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RISPOSTA: “Utopie della cura. La politica trasformativa delle pratiche di comunità” di Laura Serghetti ci porta in un viaggio affascinante attraverso esperienze concrete che dimostrano come la cura possa essere un motore potentissimo di cambiamento sociale e politico. Il libro esplora il concetto di cura non solo come un’attività di assistenza, ma come un fondamento essenziale per la vita, la politica e la società stessa, sfidando l’idea che sia un tema secondario o relegato alla sfera privata. Attraverso le storie di comunità come Lucha y Siesta a Roma, un rifugio femminista per donne vittime di violenza, Ri-Make, uno spazio autogestito che promuove il mutualismo e l’ecologia della cura, e Casa Tina a Soacha, Colombia, che offre supporto vitale alle donne in un contesto di abbandono statale, Serghetti dipinge un quadro vivido di come le “utopie quotidiane” prendano forma. Queste realtà, nate dalla consapevolezza della vulnerabilità umana e dell’interdipendenza, trasformano la cura in una pratica politica attiva, creando beni comuni e comunità basate sul mutuo soccorso e sulla democrazia di prossimità. Il libro ci invita a riflettere su come queste pratiche dal basso possano influenzare le istituzioni e costruire una “caring democracy”, un modello di società dove la risposta ai bisogni vitali è centrale e partecipata, contrastando l’incuria neoliberale e promuovendo un futuro più giusto e umano.Riassunto Breve
La cura è un’attività fondamentale per la vita umana, che va oltre la semplice assistenza e comprende la preoccupazione per la sopravvivenza, lo sviluppo delle potenzialità e il sollievo dalla sofferenza. È un bisogno intrinseco all’essere umano, presente dalla nascita alla vecchiaia, e riguarda non solo il benessere fisico, ma anche quello intellettivo, emotivo e relazionale. La cura non si limita alle relazioni interpersonali, ma si estende alla cura della vita sociale, delle istituzioni e dell’ambiente. Il pensiero femminista ha messo in luce come la cura sia una questione politica, sfidando la separazione tra sfera pubblica e privata. L’attività di cura è definita come “un’attività della specie” volta a mantenere, continuare e riparare il mondo, rispondendo a bisogni vitali la cui definizione e soddisfazione sono spesso oggetto di conflitto sociale. La cura è un’istanza etica per una vita buona, con profonde implicazioni sociali, politiche e culturali. È essenziale considerare la cura in un’ottica più ampia, includendo gli elementi non umani e ambientali, e riconoscendo le fasi che la compongono: il “prendersi a cuore”, il riconoscimento dei bisogni, l’assunzione di responsabilità, l’erogazione della cura e la ricezione delle risposte. L’idea dell’essere umano come “homo curans”, bisognoso e capace di curare, si contrappone al “mito dell’autonomia” promosso dal pensiero moderno, che ha relegato la cura nella sfera privata e subordinata, rendendo invisibili coloro che la svolgono. La cura è un terreno di potere e disuguaglianza, influenzato da genere, razza e classe. Il capitalismo ha gestito la contraddizione tra produzione e riproduzione attraverso la famiglia e il welfare state, ma il capitalismo finanziario ha smantellato questi sistemi, portando a una cura mercificata per chi può permettersela e privatizzata, a carico del lavoro non retribuito delle donne, per chi non può. La visione neoliberista della cura, basata su responsabilità individuale, mercato e famiglia, rende le società “incuranti”. Al contrario, la prospettiva della cura critica il neoliberismo, promuovendo un’etica basata sull’autonomia e la performance. La questione della cura è politica perché legata alla giustizia e all’eguale libertà; il deficit di cura e il deficit democratico sono interconnessi. È necessario democratizzare la cura e curare la democrazia, creando una “caring democracy” in cui la risposta ai bisogni vitali e la distribuzione equa delle responsabilità siano centrali, attraverso sistemi di welfare universali e una visione egualitaria dei ruoli di cura. Le disuguaglianze nella cura non sono naturali, ma create da sistemi di potere. Superare la visione neoliberista significa riconoscere la complessità delle interazioni umane e le dipendenze reciproche, promuovendo una cura collettiva e condivisa, sottratta al mercato e alle gerarchie di genere, per creare condizioni di vita vivibile e stimolare la partecipazione politica. In periodi di crisi, emergono spontaneamente forme di mutuo aiuto e solidarietà che, nate per rispondere a bisogni urgenti, possono trasformarsi in attivismo politico e contestazione dei modelli di cura esistenti. Queste pratiche dal basso, come dimostrato dalla pandemia di COVID-19, creano “rifugi” e sostegno per i vulnerabili, politicizzando la cura e incarnando la possibilità di un cambiamento radicale. L’utopia, intesa come riferimento concreto per l’azione, guida queste pratiche trasformative che mirano a costruire comunità orientate al benessere collettivo, anticipando un futuro migliore e sfidando l’immobilismo politico derivante dalla convinzione che “non ci sia alternativa”. Movimenti come quelli femministi, Black Lives Matter e Fridays for Future dimostrano la persistenza di un’attitudine utopica. L'”utopia quotidiana” sfida l’immobilismo attraverso pratiche sociali che attuano il cambiamento desiderato, creando nuovi modi di vivere la politica e la società. La cura si intreccia con concetti come mutualismo, beni comuni e pratiche di sopravvivenza. Il mutualismo è il coordinamento collettivo per soddisfare bisogni reciproci, operando sia per rispondere alle necessità immediate sia contro il sistema esistente. I beni comuni sono beni sottratti al mercato e gestiti collettivamente per soddisfare bisogni fondamentali, ricostituendo il legame sociale. Le donne sono spesso in prima linea nella difesa dei beni comuni e nella creazione di nuove forme di vita collettiva incentrate sulla riproduzione sociale e sulla cura. Le pratiche di sopravvivenza, specialmente nei contesti urbani del Sud del mondo, evidenziano il ruolo cruciale del lavoro di sussistenza delle donne nel creare economie politiche cooperative e nel rivendicare il “diritto alla città”. Questi concetti – cura, mutualismo, beni comuni e sopravvivenza – dimostrano la possibilità di un legame vitale tra politica e bisogni, tra infrastrutture di cura e principi di giustizia, anticipando un ideale di “democrazia che ha cura”. Esperienze come Lucha y Siesta, Ri-Make e Casa Tina incarnano queste “utopie quotidiane”, realizzando l’idea di utopia nelle pratiche concrete che trasformano la realtà presente, operando sia *per* azioni specifiche sia *contro* un sistema di “incuria” neoliberale. Questi progetti partono dalla consapevolezza della vulnerabilità umana e dell’interdipendenza, trasformando questa coscienza in un motore di lotta e rispondendo collettivamente alla vulnerabilità, contrapponendosi all’organizzazione dualistica capitalista basata su mercato e famiglia. Socializzano e gestiscono collettivamente il lavoro di riproduzione sociale, rendendo queste attività accessibili e alleggerendo il carico individuale. La cura assume un significato ampio, includendo il “caring with”, ovvero la partecipazione democratica all’allocazione delle responsabilità. Nonostante le difficoltà, queste esperienze politicizzano la cura, trasformandola in uno strumento per definire spazi come beni comuni e creare comunità di cura basate su mutuo soccorso, spazio pubblico, condivisione di risorse e democrazia di prossimità. Il rapporto con le istituzioni è cruciale: il riconoscimento pubblico è indispensabile affinché queste pratiche dal basso possano influenzare le istituzioni e promuovere una “caring democracy”, dove la risposta ai bisogni vitali è una questione centrale e partecipata. La tensione utopica di questi progetti mira a rompere il senso di ineluttabilità del presente, offrendo una speranza concreta per un futuro democratico.Riassunto Lungo
1. La Cura come Fondamento Politico e Sociale
La Cura: Un’Attività Essenziale per la Vita
La cura è un’attività fondamentale per la sopravvivenza e il benessere di ogni persona. Va oltre la semplice assistenza, includendo la preoccupazione per la continuità della vita, lo sviluppo delle potenzialità individuali e collettive, e il sollievo dalla sofferenza. La necessità di cura si manifesta fin dalla nascita, un momento di profonda vulnerabilità che richiede l’interazione con gli altri per garantire la sopravvivenza. Questa esigenza accompagna l’individuo per tutta la vita, dall’infanzia alla vecchiaia, influenzando non solo la salute fisica, ma anche la crescita intellettiva, emotiva e relazionale.La Cura come Questione Politica e Sociale
La cura è strettamente legata alla condizione umana di dipendenza e fragilità. Non si limita all’attenzione verso sé stessi o gli altri, ma si estende alla cura della società, delle istituzioni e dell’ambiente che ci circonda. Il pensiero femminista ha svolto un ruolo cruciale nel riconoscere la cura come una questione politica, sfidando la tradizionale separazione tra sfera pubblica e privata, tra morale e politica. La cura può essere definita come un’attività della specie volta a mantenere, continuare e riparare il nostro mondo, abbracciando corpi, persone e ambiente. Questa attività risponde a bisogni vitali, ma il modo in cui questi bisogni vengono definiti e soddisfatti è spesso oggetto di conflitto sociale. La cura, quindi, non è solo un’azione pratica, ma anche un valore etico fondamentale per una vita buona, con profonde implicazioni sociali, politiche e culturali.Le Fasi della Cura e l’Essere Umano
È importante considerare la cura non solo come una relazione tra chi offre e chi riceve, ma anche includendo gli elementi non umani e ambientali. Il processo di cura inizia con un sentimento di “prendersi a cuore” qualcosa, prosegue con il riconoscimento dei bisogni, l’assunzione di responsabilità, l’erogazione effettiva della cura e la ricezione delle risposte. Queste fasi contribuiscono a sviluppare capacità essenziali come l’attenzione, la responsabilità e la reattività. L’idea dell’essere umano come “homo curans”, cioè un essere che ha bisogno di cura e che è capace di offrirla, si contrappone al “mito dell’autonomia” che ha caratterizzato il pensiero moderno. Questo mito, spesso basato sull’esperienza di gruppi privilegiati, ha reso invisibili coloro che svolgono le cure essenziali. La cura, quindi, non è una dimensione secondaria, ma un elemento centrale per la società e le sue istituzioni politiche.Cura, Potere e Disuguaglianza
L’analisi della cura rivela come essa sia un terreno dove si manifestano potere e disuguaglianza, intrecciando questioni di genere, razza e classe sociale. Il capitalismo ha storicamente gestito la tensione tra produzione e riproduzione creando la famiglia come sfera privata e, in seguito, attraverso il welfare state. Tuttavia, il capitalismo finanziario ha indebolito i sistemi di protezione sociale, privatizzando i servizi e acuendo queste contraddizioni. Questo ha portato a un’organizzazione “dualistica” della cura: mercificata per chi può permettersela, e privatizzata, ricadendo sul lavoro non retribuito delle donne, per chi non può. Le donne svolgono la maggior parte del lavoro di cura, sia esso retribuito o non retribuito, e all’interno di questo gruppo si accentuano ulteriori disuguaglianze, con lavoratrici migranti spesso soggette a sfruttamento.La Visione Neoliberista e la Critica alla Cura
La prospettiva neoliberista sulla cura si fonda su tre principi: la responsabilità individuale, il mercato come principale mezzo per soddisfare i bisogni e la famiglia come luogo primario della cura. Questa organizzazione “individualizzata” rende le società sempre più “incuranti”. Al contrario, la visione della cura offre una critica radicale al neoliberismo, contrastando la tendenza a negare la vulnerabilità umana e promuovendo un’etica basata sull’autonomia e sulla performance.La Cura e la Democrazia: Un Legame Indissolubile
La questione della cura è intrinsecamente politica perché solleva interrogativi fondamentali sulla giustizia e sull’uguaglianza delle libertà. Il deficit di cura e il deficit democratico sono strettamente collegati: l’incapacità di rispondere adeguatamente ai bisogni di cura indebolisce la partecipazione democratica. Per questo motivo, è necessario democratizzare la cura e, allo stesso tempo, curare la democrazia, creando una “caring democracy” in cui la risposta ai bisogni vitali e la distribuzione equa delle responsabilità siano al centro.Verso una Società più Equa e Curante
Ciò implica la creazione di sistemi di welfare universali, un approccio egualitario ai ruoli di cura che rispetti genere, classe e razza, e l’adozione di politiche che favoriscano la solidarietà e la partecipazione. Le disuguaglianze nella cura non sono un dato di fatto, ma il risultato di sistemi di potere consolidati. Riconoscere la complessità delle interazioni umane e le nostre reciproche dipendenze ci permette di superare la visione superficiale del neoliberismo. La trasformazione delle comunità in senso più equo richiede la messa in pratica di un ideale di cura collettiva e condivisa, liberata dal controllo del mercato e dalle gerarchie di genere. Questo approccio favorisce condizioni per una vita degna di essere vissuta e stimola una maggiore partecipazione politica.Se la cura è un’attività intrinsecamente umana e fondamentale, come giustifica il capitolo la persistente invisibilità e svalutazione di chi la svolge, specialmente in contesti di disuguaglianza di genere e classe, senza proporre meccanismi concreti e culturalmente radicati per un’effettiva “democratizzazione della cura” che vada oltre la mera aspirazione teorica?
Il capitolo presenta una solida argomentazione sulla centralità della cura e sulle disuguaglianze che la attraversano, ma la transizione da un’analisi critica a una soluzione pratica per una “caring democracy” appare più un auspicio che un piano d’azione dettagliato. Per approfondire come trasformare questo ideale in realtà, sarebbe utile esplorare le opere di pensatrici come Joan Tronto, che analizza in profondità le implicazioni politiche ed etiche della cura, e di Carol Gilligan, che ha studiato le differenze nelle voci morali, spesso legate al genere, che emergono nelle dinamiche di cura. Inoltre, l’esame di studi di caso su politiche sociali innovative che hanno effettivamente promosso la condivisione equa del lavoro di cura, magari attingendo a esperienze di welfare comunitario o di modelli di cura intergenerazionale, potrebbe fornire un contesto più concreto per rispondere a questa domanda.2. La Cura come Anticipazione del Cambiamento
L’Aiuto Reciproco Nelle Crisi
In momenti difficili, come pandemie o disastri, nascono spontaneamente forme di aiuto e solidarietà tra persone. Queste iniziative, nate per rispondere a necessità immediate, possono diventare veri e propri modi per fare politica e mettere in discussione i modi in cui ci prendiamo cura gli uni degli altri. L’esperienza della pandemia di COVID-19 ha mostrato come queste azioni, nate dal basso, siano riuscite a creare “spazi sicuri” e a offrire supporto a chi era più fragile.La Politicizzazione della Cura
Queste esperienze di cura organizzata autonomamente non servono solo ad affrontare le difficoltà del momento, ma rendono la cura stessa un atto politico. Mostrano che è possibile un cambiamento profondo, sfidando l’idea che non ci siano alternative al sistema attuale. L’utopia, in questo senso, non è un sogno irrealizzabile, ma un punto di riferimento concreto che guida le azioni di ogni giorno, aprendo la strada a un futuro migliore.Cura e Utopia: Un Legame Trasformativo
Si analizza il legame tra prendersi cura e l’idea di un futuro migliore attraverso azioni concrete che mirano a costruire comunità attente al benessere di tutti. Questo modo di pensare permette di immaginare un cambiamento nei rapporti tra il lavoro che produce beni e quello che si occupa delle persone, nelle relazioni tra uomini e donne e nelle strutture della società che creano ingiustizie. La cura diventa così un motore di cambiamento, capace di alimentare speranza e desiderio di trasformazione, mentre le azioni quotidiane per rispondere ai bisogni vitali le danno un significato reale.La Crisi del Futuro e la Necessità di Alternative
Si parla della crisi che riguarda la nostra visione del futuro e della conseguente sfiducia nelle grandi idee di cambiamento. Si contrappone questo “realismo” alla necessità di immaginare percorsi diversi. La mancanza di azione politica, secondo il testo, deriva dalla convinzione che non esistano altre strade, portando a pensare che il futuro sia solo una questione privata e a perdere la fiducia nella capacità di cambiare le cose insieme. In questo contesto, movimenti come quelli femministi, Black Lives Matter e Fridays for Future dimostrano che l’idea di un futuro migliore è ancora viva, come apertura alla possibilità di strade diverse.L’Utopia Quotidiana e il Cambiamento
Viene introdotta l’idea di “utopia quotidiana” come un modo per superare l’immobilismo, basata su azioni concrete che realizzano il cambiamento desiderato, creando nuovi modi di vivere la politica e la società. Queste esperienze, pur essendo legate alla vita di tutti i giorni, hanno il potere di portare a trasformazioni profonde. L’analisi si concentra su come la cura, specialmente nelle comunità che si organizzano da sole, si lega a concetti come il mutualismo, i beni comuni e le pratiche di sopravvivenza.Mutualismo, Beni Comuni e Sopravvivenza
Il mutualismo è visto come la capacità di organizzarsi insieme per soddisfare bisogni comuni, agendo sia per risolvere problemi immediati sia per opporsi al sistema esistente. I beni comuni sono invece quelle risorse non controllate dal mercato, ma gestite dalla collettività per soddisfare bisogni fondamentali, rafforzando i legami sociali e l’indipendenza dallo Stato. La prospettiva femminista sottolinea come le donne siano spesso in prima linea nel difendere i beni comuni e nel creare nuove forme di vita collettiva focalizzate sulla cura e sulla riproduzione sociale. Le pratiche di sopravvivenza, soprattutto nelle città del Sud del mondo, mettono in luce il ruolo fondamentale del lavoro delle donne per garantire il sostentamento, creando economie basate sulla cooperazione e rivendicando il “diritto alla città”.Un Legame Vitale per la Giustizia
Questi concetti – cura, mutualismo, beni comuni e sopravvivenza – dimostrano la possibilità di un legame essenziale tra politica e bisogni, tra le infrastrutture che si occupano della cura e i principi di giustizia, anticipando un modello di “democrazia che si prende cura”.Se la cura spontanea e dal basso è così efficace nel creare “spazi sicuri” e nel sfidare il sistema, perché non è diventata la norma universale per affrontare le crisi, anziché rimanere un fenomeno spesso episodico e localizzato?
Il capitolo dipinge un quadro ottimistico delle iniziative di cura autonoma come potenti motori di cambiamento politico e sociale, suggerendo che la loro stessa esistenza mette in discussione le strutture consolidate. Tuttavia, manca un’analisi approfondita delle ragioni per cui queste forme di organizzazione, pur dimostrando la loro efficacia in specifici contesti, non riescono a scalare e a sostituire in modo sistemico le modalità tradizionali di gestione delle crisi e di organizzazione sociale. Potrebbe essere utile esplorare le dinamiche di potere che ostacolano la diffusione di tali modelli, le sfide pratiche legate alla loro sostenibilità a lungo termine, o le barriere culturali e strutturali che ne limitano l’adozione su larga scala. Per un’analisi più completa, si potrebbe approfondire il pensiero di autori che si occupano di economia solidale, mutualismo e movimenti sociali dal basso, come ad esempio David Graeber, che ha esplorato ampiamente le pratiche di mutuo soccorso e la critica alle strutture di potere esistenti.La Casa delle donne Lucha y Siesta: un modello di cura e comunità
Nascita e ispirazione di Lucha y Siesta
La Casa delle donne Lucha y Siesta, nata a Roma nel 2008, è un’esperienza femminista che pone al centro i concetti di cura e bene comune. Le attiviste fondatrici, con esperienze nei movimenti per il diritto all’abitare, hanno creato uno spazio sicuro per donne vittime di violenza. La sua posizione strategica e il nome, ispirato alle comunità zapatiste, evidenziano l’importanza sia della lotta che del riposo, inteso come diritto fondamentale per il recupero personale.Un luogo di aggregazione e crescita oltre l’accoglienza
Lucha y Siesta non è un semplice centro di accoglienza, ma un luogo di aggregazione e crescita. La cura si manifesta in diverse forme: verso le donne ospitate, attraverso un approccio di autogestione che promuove empowerment e autonomia, evitando l’assistenzialismo; verso lo spazio fisico, trasformato da un luogo abbandonato a un ambiente accogliente e funzionale; e verso le relazioni interne al collettivo, con l’istituzione di “riunioni di cura” per gestire conflitti e bisogni.Teoria e pratica: cura e bene comune
L’esperienza ha portato le attiviste a sviluppare una teoria basata sulla pratica, integrando i concetti di cura e bene comune nei documenti fondativi. La gestione è partecipativa, includendo le donne ospitate nell’assemblea decisionale, con un’attenzione particolare al linguaggio inclusivo e ai tempi adeguati per garantire la partecipazione di tutte. La Casa mira a diventare il primo “bene comune femminista” in Italia, cercando un rapporto di collaborazione con le istituzioni senza perdere la propria autonomia.La forza della comunità e la visione per il futuro
La forza del progetto risiede nella sua natura di comunità, intesa come un mosaico di relazioni che offre sostegno reciproco e agisce collettivamente nelle negoziazioni con le istituzioni. L’obiettivo è creare un modello replicabile, aperto al cambiamento e alla contaminazione, che promuova una società basata sulla relazione, l’ascolto e tempi più umani, in contrapposizione alle logiche del neoliberismo. La lotta e il riposo, simboleggiati dal nome, rappresentano l’essenza di questo spazio di trasformazione continua.Se l’etica della cura è un fondamento, come può la mancanza di risorse fisiche e finanziarie, derivante dalla fine dei finanziamenti, non minare la sostenibilità e l’efficacia stessa di tale etica nel lungo termine, soprattutto in un contesto di abbandono statale?
Il capitolo descrive Casa Tina come un rifugio di cura e resistenza, fondato sull’etica femminista della cura e sulla creazione di legami comunitari, operando in un contesto di abbandono statale e con risorse limitate. Tuttavia, la dipendenza da finanziamenti esterni, la cui cessazione ha portato alla perdita dello spazio fisico, solleva interrogativi sulla resilienza a lungo termine del progetto e sulla sua capacità di mantenere fede ai propri principi etici senza una base materiale stabile. Per approfondire la comprensione di come progetti di questo tipo possano garantire la propria sostenibilità e autonomia, sarebbe utile esplorare studi sull’economia solidale e sulle strategie di autofinanziamento per organizzazioni non profit. Inoltre, la lettura di opere di autori come Elinor Ostrom, che ha studiato la gestione dei beni comuni, potrebbe offrire spunti su come costruire modelli resilienti e partecipativi in contesti di scarsità di risorse e disimpegno istituzionale.4. Utopie Quotidiane contro l’Incuria Neoliberale
Utopie Quotidiane: Trasformare la Realtà nel Presente
Le esperienze di Lucha y Siesta, Ri-Make e Casa Tina incarnano “utopie quotidiane”. Questo significa che l’idea di utopia non è un obiettivo lontano, ma si manifesta nelle azioni concrete che cambiano la realtà attuale. Questi progetti, pur radicati nelle attività di ogni giorno, sono aperti all’imprevedibile e puntano al cambiamento. Agiscono sia per qualcosa, con azioni specifiche, sia contro un sistema di “incuria” neoliberale. Questo sistema è caratterizzato da privatizzazione, individualismo e dalla tendenza a considerare bisogni e dipendenza come fonte di vergogna.La Vulnerabilità come Motore di Lotta e l’Interdipendenza
Al contrario, questi progetti partono dalla consapevolezza della vulnerabilità umana e dell’interdipendenza. Trasformano questa consapevolezza in un motore di lotta, mettendo in luce la risposta collettiva alla vulnerabilità. Si contrappongono all’organizzazione dualistica della società capitalista, basata su mercato e famiglia. In particolare, socializzano e gestiscono collettivamente il lavoro di riproduzione sociale, come la preparazione del cibo o l’assistenza all’infanzia. Rendono queste attività accessibili e alleggeriscono il carico individuale.Il Significato Ampio della Cura e la Politicizzazione
La cura, in questi contesti, assume un significato ampio. Include il riconoscimento dei bisogni, l’assunzione di responsabilità, l’erogazione effettiva delle cure e la ricezione di queste. Comprende anche il “caring with”, ovvero la partecipazione democratica all’allocazione delle responsabilità. Nonostante le difficoltà e i conflitti intrinseci, queste esperienze cercano di politicizzare la cura. La trasformano in uno strumento per definire spazi come beni comuni e per creare comunità di cura. Queste comunità si basano su mutuo soccorso, spazio pubblico, condivisione di risorse e democrazia di prossimità.Il Rapporto con le Istituzioni e la “Caring Democracy”
Il rapporto con le istituzioni rappresenta una sfida cruciale. Mentre alcune esperienze hanno ottenuto un dialogo e un riconoscimento, altre si scontrano con l’assenza o l’ostilità delle amministrazioni. Questo rischia di vanificare il loro lavoro. Il riconoscimento pubblico è visto come indispensabile per un reale cambiamento politico. Permetterebbe a queste pratiche dal basso di influenzare le istituzioni e promuovere una “caring democracy”. In una tale democrazia, la risposta ai bisogni vitali è una questione centrale e partecipata. La tensione utopica di questi progetti non mira a società perfette, ma a rompere il senso di ineluttabilità del presente. Offrono una speranza concreta per un futuro democratico.Se l’utopia quotidiana è un motore di cambiamento contro l’incuria neoliberale, come si concilia la necessità di un riconoscimento istituzionale con la critica radicale al sistema che tali istituzioni rappresentano?
Il capitolo presenta una potenziale contraddizione: da un lato, le “utopie quotidiane” agiscono “contro” un sistema neoliberale caratterizzato da incuria, privatizzazione e individualismo; dall’altro, si sottolinea l’indispensabilità del “riconoscimento pubblico” da parte delle istituzioni per un reale cambiamento politico e per promuovere una “caring democracy”. Questa tensione tra azione dal basso e necessità di legittimazione dall’alto meriterebbe un’analisi più approfondita. Per esplorare questa complessità, potrebbe essere utile approfondire la teoria delle reti di attori (Actor-Network Theory) studiando autori come Bruno Latour, per comprendere come le pratiche innovative possano effettivamente “agganciare” e trasformare le strutture esistenti. Inoltre, un’analisi delle esperienze di mutualismo storico e delle loro interazioni con le istituzioni statali potrebbe fornire un contesto prezioso, magari consultando lavori di storici sociali che hanno indagato questi fenomeni. Infine, la filosofia politica che indaga il rapporto tra movimenti sociali e Stato, come quella di Antonio Gramsci, potrebbe offrire strumenti concettuali per comprendere le strategie di egemonia e contro-egemonia in contesti di trasformazione sociale.Abbiamo riassunto il possibile
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