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Informazioni
“Tempi decisivi. Natura e retorica delle crisi internazionali” di Alessandro Colombo è un libro che ti fa pensare sul serio a cosa significa “crisi” oggi. Non è solo un momento brutto che passa, ma qualcosa di molto più complesso che sembra quasi una condizione normale. Colombo esplora come le crisi non restino confinate dentro i confini di uno Stato, ma si mescolino con le dinamiche delle relazioni internazionali, mostrando quanto sia fragile l’idea di sovranità assoluta. Il bello è che la crisi, anche se fa paura, ha il potere di svelare un sacco di cose nascoste: le vere disuguaglianze, i conflitti di potere che di solito non vediamo, e persino i limiti del nostro modo di capire il mondo. Il libro analizza anche come usiamo il linguaggio per parlare di crisi, a volte per nascondere la verità o per far sembrare che certe decisioni siano inevitabili, magari appellandosi a una finta neutralità economica o tecnica. Colombo ci spiega perché le crisi di oggi, in questo ordine internazionale che sembra un po’ fallire, sono diverse e più difficili da gestire rispetto al passato, e come mettono a nudo le fragilità delle nostre istituzioni e del nostro modo di fare politica. È una lettura che ti apre gli occhi sulla natura profonda delle turbolenze che vediamo intorno a noi, mostrandoti che dietro la retorica c’è una realtà complessa e spesso scomoda.Riassunto Breve
La crisi, che in origine significava un momento decisivo per giudicare e scegliere tra alternative nette, come vita o morte, richiedendo una decisione urgente, oggi è diventata una condizione quasi normale e prolungata. Non è più solo un evento improvviso, ma un processo che mostra la rottura degli equilibri e la difficoltà dell’ordine esistente a tenere il passo con la realtà che cambia. Quando la crisi dura a lungo, sembra agire da sola, senza un soggetto che decide, e questo rende lo stato d’eccezione, che dovrebbe essere temporaneo per affrontare un pericolo, una modalità di governo quasi permanente. La crisi è anche sentita dalle persone, creando incertezza e ansia, e la percezione può variare, portando a negarla o a esagerarla. La decisione che chiude una crisi implica sempre un sacrificio e crea una nuova realtà.Le crisi politiche ed economiche di oggi mostrano che la separazione tra gli affari interni di uno Stato e quelli internazionali è un’idea fragile. Gli Stati non sono isolati, ma sono sempre influenzati dall’esterno e cedono parte della loro sovranità a organismi internazionali o livelli locali. L’ordine interno e quello internazionale dipendono l’uno dall’altro: uno Stato stabile ha bisogno di un minimo di ordine fuori dai suoi confini, e l’ordine internazionale si basa sulla stabilità degli Stati che lo compongono. Le crisi in un ambito si diffondono nell’altro. La struttura interna di uno Stato è influenzata dalla sua posizione nel mondo, e l’ordine internazionale dipende dalla forza degli Stati più potenti. Per questo, gli Stati cercano di influenzare l’ordine internazionale per proteggere il proprio interno, e viceversa. Le crisi mostrano che il rapporto tra interno ed esterno è spesso gerarchico, con gli Stati più forti che limitano la sovranità di quelli più deboli, attraverso accordi o imposizioni. Queste limitazioni riguardano vari aspetti, dalla politica estera all’economia. Gli ordini basati sulla gerarchia sono fragili e la loro crisi si verifica quando la potenza dominante si indebolisce o i subordinati si ribellano, creando un contagio di crisi interne e internazionali.La crisi rompe la normalità e fa vedere le cose come stanno veramente, sia nella società che nelle persone: conflitti nascosti, divisioni e autoinganni. È come un lampo che illumina il centro delle cose. Per alcuni, la crisi, come lo stato d’eccezione, rivela chi ha il vero potere sovrano, cioè chi decide quando le regole non bastano più, mostrando che l’ordine legale non è solo un insieme di norme, ma si basa su una decisione iniziale. Per altri, la crisi economica svela le contraddizioni del sistema, come la lotta tra capitale e lavoro, e l’ideologia che nasconde la realtà, legandosi alla possibilità di cambiamento radicale. La crisi mette alla prova le persone, mostrando chi è sincero. Smaschera l’idea che gli interessi siano sempre in armonia, costringendo a scegliere e sacrificare, rivelando gli scontri fondamentali. Mostra l’origine degli ordini esistenti, che nascono da un atto di forza o conquista, non da norme preesistenti. Svela la mancanza di neutralità, obbligando a mostrare i veri interessi, spesso nascosti dietro ideali, sia dentro gli Stati che tra le potenze che presentano i propri interessi come valori universali. Mette in discussione la comprensione della realtà e le teorie esistenti, introducendo problemi che i modelli attuali non spiegano, spingendo a cercare nuove idee. La crisi influisce sull’identità: può unire contro una minaccia esterna, ma anche peggiorare le divisioni interne, rivelando quanto una comunità sia unita. Colpisce l’idea che lo Stato sia immutabile, mostrando che l’unità politica è artificiale e aprendo a possibilità e idee represse, anche se questo può creare nuove illusioni. La crisi smaschera la finzione di una “comunità internazionale” unita, rivelando chi decide veramente (la potenza dominante) e le differenze tra le grandi potenze. Mette alla prova le istituzioni internazionali e le alleanze, mostrando la loro vera coesione. Le organizzazioni economiche e ambientali faticano perché i paesi pensano ai propri interessi. La crisi evidenzia le differenze di potere tra gli attori, mostrando che l’interdipendenza non è uguale per tutti e i più forti possono usarla a loro vantaggio. Nei processi di unione, la crisi aumenta le gerarchie di potere. Smaschera le disuguaglianze sociali dentro gli Stati, mostrando chi ha il potere e chi è più vulnerabile, rivelando che l’assetto attuale è il risultato di lotte e pressioni, non di concessioni. Infine, la crisi mette alla prova le istituzioni politiche, interne e internazionali, mostrando i loro limiti e la loro capacità di decidere. Richiede di imparare dalla crisi, ma le resistenze rendono questo difficile. Sfida la legittimità delle istituzioni, rivelando quanto le persone credano in esse quando è richiesto un sacrificio, come si è visto con l’Unione Europea, la cui legittimità si è basata più sui benefici attesi che su un senso di appartenenza.La crisi rivela divisioni e alternative, ma spinge anche a nascondere queste verità. C’è chi vede la crisi solo come un’opportunità di crescita, ignorando i possibili esiti negativi. Spesso, la prima reazione è negarla, per paura di decidere o per l’incapacità delle organizzazioni di riconoscere ciò che non si aspettano. Anche il linguaggio può impedire di vedere la crisi se le parole non sono adatte. Quando la crisi è riconosciuta, si usano idee e linguaggi vecchi, come metafore e analogie storiche, per capire il nuovo con il vecchio, semplificando e giustificando le scelte. Queste non sono neutre, ma guidano la comprensione e le azioni possibili. Usare la metafora della “guerra” per una crisi economica, ad esempio, spinge alla mobilitazione ma nasconde la sua natura politica. Le analogie storiche vengono usate per giustificare scelte presenti basandosi sul passato, spesso in modo troppo semplice. L’uso forzato del linguaggio esistente lo svuota, portando a frasi fatte, a usare vecchie parole rivoluzionarie senza significato, a rifiutare il linguaggio dominante o a rinunciare a parlare. Un modo per affrontare la crisi è appellarsi a qualcosa di neutrale, visto come oggettivo e superiore alle divisioni, per nascondere i conflitti e la responsabilità delle decisioni. Essere neutrali significa accettare l’ordine esistente, mettersi al di sopra della politica e presentare le decisioni come dettate da esperti o da necessità oggettive, non da scelte basate su valori. Questo approccio si concentra sui “fatti” e sull’efficienza, evitando domande sulle cause o sulla giustizia. Il terreno considerato neutrale è cambiato nel tempo, dalla religione alla politica e oggi all’economia. Gli esperti economici presentano le loro decisioni come inevitabili, dettate dal mercato o da accordi internazionali, sottraendole al dibattito politico. Questo modo di presentare le decisioni come necessità oggettive riduce l’importanza dell’azione politica.Le crisi di oggi sono diverse da quelle passate; non sono necessariamente peggiori, ma sfuggono al controllo delle istituzioni e dei linguaggi. Le crisi passate rientravano in un quadro di conflitto noto, con nemici chiari e minacce gestibili. Oggi non c’è un unico conflitto globale, e ogni area ha i suoi problemi. Molte crisi nascono dai successi del sistema stesso, come il cambiamento climatico dall’industria o le crisi finanziarie dal mercato senza controlli. È difficile prevedere e controllare le minacce. Viviamo in una “società del rischio” dove gli effetti imprevisti delle nostre azioni si moltiplicano e l’incertezza non si può calcolare. La crisi sembra sempre imminente. La crisi si manifesta sia come evento improvviso che richiede decisioni rapide e porta a stati di eccezione, sia come processo lento che indica problemi profondi nel sistema. Queste due forme sono legate. Gli eventi critici di breve durata, come l’11 settembre o la crisi finanziaria del 2008, richiedono risposte immediate, ma rivelano anche la crisi di lungo periodo: le istituzioni faticano a decidere e a giustificare le decisioni. Questo dipende dal crollo dell’ordine moderno basato sulla centralità dell’Occidente e dello Stato, che non riesce più a distinguere chiaramente interno ed esterno. L’ordine internazionale nato dopo la Guerra Fredda doveva prevenire le crisi, basato su una gerarchia guidata dagli Stati Uniti e su valori come democrazia e mercato. Questo ordine usava le crisi per rafforzarsi e trasformava la loro gestione in una pratica normale. Ma questo meccanismo si è bloccato. Il fallimento di interventi militari ha mostrato i limiti di questo ordine. La gerarchia si è complicata con l’ascesa di nuovi paesi, gli Stati Uniti stessi sono diventati causa di crisi, e l’idea di esportare democrazia ha spesso portato al fallimento degli Stati. Le crisi non rafforzano più l’integrazione, ma mostrano che il sistema non funziona. Le crisi interne e internazionali si contagiano. La crisi attuale rivela anche il fallimento dell’idea che la politica sia solo buona amministrazione, senza scontri di valori. Quando l’efficienza promessa non c’è, manca la legittimità. I cittadini perdono fiducia e la politica si chiude in élite tecniche che rispondono a logiche globali, mentre i parlamenti si indeboliscono. Infine, la crisi si vede nel linguaggio. Concetti vecchi vengono usati per una realtà nuova, diventando “concetti-zombie”. Il linguaggio dominante non riconosce i problemi o li include in modo superficiale. Non ci sono linguaggi politici capaci di esprimere i conflitti attuali in modo efficace o che possano circolare globalmente. Anche quando si cerca un nemico, si sbaglia. Questa mancanza di linguaggi adatti e la crisi di legittimità delle istituzioni portano a proteste senza forma o a una rinuncia a partecipare alla politica. Le crisi attuali mostrano le fragilità degli equilibri e dei linguaggi esistenti, senza offrire alternative chiare.Riassunto Lungo
1. La Crisi: Dal Giudizio alla Condizione Permanente
L’origine del termine “crisi” è greca e porta con sé il significato di separare, decidere, giudicare. Inizialmente, si riferisce a un momento cruciale, un bivio che presenta alternative nette come la vita o la morte, la vittoria o la sconfitta. Questo momento richiede una scelta rapida e urgente, da prendere entro un limite di tempo preciso. Questo senso stretto si ritrova in contesti specifici come la medicina, il diritto e la strategia militare, dove una crisi è un evento grave che minaccia valori fondamentali.Il Senso Esteso e la Durata
Con il passare del tempo, l’uso della parola “crisi” si è allargato enormemente, diventando una condizione quasi costante nel dibattito pubblico. La crisi non è più vista solo come un evento improvviso e acuto, ma come un processo che si sviluppa nel lungo periodo. Segnala una rottura degli equilibri esistenti e una mancanza di allineamento tra l’ordine stabilito e la realtà che continua a cambiare. In questa visione più ampia, gli eventi specifici che accadono diventano semplicemente segnali di una crisi più profonda e difficile da definire.Crisi Permanente e Stato d’Eccezione
Quando la crisi è percepita come una condizione che si prolunga indefinitamente, si perde l’idea che ci sia un soggetto chiaro che prende una decisione per risolverla. La crisi stessa sembra quasi agire come una forza che non dipende da nessuno in particolare. Questa estensione nel tempo della crisi ha un impatto diretto sul concetto di stato d’eccezione, che normalmente è una sospensione temporanea delle regole ordinarie per affrontare un pericolo imminente. Se la crisi diventa permanente, anche lo stato d’eccezione tende a perdere il suo carattere transitorio e a diventare una modalità di governo quasi normale.La Percezione Individuale e la Decisione Finale
La crisi ha anche un forte aspetto legato alla percezione. È sentita e vissuta dagli individui e dai gruppi, generando sentimenti di incertezza e angoscia. La percezione può variare notevolmente da persona a persona o da gruppo a gruppo, portando a volte a non riconoscere la crisi in atto o, al contrario, a dichiararla in modo esagerato o persino a crearla artificialmente. La decisione che, nel senso originario, conclude la crisi, implica sempre una scelta che comporta la rinuncia ad altre possibilità e la creazione di una nuova realtà.Se la crisi diventa una “forza” che agisce senza un soggetto chiaro che decide, non stiamo forse semplicemente reificando un problema complesso per evitare di identificare le responsabilità politiche ed economiche?
Il capitolo descrive efficacemente l’evoluzione del concetto di crisi da evento puntuale a condizione permanente, ma la descrizione di questa condizione come una forza quasi autonoma rischia di oscurare le dinamiche sottostanti e gli attori (o le strutture) che contribuiscono a mantenerla o ad aggravarla. Per comprendere meglio come un concetto possa trasformarsi in una “forza” percepita e quali siano le implicazioni politiche di una crisi che non trova risoluzione, potrebbe essere utile approfondire gli studi sulla teoria critica e sul rapporto tra potere e linguaggio. Autori come Michel Foucault e Giorgio Agamben offrono strumenti concettuali per analizzare come certe narrazioni o stati (come lo stato d’eccezione) vengano costruiti e mantenuti, e come la percezione della realtà sia plasmata da discorsi dominanti.2. La Crisi che Confonde i Confini tra Stati
Le crisi politiche ed economiche rendono meno netta la distinzione tra l’ordine interno di uno Stato e l’ordine internazionale. Questa separazione è un’idea moderna, legata al concetto di sovranità, che nella realtà è spesso una finzione. Gli Stati, infatti, non sono entità isolate, ma subiscono sempre l’influenza di ciò che accade fuori dai loro confini.L’illusione della separazione
È difficile tracciare confini precisi tra ciò che è “dentro” e ciò che è “fuori” uno Stato. Questo vale soprattutto per gli Stati nati di recente o in epoche passate, ma anche gli Stati più solidi sono vulnerabili alle influenze esterne, come quelle economiche. Per questo, gli Stati cedono quote della loro sovranità sia verso l’alto, aderendo a organizzazioni internazionali, sia verso il basso, riconoscendo poteri a livelli sub-statali.L’interdipendenza tra ordini
L’ordine interno e quello internazionale dipendono l’uno dall’altro. L’organizzazione interna di uno Stato ha bisogno di un minimo di stabilità internazionale per esistere, e l’ordine internazionale funziona meglio se gli Stati che ne fanno parte sono internamente stabili. Quando c’è una crisi in uno di questi ambiti, questa si ripercuote inevitabilmente sull’altro. Inoltre, la struttura interna di uno Stato, sia politica che economica, è influenzata dalla sua posizione nel sistema internazionale. Allo stesso modo, l’ordine internazionale dipende dalla situazione interna degli Stati, specialmente quelli più potenti. Questa influenza reciproca fa sì che gli Stati non restino indifferenti agli affari interni degli altri e cerchino di influenzare l’ordine internazionale per proteggere la propria organizzazione interna, o viceversa. Questo si vede nella storia attraverso il diritto di intervento di uno Stato negli affari altrui e nelle reazioni collettive contro gli Stati visti come una minaccia all’ordine esistente.La realtà gerarchica e le sue crisi
Le crisi mostrano che il rapporto tra ordine interno e internazionale è spesso basato su una gerarchia. Gli Stati più forti mettono limiti alla sovranità di quelli più deboli. Queste limitazioni possono nascere da accordi, che a volte non sono equi, come alleanze o prestiti, oppure possono essere imposte dopo una sconfitta o in cambio di un riconoscimento. Queste limitazioni possono riguardare vari aspetti: la politica estera, le leggi interne, i rapporti con i propri cittadini, l’economia e persino la scelta dei governanti o del capo dello Stato. Gli ordini basati su una gerarchia sono per loro natura fragili. La loro crisi arriva quando la potenza dominante non ha più la capacità, la necessità o la volontà di mantenere l’ordine, oppure quando gli Stati subordinati iniziano a opporsi alla loro posizione. La crisi di un ordine gerarchico, che sia a livello globale o regionale, si diffonde come un contagio, coinvolgendo sia il sistema internazionale che la situazione interna degli Stati che ne fanno parte.Ma se la sovranità è una finzione e l’ordine è gerarchico, cosa distingue realmente uno Stato da un’entità subordinata o da un’area di influenza?
Questo capitolo mette giustamente in crisi l’idea di una netta separazione tra interno ed esterno, sottolineando come la sovranità sia spesso limitata dalla realtà gerarchica del sistema internazionale. Tuttavia, questa enfasi sulla gerarchia e sulla limitazione della sovranità, pur pertinente, rischia di rendere sfumato il concetto stesso di Stato come attore distinto. Se gli Stati più deboli vedono la loro politica estera, interna ed economica dettata o fortemente influenzata da potenze superiori, qual è il criterio che ancora li definisce “Stati” e non, ad esempio, protettorati o entità subalterne? Per approfondire questa distinzione e comprendere meglio i diversi gradi di autonomia e le forme di dipendenza, è utile esplorare gli studi di diritto internazionale e di teoria dello Stato, confrontando le definizioni legali con la realtà delle relazioni di potere descritte nel capitolo.3. La Crisi Svela le Verità Nascoste
La crisi rompe la normalità quotidiana e porta alla luce ciò che di solito rimane nascosto nella società e nelle persone. Rivelando conflitti, divisioni profonde e gli autoinganni che riguardano la nostra identità e i nostri interessi, la crisi illumina il cuore delle cose come un lampo improvviso.Il Potere Reale e le Origini degli Ordini
La crisi, vista come uno stato d’eccezione, mostra chi detiene veramente il potere decisionale, ovvero chi può sospendere le regole quando la situazione lo richiede. Questo fa capire che l’ordine legale non è un sistema perfetto e autonomo, ma si basa su una decisione fondamentale che crea la condizione di normalità necessaria perché le leggi possano essere applicate. Anche le crisi economiche svelano le contraddizioni del sistema capitalistico, come il contrasto tra capitale e lavoro o tra merce e denaro. Mettono in evidenza il conflitto tra le diverse classi sociali e illuminano le ideologie che cercano di nascondere questi rapporti reali. Per questo, la crisi è strettamente legata alla possibilità di un cambiamento radicale. La crisi svela anche come sono nati gli ordini esistenti. Mostra che dietro l’idea che sistemi politici, economici o legali siano autosufficienti, c’è sempre un atto di appropriazione o conquista iniziale, che non si basa su regole preesistenti. Questo concetto è presente nell’idea di nomos, che significa prima prendere possesso e poi dividere.Interessi Nascosti e Mancanza di Neutralità
Molte finzioni vengono smascherate dalla crisi. Una di queste è l’idea che gli interessi siano sempre in armonia. Nei momenti di normalità sembra che sia possibile mettere d’accordo tutto, ma la crisi obbliga a fare scelte difficili e a rinunciare a qualcosa, rivelando così i contrasti fondamentali che esistono. Un’altra finzione che viene smascherata è la neutralità. La crisi costringe le persone e i gruppi a mostrare quali sono i loro veri interessi, che spesso erano nascosti dietro ideali apparentemente universali. Questo succede sia all’interno di un paese, come si vide con i partiti francesi nel 1848, sia a livello internazionale, dove le potenze dominanti presentano i propri interessi come valori validi per tutti, come notato da Edward Carr.Individui, Gruppi e Identità Sotto Pressione
La crisi è una prova per le persone, capace di mostrare chi è sincero e chi è ipocrita, portando alla luce qualità e difetti altrimenti sconosciuti. Se una minaccia esterna può rafforzare l’unità interna di un gruppo o di una persona (“stringersi attorno alla bandiera”), può anche peggiorare le divisioni che già esistono, portando a rotture definitive. La crisi misura quanto le comunità politiche siano unite, rivelando se riescono a tenere insieme interessi diversi sotto un obiettivo comune. La Prima Guerra Mondiale, per esempio, mise a nudo le fratture sociali e l’unità nazionale solo apparente in alcuni Stati. La crisi colpisce anche l’idea che lo Stato sia immutabile (status). Rende evidente che l’unità politica è stata costruita artificialmente e apre la strada a possibilità diverse, discorsi e identità che prima erano state messe a tacere. Questo mescolarsi della realtà può però anche portare alla creazione di nuove finzioni, come la ricerca di un’autenticità che non esiste.I Limiti della Conoscenza e Nuovi Modi di Vedere
La crisi mette in discussione anche quanto la realtà sia trasparente e se i modi in cui la capiamo siano validi. Introduce fatti strani (anomalie) che i modelli di conoscenza attuali non riescono a spiegare, creando disagio e spingendo a cercare nuove teorie. Questo processo, simile alle rivoluzioni scientifiche, mostra i limiti di ciò che sappiamo e apre nuove possibilità di interpretazione.Le Relazioni Internazionali Rivelate dalla Crisi
Anche la “comunità internazionale”, soprattutto dopo i grandi conflitti, si presenta come un’entità con interessi e valori superiori a quelli dei singoli Stati. La crisi smaschera questa finzione, rivelando chi prende davvero le decisioni (la potenza più forte) e le differenze che non possono essere risolte tra le grandi potenze. Le crisi dopo la Guerra Fredda hanno mostrato quanto fosse fragile questa presunta comunità e quanto gli interessi nazionali divergenti continuino a esistere. Le crisi mettono alla prova anche le istituzioni internazionali e le alleanze, mostrando quanto siano realmente unite. Le alleanze militari spesso si sciolgono nel momento in cui serve prendere una decisione difficile. Le organizzazioni che si occupano di economia o ambiente fanno fatica a gestire problemi comuni perché i paesi membri mettono al primo posto i propri interessi nazionali, come si è visto con la crisi petrolifera del 1973 e la crisi finanziaria del 2008. La crisi evidenzia le differenze di potere tra i vari attori. Smaschera l’illusione che tutti dipendano l’uno dall’altro in modo equilibrato, mostrando come alcuni Stati siano più fragili di altri e come i più forti possano usare questa dipendenza a proprio vantaggio. La crisi petrolifera del 1973 rivelò quanto l’Europa e il Giappone dipendessero dal petrolio e come gli Stati Uniti riuscissero a trasformare questa vulnerabilità in un punto di forza strategico. Nei processi di integrazione, la crisi aumenta le differenze di potere. Nelle istituzioni politiche e internazionali, porta a concentrare il potere e a rafforzare i membri più forti, come è successo nell’Alleanza Atlantica o nell’Unione Europea durante la crisi del debito. La crisi del 2007-2008 ha reso evidenti le grandi disuguaglianze tra i paesi membri dell’UE.Le Disuguaglianze Sociali Emergono
La crisi smaschera anche le disuguaglianze sociali all’interno degli Stati, mostrando concretamente chi ha il potere e chi è più vulnerabile. La crisi del 2007-2008 ha reso innegabile l’aumento delle differenze di reddito e la minore possibilità di migliorare la propria posizione sociale negli ultimi decenni. Questi fenomeni sono legati a fattori economici come la globalizzazione e la crescita della finanza, ma anche a precise scelte politiche. Questa rivelazione mostra che l’organizzazione attuale della società è il risultato di equilibri di potere e pressioni, non di concessioni fatte senza un secondo fine.La Prova delle Istituzioni e della Loro Legittimità
Infine, la crisi è un banco di prova per le istituzioni politiche, sia quelle interne ai paesi che quelle internazionali. Mette in luce i loro ritardi e la loro rigidità, sfidandole sulla loro efficienza e sulla capacità di prendere decisioni rapide e giuste. Richiede di imparare durante la crisi e dalle lezioni che essa offre, ma le abitudini e le resistenze rendono questo apprendimento difficile. La crisi mette in discussione anche quanto le istituzioni siano considerate legittime, rivelando il grado di lealtà dei membri. Quando l’obbedienza richiede sacrifici, si vede se la fiducia nella legittimità è sufficiente a compensare la mancanza di vantaggi o protezione. Questo vale per gli Stati, per le grandi potenze che stanno perdendo influenza, e per le istituzioni internazionali come l’Unione Europea, la cui legittimità si è rivelata basata più sull’attesa di benefici che su un profondo senso di appartenenza.Ma se la “neutralità” economica è solo un velo per nascondere le scelte politiche, quali sono i veri limiti e le reali necessità che la politica deve affrontare in una crisi, al di là delle presunte “leggi” del mercato?
Il capitolo critica efficacemente l’uso della “neutralità” economica come strumento per sottrarre le decisioni al dibattito politico, presentandole come inevitabili necessità tecniche. Tuttavia, nel denunciare questo “velo”, il capitolo rischia di non esplorare a sufficienza se esistano, e quali siano, i vincoli oggettivi o le complesse interdipendenze economiche che effettivamente limitano il margine di manovra della politica in una crisi. Per approfondire questa tensione tra scelta politica e presunta necessità economica, sarebbe utile esplorare la disciplina dell’economia politica e leggere autori che hanno analizzato il rapporto tra potere, istituzioni e mercati, mettendo in discussione la presunta neutralità delle leggi economiche.5. L’epoca della crisi incombente e l’ordine che fallisce
Le crisi che affrontiamo oggi sono diverse da quelle del passato, come la Guerra Fredda. Non è detto che siano più numerose o più gravi, ma sembrano sfuggire al controllo delle istituzioni e dei modi in cui le descriviamo. Le crisi di un tempo, invece, si inserivano in un conflitto ben definito, con alleati e nemici chiari, e le minacce potevano essere misurate e gestite.La natura delle crisi attuali
Oggi non esiste un unico grande conflitto che tenga insieme le diverse parti del mondo; ogni area ha i suoi problemi e i suoi protagonisti. Molte crisi nascono proprio dai successi del nostro sistema: ad esempio, il cambiamento climatico è una conseguenza dell’industrializzazione, mentre le crisi finanziarie derivano da un mercato libero senza adeguati controlli statali. Questo rende difficile prevedere e controllare le minacce. Viviamo in quella che viene definita una “società del rischio”, dove le conseguenze impreviste delle nostre azioni si moltiplicano e l’incertezza non può essere calcolata. La sensazione è che la crisi sia sempre alle porte.Le forme della crisi
La crisi si manifesta in due modi principali. Può presentarsi come un evento improvviso che richiede decisioni rapide e urgenti, portando a situazioni eccezionali. Oppure può essere un processo lento che rivela problemi strutturali profondi nel sistema. Queste due forme spesso coesistono e si influenzano a vicenda. Eventi critici di breve durata, come l’attacco dell’11 settembre o la crisi finanziaria del 2008, richiedono una reazione immediata, ma allo stesso tempo mettono in luce la crisi di lungo periodo: le istituzioni faticano a prendere decisioni efficaci e a giustificarle. Questo accade perché l’ordine moderno, basato sulla centralità dell’Occidente e dello Stato, è in declino e non riesce più a distinguere chiaramente cosa è “dentro” e cosa è “fuori” dai suoi confini.Il fallimento dell’ordine post-Guerra Fredda
L’ordine internazionale stabilito dopo la Guerra Fredda era stato pensato proprio per prevenire le crisi. Si basava su una struttura gerarchica guidata dagli Stati Uniti, estesa a livello globale e fondata su valori come la democrazia e il libero mercato. Questo sistema cercava di usare le crisi per rafforzare la propria autorità e trasformava la gestione delle emergenze in una pratica quasi normale, perdendo il suo carattere eccezionale.Perché l’ordine non funziona più
Tuttavia, questo meccanismo si è inceppato. Il fallimento di interventi militari, come quello in Iraq, ha mostrato i limiti di questo ordine. La struttura gerarchica si è complicata con l’emergere di nuove potenze mondiali. Gli stessi Stati Uniti sono diventati una fonte di crisi, come dimostra la crisi finanziaria del 2007. Inoltre, il tentativo di diffondere la democrazia ha spesso portato al fallimento degli Stati in cui è stato imposto. Di conseguenza, le crisi non servono più a rafforzare l’integrazione globale, ma evidenziano l’inefficacia del sistema. Le crisi che scoppiano all’interno di un paese e quelle internazionali si influenzano a vicenda, creando un effetto contagio.La crisi di legittimità e la politica
La crisi attuale rivela anche il fallimento dell’idea che la politica sia semplicemente una buona gestione, priva di conflitti basati sui valori. Quando l’efficienza promessa non si materializza, emerge una mancanza di legittimità. I cittadini perdono fiducia nelle istituzioni. La politica tende a chiudersi in gruppi ristretti di esperti che rispondono a logiche globali, mentre gli organi che dovrebbero rappresentare i cittadini, come i parlamenti, si indeboliscono.La crisi del linguaggio
Infine, la crisi si manifesta nel modo in cui parliamo e pensiamo. Concetti nati in passato vengono usati per descrivere una realtà completamente nuova, diventando come “concetti-zombie”, privi di vera vitalità. Il linguaggio dominante fa fatica a riconoscere i problemi reali o cerca di integrarli in modo superficiale. Mancano linguaggi politici capaci di esprimere i conflitti di oggi in modo efficace o che possano essere compresi in tutto il mondo. Anche quando si cerca un nemico da incolpare, spesso si sbaglia bersaglio. Questa mancanza di parole adeguate e la crisi di fiducia nelle istituzioni portano a forme di protesta confuse o a un disinteresse generale per la partecipazione politica. Le crisi di oggi mettono a nudo le fragilità degli equilibri e dei linguaggi che abbiamo, senza però indicare chiaramente quali alternative siano possibili.Ma è proprio il fallimento dell’ordine post-Guerra Fredda e la crisi del linguaggio a rendere le crisi attuali incontrollabili, o il capitolo trascura altre cause strutturali ben più profonde?
Il capitolo offre una lucida descrizione del declino dell’ordine post-Guerra Fredda e dell’inadeguatezza del linguaggio nel cogliere la natura delle crisi attuali. Tuttavia, concentrarsi prevalentemente su questi aspetti rischia di non esplorare a sufficienza le dinamiche strutturali di fondo che potrebbero essere i veri motori della crisi globale, indipendentemente dal successo o fallimento di un particolare ordine geopolitico o dalla disponibilità di un vocabolario adeguato. Per approfondire, sarebbe utile esplorare le analisi sull’economia politica globale, le trasformazioni sociali profonde e le dinamiche di potere a lungo termine. Autori come David Harvey, Saskia Sassen o Zygmunt Bauman possono offrire prospettive complementari sulle radici sistemiche della crisi contemporanea.Abbiamo riassunto il possibile
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