Letteratura

Uno, nessuno e centomila

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1. La scoperta del sé riflesso

Un uomo scopre, grazie alla moglie, un’imperfezione nel suo naso che pende verso destra. Questo dettaglio, apparentemente insignificante, innesca una profonda crisi interiore. Inizia a esaminare il proprio corpo con occhio critico, scoprendo altri difetti fino ad allora ignorati. Questa nuova consapevolezza fisica si trasforma in un’ossessione, alimentando l’idea che gli altri lo percepiscano diversamente da come lui si vede. Cerca conferme negli altri, chiedendo se notano le sue imperfezioni, e scopre che anche loro, a loro volta, sono ignari dei propri difetti. Questa indagine lo porta a concludere che la sua immagine esteriore non corrisponde alla sua percezione interna, sentendosi come intrappolato in un mondo di apparenze.Cresce in lui un forte desiderio di solitudine, non per isolarsi dal mondo, ma per allontanarsi dall’immagine che gli altri hanno di lui. Cerca un estraneo che sente essere parte di sé, un’identità al di là dell’apparenza. Tentando di vedersi con gli occhi degli altri, si osserva allo specchio, ma l’immagine riflessa perde subito ogni spontaneità, diventando quella che lui conosce fin troppo bene. Comprende di non potersi vedere vivere, di essere un estraneo a sé stesso. Decide quindi di inseguire quell’estraneo che gli altri vedono e che lui non riesce a percepire.Si esercita in pantomime davanti allo specchio, cercando di catturare le sue espressioni naturali, ma ogni tentativo fallisce: ogni espressione, una volta osservata, perde la sua autenticità. L’idea che gli altri vedano in lui un “io” diverso dal suo lo tormenta profondamente. Finalmente, rimasto solo, cerca di percepire il suo corpo come estraneo, ma senza successo. Solo dopo vari tentativi riesce a vederlo come un’entità separata, un’apparizione che chiunque può interpretare a modo suo. Un improvviso starnuto, un atto involontario, lo sorprende, rivelandogli l’indipendenza del suo corpo. Decide quindi di esplorare chi è per gli altri e di giocare con l’immagine che hanno di lui, scomponendola e reinventandola a suo piacimento.

2. La Realtà Soggettiva e la Costruzione dell’Identità

La percezione di sé e degli altri è illusoria, credere che gli altri ci vedano come noi vediamo noi stessi è un inganno, dato che la coscienza individuale si scontra con quella altrui, sempre differente dalla nostra. La sicurezza personale nasce dalla presunzione che tutti agirebbero come noi nelle stesse circostanze, basandosi su principi astratti, tuttavia, gli altri spesso non riconoscono questi principi nelle nostre azioni, portando a giudizi e incomprensioni. Per sfuggire alla solitudine, si crea un’immagine di sé da proiettare sugli altri, cercando conferma e sicurezza. La realtà percepita è unica e personale, un mondo in cui si vive senza sospettare che per gli altri possa essere diversa. Una casa lasciata incompiuta dal padre diventa luogo di ritrovo per i vicini, un’immagine che contrasta con il ricordo che se ne ha. Un vicino, apparentemente garbato, giudica il protagonista un imbecille per come gestisce la sua proprietà, dimostrando come le percezioni possano divergere completamente riguardo alla stessa situazione e alla stessa persona. Le persone costruiscono una realtà che influenza le relazioni, una stanza piena di ricordi può sembrare un cimitero per altri. La realtà muta con il tempo e con l’animo, eppure si persiste nel credere che la propria sia l’unica valida. Le parole sono vuote, riempite di significati diversi da chi le pronuncia e da chi le ascolta, generando malintesi. La realtà di ognuno è una costruzione personale, unica per ciascuno. La coscienza non è sufficiente, perché il cambiamento è continuo, si è diversi da un momento all’altro, senza certezze sul futuro. L’uomo, come un costruttore, trasforma la natura per i propri bisogni, creando case e oggetti, e allo stesso modo costruisce sé stesso, usando sentimenti e volontà. La realtà è una forma momentanea che si dà a sé stessi, agli altri e alle cose. La moglie del protagonista si crea un’immagine di lui, “Gengè”, che non corrisponde alla sua vera identità. Ama questo Gengè, seppur sciocco e difettoso, non riconoscendo il vero marito. Il protagonista diventa geloso di questa immagine, che si è appropriata del suo corpo e della sua vita, e la moglie, non riconoscendo più il marito, lo lascia, a dimostrazione di come la realtà costruita possa prevalere su quella reale.

3. La Frantumazione dell’Io

La distruzione delle immagini che gli altri hanno di sé si rivela un’impresa caotica, data la mancanza di un’identità definita. Il nome “Moscarda” appare come un’etichetta esterna, non rappresentativa del proprio mondo interiore. Si percepisce un’entità multipla, diversa per ogni persona che la osserva, e questa consapevolezza genera una profonda ribellione. Le caratteristiche fisiche e le condizioni di vita non sono scelte, ma imposte; anche la storia familiare, fino ad allora ignorata, è una parte integrante dell’identità che gli altri percepiscono. Il padre, visto come un estraneo, rivela un’immagine di sé che non corrisponde a quella familiare, suscitando un senso di vergogna e dispetto. La professione del padre, banchiere, è un’altra etichetta che definisce l’identità agli occhi degli altri, scontrandosi con la percezione di sé. La moglie, Dida, con la sua risata, evidenzia ulteriormente la frammentazione dell’identità, mostrando come si possa essere percepiti come stupidi. La realtà che gli altri attribuiscono a una persona è una costruzione esterna, non meno valida di quella che si potrebbe dare a sé stessi. Ogni individuo esiste in molteplici forme, tante quante sono le persone che lo conoscono. Ogni atto compiuto è interpretato in modo diverso a seconda della realtà che ciascuno ha costruito di quella persona. Cercare di dare agli altri la realtà che essi credono di avere è impossibile, perché ogni rappresentazione è sempre soggettiva. Due visite simultanee dimostrano come ci si sdoppi in base alle diverse relazioni, evidenziando la molteplicità delle identità che coesistono in ogni individuo.

4. La Strada della Pazzia

Marco di Dio e sua moglie Diamante sono due figure viste come povere e sfortunate, la cui vita è dominata dall’ossessivo desiderio di ricchezza. Marco, un tempo scultore, è segnato da un atto di violenza passato, ma si vede come un inventore in attesa del successo che gli cambierà la vita. Vivono in un loro mondo, fatto di sogni e speranze, incuranti delle offese e dello scherno degli altri. La loro situazione fa nascere nel protagonista dei dubbi sulla realtà e su come le persone vivono le loro vite. Il protagonista vuole cambiare l’idea che gli altri hanno di lui, dimostrando di non essere l’usuraio che tutti credono. Per fare questo, va dal notaio Stampa con l’intento di organizzare un atto che modifichi radicalmente la sua vita agli occhi della gente. In banca, dove lavorano i suoi dipendenti, ha un confronto acceso con Firbo e Quantorzo, mostrando un lato di sé ribelle e inaspettato. Ruba i documenti di casa sua, sentendosi un ladro nella sua stessa proprietà, e capisce che ognuno cerca di imporre agli altri la propria visione del mondo. Decide di aiutare Marco di Dio e sua moglie in modo inaspettato: dopo averli sfrattati, dona loro una casa e del denaro. La folla, inizialmente contro di lui, rimane senza parole di fronte a questo gesto. Marco di Dio, però, vedendo il protagonista, lo aggredisce, urlandogli che è pazzo. Il protagonista capisce di aver fallito nel suo tentativo di cambiare l’opinione che gli altri hanno di lui, e che ora è visto come un pazzo.

5. La Frantumazione dell’Identità

Il protagonista vive un’intensa conflittualità interiore, scaturita da un atto che gli altri hanno etichettato come folle. Per affrontare questa situazione, si rifugia nell’immagine di “Gengè”, un personaggio fittizio creato dalla moglie Dida per descriverlo. Attraverso questa maschera, le sue azioni vengono minimizzate, ridotte a semplici capricci di un innocuo sciocco. Questa finzione, però, acuisce il suo tormento interiore, generando un’angoscia profonda che lo estranea da sé stesso. Si percepisce come un corpo in balia degli altri, incapace di definire la propria identità al di fuori del loro sguardo giudicante. In un momento di lucida riflessione, realizza che la sua percezione della realtà è inevitabilmente filtrata attraverso gli occhi di chi lo circonda. Questa consapevolezza lo sprofonda in un orrore profondo, alimentato dalla comprensione che la sua visione del mondo non è autonoma. Si sente smarrito, incapace di riconoscere la propria identità senza il riflesso degli altri, e questa frustrazione lo porta a un gesto di rabbia verso la sua cagnolina Bibì, i cui occhi innocenti non possono comprendere il suo tormento. Rientrato in casa, sorprende Quantorzo e Dida mentre parlano di lui, sentendosi moltiplicato nelle loro percezioni, ma allo stesso tempo annullato nella sua individualità. Durante un’accesa discussione con Quantorzo, cerca di dimostrare di non essere pazzo, ma di essere pienamente consapevole delle dinamiche della banca. Rivela di aver notato la polvere sugli scaffali e la cattiva gestione degli affari, e afferma con risolutezza di voler chiudere l’istituto di credito. Questa decisione drastica nasce dalla sua volontà di non essere più l’usuraio che gli altri vedono in lui, anche a costo di compromettere la sua situazione finanziaria. La discussione degenera rapidamente, con Quantorzo che lo accusa apertamente di pazzia e Dida che ride della situazione, quasi divertita. Questa reazione colpisce il protagonista nel profondo, facendogli perdere il controllo. Ribadisce con forza la sua volontà di chiudere la banca, rifiutando categoricamente le obiezioni di Quantorzo e l’immagine di “Gengè” che Dida gli attribuisce. La sua identità è ormai in frantumi, e la sua reazione è un disperato, quanto estremo, tentativo di riaffermare la propria volontà contro le percezioni altrui.

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7. La Solitudine e lo Specchio

Un invito inaspettato da parte di Anna Rosa conduce a un incontro denso di tensione in un luogo intriso di storia, la Badia, un antico castello trasformato in monastero. Un colpo accidentale di rivoltella ferisce Anna Rosa, innescando una catena di malintesi e rivelazioni. Emerge che Dida, moglie del narratore, aveva costruito un’immagine di lui come di un uomo segretamente innamorato di Anna Rosa, una percezione distorta che condiziona le azioni e le interpretazioni di tutti i personaggi coinvolti. Anna Rosa svela di portare sempre con sé la rivoltella, un ricordo del padre, e di aver organizzato l’incontro alla Badia per favorire un dialogo tra il narratore e il vescovo, nel tentativo di contrastare i piani di interdirlo per presunta pazzia. Si scopre che Dida, insieme ad altri soci della banca, aveva raccolto prove per dimostrare l’instabilità mentale del narratore. Anna Rosa rivela anche di aver sempre preso le difese del narratore con Dida, cercando di farle comprendere che lui non era l’uomo superficiale che lei immaginava. Il narratore incontra il vescovo, Monsignor Partanna, figura nota per la sua rigidità e il suo stile di vita austero. Il vescovo, dopo aver ascoltato il narratore, lo indirizza a Don Antonio Sclepis, un prete conosciuto per la sua severità. Nonostante il supporto del vescovo e di Sclepis, il narratore si ritrova sempre più solo e incerto riguardo al futuro. Durante la convalescenza di Anna Rosa, il narratore trascorre molto tempo con lei, immergendosi in conversazioni profonde sulla natura della realtà e sulla percezione di sé. Anna Rosa è ossessionata dalla propria immagine, cercando costantemente di vedersi attraverso gli occhi degli altri. Il narratore le spiega l’impossibilità di una vera conoscenza di sé, poiché nel momento in cui ci si osserva, ci si trasforma in una statua, perdendo la propria vitalità. Questa consapevolezza acuisce il loro senso di isolamento. Il narratore, in un momento di profonda vulnerabilità, confida ad Anna Rosa il desiderio di donare la propria vita per diventare ciò che lei desidera. Questo desiderio, unito al fascino delle sue parole, spinge Anna Rosa a un atto estremo. In un momento di intimità, Anna Rosa lo attira a sé e lo ferisce mortalmente con la rivoltella che teneva nascosta sotto il cuscino, adducendo come giustificazione l’orrore istintivo per l’atto a cui stava per abbandonarsi.

8. Il Processo e la Trasformazione

Il giudice, incaricato del caso di Anna Rosa, procede con scrupolo nella raccolta delle testimonianze. Durante il primo interrogatorio, il protagonista fornisce una versione confusa, attribuendo il ferimento a un incidente e negando l’intenzione di Anna Rosa di ucciderlo. Questa versione, però, viene smentita dalla confessione di Anna Rosa, la quale ammette di aver agito sotto l’influenza del fascino esercitato dalle riflessioni del protagonista sulla vita. Incuriosito da tali riflessioni, il giudice decide di incontrare il protagonista, che nel frattempo si trova a casa in convalescenza. Durante l’incontro, il protagonista rifiuta di spiegare le sue idee, mostrando invece una coperta di lana verde, simbolo di un suo stato mentale alterato. Egli afferma che le sue riflessioni potrebbero sconvolgere il giudice, rivelando una visione della vita che va oltre le convenzioni. La vicenda suscita grande scandalo e l’avvocato del protagonista, Sclepis, lo convince a compiere un atto di penitenza. Il protagonista accetta di donare tutti i suoi beni per fondare un ospizio per i poveri, dove lui stesso vivrà come un mendicante. Questa decisione, tuttavia, non nasce da un vero pentimento, ma da un distacco totale dalla realtà e dal desiderio di non possedere nulla. Anna Rosa viene assolta, anche grazie all’ilarità suscitata dalla comparsa del protagonista in tribunale con l’abito dell’ospizio. Ormai estraneo alla sua vecchia identità, il protagonista si rifugia nella natura, vivendo ogni attimo come una nuova nascita, libero dai vincoli del passato e dalle definizioni. La sua esistenza, quindi, si fonde con il mondo esterno, rinunciando a ogni forma di identità personale.

Abbiamo riassunto il possibile

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Non ti riconosco
L'era sintetica. Evoluzione artificiale, risurrezione di specie estinte, riprogettazione del mondo