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Informazioni
“Titanic. Come Renzi ha affondato la Sinistra” di Chiara Geloni è un viaggio intenso negli anni cruciali che hanno visto il Partito Democratico e la Sinistra italiana attraversare una crisi senza precedenti. Il libro si concentra sull’ascesa e la leadership di Matteo Renzi a partire dal 2014, analizzando come le sue scelte politiche, le riforme come il Jobs Act e l’Italicum, e il suo stile di gestione abbiano generato forti tensioni interne, portando a scontri con la minoranza del PD e a una progressiva perdita di identità. Dalle vittorie iniziali alla sconfitta nel referendum costituzionale del 2016, fino alla scissione che ha dato vita ad Articolo Uno e alla successiva debacle elettorale del 2018 per tutta la Sinistra, l’autrice ricostruisce un percorso fatto di decisioni controverse, rotture e un crescente distacco dalla base elettorale e dai valori tradizionali. Non è solo la storia interna del PD, ma un’analisi più ampia su come la Sinistra non sia riuscita a comprendere e affrontare le sfide della globalizzazione e dello spaesamento, lasciando spazio a nuove forze politiche. Se ti interessa capire le dinamiche che hanno portato alla crisi della Sinistra italiana negli ultimi anni, questo libro offre una prospettiva critica e documentata.Riassunto Breve
Nel 2014, il Partito Democratico cambia guida con Matteo Renzi che diventa segretario e poi capo del governo. Questo passaggio non è tranquillo, arriva dopo tensioni interne, come il voto contro Romano Prodi nel 2013. Renzi inizia con un accordo, il Patto del Nazareno, con Silvio Berlusconi per fare riforme, cosa che sposta il PD. Dentro il partito, ci sono subito problemi: figure importanti come Gianni Cuperlo e Stefano Fassina lasciano incarichi o si dimettono per disaccordi sulle riforme o sulla gestione. La minoranza interna, con Roberto Speranza, prova a mediare ma senza successo. Il grande risultato alle elezioni europee del 2014 (40,6%) dà molta forza a Renzi, che usa toni duri contro i critici, chiamati “gufi”. Anche la scelta di Federica Mogherini per un ruolo in Europa, che impedisce a Enrico Letta di avere un incarico importante, viene vista come una mossa per allontanare possibili rivali. Lo scontro con il sindacato CGIL sul Jobs Act, una legge che cambia il lavoro eliminando l’articolo 18, mostra un’altra rottura. Renzi attacca il sindacato, cercando forse voti a destra, ma questo rischia di cambiare l’identità del PD, che è sempre stato vicino ai lavoratori. Le elezioni regionali di fine 2014 mostrano che molti elettori di sinistra non vanno a votare, un segnale di protesta. Nel 2015, le tensioni aumentano. Renzi vuole un ricambio ma chiede che si accettino le sue riforme. Il Jobs Act passa nonostante l’opposizione interna, e un accordo raggiunto in commissione viene ignorato, rompendo la fiducia. L’elezione di Sergio Mattarella come Presidente della Repubblica, voluta anche dalla minoranza, mostra che il PD unito è forte, ma Renzi non sfrutta questa unità. La legge elettorale Italicum diventa un altro punto di scontro. Nonostante le richieste di modificarla, viene approvata anche con i voti di Forza Italia, cambiando di fatto la maggioranza. Questo, insieme alla riforma della Costituzione, preoccupa la minoranza per l’equilibrio democratico. Roberto Speranza si dimette da capogruppo e i membri della minoranza vengono cambiati nelle commissioni, cosa mai successa prima. Altre riforme, come la “Buona Scuola”, creano problemi con gruppi vicini al PD, come gli insegnanti. Le sconfitte alle elezioni locali del 2015, anche a Roma, mostrano che il partito si allontana dalla gente. Lo stile di Renzi, diretto e personale, che parla direttamente con le persone senza passare per i canali normali, polarizza il dibattito. La gestione autoritaria e il non ascoltare chi non è d’accordo portano via molte persone. Nel 2016, il PD fa fatica a gestire le differenze interne e a capire cosa succede fuori. La scelta di non votare al referendum sulle trivelle, con l’hashtag #ciaone, sembra un segno di chiusura. Anche la legge sulle unioni civili passa con difficoltà e compromessi. Le elezioni locali del giugno 2016 confermano che il PD perde voti e che Movimento 5 Stelle e Destra crescono. Il partito non analizza seriamente questa situazione, reagisce con minacce interne. Il referendum sulla Costituzione diventa uno scontro personale su Renzi, ignorando il valore della Costituzione. La campagna per il Sì attacca duramente gli oppositori. La sconfitta del 4 dicembre 2016 è pesante. Nonostante le promesse, Renzi non si ritira subito e accusa la minoranza. La mancanza di autocritica peggiora le cose. All’inizio del 2017, la distanza tra Renzi e la minoranza (Bersani, Speranza) è grande. La minoranza pensa che il partito abbia perso i suoi valori, specialmente sui temi sociali. Dopo tentativi falliti di cambiare la linea, la separazione diventa inevitabile. L’assemblea del PD del 19 febbraio 2017 è il momento della rottura. Nasce un nuovo gruppo, Articolo Uno, che vuole ricostruire una sinistra legata alla Costituzione. Pietro Grasso, Presidente del Senato, lascia il PD e guida il nuovo gruppo. Questo gruppo, con altri, forma la lista Liberi e Uguali per le elezioni. La nuova legge elettorale, il Rosatellum, fatta dal PD e dal centrodestra, sembra fatta per mettere in difficoltà i gruppi più piccoli a sinistra del PD. Articolo Uno esce dalla maggioranza. Il PD cambia, usa linguaggi simili agli avversari, e la gestione di temi come lo Ius Soli o le banche fa pensare che il vecchio progetto sia finito. Le elezioni del 2018 sono una sconfitta per tutta la Sinistra. Liberi e Uguali prende pochi voti. La campagna elettorale è difficile, con ritardi e problemi interni. Il PD perde molti voti verso Movimento 5 Stelle e Lega. Dopo il voto, il PD, influenzato da Renzi, decide di non parlare con i 5 Stelle (“strategia dei popcorn”), cosa che lo rende poco importante. La crisi del PD viene da lontano, dalla sua struttura e dalla sua storia, nato unendo diverse idee ma con regole (primarie aperte) che lo rendono debole. La guida di Renzi, anche se capace di prendere voti, allontana il PD dalla sua storia di sinistra. Eventi come il fallimento dell’elezione di Prodi nel 2013, causato da voti interni, hanno indebolito il partito. La separazione che porta a Articolo Uno è una conseguenza di questo processo e del distacco del PD dalla sua base. La Sinistra in generale non trova una nuova strada. La Sinistra non ha capito in tempo che la globalizzazione crea spaesamento. Non ha controllato i lati negativi della globalizzazione, come l’aumento delle differenze e la perdita di diritti. La crisi del 2008 mostra i problemi della globalizzazione. Nelle società ricche, cresce il bisogno di protezione tra chi si sente perso. La Sinistra non capisce questa situazione e resta ferma. Il bisogno di protezione e la rabbia verso chi sta al potere portano a un cambiamento politico e alla crescita di una nuova Destra. In Italia, il PD al governo si allontana dai temi sociali e dal lavoro, perdendo il contatto con i suoi elettori storici. La Destra cresce promettendo protezione in modo aggressivo. La Sinistra, divisa, deve ritrovare la strada. Dopo le elezioni del 2018, non si capisce il cambiamento politico. Si preferisce isolare i “populisti” invece di confrontarsi con la nuova situazione. La Sinistra si allontana dai temi importanti, perde voti. Un tentativo di discutere e cambiare linea viene rifiutato. La discussione è fondamentale per correggere gli errori, ma è mancata. L’idea che la Sinistra sia finita è sbagliata. La Sinistra esiste per l’idea di uguaglianza, giustizia sociale, diritto al lavoro, vicinanza alla gente, partecipazione. Una Sinistra che vuole governare deve puntare su lavoro di qualità, assistenza per tutti, tasse giuste, diritti e ambiente. Un nuovo progetto è possibile, ma trovare chi lo porti avanti è difficile. Il rischio è che si rafforzi una Destra che vuole tornare indietro e che nascano modi di governare autoritari. Contro questo, la Sinistra deve essere l’alternativa. Serve unire tutte le forze che si sentono di Sinistra, diverse ma unite, chiaramente contro la Destra e vicine ai movimenti progressisti europei. Questa unione deve avere idee chiare su temi sociali, ambientali e diritti. Per fare questo, bisogna superare le rigidità e i litigi interni. Il cambiamento in corso è profondo e servono nuovi strumenti.Riassunto Lungo
1. Il Cambiamento e le Sue Ombre nel Partito Democratico
Nel 2014, Matteo Renzi assume la guida del Partito Democratico e del governo, succedendo a Enrico Letta. Questa transizione avviene dopo un voto di sfiducia nella direzione del partito, non in Parlamento. Un precedente fattore di instabilità è l’azione dei “101” deputati che nel 2013 non votarono Romano Prodi per la Presidenza della Repubblica, contribuendo a una situazione politica complessa.Il Patto del Nazareno e le tensioni interne
Renzi avvia la sua segreteria con il Patto del Nazareno, un accordo con Silvio Berlusconi per riforme istituzionali e una nuova legge elettorale, l’Italicum. Questa mossa riposiziona Berlusconi e allontana il PD dalla strategia precedente. All’interno del partito, sorgono tensioni significative. Diverse figure si dimettono o esprimono preoccupazione:- Gianni Cuperlo: Si dimette dalla presidenza dopo un acceso scontro con Renzi sulle liste bloccate nell’Italicum.
- Stefano Fassina: Viceministro nel governo Letta, si dimette dopo che Renzi minimizza il suo ruolo.
- Roberto Speranza: Rappresenta la minoranza interna, esprimendo preoccupazione per la gestione del partito e la posizione di Letta. I tentativi di mediazione non hanno successo.
Il successo alle europee e le conseguenze
Il risultato del 40,6% alle elezioni europee del maggio 2014 segna l’apice del consenso per Renzi. Questo successo porta a un atteggiamento più conflittuale verso i critici, definiti “gufi”. La gestione dei rapporti interni peggiora, con figure storiche percepite come silenziose o acquiescenti.La nomina di Federica Mogherini e lo scontro con la CGIL
Un episodio significativo è la nomina di Federica Mogherini come Alto Rappresentante UE. Questa scelta impedisce a Enrico Letta di ottenere la presidenza del Consiglio Europeo, un ruolo per cui aveva ampio consenso. Alcuni osservatori interpretano questa mossa come una decisione volta a evitare che figure potenzialmente rivali ottenessero visibilità internazionale, anche a costo di rinunciare a posizioni più strategiche per l’Italia. Lo scontro con la CGIL sul Jobs Act evidenzia un’ulteriore rottura. Renzi usa toni duri verso il sindacato, percepito come difensore di posizioni superate. Questa strategia, mirata a conquistare consensi a destra, rischia di snaturare l’identità del PD come partito legato al mondo del lavoro.Le elezioni regionali e le considerazioni finali
Le elezioni regionali in Emilia Romagna a fine 2014 mostrano un calo significativo dell’affluenza, specialmente nelle aree tradizionalmente di sinistra, interpretato come un segnale di astensione punitiva. Le azioni di Renzi suggeriscono che alcune decisioni, apparentemente svantaggiose dal punto di vista politico, potrebbero essere influenzate da fattori personali o da una tendenza a rompere rapporti e umiliare i critici.Davvero la politica si riduce a una questione di ripicche personali?
Il capitolo, pur offrendo una cronaca dettagliata degli eventi, tende a interpretare alcune decisioni politiche complesse, come la nomina di Federica Mogherini o le reazioni ai critici, attraverso la lente di motivazioni personali o di una presunta volontà di “rompere rapporti e umiliare”. Questa lettura, per quanto suggestiva, rischia di semplificare eccessivamente la dinamica politica, che è spesso il risultato di strategie complesse, equilibri interni, pressioni esterne e calcoli di convenienza politica che vanno oltre la sfera personale. Per una comprensione più completa, sarebbe utile approfondire lo studio della scienza politica, in particolare le teorie sulla leadership politica e sulla dinamica dei partiti, e considerare l’analisi di autori che hanno studiato il sistema politico italiano in quel periodo, come Piero Ignazi o Gianfranco Pasquino, che offrono prospettive più strutturali e meno focalizzate sulle sole intenzioni individuali.2. Fratture e riforme: il logoramento interno del Partito Democratico
Il 2015 rappresenta l’anno della rottura definitiva tra Matteo Renzi e la minoranza del Partito Democratico. La leadership del segretario si basa su un ricambio generazionale e su riforme radicali, ma il metodo autoritario e la mancanza di dialogo creano tensioni insanabili. Due provvedimenti diventano simbolo dello scontro: la riforma del lavoro (Jobs Act) e la nuova legge elettorale (Italicum).Le riforme divisive
L’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori attraverso il Jobs Act segna il primo grande strappo. Nonostante le proteste interne, Renzi procede senza mediazioni reali, utilizzando ampi poteri delegati. La stessa dinamica si ripete con l’Italicum: le richieste di modifica della minoranza vengono ignorate e la legge passa al Senato grazie all’appoggio di Forza Italia. Questa scelta cambia di fatto gli equilibri parlamentari, alimentando le critiche sull’eccessiva concentrazione di potere.La crisi istituzionale
L’elezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica dimostra come il PD potrebbe lavorare unito, ma è solo un momento di tregua. La gestione dell’elezione rivela le fragilità di Renzi: dopo aver stretto un patto con Berlusconi (il “Patto del Nazareno”), deve accettare la candidatura di Mattarella proposta da Bersani per evitare una sconfitta interna. L’episodio mostra come la leadership renziana sia più debole di quanto appaia.Il metodo e le conseguenze
Lo stile di governo di Renzi si basa su:- Disintermediazione: comunicazione diretta con l’elettorato, bypassando le strutture tradizionali del partito
- Marginalizzazione del dissenso: sostituzione dei parlamentari critici nelle commissioni chiave
- Gestione verticistica: decisioni calate dall’alto senza confronto
Ma le sconfitte elettorali del 2015 furono davvero solo una conseguenza del “metodo” e delle riforme di Renzi?
Il capitolo lega in modo molto diretto il “metodo” e le riforme di Renzi alle sconfitte elettorali e al logoramento del consenso. Tuttavia, l’esito delle elezioni e l’evoluzione dell’opinione pubblica sono fenomeni complessi, influenzati da una pluralità di fattori che vanno oltre le dinamiche interne di un singolo partito. Per comprendere appieno il contesto del 2015 e le ragioni dietro le difficoltà del PD, sarebbe utile approfondire l’analisi del sistema politico italiano, studiare le dinamiche elettorali di quel periodo e considerare il ruolo e la crescita di altre forze politiche. Approfondimenti nel campo della scienza politica e della sociologia elettorale, magari leggendo autori che si sono occupati di questi temi come Ilvo Diamanti o Roberto D’Alimonte, potrebbero fornire una prospettiva più ampia.3. Il Prezzo dell’Arroganza e l’Onda che Travolge
Nel 2016, il Partito Democratico affronta crescenti difficoltà nel gestire il proprio pluralismo interno e nel comprendere la realtà politica esterna. La decisione di promuovere l’astensione nel referendum sulle trivelle, in contrasto con molti amministratori locali del partito, evidenzia un atteggiamento di chiusura e arroganza. Questo approccio si manifesta anche nella gestione della legge sulle unioni civili, approvata con fatica e compromessi al ribasso, segnando un passo indietro rispetto al programma elettorale e mostrando le divisioni interne e la dipendenza da voti esterni.Le elezioni amministrative e il referendum costituzionale
Le elezioni amministrative del giugno 2016 confermano un forte arretramento del PD e l’avanzata di Movimento 5 Stelle e Destra. Questa realtà, definita da alcuni come la “mucca nel corridoio” – un problema evidente ma ignorato – non viene affrontata con un’analisi politica seria dalla leadership del partito, che reagisce invece con minacce interne e senza cambiare strategia. Il referendum costituzionale diventa il terreno principale dello scontro. Viene trasformato in un plebiscito sulla figura del Presidente del Consiglio, ignorando i valori della Costituzione come testo unificante. La campagna per il Sì utilizza argomenti populisti e attacca duramente gli oppositori, inclusi costituzionalisti e partigiani, definendoli un’unica “accozzaglia”. Questa strategia aggressiva e personalizzata non riesce a convincere l’elettorato.La sconfitta e le sue conseguenze
La sconfitta nel referendum del 4 dicembre 2016 è netta. Nonostante le promesse di abbandonare la politica in caso di esito negativo, il leader del PD non si ritira, ma rivendica il risultato del Sì e continua ad attaccare la minoranza interna, accusata di tradimento. La mancanza di autocritica e l’incapacità di comprendere la portata della sconfitta portano a un’ulteriore frammentazione del partito e alla perdita di lealtà interna, preparando il terreno per future difficoltà.Davvero la “strategia dei popcorn” fu solo un errore tattico, o il capitolo ignora le ragioni profonde e i vincoli politici che resero quel dialogo con i 5 Stelle una chimera?
Il capitolo, pur offrendo una critica puntuale, descrive la “strategia dei popcorn” come un errore netto che ha portato all’irrilevanza. Tuttavia, un’analisi più approfondita dovrebbe considerare il contesto politico immediato post-elezioni 2018: la natura e le posizioni del Movimento 5 Stelle e della Lega in quel preciso momento, le pressioni interne al PD dopo la sconfitta, e la reale praticabilità politica di un dialogo che non apparisse come una rinuncia totale alla propria identità. Per comprendere meglio queste dinamiche, sarebbe utile consultare studi di scienza politica sulle strategie di partito, la formazione delle coalizioni e le analisi del sistema politico italiano contemporaneo. Autori come Ilvo Diamanti o Piero Ignazi possono offrire prospettive utili per contestualizzare quella scelta strategica.6. La Sinistra, lo Spaesamento e la Rotta Necessaria
La Sinistra non ha capito subito il legame tra globalizzazione e spaesamento. In una fase iniziale di ottimismo, ottenne successi con varie strategie, ma non riuscì a gestire gli effetti negativi della globalizzazione. Problemi come la finanziarizzazione, l’aumento delle disuguaglianze e la perdita di sovranità democratica rimasero senza controllo. Mancò un serio tentativo di regolazione a livello globale o europeo.La crisi del 2008 e le sue conseguenze
La crisi finanziaria segnò la fine dell’ottimismo, rivelando il lato oscuro della globalizzazione. Nelle società avanzate, crescevano lo spaesamento e il bisogno di protezione tra chi si sentiva escluso. Le Sinistre non seppero interpretare questo cambiamento, rimanendo ancorate a posizioni superate. La richiesta di protezione e la rabbia verso le élite portarono alla frammentazione degli schieramenti politici e all’ascesa di una nuova Destra identitaria.Il caso italiano
In Italia, il Partito Democratico, una volta al governo, si allontanò dai temi sociali e dal lavoro, perdendo il legame con la sua base tradizionale. La Destra guadagnò consensi promettendo protezione in modo aggressivo. La Sinistra, divisa e sconfitta, si trovò senza una direzione chiara. Un momento cruciale fu l’elezione del Presidente della Repubblica, quando non si colse il cambiamento politico espresso dagli elettori. Si preferì isolare i cosiddetti “populisti” invece di affrontare la nuova realtà.Le priorità per una Sinistra rinata
Per tornare rilevante, la Sinistra deve concentrarsi su alcuni punti fondamentali:- Lavoro di qualità: Garantire condizioni dignitose e diritti per tutti i lavoratori.
- Welfare universale: Proteggere i cittadini con servizi sociali accessibili a tutti.
- Fiscalità progressiva: Ridurre le disuguaglianze attraverso un sistema fiscale equo.
- Diritti civili e sociali: Difendere le libertà individuali e i diritti delle minoranze.
- Ambiente: Promuovere politiche sostenibili per contrastare la crisi climatica.
Una nuova rotta
Serve un’alleanza tra tutte le forze che si riconoscono in una Sinistra ampia e plurale, chiaramente alternativa alla Destra. Questa convergenza deve avere un profilo definito su questioni sociali, ambientali e dei diritti. Il cambiamento richiede di abbandonare rigidità, conservatorismi e divisioni interne. Il rischio è il consolidamento di una Destra regressiva e l’affermazione di modelli autoritari. Contro questo pericolo, la Sinistra deve offrire un’alternativa credibile.Davvero la crisi della Sinistra si esaurisce nella sua incapacità di cogliere lo “spaesamento” e il bisogno di protezione?
Il capitolo offre una lettura interessante, ma concentrarsi quasi esclusivamente sulla mancata comprensione dello “spaesamento” da parte della Sinistra rischia di essere riduttivo. I grandi riallineamenti politici sono processi complessi, influenzati da molteplici fattori. Per approfondire, sarebbe necessario considerare anche le trasformazioni strutturali del capitalismo globale che vanno oltre la semplice “finanziarizzazione”, i cambiamenti nel mercato del lavoro e nella composizione sociale, e l’impatto dei nuovi media sulla formazione delle opinioni e delle identità collettive. Discipline come la sociologia economica, gli studi culturali e l’analisi dei sistemi politici comparati possono fornire strumenti utili. Si potrebbero esplorare le analisi di autori che hanno studiato le mutazioni del lavoro, la crisi delle classi sociali tradizionali o l’evoluzione della sfera pubblica nell’era digitale.Abbiamo riassunto il possibile
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