Contenuti del libro
Informazioni
Togliatti e il partito di massa. Il PCI dal 1944 al 1964 di Donald Sassoon è un viaggio affascinante nella storia del Partito Comunista Italiano, un’analisi profonda di come questo partito abbia cercato di forgiare una “via italiana al socialismo” unica nel suo genere. Il libro ci porta nell’Italia del dopoguerra, un paese in ricostruzione, dove le idee di Togliatti e la sua strategia del fronte popolare hanno plasmato il destino politico della nazione. Sassoon esplora le sfide che il PCI ha dovuto affrontare, dalla necessità di un’alleanza sociale più ampia che includesse i ceti medi e il mondo cattolico, alla difficile ricerca di un’identità autonoma rispetto al modello sovietico, soprattutto dopo la morte di Stalin. Si parla di riforme strutturali, di compromessi politici, ma anche delle sconfitte subite, come quella delle elezioni del 1948, e della lunga ombra di Mosca che ha condizionato le scelte del partito. Un focus particolare è posto sul rinnovamento interno del PCI, sulla critica al centralismo democratico e sulla necessità di adattarsi a una società in rapida evoluzione, affrontando temi come la questione giovanile e femminile. Questo libro è fondamentale per capire le dinamiche interne e le strategie che hanno reso il PCI un attore politico di primaria importanza nel panorama italiano del secondo dopoguerra, esplorando le tensioni tra prospettiva strategica e prassi quotidiana, e le difficoltà nel trasformare un partito di opposizione in una forza di governo.Riassunto Breve
La “via italiana al socialismo” del Partito Comunista Italiano (PCI) è stata un percorso complesso, nato dalla strategia del “fronte popolare” e dall’esigenza di adattare il marxismo alla realtà italiana, distinguendosi dal modello sovietico. Dopo la Resistenza, il PCI, guidato da Togliatti, puntava a un’unità antifascista e a una “democrazia progressiva” che smantellasse le basi economiche del fascismo, ponendo la classe operaia in una posizione direttiva. L’obiettivo non era una rivoluzione immediata, ma la costruzione di un partito di massa capace di agire sia come opposizione che come forza costruttiva.Nel dopoguerra, il PCI cercò di creare un nuovo blocco sociale guidato dalla classe operaia, con un intervento statale nell’economia e riforme sociali. La politica per il Mezzogiorno e la riforma agraria furono centrali, ma l’attuazione fu limitata. La rottura della coalizione tripartita nel 1947, dovuta alla Guerra Fredda e alle pressioni internazionali, portò all’isolamento del PCI dal governo dopo la vittoria della DC alle elezioni del 1948. Nonostante l’attentato a Togliatti e la mobilitazione popolare evidenziassero la forza del partito, le elezioni del 1948 segnarono una sconfitta, costringendo il PCI a una lunga fase di opposizione, pur mantenendo l’obiettivo di un’egemonia culturale e politica.Il XX Congresso del PCUS nel 1956 aprì la strada a un dibattito sull’autonomia dei partiti comunisti, con il PCI che cercava di affermare la propria specificità italiana e criticava il dogmatismo sovietico. La ricerca di un’identità autonoma passò attraverso la critica al “culto della personalità ” di Stalin e l’elaborazione del concetto di “policentrismo”, pur incontrando resistenze. Le vicende polacche e ungheresi del 1956 evidenziarono la tensione tra autonomia nazionale e solidarietà internazionale, con il PCI che cercava una posizione equilibrata.La strategia del PCI si focalizzò sulla democrazia, proponendo modelli di “democrazia progressiva” e “democrazia di tipo nuovo” che integravano la democrazia borghese con nuove forme di partecipazione popolare, accettando il pluralismo politico e il Parlamento. Le riforme di struttura furono viste come un processo graduale per trasformare la società capitalistica, modificando i rapporti sociali ed economici e combattendo il potere dei monopoli. La “dittatura del proletariato” fu reinterpretata come “direzione politica” della classe operaia e dei suoi alleati, con la possibilità di una transizione al socialismo attraverso le istituzioni democratiche.Tra il 1956 e il 1964, il PCI cercò di definire una strategia di alleanze più ampia, includendo i ceti medi e affrontando la questione cattolica, identificando il “nemico” nelle forze che ostacolavano uno sviluppo industriale sano. Parallelamente, si discusse del rinnovamento del partito, della democrazia interna e del rapporto con le organizzazioni di massa, abbandonando il principio della “cinghia di trasmissione”.La sfida principale per il PCI fu conciliare la visione strategica di lungo termine con le esigenze pratiche, incontrando difficoltà nel collegare l’orientamento politico con proposte concrete, rendendo arduo il passaggio da partito di opposizione a “partito di governo”. L’eredità di un approccio che vedeva lo Stato principalmente come uno strumento tecnico limitò la capacità di affrontare le sfide governative. La revisione del passato, inclusa l’influenza del modello sovietico, non fu indolore, e la “doppiezza” interna tra linea ortodossa e percorso alternativo fu una costante. Ritardi nell’elaborazione politica emersero nella gestione delle questioni giovanili e femminili, e la strategia delle alleanze non sempre colse la specificità di questi soggetti sociali. La trasformazione della classe operaia in classe dirigente e l’ambizione di “farsi Stato” richiesero una concezione della rivoluzione come processo e una revisione della distinzione tra democrazia borghese e socialista. La mancata elaborazione di forme statali di transizione concrete portò a conseguenze negli anni ’70, con la proliferazione di nuovi organismi di rappresentanza che riproducevano una logica parlamentare e una dipendenza dall’intesa con la Democrazia Cristiana. La sottovalutazione dell’analisi della Democrazia Cristiana e la scarsa attenzione ad essa nel XV congresso furono critiche. La distinzione tra “questione cattolica” e “questione democristiana” fu una conquista importante, permettendo una concezione della “laicità ” del partito e il rifiuto di identificare partito e Stato. La mentalità legata alle attese messianiche e all’utopismo rischiava di relegare la classe operaia a un ruolo subalterno, rendendo fondamentale la formulazione di un progetto statuale di transizione che definisse gli elementi di socialismo realizzabili nell’immediato per assumere una posizione egemone. La critica alla rigidità dei modelli teorici, usati come strumenti di giudizio morale piuttosto che di conoscenza della realtà , è essenziale per comprendere la complessità del percorso politico.Riassunto Lungo
La Strategia del Fronte Popolare e la Via Italiana al Socialismo
Unità Antifascista e la Svolta di Salerno
La strategia del Partito Comunista Italiano (PCI) durante la Resistenza, sotto la guida di Togliatti, mise al primo posto la vittoria contro i nazisti e i fascisti, basandosi sull’unità antifascista. Questa linea, conosciuta come “svolta di Salerno”, rappresentò un’evoluzione della strategia del “fronte popolare” decisa al VII congresso del Comintern nel 1935. Tale strategia, ispirata al concetto di “socialismo in un solo paese” di Stalin, mirava a creare alleanze per raggiungere obiettivi specifici, preparando il terreno per il socialismo attraverso percorsi nazionali unici.Un Approccio Pragmatico per il Cambiamento
Il PCI, guidato da Togliatti, adottò un approccio pratico, adattandosi alle condizioni specifiche dell’Italia. L’obiettivo era ottenere il sostegno di diverse classi sociali, compresi i ceti medi e i contadini. Invece di una rivoluzione immediata sul modello sovietico, si puntava a una “democrazia progressiva”. Questo tipo di governo avrebbe smantellato le fondamenta economiche del fascismo, come i monopoli e i latifondi, e avrebbe posizionato la classe operaia in una posizione di guida nella società . Ciò implicava la costruzione di un partito di massa, capace di agire non solo come opposizione ma anche come forza costruttiva all’interno del governo e della società .Dibattiti Interni e la Trasformazione del Partito
Nonostante il prestigio ottenuto durante la Resistenza, il partito dovette affrontare discussioni interne sulla direzione politica da seguire. Alcuni membri spingevano per una lotta di classe più decisa, mentre la leadership, guidata da Togliatti, preferiva la collaborazione e le riforme graduali. Questo approccio era volto a evitare l’isolamento e a garantire la stabilità . La crescita del PCI fino a diventare un partito di massa, con milioni di iscritti, portò nuove sfide. Tra queste, la necessità di una solida base teorica e la gestione di diverse generazioni di militanti con visioni differenti. La “via italiana al socialismo” fu un tentativo di unire il marxismo con la realtà italiana, cercando un percorso distinto dal modello sovietico. Tuttavia, questa strategia dovette confrontarsi con le complessità del dopoguerra e della Guerra Fredda.Se la “via italiana al socialismo” mirava a percorsi nazionali unici e distinti dal modello sovietico, come si concilia questo con l’ispirazione al “socialismo in un solo paese” di Stalin e l’adesione al Comintern?
Il capitolo presenta la strategia del Fronte Popolare e la “via italiana al socialismo” come un’evoluzione pragmatica e adattata alle condizioni italiane, distinguendola dal modello sovietico. Tuttavia, l’affermazione che tale strategia fosse “ispirata al concetto di ‘socialismo in un solo paese’ di Stalin” e l’adesione al Comintern, un’organizzazione strettamente legata alla politica sovietica, creano una potenziale ambiguità . Per chiarire questa apparente contraddizione, sarebbe utile approfondire il dibattito teorico e politico all’interno del PCI e del Comintern stesso riguardo all’autonomia nazionale dei partiti comunisti e all’interpretazione del marxismo-leninismo in contesti diversi. Un’analisi più dettagliata delle direttive del Comintern e delle risposte del PCI, magari consultando scritti di Antonio Gramsci o studi sulla politica estera sovietica dell’epoca, potrebbe fornire il contesto mancante per comprendere come queste influenze si siano realmente tradotte in una strategia “distinta”.1. La Via Italiana al Socialismo: Tra Compromessi e Sconfitte
L’Obiettivo del Nuovo Corso
La strategia del Partito Comunista Italiano (PCI) nel dopoguerra mirava a costruire un nuovo blocco sociale, con la classe operaia come guida, per trasformare la società italiana. Questo approccio, noto come “nuovo corso”, prevedeva un ruolo attivo dello Stato nell’economia, sostenendo l’iniziativa privata ma mantenendo un controllo pubblico. Il programma del PCI includeva la creazione di una repubblica democratica, politiche di pace e riforme sociali, ma la sua realizzazione fu ostacolata dalla necessità di collaborare con gli altri partiti della coalizione tripartita, composta da Democrazia Cristiana (DC) e Partito Socialista Italiano (PSI).Le Politiche per il Mezzogiorno e le Difficoltà di Attuazione
Un punto focale della strategia fu la politica per il Mezzogiorno, che intendeva realizzare una riforma agraria e promuovere l’organizzazione dei contadini. Nonostante le buone intenzioni, l’applicazione pratica di queste riforme si rivelò limitata e non riuscì a intaccare profondamente la struttura sociale esistente.La Fine della Coalizione e l’Isolamento del PCI
La rottura della coalizione tripartita nel 1947 segnò un punto di svolta cruciale. Le crescenti tensioni internazionali, legate alla Guerra Fredda, insieme all’influenza della Chiesa e degli Stati Uniti, portarono la Democrazia Cristiana a interrompere l’alleanza. Le elezioni del 1948, che videro la vittoria della DC, confermarono l’isolamento del PCI dal governo del paese.La Pressione Internazionale e il Riorientamento Strategico
La strategia del PCI, inizialmente orientata verso una “via italiana al socialismo” attraverso un percorso democratico e la costruzione di alleanze, dovette affrontare le pressioni internazionali del Cominform e la linea più rigida imposta da Mosca. Questo scenario interno e internazionale portò a un dibattito all’interno del partito e a un necessario riorientamento della strategia. L’enfasi si spostò sulla lotta contro l’imperialismo americano, con una critica al Piano Marshall e all’adesione alla NATO.L’Attentato a Togliatti e la Fase di Opposizione
L’attentato a Palmiro Togliatti nel luglio 1948 provocò una forte mobilitazione popolare, dimostrando la forza del partito. Tuttavia, evidenziò anche le difficoltà del PCI nel gestire una situazione potenzialmente insurrezionale, soprattutto in un contesto di crescente repressione. Le elezioni del 1948 rappresentarono una sconfitta significativa, costringendo il PCI a una lunga fase di opposizione. La strategia del partito, pur mantenendo l’obiettivo di un’egemonia culturale e politica, dovette adattarsi ai nuovi equilibri internazionali e alla crescente polarizzazione politica interna.Se il “nuovo corso” del PCI mirava a un blocco sociale con la classe operaia come guida e prevedeva un ruolo attivo dello Stato nell’economia, come può una strategia così ambiziosa essere stata così inefficace nel Mezzogiorno, dove le strutture sociali esistenti non sono state intaccate, se non per una limitata applicazione di riforme?
Il capitolo descrive un’ambiziosa strategia politica e sociale del PCI, ma la sua attuazione nel Mezzogiorno sembra essere stata superficiale, senza incidere sulle profonde disuguaglianze. Per comprendere meglio questa discrepanza, sarebbe utile approfondire gli studi sulla storia economica e sociale del Mezzogiorno, analizzando le dinamiche di potere locali e le resistenze alle riforme. Autori come Antonio Gramsci, con le sue riflessioni sul blocco storico e sull’egemonia, potrebbero offrire spunti preziosi per analizzare le ragioni di tale fallimento. Inoltre, uno studio comparativo con altre esperienze di riforma agraria in contesti simili potrebbe illuminare le specificità e le difficoltà incontrate dal PCI.La Ricerca di un’Identità Autonoma del PCI nel Dopoguerra
Il Percorso del PCI nell’Opposizione e la “Via Italiana al Socialismo”
Dopo la guerra, il Partito Comunista Italiano (PCI) si è trovato di fronte alla necessità di definire il suo ruolo nell’opposizione. L’obiettivo era quello di delineare una “via italiana al socialismo”, un percorso che si distinguesse dal modello imposto dall’Unione Sovietica. Questo sforzo è stato caratterizzato da intensi dibattiti interni e da un confronto costante con la politica internazionale, in particolare con le direttive provenienti dall’URSS.Le Lotte Contadine e le Riforme Agrare
Le lotte per la terra che hanno attraversato il Sud Italia hanno rappresentato un momento cruciale in questo periodo. Queste mobilitazioni hanno segnato l’ingresso delle masse contadine nella vita politica del paese e hanno messo in luce le profonde contraddizioni della politica economica governativa. Il PCI ha cercato di assumere un ruolo guida in queste proteste, proponendo riforme agrarie più incisive rispetto a quelle che la Democrazia Cristiana era disposta a implementare.Il “Piano del Lavoro” e le Difficoltà di Attuazione
Un altro elemento di rilievo è stato il “Piano del Lavoro” avanzato dalla CGIL, un progetto ambizioso volto a stimolare l’economia e a creare nuove opportunità di impiego. Nonostante l’iniziale accoglienza favorevole da parte del PCI, il piano non è riuscito a concretizzarsi pienamente. Tra le ragioni del suo insuccesso vi sono state le pressioni esercitate a livello internazionale e le divisioni interne al movimento operaio stesso.La Svolta del XX Congresso del PCUS e l’Autonomia dei Partiti
Il XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS), tenutosi nel 1956, ha segnato una svolta significativa. In quell’occasione, è stata riconosciuta la possibilità di “vie diverse al socialismo”, aprendo così la strada a discussioni più ampie sull’autonomia dei singoli partiti comunisti. Il PCI ha colto questa opportunità per affermare con maggiore forza la propria specificità italiana.La Critica a Stalin e la Gestione della Crisi
La questione di Stalin e la critica al “culto della personalità ” hanno provocato un profondo scossone all’interno del movimento comunista internazionale, influenzando inevitabilmente anche il PCI. Palmiro Togliatti ha affrontato questa crisi con l’obiettivo di gestire le diverse correnti interne al partito. Ha criticato sia il dogmatismo sovietico sia le posizioni più radicali, promuovendo un’analisi più approfondita delle cause degli errori commessi.Il Concetto di “Policentrismo” e le Resistenze
Il concetto di “policentrismo” è emerso come un tentativo di conciliare l’autonomia dei partiti nazionali con la necessità di un coordinamento a livello internazionale. Tuttavia, questa strategia ha incontrato significative resistenze sia da parte dell’Unione Sovietica sia di altri partiti comunisti. Di conseguenza, la strategia del PCI ha continuato a evolversi, cercando di adattarsi alle mutevoli condizioni internazionali e alle specificità della società italiana, con un’attenzione crescente verso l’Europa e la coesistenza pacifica.Le Vicende Polacche e Ungheresi del 1956
Gli eventi che hanno coinvolto la Polonia e l’Ungheria nel 1956 hanno ulteriormente complicato il quadro politico. Queste vicende hanno messo in luce la tensione esistente tra l’aspirazione all’autonomia nazionale e il principio di solidarietà internazionale. Il PCI ha cercato di mantenere una posizione di equilibrio, criticando gli errori del modello sovietico senza però giungere a una rottura completa.Se l’obiettivo era una “via italiana al socialismo” basata su ampie alleanze, come si concilia la definizione di un “nemico comune” con la necessità di includere il mondo cattolico, tradizionalmente diviso al suo interno su questioni economiche e sociali?
Il capitolo suggerisce un’efficace strategia di alleanze per il Partito Comunista Italiano, ma la definizione di un “nemico comune” (rendita agraria, monopoli, speculazione) potrebbe apparire troppo univoca e potenzialmente escludente per un’ampia coalizione che includa il variegato mondo cattolico. L’identificazione di un avversario unico potrebbe non cogliere le sfumature e le diverse sensibilità presenti all’interno di un blocco sociale eterogeneo. Per comprendere meglio questa tensione, sarebbe utile approfondire gli studi di sociologia delle religioni e di storia politica italiana del periodo, con particolare attenzione alle correnti di pensiero all’interno del cattolicesimo sociale e politico. La lettura di autori che hanno analizzato il rapporto tra Chiesa e società nel dopoguerra, come ad esempio studi sulla Democrazia Cristiana e le sue diverse anime, potrebbe offrire un contesto più completo per valutare la fattibilità e le implicazioni di una simile strategia di alleanza.4. Le Sfide del Partito Comunista Italiano: Tra Visione e Azione
La Difficile Sintesi tra Strategia e Pratica
Il Partito Comunista Italiano (PCI) si è trovato di fronte alla complessa sfida di unire una visione strategica di lungo periodo con le necessità pratiche delle diverse situazioni politiche. Come sottolineava Togliatti, era fondamentale non perdere di vista l’obiettivo generale, adattando al contempo l’azione politica alle circostanze che cambiavano. Tuttavia, l’analisi degli sviluppi del partito rivela una difficoltà costante nel collegare in modo efficace l’orientamento politico con proposte concrete. Questa difficoltà ha reso complicato il passaggio da partito di opposizione a “partito di governo”, un problema che non riguarda solo il PCI, ma si riscontra in molti tentativi di governi di sinistra e anche in esperienze socialdemocratiche.Eredità e Ostacoli nella Gestione Governativa
L’eredità di un approccio che considerava lo Stato principalmente come uno strumento tecnico, piuttosto che come un insieme di attività che sostengono il dominio di una classe dirigente, ha limitato la capacità di affrontare le sfide governative. La mancanza di una “cultura delle riforme” diffusa e la necessità di sviluppare competenze adeguate si sono rivelate cruciali. Il PCI, pur avendo una ricca tradizione politica, ha dovuto rivedere parte del suo passato, inclusa l’influenza della Terza Internazionale e del modello sovietico. Questo processo è stato difficile, soprattutto in un contesto internazionale sfavorevole e con margini di autonomia ridotti. La “doppiezza” interna al partito, tra chi seguiva una linea più ortodossa e chi cercava un percorso alternativo, è stata una costante.Ritardi nell’Affrontare Nuove Questioni Sociali
Ulteriori ritardi nell’elaborazione politica sono emersi nella gestione di questioni emergenti come quella giovanile e femminile. Queste tematiche richiedevano un approccio diverso rispetto alla classica ottica classista. La strategia delle alleanze, sebbene innovativa, non sempre ha colto la specificità di questi soggetti sociali, impedendo loro di diventare attori politici autonomi. Questi ritardi hanno influenzato a lungo termine la capacità del partito di adattarsi ai cambiamenti sociali.La Trasformazione della Classe Operaia e la “Via Italiana”
La trasformazione della classe operaia in classe dirigente e l’ambizione di “farsi Stato” richiedevano una visione della rivoluzione come processo e una revisione della distinzione tra democrazia borghese e socialista. Tuttavia, definire la “via italiana” come un semplice processo non è stato sufficiente. Era necessario definire forme statali di transizione concrete, che integrassero la lotta per l’egemonia con la trasformazione dello Stato. La mancata elaborazione di tali forme statali, dovuta in parte alla limitata esperienza storica e alla difficoltà di adattare il modello sovietico, ha avuto conseguenze negli anni ’70. La proliferazione di nuovi organismi di rappresentanza non sempre è stata accompagnata da contenuti politici innovativi, riproducendo spesso una logica parlamentare e una dipendenza dall’intesa con la Democrazia Cristiana.L’Analisi della Democrazia Cristiana e la Laicità del Partito
Un punto critico è stata la sottovalutazione dell’analisi della Democrazia Cristiana, nonostante alcune intuizioni del PCI. La campagna elettorale del 1976, focalizzata sull’efficienza e sulla “pulizia”, ha involontariamente rafforzato l’idea che la DC fosse un retaggio dell’arretratezza italiana. Inoltre, il XV congresso del PCI ha mostrato una scarsa attenzione alla DC, proprio in un momento di difficoltà politica. La distinzione tra “questione cattolica” e “questione democristiana” è stata una conquista importante del PCI, evitando l’errore di confondere ideali religiosi e pratica politica, un errore comune nella tradizione socialista. Questa distinzione ha permesso di sviluppare una concezione della “laicità ” del partito, liberando la teoria da vincoli ideologici rigidi e la politica da preconcetti filosofici.La Laicità e la Distinzione tra Partito e Stato
La laicità del partito si è manifestata anche nel rifiuto di identificare partito e Stato, distinguendosi sia dal modello sovietico che da quello socialdemocratico. La proposta di un sindacato libero e indipendente dallo Stato, avanzata da Di Vittorio, esemplifica questa posizione. Tuttavia, la “doppiezza” politica è rimasta, legata a una visione della politica a “due tempi”, che separa il momento pre-rivoluzionario da quello post-rivoluzionario.Il Rischio dell’Utopismo e la Necessità di un Progetto Statuale
La mentalità legata alle attese messianiche e all’utopismo, sebbene storicamente importante, rischia oggi di relegare la classe operaia a un ruolo subalterno. La formulazione di un progetto statuale di transizione, che definisca gli elementi di socialismo realizzabili nell’immediato, è fondamentale per assumere una posizione egemone. Il prezzo della sconfitta politica per un partito comunista è più grave di quello elettorale per i partiti socialdemocratici, potendo portare all’eliminazione politica.La “Socialdemocratizzazione” e la Concezione dello Stato
La questione della “socialdemocratizzazione” del PCI si lega al dibattito tra Lenin e Kautsky, in particolare sulla concezione dello Stato. Mentre Kautsky vedeva il socialismo attraverso la conquista parlamentare e la legislazione, Lenin poneva al centro l’elaborazione di una propria forma di Stato nella fase di transizione. La politica comunista italiana, con la sua enfasi sulle riforme di struttura e il compromesso storico, si discosta da una visione puramente parlamentare, pur non potendo essere ridotta a un mero formalismo teorico. La critica alla rigidità dei modelli teorici, usati come strumenti di giudizio morale piuttosto che di conoscenza della realtà , è essenziale per comprendere la complessità del percorso politico.Se la “via italiana” al socialismo implicava una revisione della distinzione tra democrazia borghese e socialista, e la necessità di definire forme statali di transizione concrete, perché il capitolo evidenzia una mancata elaborazione di tali forme, attribuendola in parte alla difficoltà di adattare il modello sovietico, senza però analizzare criticamente le ragioni profonde di tale inadeguatezza o proporre alternative concrete di modello statuale?
Il capitolo solleva un punto cruciale sulla necessità di definire forme statali di transizione per la “via italiana” al socialismo, ma lascia aperta la questione delle soluzioni pratiche e teoriche. Per comprendere appieno le difficoltà e le potenziali vie d’uscita, sarebbe utile approfondire il dibattito sulla teoria dello Stato nel pensiero marxista, con particolare attenzione alle opere di Antonio Gramsci sulla “guerra di posizione” e la costruzione dell’egemonia, nonché alle analisi di pensatori che hanno affrontato la transizione al socialismo in contesti democratici, come Eduard Bernstein o Rudolf Hilferding, per confrontare diverse prospettive sulla natura dello Stato e sui meccanismi di trasformazione sociale.Abbiamo riassunto il possibile
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