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Informazioni
“Termini della politica. Comunità, immunità, biopolitica” di Roberto Esposito è un libro che ti prende e ti costringe a ripensare un sacco di cose che davi per scontate sulla politica e su come viviamo insieme. Non è ambientato in un posto specifico, ma si muove tra idee filosofiche e momenti storici cruciali, come la modernità, i totalitarismi del Novecento e il mondo di oggi dopo l’11 settembre. L’autore scava nell’origine delle parole chiave della politica – Comunità, Immunità, Biopolitica – mostrando come il loro significato sia cambiato, spesso in modo radicale. Scopri che la comunità non è solo stare insieme, ma ha a che fare con un “dono” o un “debito” condiviso, un’esposizione reciproca che la modernità ha cercato di evitare con l’Immunità, cioè la protezione e la difesa dell’individuo. Poi c’è la Biopolitica, l’idea che la politica oggi si occupi sempre più della vita biologica delle persone, un tema che Esposito esplora attraverso pensatori come Hobbes, Nietzsche e Heidegger, e che lega a concetti come il nichilismo e la crisi dell’umanesimo. È un viaggio intenso che ti fa capire perché certi problemi politici di oggi sono così difficili da affrontare, suggerendo che forse dobbiamo tornare a guardare il “niente-in-comune” o la nostra finitudine per trovare un nuovo senso del “noi”.Riassunto Breve
La comunità non si basa su un’identità comune o su una proprietà condivisa, ma su un legame originario che deriva dal termine latino “munus”, che significa un compito, un dovere o un dono reciproco. Questo legame implica una condivisione non di qualcosa che si possiede, ma piuttosto di una mancanza, di un debito inestinguibile o di una perdita di sostanza individuale. La comunità è necessaria all’esistenza umana, perché si esiste sempre in relazione, ma la sua piena realizzazione è vista come impossibile, una condizione intrinseca segnata da una ferita originaria. Non è un progetto da costruire, ma una condizione data, definita dalla “cura” reciproca e dalla condivisione del limite umano. La malinconia non è esterna alla comunità, ma ne riflette questa condizione di mancanza. La comunità non è un oggetto definito, ma l’esperienza di un vuoto condiviso, un “niente-in-comune” che accomuna gli esseri umani nella loro finitudine. Questo “niente” non è un’assenza da colmare, ma costituisce la comunità stessa, creando uno spazio “fra” gli individui che interrompe le loro identità separate. A differenza di questa idea di comunità come condivisione di un vuoto, il nichilismo moderno tende a sopprimere questo “niente” relazionale, trasformandolo in un “niente assoluto”. La società moderna, e in particolare la democrazia, tende a privilegiare l'”immunizzazione”, che deriva da “immunitas” e si contrappone a “communitas”. L’immunizzazione è la protezione del sé, l’esenzione dal legame e il mantenimento della distanza dall’altro per difendersi dal rischio del contatto. Questa logica immunitaria si riflette anche nella concezione moderna della libertà, che viene ridotta da un concetto originariamente comunitario e relazionale a una prerogativa individuale intesa come assenza di costrizioni. L’ossessione immunitaria, se portata all’estremo, può negare la vita stessa e portare a derive autodistruttive. La politica contemporanea mostra una crescente difficoltà nel definire i suoi concetti, in parte perché li riduce a significati superficiali, ignorando la loro complessità e origine. Emerge la necessità di considerare la “biopolitica”, ovvero l’intreccio tra politica e vita biologica. Sebbene la politica si sia sempre occupata della vita, nella modernità la sua conservazione diventa l’obiettivo primario dello Stato. Questa centralità della vita biologica può però sfociare nella “tanatopolitica”, dove la politica della vita si trasforma in pratica di morte, come mostrano nazionalismo e razzismo. Il nazismo è visto come l’apice di questa deriva, un sistema autoimmunitario che distrugge ciò che dovrebbe proteggere, dove la medicina assume un ruolo centrale nella gestione della vita e della morte. Nonostante la fine dei totalitarismi, la biopolitica persiste nel liberalismo e nelle dinamiche globali, con la vita corporea che diventa il fulcro delle decisioni politiche, mettendo in crisi i principi democratici tradizionali basati su soggetti astratti. La sfida attuale è pensare una democrazia che operi a favore dei corpi, superando i vecchi paradigmi che separano nettamente uomo e natura, o che riducono la politica a una logica di pura difesa immunitaria.Riassunto Lungo
1. L’Enigma della Comunità: Tra Necessità e Impossibilità
Il Vincolo Originario della Comunità
La comunità nasce da un legame antico, che deriva dalla parola latina “munus”. Questa parola indica un compito, un dovere o un regalo che ci si scambia reciprocamente. Questo legame speciale definisce chi fa parte della comunità. Non si tratta di una semplice relazione generica tra persone, ma di un vincolo basato su una legge comune, che è dentro la comunità stessa. La comunità è fondamentale per l’esistenza degli esseri umani. È la base del nostro essere, perché noi esistiamo da sempre insieme ad altri.L’Impossibilità di una Comunità Perfetta
Nonostante sia necessaria, la comunità perfetta è qualcosa che non si può raggiungere pienamente. È quasi un paradosso, un obiettivo che sfugge sempre. Questa impossibilità non è causata da qualcosa di esterno, ma è proprio parte della natura stessa della comunità. La comunità porta con sé una mancanza fin dall’inizio, un debito che non si può mai estinguere. Questa mancanza è come una ferita che non guarisce nella storia dell’umanità. Ogni volta che proviamo a costruire una comunità, ci scontriamo con questa impossibilità, e rischiamo di ottenere l’opposto di ciò che volevamo.Il Pensiero di Rousseau, Kant e Heidegger
Rousseau fa notare che la società moderna ha perso la vera comunità. Al suo posto, troviamo l’individualismo e la paura reciproca tra le persone. Kant riconosce che la comunità sarebbe importante dal punto di vista etico, ma pensa che sia impossibile da realizzare concretamente. Secondo Kant, la legge morale ci spinge verso la comunità, ma noi non riusciamo mai a seguirla completamente. Heidegger sposta l’attenzione sulla nostra condizione di esseri umani limitati, che è un elemento fondamentale della comunità. Per Heidegger, la comunità non è qualcosa da costruire o pianificare, ma una condizione di partenza. Questa condizione è caratterizzata dalla “cura” reciproca, cioè dal prenderci cura gli uni degli altri, e dalla consapevolezza dei nostri limiti comuni.La Malinconia e la Cura nella Comunità
La malinconia non è solo un sentimento personale che non ha niente a che fare con la comunità. Anzi, la malinconia riflette proprio questa mancanza originaria e l’impossibilità di realizzare pienamente la comunità. La comunità non è una “cosa pubblica”, qualcosa di definito e concreto. È piuttosto l’esperienza di questa mancanza che è dentro di noi, un “non-essere” che viene prima di ogni legame sociale e lo rende possibile. La vera essenza della comunità si trova proprio in questa mancanza, in questo difetto iniziale che tutti gli esseri umani condividono, perché siamo tutti limitati. Prenderci cura gli uni degli altri non significa superare questa mancanza, ma accettarla e custodirla. Questo prendersi cura è la base vera del nostro stare insieme.Ma è davvero inevitabile questa “impossibilità” della comunità, o non stiamo piuttosto confondendo una certa idea filosofica con la realtà concreta delle nostre società?
Il capitolo sembra presentare una visione eccessivamente pessimistica e forse un po’ astratta della comunità. Si parla di una “mancanza originaria” e di un “debito inestinguibile”, concetti che appaiono più come costruzioni teoriche che come dati di fatto. Per rispondere adeguatamente alla domanda, sarebbe utile confrontare queste idee con studi sociologici e antropologici più concreti, che analizzano come le comunità realmente funzionano, quali sono i fattori che le rafforzano e quali invece le indeboliscono. Approfondire autori come Durkheim o Weber potrebbe offrire una prospettiva più empirica e meno metafisica sul tema.2. Il Vuoto Condiviso
Tradizionalmente, si pensa che comunità e nichilismo siano l’opposto. Il nichilismo viene visto come qualcosa di artificiale e senza significato, capace di distruggere la comunità. La comunità, invece, è spesso vista come una difesa contro il nichilismo, un luogo sicuro dal vuoto che sembra dominare la società di oggi. Però, pensare a questi due concetti come totalmente opposti potrebbe essere un errore, perché limita la nostra comprensione.Un punto in comune inaspettato
Comunità e nichilismo non sono solo in contrasto, ma si incontrano su un punto molto importante: il “niente”. Questo “niente” è ciò che lega comunità e nichilismo, un aspetto che non è stato considerato abbastanza finora. La comunità non è il contrario del niente, ma piuttosto uno spazio dove “qualcosa” e “niente” si sovrappongono e convivono.L’origine della parola comunità
La parola latina “communitas” viene da “munus”, che significa sia “dono” che “obbligo”. Nella comunità, ciò che si condivide non è qualcosa che si possiede insieme, ma piuttosto una perdita di ciò che è individuale, come se si rinunciasse a una parte di sé. La comunità non si basa sull’avere “di più” a livello personale, ma sul “meno”. Chi fa parte di una comunità si trova esposto a qualcosa che è “fuori” di sé, e la propria identità cambia.La comunità e l’assenza
Quindi, la comunità è caratterizzata da un’assenza, da un “non-oggetto”. Questo “non” non è solo una negazione, ma è qualcosa che fa parte della “cosa” stessa. Il niente della comunità non è qualcosa che manca e che deve essere aggiunto, ma è ciò che la costituisce. La comunità non è un’entità fissa, ma è la relazione che interrompe l’identità delle singole persone, creando uno spazio “tra” loro dove avviene un cambiamento reciproco.Il nichilismo moderno e la soppressione del “niente” relazionale
Il nichilismo moderno, in realtà, non esprime questo “niente-in-comune”, ma anzi lo elimina. Il nichilismo distrugge il “niente” che mette in relazione, trasformandolo in un “niente assoluto”, in una mancanza totale di legami. Filosofi come Heidegger e Bataille hanno cercato la comunità proprio in questo “niente” che sta al cuore delle cose. Per Heidegger, l’essenza di ogni cosa è il vuoto, un vuoto che è allo stesso tempo offerta e relazione con gli altri. Bataille vede la comunità nascere dall’esperienza di trovarsi di fronte a un limite, al nulla, dove la comunicazione avviene tra persone che si confrontano con la propria condizione umana fragile e limitata.Il “niente-in-comune” come essenza della comunità
In conclusione, la comunità si mostra nel “niente-in-comune”. Questo “niente-in-comune” è tipico di un mondo globale senza un significato prestabilito, dove l’assenza di un senso generale apre uno spazio per un tipo di senso più personale e unico, legato all’esperienza del limite e della mancanza.Ma è davvero il “niente in comune” l’elemento fondante della comunità, o rischiamo di perderci in un’astrazione filosofica che poco ha a che vedere con le comunità reali e concrete?
Il capitolo sembra proporre una visione eccessivamente nichilista della comunità, quasi che la sua essenza risieda in una mancanza o in un vuoto condiviso. Per comprendere meglio se questa interpretazione sia valida o eccessivamente forzata, sarebbe utile esplorare la sociologia delle comunità, che offre strumenti più concreti per analizzare i legami sociali, le dinamiche di gruppo e gli elementi che realmente tengono unite le persone. Approfondire autori come Ferdinand Tönnies, con la sua distinzione tra comunità e società, o Émile Durkheim e la sua analisi della solidarietà sociale, potrebbe offrire una prospettiva più ampia e meno astratta sul tema. Inoltre, confrontarsi con studi antropologici sulle diverse forme di comunità esistenti nel mondo potrebbe aiutare a capire se il “niente in comune” sia un tratto universale o una peculiarità di alcune forme comunitarie specifiche.3. La Comunità Polemica
La Poesia di René Char e la Politica
La poesia di René Char assume una posizione di resistenza verso la politicizzazione. Nonostante riconosca un legame tra poesia e politica, Char rifiuta che si identifichino o si fondano tra loro. Secondo Char, la poesia non deve diventare uno strumento per fare politica, e allo stesso modo la politica non deve essere idealizzata attraverso la poesia. Questa visione polemica è fondamentale nella sua opera e stabilisce un confine chiaro tra questi due ambiti, pur ammettendo che la loro relazione sia complessa e necessaria. La poesia di Char è politica proprio perché si oppone a essere ridotta a una semplice funzione politica, mantenendo viva una tensione critica e una contraddizione che non può essere risolta.La Comunità del Dolore e la Tradizione Eraclitea
Da questa prospettiva emerge una particolare idea di comunità, segnata da una divisione interna. Si tratta di una comunità del dolore, in cui la solitudine del poeta convive con il suo sentirsi parte di un gruppo. Questa concezione di comunità si allontana dalle idee romantiche o surrealiste, avvicinandosi invece a una visione eraclitea basata sull’opposizione e sul contrasto. La relazione tra poesia e politica è diseguale: alla politica non corrisponde direttamente la poesia, ma piuttosto il suo silenzio, e viceversa.Immunizzazione e Democrazia Moderna
Parallelamente, viene analizzato il concetto di comunità in rapporto alla democrazia moderna, che viene sempre più interpretata attraverso il concetto di immunizzazione. Il termine “immunizzazione” deriva dal latino “immunitas” e si contrappone a “communitas”. Mentre la comunità implica un legame e un “munus” condiviso, l’immunizzazione rappresenta l’essere esenti, il proteggere sé stessi attraverso la distanza dagli altri. In questa prospettiva, la democrazia moderna tende a favorire l’immunizzazione, costruendo difese contro ciò che è diverso, in un processo di chiusura e autoregolamentazione che rischia di svuotare di significato l’idea stessa di comunità.La Globalizzazione e il Futuro della Comunità
Nonostante questa tendenza all’immunizzazione, la questione della comunità rimane centrale e urgente. La globalizzazione, pur sembrando il culmine dell’immunizzazione, potrebbe paradossalmente aprire la strada a una nuova comprensione di comunità mondiale. In un mondo senza più un “esterno”, l’immunizzazione, portata al suo estremo, potrebbe paradossalmente creare le condizioni per un rinnovato senso di ciò che è comune.Ma il capitolo spiega in modo convincente come la biopolitica “degeneri” inevitabilmente in tanatopolitica, o sta semplicemente presentando una possibile deriva senza analizzare altre traiettorie?
Il capitolo sembra suggerire una progressione quasi naturale dalla biopolitica alla tanatopolitica, culminando nel nazismo. Tuttavia, questa visione potrebbe risultare eccessivamente deterministica. È fondamentale interrogarsi se la biopolitica contenga in sé, intrinsecamente, il rischio di degenerare in tanatopolitica, oppure se quest’ultima rappresenti una distorsione o un’applicazione estrema della prima, influenzata da specifici contesti storici e ideologici. Per rispondere a questa domanda, sarebbe utile approfondire le opere di pensatori come Michel Foucault, che ha introdotto il concetto di biopolitica, ma anche autori come Giorgio Agamben e Roberto Esposito, che hanno sviluppato analisi critiche e alternative di questi concetti. Inoltre, un esame più dettagliato di esempi storici diversi dal nazismo potrebbe rivelare una gamma più ampia di esiti e manifestazioni della biopolitica.6. La Svolta Biopolitica: Natura e Politica nell’Era Post-Umanistica
La crisi dell’Umanesimo e la critica di Heidegger
Dopo eventi storici drammatici come Auschwitz e Hiroshima, l’umanesimo entra in crisi. Si dimostra incapace di definire in modo chiaro cosa significhi essere umano. Heidegger critica l’umanesimo perché, a suo parere, ha sempre pensato all’uomo partendo dalla sua natura animale. In questo modo, non è riuscito a elevare l’essenza umana a un livello superiore. Secondo Heidegger, l’elemento che distingue l’uomo dagli animali è il linguaggio, che lo collega alla dimensione dell’essere. Nonostante questa critica, anche il pensiero di Heidegger rimane legato all’idea tradizionale che separa nettamente l’uomo dagli altri esseri viventi, mantenendo una visione antropocentrica simile a quella dell’umanesimo.Darwin, Nietzsche e il superamento dell’antropocentrismo
Darwin e Nietzsche propongono un modo di pensare nuovo, che va oltre l’umanesimo. Darwin studia la natura umana attraverso la biologia, inserendola nella storia delle specie viventi. In questo modo, l’idea di un’essenza umana fissa viene sostituita da una visione biologica più variabile e complessa. Nietzsche radicalizza ulteriormente questa prospettiva, mettendo al centro della filosofia e della politica il concetto di ‘bios’, cioè la vita biologica. Nietzsche apre la strada all’idea di trasformare la natura umana attraverso interventi tecnici. Questo approccio, anche se offre nuove possibilità, presenta anche dei rischi, come la selezione artificiale e l’eugenetica.Totalitarismo e biopolitica: due chiavi di lettura del Novecento
Nel corso del Novecento, per capire la storia, si confrontano due modi di interpretare gli eventi: il totalitarismo e la biopolitica. La lettura in chiave di totalitarismo vede la storia come una successione di fasi, che vanno dalla democrazia ai regimi totalitari, cercando di individuare un’origine comune a questi eventi. La biopolitica, invece, parte dagli eventi concreti, mettendo in discussione l’idea di un’origine unica e lineare della storia. La biopolitica considera soprattutto l’irruzione della vita biologica nella politica. In questa prospettiva, il nazismo non è solo un’ideologia politica, ma un fenomeno che porta la natura nella politica, mettendo al centro del potere la vita biologica stessa.La biopolitica nel liberalismo e le sfide per la democrazia
La biopolitica non scompare con la fine dei regimi totalitari, ma si ripresenta anche all’interno del liberalismo. Anche se il liberalismo sposta la proprietà del corpo dallo Stato al singolo individuo, la vita biologica rimane centrale. La democrazia tradizionale, che si basa su individui astratti e razionali, entra in crisi quando la vita biologica diventa così importante nelle decisioni politiche. La vita del corpo diventa l’elemento fondamentale delle scelte politiche, mettendo in discussione principi democratici come l’uguaglianza e la distinzione tra pubblico e privato, natura e cultura. Oggi, la sfida è pensare a una democrazia biopolitica che agisca per il bene dei corpi. Questo è un compito difficile, che richiede di andare oltre i modi di pensare filosofici e politici del passato.Ma chi stabilisce cosa sia il ‘bene dei corpi’ in una democrazia biopolitica, e con quali criteri, senza scivolare in nuove forme di controllo eugenetico?
Il capitolo si conclude aprendo alla prospettiva di una democrazia biopolitica orientata al “bene dei corpi”. Questa affermazione, pur stimolante, solleva interrogativi cruciali. Definire il “bene dei corpi” non è un’operazione neutra o univoca, ma carica di implicazioni etiche e politiche. Chi avrà l’autorità di stabilire tale bene comune? Con quali parametri e legittimazione? La storia del Novecento, con le sue tragiche esperienze eugenetiche, ci mette in guardia dai rischi di una biopolitica che, pur animata dalle migliori intenzioni, potrebbe sfociare in nuove forme di controllo e normalizzazione dei corpi. Per affrontare queste delicate questioni, è fondamentale approfondire le riflessioni di autori come Foucault, che ha analizzato le dinamiche del biopotere, e di pensatori che si sono confrontati con i dilemmi etici delle biotecnologie e della bioetica. Inoltre, è utile studiare la storia dell’eugenetica e delle politiche demografiche per comprendere appieno le insidie di una gestione politica della vita biologica.Abbiamo riassunto il possibile
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