccio basato esclusivamente sull’evasione, sarebbe utile approfondire studi sulla psicologia della resilienza, sui meccanismi di coping e sul ruolo della memoria nella costruzione dell’identità e della felicità. Autori come Viktor Frankl o Aaron Beck offrono prospettive diverse su come affrontare le avversità e sul ruolo del pensiero e del significato nella vita umana.Abbiamo riassunto il possibile
Se vuoi saperne di più, devi leggere il libro originale
Compra il libro[sc name=”1″][/sc] [sc name=”2″][/sc] [sc name=”3″][/sc] [sc name=”4″][/sc] [sc name=”5″][/sc] [sc name=”6″][/sc] [sc name=”7″][/sc] [sc name=”8″][/sc] [sc name=”9″][/sc] [sc name=”10″][/sc]