1X
🔊 100%
Contenuti del libro
Informazioni
“Tempesta. La vita di Giacomo Matteotti” di Antonio Funiciello ti porta dentro la storia di un uomo che ha lottato con una forza incredibile contro il fascismo nascente. Il libro, basato su fatti concreti, esplora la vita di Giacomo Matteotti, partendo dalle sue radici nel Polesine, una terra segnata dalla miseria dove ha iniziato la sua attività politica e sindacale. Scoprirai il suo socialismo riformista, un approccio pragmatico basato sulla difesa dello stato di diritto e sulla lotta per migliorare davvero la vita dei lavoratori, lontano dalle rivoluzioni violente. Vedrai come Matteotti, un leader radicato nel territorio e nel Partito Socialista Unitario (PSU), abbia sfidato apertamente la viltà fascista, denunciando le violenze squadriste e la complicità del governo, anche in Parlamento. Il libro racconta anche i suoi scontri ideologici, come quello storico con Benito Mussolini ad Ancona, e la sua visione lucida che vedeva fascismo e comunismo come due facce della stessa medaglia autoritaria. Non è solo la storia di un martire solitario, come a volte è stato raccontato, ma quella di un politico determinato, inserito nel suo tempo, che ha difeso la democrazia fino all’ultimo, un tema centrale che risuona ancora oggi.Riassunto Breve
Giacomo Matteotti proviene da una famiglia ricca del Polesine, dove il padre è un commerciante che investe in terre e prestiti, e la madre gestisce il patrimonio permettendogli di dedicarsi alla politica. La ricchezza familiare diventa un pretesto per attacchi politici contro di lui, nonostante il suo impegno per i lavoratori. La sua formazione è influenzata dal fratello maggiore Matteo, economista riformista. Matteotti si lega a Velia Titta, un rapporto personale non politico. Contrariamente a un’immagine diffusa di uomo solitario e impopolare, Matteotti è molto radicato nel suo territorio, vince elezioni ed è una figura di spicco nel Partito Socialista, diventando poi segretario del Partito Socialista Unitario. La sua lotta non è isolata, ma parte di un fronte antifascista più ampio. Nel Polesine, una regione povera e colpita dall’emigrazione, Matteotti agisce come dirigente sindacale e amministratore locale. Organizza leghe di braccianti e promuove un patto agrario provinciale nel 1920 che migliora le condizioni di lavoro. Questo patto provoca la reazione dei proprietari terrieri, che finanziano squadre fasciste. Matteotti subisce violenze, come il sequestro del 1921, e deve allontanarsi dal Polesine. Già nel 1914, al congresso socialista di Ancona, si scontra con Mussolini sulla massoneria, opponendosi a metodi autoritari. Il suo riformismo si basa sull’accettazione delle regole dello Stato liberale per raggiungere obiettivi socialisti, con un approccio concreto e basato sui fatti, come dimostrano i suoi studi e le sue denunce parlamentari. Matteotti difende lo Stato di diritto e le libertà individuali, vedendo nel fascismo un attacco alla legalità e alle conquiste dei lavoratori. Denuncia la viltà degli squadristi che agiscono in gruppo contro disarmati e la complicità del governo. L’antifascismo di Matteotti è una difesa legale della democrazia. A differenza di massimalisti e comunisti che vogliono rovesciare lo Stato liberale, Matteotti lo difende come argine alla violenza. L’anticomunismo è centrale nel suo pensiero; considera comunisti e fascisti nemici della democrazia, entrambi basati sulla violenza e la dittatura. Dopo l’espulsione dei riformisti dal PSI, fonda il PSU con Turati, promuovendo il metodo democratico e rifiutando la violenza rivoluzionaria. Il PSU si oppone al fascismo in Parlamento, in particolare alla legge Acerbo. Matteotti vede fascismo e comunismo come sistemi oligarchici violenti che si alimentano a vicenda. La lotta contro il fascismo, per lui, deve essere in nome della libertà e della democrazia, non di un’altra dittatura. Questa posizione guida il PSU nelle elezioni del 1924. Il suo pensiero lega giustizia e libertà e anticipa posizioni socialdemocratiche. La sua eredità antifascista è riconosciuta nella Costituzione, ma il suo socialismo riformista non trova piena continuità nel dopoguerra.Riassunto Lungo
1. Matteotti, i fatti e la viltà fascista
Un momento significativo nella storia politica italiana è lo scontro tra Giacomo Matteotti e Benito Mussolini avvenuto nel 1914. Durante il congresso socialista di Ancona, i due leader si confrontarono sulla questione della massoneria. Era un tema dibattuto se i socialisti potessero contemporaneamente far parte della massoneria. Molti socialisti erano massoni, ma Matteotti sosteneva che la doppia appartenenza fosse incompatibile con i principi del partito. Tuttavia, si oppose con forza alla proposta di Mussolini di espellere i massoni, vedendola come una “lista di proscrizione” e un metodo autoritario. Mussolini, appoggiato dalla maggioranza massimalista, riuscì a far passare la sua linea, segnando un primo, importante distacco tra la posizione riformista e garantista di Matteotti e l’approccio autoritario di Mussolini.Le denunce in Parlamento
Anni dopo, nel marzo 1921, Matteotti si trovò nuovamente in prima linea contro la crescente violenza fascista. Il 10 marzo 1921, intervenne in Parlamento per denunciare apertamente le aggressioni che avvenivano nel Polesine. Descrisse con precisione una serie di fatti gravi: aggressioni notturne, sequestri di persone, bastonature e persino omicidi di contadini e capi lega. Sottolineò la chiara complicità dei proprietari terrieri locali con i fascisti. Criticò l’inefficacia del governo Giolitti, che sembrava rispondere alle spedizioni punitive solo con leggere multe. Matteotti insisteva sulla necessità di conoscere a fondo questi episodi di violenza per poter difendere lo Stato di diritto. Capire i fatti era fondamentale per contrastare l’avanzata del fascismo.Il primo sequestro
Solo due giorni dopo il suo discorso in Parlamento, il 12 marzo 1921, Giacomo Matteotti subì personalmente la violenza che aveva denunciato. Fu sequestrato a Castelguglielmo, in provincia di Rovigo, su iniziativa dei proprietari terrieri e con l’azione diretta dei fascisti. Lo scopo era chiaro: impedirgli di continuare la sua attività politica nel Polesine. Nonostante fosse un deputato, le forze dell’ordine presenti, i gendarmi, non intervennero per proteggerlo. Matteotti fu rilasciato dopo diverse ore. Dopo l’accaduto, si rifiutò di raccontare pubblicamente le violenze subite, smentendo in particolare le voci di sevizie sessuali. Per prudenza, rispettò il divieto imposto e si allontanò dal Polesine, pur continuando la sua attività politica in altre aree. La sua famiglia, nel frattempo, subì ulteriori intimidazioni e aggressioni.La caratteristica della viltà
Le azioni squadriste, come quelle subite da Matteotti e denunciate in Parlamento, rivelano una caratteristica fondamentale del fascismo: la viltà. Questa non era un tratto occasionale, ma una costante del movimento. Gli squadristi agivano quasi sempre in gruppo, scegliendo come bersaglio individui isolati o disarmati. Era un modo per imporre la propria forza attraverso la prevaricazione e l’intimidazione, evitando lo scontro alla parità. Questa tattica basata sulla superiorità numerica e sull’aggressione a sorpresa si mantenne come metodo distintivo del fascismo per tutto il Ventennio. La viltà non era solo un aspetto delle azioni violente, ma un elemento intrinseco della mentalità e della strategia fascista.Davvero il dibattito sulla massoneria del 1914 ci spiega la “viltà” fascista del 1921?
Il capitolo presenta una sequenza di eventi che coinvolgono Matteotti e l’ascesa del fascismo, ma il legame argomentativo tra il contrasto del 1914 sulla massoneria e le violenze squadriste del 1921, definite come espressione di “viltà”, non è pienamente esplicitato. Per comprendere meglio la transizione di Mussolini dal socialismo all’autoritarismo fascista e la natura della violenza squadrista, è necessario approfondire il contesto storico e ideologico di quegli anni. Si suggerisce di consultare opere di storici del fascismo come Renzo De Felice, Emilio Gentile o Paul Corner, che analizzano l’evoluzione del movimento fascista e le sue caratteristiche.2. Matteotti: Il Riformista Oltre il Mito Solitario
Giacomo Matteotti fu un leader politico radicato nel suo territorio e molto popolare, smentendo l’idea di un uomo solitario ed estraneo al socialismo italiano. Vinse numerose elezioni a livello locale e nazionale e ricoprì ruoli di primo piano nel Partito Socialista, diventando segretario del Partito Socialista Unitario. La sua lotta contro il fascismo non fu un’azione isolata, ma si inserì in un fronte di opposizione più ampio che includeva diverse forze politiche. L’idea che solo lui avesse compreso la minaccia fascista ha contribuito a creare un mito che, involontariamente, minimizza il ruolo di altri antifascisti e può far dimenticare chi non si oppose per tempo. Matteotti fu un riformista determinato, capace di grande fermezza verso avversari e compagni esitanti, dimostrando di essere una figura politica centrale e inserita nel contesto del suo tempo, non un eretico isolato.Le Origini e l’Influenza Familiare
Cresciuto in una famiglia benestante del Polesine, Giacomo fu profondamente influenzato dal fratello maggiore, Matteo. Matteo studiò economia e pubblicò un importante libro sull’assicurazione contro la disoccupazione, proponendo soluzioni basate su studi europei e un approccio riformista che segnò la formazione intellettuale di Giacomo. La morte prematura di Matteo nel 1909 fu un duro colpo per Giacomo.La Ricchezza e gli Attacchi Politici
La fortuna della famiglia Matteotti proveniva dall’attività commerciale del padre Girolamo, che ampliò un negozio e investì in terreni e immobili dopo l’Unità d’Italia. Girolamo praticava anche prestiti con ipoteca, un’attività che gli attirò accuse di usura. Questa ricchezza familiare divenne un pretesto per attacchi politici contro Giacomo, nonostante egli dedicasse la sua vita all’impegno socialista e alla difesa dei lavoratori. La madre Isabella gestì con capacità il patrimonio dopo la morte del marito, permettendo a Giacomo di dedicarsi completamente alla politica.La Vita Personale
Nella sua vita privata, Giacomo ebbe un legame intenso con la moglie Velia Titta. Il loro rapporto era basato sull’affetto e sulla condivisione della vita quotidiana, ma non aveva connotazioni politiche, dato che Velia era cattolica e moderata. Contrariamente a un’immagine diffusa di uomo austero, Giacomo amava la vita, la famiglia, la cultura e l’attività fisica, mostrando un lato umano e vitale che completava la sua figura pubblica.Se Matteotti non era un “eretico isolato”, come si concilia la sua “fermezza verso compagni esitanti” con l’idea di un leader pienamente inserito nel suo contesto politico?
Il capitolo giustamente smonta il mito di un Matteotti solitario e avulso dal suo partito e dal suo tempo, sottolineando la sua popolarità e il suo radicamento. Tuttavia, l’affermazione della sua “grande fermezza verso avversari e compagni esitanti” introduce un elemento di potenziale contraddizione logica. Se vi erano “compagni esitanti” all’interno del Partito Socialista o del Partito Socialista Unitario di fronte alla minaccia fascista, ciò non implica forse una forma di isolamento politico di Matteotti proprio sulla questione cruciale della strategia antifascista, anche se non un isolamento personale o territoriale? Per comprendere meglio questa dinamica interna al socialismo italiano e le ragioni delle esitazioni o delle diverse valutazioni sulla gravità del fascismo, è fondamentale approfondire la storia dei partiti socialisti nel primo dopoguerra e le loro complesse posizioni politiche. Utile a tal fine è lo studio di autori che hanno analizzato la crisi del movimento operaio e socialista in quegli anni, come Paolo Spriano o Denis Mack Smith.3. La Via Riformista contro la Miseria e il Fascismo
La regione del Polesine viveva in condizioni di grande povertà, con molte persone che non sapevano leggere né scrivere. Eventi tragici come l’alluvione del 1882 e una forte emigrazione peggioravano ulteriormente la situazione. In questo difficile scenario, Giacomo Matteotti divenne un importante leader politico e sindacale del luogo. Si impegnò attivamente organizzando gruppi di lavoratori agricoli e ricoprì incarichi pubblici, come quello di sindaco a Villamarzana. Qui riuscì a migliorare la gestione economica del comune e a investire nell’istruzione per i cittadini. La sua azione sindacale si concentrò sulla negoziazione di accordi per ottenere condizioni di lavoro migliori per i braccianti. Nel 1920, promosse un accordo fondamentale per tutta la provincia che unificò i contratti di lavoro, aumentò le paghe, stabilì orari precisi e introdusse l’obbligo per i proprietari terrieri di assumere manodopera anche durante i mesi invernali. Questo patto agrario rappresentò un punto di svolta e di forte tensione.La Corrente Riformista nel Partito Socialista
L’accordo raggiunto da Matteotti e le sue battaglie locali si inserivano nella più ampia strategia della corrente riformista all’interno del Partito Socialista Italiano. Figure di spicco come Filippo Turati, Claudio Treves e Giuseppe Emanuele Modigliani guidavano questa fazione. Essi credevano in un percorso politico basato su cambiamenti graduali e sulla collaborazione con altre forze progressiste per rafforzare le istituzioni democratiche esistenti. Turati era una figura centrale e un punto di riferimento per questa linea politica, sostenendo la necessità di procedere passo dopo passo. Treves promuoveva l’unità tra le diverse anime del socialismo e l’importanza di ottenere riforme attraverso il Parlamento. Modigliani si distingueva per le sue posizioni a favore della pace e della cooperazione tra i popoli a livello internazionale.I Riformisti contro il Fascismo
L’approccio riformista, con la sua proposta di miglioramenti concreti e pacifici per la vita delle persone e la difesa dello Stato basato sulla libertà, si poneva in diretta opposizione alle idee rivoluzionarie sostenute da altre correnti politiche, come i massimalisti e i comunisti. Proprio per la sua capacità di offrire un’alternativa credibile e di radicarsi nella società attraverso azioni concrete come quelle di Matteotti, il socialismo riformista divenne il principale ostacolo e il bersaglio privilegiato del fascismo. I proprietari terrieri, colpiti dagli accordi ottenuti dai lavoratori, iniziarono a non rispettare i patti e a finanziare gruppi armati fascisti per contrastare le organizzazioni socialiste. Questa opposizione violenta portò Giacomo Matteotti a essere costretto a lasciare il Polesine nel 1921, un chiaro segnale della determinazione fascista nel colpire chi difendeva i diritti dei lavoratori attraverso la via riformista. Il fascismo considerava i socialisti riformisti la minaccia più grande al proprio progetto di potere autoritario.Difendere lo Stato liberale “borghese” contro il fascismo, quando quello stesso Stato si dimostrava incapace di difendersi, era davvero pragmatismo o una fatale illusione?
Il capitolo esalta la difesa delle strutture legali dello Stato liberale da parte di Matteotti come baluardo contro la violenza fascista, contrapponendola alle posizioni di chi voleva abbattere quello stesso Stato. Tuttavia, non approfondisce sufficientemente il contesto storico e le intrinseche debolezze dello Stato liberale italiano che ne permisero l’erosione e la successiva caduta sotto il fascismo. Per comprendere meglio questa tensione, sarebbe utile approfondire la storia della crisi dello Stato liberale in Italia e le diverse strategie antifasciste, consultando opere di storici del periodo fascista e politologi che hanno analizzato la natura dello Stato e le sue trasformazioni.5. La via democratica contro le dittature
Giacomo Matteotti definisce il suo riformismo socialista in netta opposizione all’uso della violenza politica. Questa posizione distingue chiaramente il socialismo democratico dal comunismo rivoluzionario. Sebbene in passato avesse considerato l’uso della forza, influenzato dalla Grande Guerra e ispirato dalla Rivoluzione russa, torna a rifiutare la violenza come metodo ordinario di lotta civile. Ammette l’uso della forza solo come estrema difesa contro la reazione violenta. Questa scelta di campo segna un punto fondamentale nel suo pensiero politico e nella sua azione successiva.L’Anticomunismo e le Alleanze Politiche
L’anticomunismo diventa un elemento centrale nel suo pensiero politico. Matteotti considera i comunisti, al pari dei fascisti, come avversari della democrazia liberale. Vede in entrambi il desiderio di abbattere lo Stato liberale e imporre una dittatura. Per contrastare il montante pericolo fascista, cerca attivamente un’alleanza antifascista. Tenta di unire le forze con Popolari e Liberali per difendere la democrazia italiana. Purtroppo, questi tentativi non hanno successo, a causa delle profonde divisioni interne tra le varie fazioni politiche. Anche l’opposizione dei massimalisti socialisti e dei comunisti rende impossibile questa unione.La Nascita del PSU e la Lotta Parlamentare
Dopo l’espulsione dei riformisti dal Partito Socialista Italiano, Matteotti fonda il Partito Socialista Unitario (PSU) insieme a Turati. Il nuovo partito promuove con forza il metodo democratico come unica via per il progresso sociale e politico. Rifiuta categoricamente la dittatura e la violenza propugnate dall’Internazionale di Mosca. Il PSU si impegna attivamente nella lotta contro il fascismo, concentrandosi sull’azione parlamentare. Un momento cruciale di questa lotta è l’opposizione alla legge Acerbo. Questa legge viene vista come un grave colpo alla democrazia, reso possibile dalla resa dei liberali di fronte al potere fascista.Fascismo e Comunismo: Due Forme di Oligarchia Violenta
Matteotti analizza a fondo i regimi emergenti, considerando fascismo e comunismo due sistemi fondamentalmente simili. Li descrive come oligarchie basate sull’uso sistematico della violenza e sull’imposizione della dittatura. Sostiene che questi due sistemi si alimentano reciprocamente, rafforzandosi a vicenda nella loro comune opposizione alla libertà. Afferma con chiarezza che la lotta contro il fascismo non può avvenire in nome di un’altra forma di dittatura. Deve essere condotta esclusivamente in nome della libertà e dei principi democratici. Questa posizione segna una distanza insuperabile e definitiva dai comunisti e guida l’azione politica del PSU, in particolare durante le elezioni del 1924.L’Eredità del Pensiero Democratico di Matteotti
Il pensiero di Matteotti, che lega indissolubilmente i concetti di giustizia e libertà, promuove con forza il metodo democratico. Questa visione anticipa in molti aspetti le posizioni che caratterizzeranno la socialdemocrazia successiva. L’importanza della sua eredità antifascista è riconosciuta e trova fondamento nei principi della Costituzione repubblicana italiana. I suoi principi di libertà e giustizia rimangono un punto di riferimento fondamentale nella storia politica italiana. Tuttavia, il suo specifico socialismo riformista, basato su questi pilastri, non trova una piena e diretta continuità nel panorama politico del dopoguerra.Ma l’equiparazione tra fascismo e comunismo non ignora differenze cruciali?
Il capitolo sottolinea la visione di Matteotti che vede fascismo e comunismo come “oligarchie violente” fondamentalmente simili, accomunate dal desiderio di abbattere lo Stato liberale e imporre una dittatura. Tuttavia, questa equiparazione, pur valida sotto certi aspetti legati all’autoritarismo e alla negazione delle libertà democratiche, è stata oggetto di ampio dibattito storiografico e politico. Ignorare le profonde differenze ideologiche, sociali ed economiche tra i due sistemi rischia di semplificare eccessivamente la complessità storica. Per approfondire questa complessa questione, è utile esplorare gli studi sui regimi totalitari e le analisi comparative dei sistemi politici del XX secolo, consultando autori che hanno affrontato il tema della natura e delle distinzioni tra questi movimenti.Abbiamo riassunto il possibile
Se vuoi saperne di più, devi leggere il libro originale
Compra il libro[sc name=”1″][/sc] [sc name=”2″][/sc] [sc name=”3″][/sc] [sc name=”4″][/sc] [sc name=”5″][/sc] [sc name=”6″][/sc] [sc name=”7″][/sc] [sc name=”8″][/sc] [sc name=”9″][/sc] [sc name=”10″][/sc]