Contenuti del libro
Informazioni
“Tutti giovani sui vent’anni. Una storia degli alpini dal 1872 a oggi” di Marco Mondini ti porta dentro la storia affascinante del corpo degli alpini, nato per difendere le nostre montagne e diventato molto di più. Questo libro esplora come è stato costruito il mito alpino, quello del soldato speciale, forgiato dall’ambiente duro ma legato profondamente alla sua gente e alla patria. Seguirai gli alpini dalle prime missioni coloniali, attraverso l’inferno della Grande Guerra sulle vette delle Alpi, fino alla tragica campagna di Russia e la sua ritirata, raccontata anche dalle voci potenti di scrittori come Rigoni Stern. Vedrai come la loro immagine si è trasformata nel tempo, da guerrieri a eroi civili, pronti ad aiutare in disastri come il Vajont. Il libro parla anche del ruolo fondamentale dell’ANA, l’Associazione Nazionale Alpini, nel mantenere vivo lo spirito di corpo e la memoria, un legame forte che resiste anche dopo la fine del servizio militare obbligatorio. È una storia di dovere, cameratismo e resilienza, che mostra come gli alpini siano diventati un simbolo duraturo nell’identità italiana.Riassunto Breve
Il corpo degli Alpini nasce nel 1872 per difendere i confini montani reclutando soldati locali, un’idea diversa dalla pratica militare dell’epoca che allontanava i soldati dai luoghi d’origine. Nonostante le difficoltà iniziali, il corpo cresce e si diffonde l’immagine degli Alpini come soldati speciali, con qualità fisiche e morali superiori, legate all’ambiente montano. Questa percezione è alimentata da una riscoperta culturale della montagna e dal sostegno di figure come Quintino Sella. I media contribuiscono a creare l’icona dell’Alpino come difensore della frontiera. Le prime azioni in Africa e Libia, con episodi come la resistenza ad Adua, rafforzano il mito dell’Alpino leale e coraggioso. La Grande Guerra, combattuta sulle Alpi, rappresenta il momento più alto del mito. Imprese come la conquista del Monte Nero sono celebrate e gli scritti dei veterani descrivono l’esperienza come crescita personale e collettiva, evidenziando il forte cameratismo. L’Alpino diventa un’icona nazionale, simbolo del soldato-cittadino coraggioso e legato alla patria. Dopo la guerra, nel 1919, nasce l’Associazione Nazionale Alpini (ANA) per mantenere vivo lo spirito e le tradizioni. L’ANA, pur dichiarandosi apolitica, ha una forte identità patriottica e nazionalista. Si costruisce una memoria condivisa onorando i caduti e celebrando battaglie come l’Ortigara e figure come il generale Cantore, che diventano eroi e martiri. Durante il fascismo, l’ANA viene integrata nel regime e l’immagine dell’Alpino si adatta all’ideale fascista, promossa anche attraverso film. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli Alpini mantengono popolarità. Scrittori come Nuto Revelli e Mario Rigoni Stern narrano le sofferenze, specialmente in Russia, presentando gli Alpini come vittime e distanziando la loro immagine dal passato fascista. L’ANA si riorganizza, celebrando la memoria dei caduti e la propria identità come forza unificante e simbolo di resilienza. Nel dopoguerra, l’Italia è formalmente limitata militarmente ma si riarma segretamente. La società diventa culturalmente smilitarizzata dopo il trauma della sconfitta. Gli Alpini mantengono un ruolo speciale, ricostituendo brigate con reclutamento regionale. L’immagine si evolve da guerriero a “eroe-vittima”, un cittadino in armi. Questo si consolida con il loro ruolo nei soccorsi civili, come nel disastro del Vajont nel 1963. Gli Alpini, in servizio e in congedo, diventano simbolo di aiuto e solidarietà, promossi dall’ANA come “angeli del fango” e “soldati di pace”. La sospensione della leva obbligatoria nel 2004 cambia profondamente il legame tra Alpini e territorio, trasformando l’esercito in una forza professionale. L’ANA sottolinea come la fine della leva abbia creato un vuoto educativo, proponendo l’idea di un servizio obbligatorio per rafforzare il senso di responsabilità verso la comunità. Le imprese del corpo includono la partecipazione alla battaglia di Adua, la difesa dei confini, l’addestramento in montagna, le operazioni in Libia con il trasporto di cannoni, le trincee e l’alta montagna nella Prima Guerra Mondiale, la presenza in Grecia e Albania nella Seconda Guerra Mondiale, il trasporto di rifornimenti con i muli e la tragica ritirata dalla Russia nel 1943. La narrazione della campagna di Russia, attraverso autori come Rigoni Stern, Moscioni Negri e Bedeschi, offre visioni diverse: la ritirata come marcia di sopravvivenza e solidarietà del piccolo gruppo (Rigoni Stern), la guerra come scoperta del “popolo” degli alpini e critica alla classe dirigente (Moscioni Negri), o un epos eroico e cristiano che esalta le virtù innate e il senso del dovere (Bedeschi). In queste narrazioni, il dovere è spesso verso i compagni e la comunità, più che verso la patria astratta.Riassunto Lungo
1. Montagne, soldati e l’anima della nazione
Il Corpo degli Alpini nacque nel 1872. L’idea venne dal capitano Giuseppe Perrucchetti. Voleva difendere i confini alpini usando soldati scelti tra chi già abitava in montagna. Questa proposta era diversa dalle regole militari di allora. Di solito, i soldati venivano reclutati in tutta Italia e mandati lontano da casa. Questo serviva a creare unità nazionale e a evitare che i soldati fossero troppo legati alla popolazione locale. All’inizio ci furono delle difficoltà e delle resistenze. Non fu facile mantenere il reclutamento solo tra gli abitanti delle montagne. Nonostante questo, il Corpo crebbe velocemente.
L’immagine dell’Alpino e il mito della montagna
Presto si diffuse l’idea che gli Alpini fossero soldati speciali. Si credeva avessero qualità fisiche e morali migliori, plasmate dalla vita in montagna. Questa visione nacque anche da un rinnovato interesse per le montagne nella cultura del tempo. Figure importanti come Paolo Mantegazza e Quintino Sella, che fondò il Club Alpino Italiano (CAI), sostennero questa idea. Vedevano l’alpinismo come un modo per rendere i giovani italiani più forti nel corpo e nello spirito. La stampa, con le sue illustrazioni, e i libri contribuirono a creare questa immagine. L’Alpino divenne l’icona del difensore del confine, simbolo di forza e coraggio.
Le prime prove sul campo
Le prime guerre a cui parteciparono gli Alpini furono nelle colonie, in Africa e in Libia. Anche se non sempre ebbero successo, queste azioni contribuirono a rendere il loro mito ancora più forte. Storie come la resistenza ad Adua o la difesa della ridotta “Lombardia” in Libia vennero raccontate come esempi di grande valore e sacrificio. Queste narrazioni rafforzarono l’immagine dell’Alpino fedele fino alla morte. Comandanti come Davide Menini e Antonio Cantore divennero figure molto conosciute e ammirate dal popolo.
La Grande Guerra e l’apice del mito
La Prima Guerra Mondiale fu combattuta soprattutto sulle montagne e segnò il momento più alto per il mito degli Alpini. Imprese coraggiose, come la conquista del Monte Nero, furono celebrate con entusiasmo dalla stampa e dai libri scritti dai soldati tornati dalla guerra. Questi racconti descrivevano la vita in trincea come un’esperienza che faceva crescere le persone, sia singolarmente che come gruppo. Mettevano in risalto il legame fortissimo tra i soldati, quasi una vera e propria “famiglia” in divisa. L’Alpino divenne così un simbolo per tutta la nazione. Rappresentava l’ideale del soldato-cittadino: coraggioso, fedele e molto unito alla sua terra e alla sua patria.
Fino a che punto la creazione del “mito dell’Alpino” fu un processo spontaneo legato alla vita di montagna, o piuttosto una costruzione ideologica funzionale a specifici obiettivi politici e militari dell’epoca?
Il capitolo descrive efficacemente come il mito dell’Alpino sia stato costruito e diffuso attraverso vari canali culturali e mediatici, ma non approfondisce sufficientemente il perché di questa costruzione e per chi fosse realmente funzionale. Per comprendere meglio la natura di questo mito, se fu un’evoluzione naturale o una deliberata strategia, è fondamentale esaminare il contesto storico, politico e sociale dell’Italia post-unitaria. Approfondire gli studi sul nazionalismo italiano, sul ruolo dell’esercito nella costruzione dell’identità nazionale e sulla storia sociale del periodo può offrire una prospettiva critica. È utile cercare autori che hanno analizzato la funzione delle narrazioni eroiche e dei simboli nella creazione del consenso e nel consolidamento dello Stato.2. Il Mito degli Alpini: Dalla Trincea alla Repubblica
L’Associazione Nazionale Alpini (ANA) nasce nel 1919. Il suo scopo è tenere vive le tradizioni e lo spirito degli alpini tornati dalla Prima Guerra Mondiale. Anche se dice di essere apolitica, l’associazione ha un forte sentimento patriottico e nazionalista. Nel difficile periodo dopo la guerra, si schiera contro i gruppi che considera una minaccia, come quelli legati alle idee socialiste o comuniste. Il giornale “L’Alpino” difende la partecipazione alla guerra e critica chi non dà valore alla vittoria. Promuove l’immagine dell’alpino come un soldato speciale, fedele all’Italia e superiore alle divisioni politiche.La nascita del mito
Per l’ANA, è molto importante creare un ricordo comune. Si onorano i soldati morti in battaglia, spesso giovani ufficiali. Si esaltano il loro coraggio, il loro sacrificio e il forte legame con i propri uomini. Battaglie difficili come quella dell’Ortigara, anche se finiscono male, vengono celebrate come simboli del dovere e della resistenza. Figure come il generale Cantore diventano simboli importanti. La sua morte viene raccontata in modo epico, quasi sacro. Questo aiuta a costruire l’immagine dell’alpino come un martire ed eroe.Gli alpini durante il Fascismo
Quando arriva il Fascismo, l’ANA entra a far parte delle organizzazioni del regime. Diventa uno strumento per diffondere le idee fasciste. L’immagine dell’alpino viene adattata all’ideale fascista del guerriero disciplinato e legato ai valori tradizionali. Angelo Manaresi guida questo cambiamento. Sotto la sua guida, il numero di soci aumenta e l’immagine dell’alpino viene promossa attraverso libri e film come “Le scarpe al sole” e “Piccolo alpino”. Queste opere mostrano la guerra in montagna come un’esperienza eroica che forma il carattere.Dopo la guerra: un’immagine che cambia
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, anche se l’Italia è sconfitta, gli alpini rimangono molto popolari. Scrittori come Nuto Revelli e Mario Rigoni Stern contribuiscono a questo successo. Raccontano le sofferenze e i sacrifici, soprattutto nella campagna di Russia. Presentano gli alpini come vittime di un regime e di capi incapaci, non come aggressori. Questo modo di raccontare, che mette in risalto l’umanità e il senso di rassegnazione, aiuta a separare l’immagine dell’alpino dal periodo fascista. L’ANA viene criticata da alcuni reduci perché sembra troppo legata al passato. Nonostante questo, si riorganizza. Continua a celebrare la memoria dei caduti e la propria identità. Diventa un simbolo di unità, di forza nazionale e di difesa dei confini italiani.È sufficiente presentare gli alpini del secondo dopoguerra come mere vittime di un regime e di capi incapaci per separare davvero la loro immagine dal ventennio fascista e dalle guerre che hanno combattuto?
Il capitolo evidenzia come la narrazione post-bellica, veicolata anche da autori noti, abbia puntato a dissociare l’immagine degli alpini dal Fascismo, enfatizzando la sofferenza e la rassegnazione. Tuttavia, questa prospettiva rischia di semplificare eccessivamente il complesso rapporto tra l’Associazione Nazionale Alpini, i suoi membri e il regime fascista, che il capitolo stesso descrive come un’integrazione e un utilizzo strumentale dell’ANA da parte del Fascismo. Per una comprensione più completa, è necessario analizzare criticamente le dinamiche di consenso e adesione al regime, il ruolo degli individui all’interno delle strutture fasciste e le diverse esperienze di guerra, non solo quelle di sofferenza. Approfondire la storia del Fascismo e la storia militare del periodo, anche attraverso le opere di storici come Claudio Pavone o Emilio Gentile, può fornire il contesto necessario per valutare la complessità di questa dissociazione post-bellica.3. Racconti dal fronte russo: dovere, comunità e mito degli alpini
L’esperienza della campagna di Russia degli alpini tra il 1942 e il 1943, inclusa la drammatica ritirata, viene raccontata in modi diversi da autori come Rigoni Stern, Moscioni Negri e Bedeschi. Pur avendo vissuto la stessa tragica situazione, offrono visioni differenti sul significato della guerra e sul ruolo dei soldati che ne furono protagonisti.La narrazione di Rigoni Stern
Per Rigoni Stern, la ritirata si trasforma in una marcia dolorosa per la sopravvivenza, quasi un viaggio epico al contrario, che mette al centro la sofferenza e la forte solidarietà tra i piccoli gruppi di alpini. La guerra appare come un evento assurdo, deciso da figure di potere lontane e incomprensibili. Il vero senso del dovere non è rivolto a un’idea astratta di patria, ma ai compagni, visti come una vera e propria “famiglia” all’interno del reparto. Il desiderio è quello di tornare alla “baita”, simbolo degli affetti più cari e di una vita normale lontana dal conflitto. Emerge un chiaro distacco dall’Italia fascista e dalla sua retorica vuota, ma l’etica profonda del dovere verso i commilitoni resta un punto fermo e centrale nella sua visione.La prospettiva di Moscioni Negri
Moscioni Negri, che era un ufficiale, condivide l’esperienza del caposaldo con Rigoni Stern. La sua storia è più apertamente critica nei confronti dell’Italia fascista e della sua classe dirigente, giudicata incapace. La guerra diventa per questo ufficiale l’occasione per conoscere da vicino il “popolo” degli alpini e sviluppare un senso di responsabilità molto forte verso i suoi uomini. Il dovere militare si trasforma così in un codice etico personale e collettivo, che lo spinge a combattere con determinazione fino alla fine. Al suo ritorno in Italia, questa consapevolezza lo porta a schierarsi apertamente contro il fascismo.L’epos di Bedeschi
Bedeschi, con la sua opera che ha avuto grande successo, crea un racconto epico, quasi eroico e ispirato a valori cristiani, sugli alpini. Presenta gli alpini come una “tribù” con qualità innate come il coraggio, la grande tenacia, l’altruismo e una profonda religiosità. Il caratteristico cappello alpino diventa il simbolo di questa identità unica, che si tramanda di generazione in generazione. La guerra in Russia, nonostante la sua brutalità estrema, serve a mettere in luce queste qualità umane e un senso del dovere che va oltre le motivazioni politiche, legato invece alla famiglia, ai compagni e a una visione quasi sacra del sacrificio. Il rientro in Italia è segnato dall’amarezza per l’indifferenza trovata, ma i valori dell’onore militare e la fedeltà incrollabile verso i caduti rimangono principi fondamentali per lui.Davvero la fine della leva obbligatoria ha lasciato un vuoto insostituibile nell’educazione civica, e la soluzione sta in un nuovo servizio obbligatorio?
Il capitolo, nel presentare la posizione dell’ANA, suggerisce un nesso diretto tra la fine del servizio militare obbligatorio e una presunta lacuna nell’educazione civica, proponendo un nuovo servizio come soluzione. Tuttavia, la relazione tra servizio militare (o civile) e formazione civica è complessa e dibattuta, e le modalità di partecipazione civica in una società moderna possono assumere forme diverse. Per approfondire questa tematica, è utile esplorare i campi della sociologia militare, della scienza politica e della storia sociale, consultando autori che hanno analizzato l’evoluzione del concetto di cittadinanza e il ruolo delle istituzioni (inclusa quella militare) nella sua formazione.5. Le Imprese del Corpo degli Alpini
La storia del Corpo degli Alpini inizia nel 1872 con la presenza dei suoi ufficiali. Fin da subito, partecipano a conflitti importanti, come la battaglia di Adua in Etiopia nel 1896. Il loro ruolo iniziale è quello di sentinelle, incaricate di presidiare i confini italiani. L’addestramento è rigoroso e specifico per l’ambiente montano, includendo esercitazioni sugli sci e bivacchi sulla neve. Anche le uniformi caratteristiche del Regno d’Italia sono parte della loro identità fin da questo periodo.Le prime campagne all’estero
Durante la guerra italo-turca, gli Alpini dimostrano la loro versatilità venendo schierati in Libia, dove combattono in aree difficili come Derna e stabiliscono accampamenti nelle oasi. Una delle loro peculiarità è la capacità di trasportare a spalla persino i cannoni, superando terreni impervi per conquistare posizioni strategiche. Le loro pattuglie sono essenziali per esplorare il territorio e condurre ricognizioni. Questo tipo di operazioni mostra la loro adattabilità a diversi scenari di guerra, non solo montani.La Grande Guerra in montagna
La Prima guerra mondiale rappresenta il teatro d’azione per eccellenza degli Alpini. Operano sia nelle trincee che nelle estreme condizioni dell’alta montagna, spesso utilizzando ricoveri scavati direttamente fra le rocce. Figure eroiche come Cesare Battisti combattono al loro fianco, indossando la divisa degli Alpini. La loro capacità di operare in un ambiente così ostile è fondamentale per l’esito del conflitto. Al termine del conflitto, le colonne di soldati marciano nelle città conquistate, simbolo della vittoria e del loro ruolo cruciale.La Seconda Guerra Mondiale e la ritirata dalla Russia
Durante la Seconda guerra mondiale, gli Alpini vengono schierati su diversi fronti. Combattono in Grecia e Albania, presidiando avamposti isolati nella neve e su picchi elevati. Il trasporto dei rifornimenti è affidato ai muli, che portano materiali essenziali come il filo spinato. Sul fronte russo, si occupano anche di installare i collegamenti telefonici, cruciali per le comunicazioni. L’inverno del 1943 segna il momento più drammatico con la ritirata dalla Russia. I soldati affrontano marce estenuanti, costretti a ricavare cibo da carcasse congelate e a cercare riparo nei boschi, in condizioni disperate.È sufficiente definire figure storiche complesse come “eroi” senza analizzare il contesto politico e le motivazioni che li hanno spinti a combattere?
Il capitolo, pur citando figure come Cesare Battisti, le presenta in una chiave prettamente eroica e militare, senza approfondire il complesso contesto politico e ideologico che le ha caratterizzate. Definire semplicemente “eroi” personaggi storici attivi in periodi di forti tensioni nazionalistiche e irredentiste rischia di semplificare eccessivamente la narrazione. Per comprendere meglio queste figure e il loro ruolo nei conflitti, è fondamentale approfondire la storia del nazionalismo italiano, l’irredentismo e le dinamiche politiche della Prima Guerra Mondiale. Utili a tal fine sono gli studi di storici come Emilio Gentile o altri specialisti della Grande Guerra.Abbiamo riassunto il possibile
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