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Informazioni
“Televisioni” di Enrico Menduni è un libro che racconta la storia affascinante del mezzo che più di ogni altro ha cambiato le nostre vite nel secondo Novecento: la televisione. Dalle sue origini come semplice broadcasting unidirezionale dopo la Seconda Guerra Mondiale, che univa le case e creava un “secondo mondo” per miliardi di spettatori, il libro esplora i percorsi diversi che ha preso in luoghi come gli Stati Uniti, dove è diventata subito un mercato dominato dalla pubblicità e dai network, e in Europa, dove ha prevalso a lungo il modello di servizio pubblico. Vedrai come l’evoluzione tecnologica, dai satelliti alla digitalizzazione TV, ha rotto i monopoli e portato alla neotelevisione, uno spettacolo sempre più competitivo e centrato sull’intrattenimento, con nuovi generi come il talk-show, l’infotainment e il reality che hanno mescolato pubblico e privato. L’autore analizza l’impatto sociale di questo mezzo, dai dibattiti sul “villaggio globale” o l'”industria culturale” fino all’era digitale, dove Internet e i media digitali hanno permesso i contenuti generati dagli utenti e una fruizione non lineare, trasformando radicalmente la nostra cultura visiva. È un viaggio essenziale per capire come la comunicazione di massa si è evoluta e continua a farlo.Riassunto Breve
La televisione si afferma come mezzo di comunicazione di massa nella seconda metà del Novecento, raggiungendo rapidamente una diffusione globale e superando altri media. Funziona inizialmente come broadcasting, trasmettendo un flusso continuo e unidirezionale di programmi agli spettatori che ricevono il segnale via etere, cavo o satellite, senza interazione diretta. La sua diffusione su larga scala inizia dopo la Seconda Guerra Mondiale, espandendosi velocemente dalle aree più ricche a quelle meno sviluppate. Si sviluppa come evoluzione della radio, il primo mezzo di broadcasting, aggiungendo le immagini alla trasmissione sonora grazie alla tecnologia elettronica. La televisione modifica profondamente le abitudini, unendo sfera privata e pubblica, offrendo un effetto di realtà e permettendo di assistere a eventi lontani, agendo come un “occhio artificiale” che seleziona e rappresenta la realtà. Contribuisce ai cambiamenti sociali del dopoguerra, unificando culture e offrendo modelli di vita. Dopo la guerra, la televisione si sviluppa seguendo due modelli principali: negli Stati Uniti prevale un sistema privato finanziato dalla pubblicità, basato sulla competizione tra network e orientato all’intrattenimento, con la misurazione dell’audience (rating) fondamentale per il mercato pubblicitario. La produzione di fiction si concentra a Hollywood, privilegiando la serialità e l’esportazione a basso costo. In Europa occidentale, si afferma un modello di servizio pubblico controllato dallo stato, finanziato dal canone, con una missione educativa e culturale, spesso in regime di monopolio. Ogni paese sviluppa un proprio sistema nazionale, con differenze nel rapporto con il potere politico e nelle scelte di programmazione, partendo da trasmissioni da studio e importando programmi, soprattutto dagli Stati Uniti. L’ascesa della televisione genera dibattiti sul suo impatto, vista da alcuni come progresso e democratizzazione (“villaggio globale”) e da altri come strumento di controllo e volgarizzazione (“industria culturale”). Le teorie sugli effetti dei media evolvono, riconoscendo la capacità della televisione di influenzare l’agenda pubblica e costruire rappresentazioni della realtà. Con l’arrivo di nuove tecnologie come i satelliti e la televisione via cavo, e la spinta del mercato e della pubblicità, la televisione europea passa gradualmente da un modello monopolistico a uno competitivo, influenzato dal modello commerciale americano. La rottura dei monopoli pubblici in Europa avviene dagli anni ’80, con diverse strategie nazionali. La concorrenza trasforma la televisione in “neotelevisione”, dove l’intrattenimento diventa centrale e lo spettatore acquista maggiore potere di scelta. Nascono nuovi generi e formati che mescolano informazione e spettacolo, danno spazio alla gente comune e alla sfera privata, e spettacolarizzano i contenuti. La produzione si internazionalizza tramite l’acquisto e la vendita di “format”. La digitalizzazione, che converte i dati in linguaggio binario, trasforma ulteriormente la televisione a partire dagli anni ’90. Questo passaggio permette la moltiplicazione dei canali tramite compressione dei dati e introduce sistemi di fatturazione (pay TV, pay per view, video on demand). Vengono sviluppate diverse reti digitali: via cavo, satellite e digitale terrestre. La diffusione di Internet e della telefonia mobile accelera la transizione. Internet consente lo streaming e il file-sharing, mentre il Web 2.0 promuove la collaborazione degli utenti e la creazione di contenuti generati dagli utenti (UGC) su piattaforme come YouTube. La possibilità per gli utenti comuni di produrre e diffondere contenuti con dispositivi digitali cambia il panorama mediatico, portando alla crossmedialità, dove i contenuti circolano su più piattaforme. Le piattaforme digitali aggregano contenuti da diverse fonti, offrendo una vasta scelta on demand, anche di nicchia. La TV digitale permette una fruizione non lineare, dove lo spettatore sceglie cosa e quando guardare. Questi cambiamenti creano un nuovo “regime scopico”, con un’abbondanza di immagini artificiali ma una scarsità di attenzione del pubblico. La produzione e distribuzione di immagini in movimento non sono più monopolio dei media tradizionali, che diventano multipiattaforma e interagiscono con gli UGC.Riassunto Lungo
1. La Televisione: L’Occhio Elettronico che Entra in Casa
La televisione si afferma come un fenomeno di massa nella seconda metà del Novecento, raggiungendo miliardi di spettatori in tutto il mondo e superando per diffusione altri mezzi di comunicazione. Non propone un contenuto definito e statico, ma un flusso continuo di programmi trasmesso in modo unidirezionale, un sistema noto come broadcasting. Gli spettatori ricevono il segnale attraverso l’etere, il cavo o il satellite, senza avere la possibilità di interagire direttamente con chi trasmette. Questo modello di comunicazione di massa ha ridefinito il modo in cui le informazioni e l’intrattenimento raggiungono il pubblico.Come si è diffusa e la sua tecnologia
Dopo i primi esperimenti negli anni ’30, la televisione inizia a diffondersi su larga scala dopo la Seconda Guerra Mondiale. Si espande rapidamente dai paesi più ricchi e dalle grandi città verso nazioni e aree meno sviluppate, diventando accessibile in quasi tutte le case in meno di vent’anni. Questa rapida crescita è stata resa possibile dal perfezionamento della tecnologia elettronica. Il sistema di scansione e il tubo catodico si dimostrano superiori ai metodi meccanici precedentemente usati. Gli apparecchi televisivi, inizialmente piuttosto grandi, diventano presto un punto centrale nel salotto di casa, cambiando l’arredamento e le abitudini familiari.Un’evoluzione della radio
La televisione si sviluppa come un’evoluzione e un perfezionamento della radio, che era stata il primo vero mezzo di broadcasting. La radio, nata per la comunicazione senza fili, si era trasformata negli anni ’20 in un importante strumento di intrattenimento domestico. Negli Stati Uniti, il sistema radiofonico era prevalentemente privato e finanziato dalla pubblicità. In Europa, invece, prevaleva un modello di servizio pubblico gestito dallo stato, sostenuto da un canone pagato dai cittadini, con l’obiettivo di informare ed educare, anche se spesso risentiva dell’influenza del potere politico. La televisione ha ripreso questo modello di trasmissione unidirezionale, aggiungendo però l’elemento visivo.L’impatto sulla vita quotidiana e sulla società
L’arrivo della televisione modifica profondamente le abitudini e gli stili di vita delle persone, unendo la sfera privata della casa con quella pubblica degli eventi esterni. Offre un forte “effetto di realtà”, dando l’impressione di assistere direttamente a eventi lontani o altrimenti inaccessibili. Agisce come un “occhio artificiale” che seleziona e comprime il tempo e lo spazio, presentando al pubblico una rappresentazione immediata degli eventi. La possibilità per le persone di assistere a eventi importanti stando comodamente a casa è stata vista come una forma di democratizzazione dell’accesso all’informazione e alla cultura.Un nuovo modo di vedere il mondo
La televisione contribuisce in modo significativo ai cambiamenti sociali del dopoguerra. Aiuta a unificare culture diverse e a diffondere modelli di vita moderna su larga scala. Per molte persone, il flusso continuo di programmi diventa una fonte primaria per capire e interpretare il mondo e la vita di tutti i giorni. Questo crea una sorta di “secondo mondo”, popolato da figure televisive che sembrano rivolgersi direttamente a chi guarda. La televisione diventa così non solo un mezzo di intrattenimento o informazione, ma uno strumento potente che plasma la percezione della realtà e l’identità culturale.Se la televisione è un “occhio artificiale” che seleziona e comprime la realtà, come può il capitolo affermare che offra una “democratizzazione dell’accesso all’informazione e alla cultura” senza affrontare la questione della sua natura intrinsecamente mediata e controllata?
Il capitolo descrive l’impatto potente della televisione sulla percezione della realtà, ma non approfondisce le implicazioni critiche del fatto che ciò che viene mostrato è sempre una selezione e una rappresentazione, non un accesso diretto. Questa lacuna impedisce di comprendere appieno come il mezzo televisivo, pur diffondendo l’informazione, possa anche plasmare, semplificare o persino distorcere la comprensione del mondo. Per esplorare queste tematiche, sarebbe utile considerare gli studi sulla teoria critica dei media e sulla sociologia della comunicazione. Autori come Marshall McLuhan, Neil Postman, Pierre Bourdieu, o la Scuola di Francoforte (Adorno e Horkheimer) hanno offerto prospettive fondamentali sulla natura del mezzo televisivo e sul suo ruolo nella società, mettendo in discussione l’idea di un accesso neutrale o semplicemente “democratico” alla realtà.2. Due Strade per il Piccolo Schermo
Dopo la Seconda guerra mondiale, la televisione ricomincia a svilupparsi in un mondo diviso. La sua diffusione dipende anche dalla situazione politica del momento, specialmente per quanto riguarda le regole tecniche di trasmissione. Gli Stati Uniti scelgono un sistema a 525 linee, pensato per arrivare a più persone possibili e già pronto per il colore. Invece, l’Europa occidentale all’inizio preferisce un sistema a 625 linee in bianco e nero, ma con tante differenze tra i paesi, come le 819 linee in Francia o le 405 linee nel Regno Unito. Questa divisione tra i paesi europei rende più lenta la creazione di un mercato unico e di una cultura televisiva condivisa nel continente.La Televisione negli Stati Uniti
Negli Stati Uniti, la televisione cresce molto velocemente e diventa un fenomeno che coinvolge tantissime persone. È finanziata dalla pubblicità e si basa sulla competizione tra le diverse reti televisive. Misurare quante persone guardano i programmi (il “rating”) diventa essenziale per chi vende spazi pubblicitari. I programmi puntano soprattutto sull’intrattenimento, come quiz, varietà e serie di finzione, prendendo spunto dalla radio e dalla letteratura. La creazione di storie per la TV si sposta a Hollywood, dove si preferiscono le serie lunghe e la figura del produttore diventa centrale. I programmi americani, costando poco grazie al grande mercato interno, vengono venduti a prezzi bassi all’estero, diffondendo gusti e modelli culturali in tutto il mondo. Anche l’informazione in TV, con figure importanti come i presentatori principali (“anchor”), inizia ad avere un ruolo politico significativo.La Televisione in Europa
In Europa occidentale, la televisione si sviluppa invece come un servizio pubblico gestito dallo stato. Ha lo scopo di educare e diffondere cultura. Il modello più comune è quello di un’unica rete pubblica (monopolio), finanziata da una tassa pagata dai cittadini (il canone) e con poca o nessuna pubblicità. Ogni nazione crea il suo sistema, con modi diversi di relazionarsi con il governo e scelte di programmi specifiche. All’inizio, la TV europea trasmette soprattutto dagli studi, spesso riproponendo opere di teatro o libri (come gli sceneggiati in Italia). Solo dopo arrivano la possibilità di registrare e il colore. Fare programmi internamente costa molto ed è limitato, per questo si comprano molti programmi dall’estero, specialmente dagli Stati Uniti.Dibattito e Impatto Sociale
La crescita della televisione porta a molte discussioni sul suo effetto sulla società. Alcuni la considerano un segno di progresso e modernità, capace di unire le persone e dare informazioni (l’idea del “villaggio globale”). Altri la vedono invece come uno strumento per controllare e manipolare, che abbassa il livello culturale e serve gli interessi di chi ha potere e denaro (l’idea dell'”industria culturale”). Le idee su come i media influenzano le persone cambiano nel tempo. Si passa dall’idea che la TV abbia un effetto forte e diretto, a pensare che le persone scelgano cosa guardare in base ai loro interessi, fino a riconoscere che la televisione può influenzare gli argomenti di cui si parla pubblicamente e persino creare una sua versione della realtà. Si guarda con particolare attenzione all’effetto che la TV ha sui bambini e al legame tra la televisione e il potere politico. Con l’arrivo di Internet, la televisione deve affrontare nuove sfide e cambia, unendosi al mondo digitale.Se la televisione è uno strumento di potere e manipolazione, come suggerito da una delle visioni critiche presentate nel capitolo, si può davvero ridurre la sua influenza a un semplice dibattito teorico senza analizzare concretamente chi la controlla e come la usa?
Il capitolo, pur presentando il dibattito sull’impatto sociale della televisione e accennando al suo legame con il potere politico, non offre gli strumenti per comprendere come questo potere si manifesti nella pratica quotidiana della produzione e diffusione dei contenuti. Limitarsi a contrapporre l’idea del “villaggio globale” all’idea dell'”industria culturale” rischia di rimanere in superficie. Per approfondire questa cruciale dimensione, è indispensabile studiare la sociologia della comunicazione e l’economia politica dei media. Autori come Adorno, Horkheimer o Bourdieu offrono prospettive critiche fondamentali per capire le dinamiche di potere sottostanti ai sistemi mediatici. È necessario andare oltre la semplice descrizione degli effetti e analizzare le strutture di proprietà, le logiche di finanziamento e i processi produttivi che determinano ciò che vediamo sul piccolo schermo.3. La TV si fa spettacolo e mercato
La televisione in Europa ha subito un grande cambiamento nel corso del tempo. È passata dall’essere un servizio pubblico gestito dallo stato, quasi un monopolio, a un sistema con molte più emittenti che competono tra loro. Questo è successo perché la televisione privata, soprattutto quella americana, ha iniziato a influenzare il mercato e le abitudini di consumo. La crescita economica e la maggiore disponibilità di denaro hanno aumentato la richiesta di pubblicità, rendendo la televisione commerciale più attraente per gli investitori. Anche la tecnologia è diventata più semplice da usare e meno costosa, facilitando l’ingresso di nuovi operatori nel settore. Per questo, a partire dagli anni ’80, i paesi europei hanno iniziato a permettere la nascita di televisioni private, rompendo i vecchi monopoli pubblici che esistevano da decenni.Il ruolo delle nuove tecnologie
Le nuove tecnologie hanno giocato un ruolo fondamentale in questa trasformazione del panorama televisivo. I satelliti, ad esempio, hanno reso possibili le trasmissioni su lunghe distanze e la “mondovisione”, portando eventi da tutto il mondo nelle case delle persone in tempo reale. La televisione via cavo, già diffusa negli Stati Uniti dagli anni ’50 con molti canali a pagamento e specializzati, è arrivata in Europa negli anni ’70, aumentando ulteriormente l’offerta di programmi disponibili. Altri strumenti entrati nelle case, come il Teletext che permetteva di leggere notizie e informazioni sullo schermo, il videoregistratore per registrare e rivedere i programmi in differita, e i videogiochi, hanno cambiato il modo in cui si usava il televisore. Questi strumenti hanno superato l’idea che la televisione fosse solo una trasmissione unidirezionale, dove lo spettatore poteva unicamente guardare ciò che veniva trasmesso in quel momento.La nascita della “neotelevisione” e i nuovi formati
La competizione tra le diverse emittenti ha cambiato profondamente il modo di fare televisione, portando alla nascita di quella che viene chiamata “neotelevisione”. In questo nuovo scenario, l’intrattenimento è diventato l’aspetto più importante e centrale nella programmazione. Il potere di scegliere cosa guardare si è spostato sempre più verso lo spettatore, che aveva a disposizione un numero molto maggiore di canali e programmi tra cui selezionare. Sono nati così tanti nuovi tipi di programmi pensati per catturare e mantenere l’attenzione del pubblico: il “contenitore” che mescola generi diversi all’interno dello stesso programma, il “talk-show” dove si discute di vari argomenti con ospiti, l'”infotainment” che unisce informazione e spettacolo, le serie di “fiction” che raccontano storie a puntate, i “game show” basati sull’esperienza e la partecipazione dei concorrenti e i “reality show”. Questi generi spesso si mescolano tra loro in modi innovativi, danno sempre più spazio a persone comuni e raccontano aspetti della vita privata delle persone. L’informazione e le vicende personali vengono spesso presentate in modo spettacolare per aumentare l’interesse del pubblico e gli ascolti. Anche la produzione di programmi è cambiata, diventando più internazionale con l’acquisto e la vendita di “format”, cioè le idee base dei programmi che vengono poi adattate e realizzate nei diversi paesi. Il “reality show”, in particolare, mette in scena la vita di tutti i giorni e le emozioni delle persone, a volte in situazioni costruite appositamente, mostrando come i confini tra pubblico e privato siano diventati meno netti e offrendo uno spettacolo che si basa sull’esperienza umana e le reazioni emotive dei partecipanti e del pubblico.[/membership]Ma la rottura dei monopoli pubblici e la nascita della “neotelevisione” sono state solo una conseguenza inevitabile del progresso tecnologico e del mercato, o piuttosto il risultato di precise scelte politiche e culturali con conseguenze non del tutto esplorate dal capitolo?
Il capitolo descrive efficacemente il passaggio da un sistema monopolistico a uno competitivo, evidenziando il ruolo della tecnologia e del mercato. Tuttavia, non approfondisce a sufficienza le ragioni politiche e le specifiche decisioni legislative che hanno permesso la fine dei monopoli pubblici in Europa, né analizza a fondo le implicazioni sociali e culturali della “neotelevisione” orientata al mercato e allo spettacolo. Per comprendere meglio questo processo e le sue conseguenze sulla sfera pubblica e sulla qualità dell’informazione, sarebbe utile esplorare la storia delle politiche mediatiche, la teoria della sfera pubblica e la critica del ruolo dei media nella società contemporanea. Autori come Bourdieu, Habermas o Mattelart offrono prospettive critiche su questi temi.4. La nuova cultura visiva digitale
La Nascita della TV Digitale
La digitalizzazione trasforma i dati in un codice fatto di numeri, diverso dal segnale analogico continuo che usavamo prima. La televisione, che all’inizio era analogica, ha iniziato a diventare digitale negli anni ’90. Per vedere la TV digitale, servono apparecchi nuovi o dei decoder. Questo passaggio ha permesso di avere molti più canali, perché i dati vengono compressi meglio. Inoltre, ha reso più facile far pagare i contenuti, spingendo molto la pay TV. La TV digitale arriva nelle case in diversi modi: tramite cavo a larga banda, via satellite (che si chiama anche Direct to Home) o con il digitale terrestre. Queste piattaforme non offrono solo canali a pagamento con un abbonamento, ma anche servizi come la pay per view, per comprare un singolo programma, e il video on demand, che permette di scegliere cosa guardare e quando.Il Ruolo di Internet e i Contenuti Fatti dagli Utenti
La diffusione di Internet, soprattutto dal 1995 con il World Wide Web, e l’arrivo dei telefoni cellulari di nuova generazione (dal 2001) hanno reso la trasformazione digitale ancora più veloce. Internet permette di scaricare e vedere video online (streaming) e di scambiare file, anche se questo ha creato problemi di pirateria. Con il Web 2.0, nato dopo il 2001, le persone hanno iniziato a collaborare online, usando social network e siti come YouTube, dove chiunque può mettere e condividere i propri video. Questa possibilità per le persone comuni di creare e diffondere contenuti, chiamati User Generated Contents o UGC, usando cellulari o videocamere digitali, ha cambiato profondamente il mondo dei media. Non si parla più solo di diversi media che si uniscono (convergenza), ma di contenuti che viaggiano e si adattano su tante piattaforme diverse (crossmedialità). La produzione di video e altri contenuti non è più solo compito delle grandi aziende televisive.Come Cambia la Visione e l’Attenzione
Le nuove piattaforme digitali raccolgono insieme contenuti che arrivano da molte fonti diverse. La TV che usa la connessione Internet (chiamata IPTV) funziona un po’ come il web: offre tantissimi contenuti da vedere quando si vuole, anche quelli meno conosciuti che interessano solo a poche persone (questo è il concetto di ‘coda lunga’). In generale, la TV digitale permette di guardare i programmi in modo non lineare, cioè non si è più obbligati a seguire un palinsesto fisso, ma si può scegliere cosa vedere, metterlo in pausa o registrarlo. Tutti questi cambiamenti creano un nuovo modo di vedere e usare le immagini. Le immagini create digitalmente sono diventate tantissime, ovunque, ma quello che diventa difficile da trovare è l’attenzione delle persone. Fare e distribuire immagini in movimento non è più un lavoro solo per il cinema o la TV tradizionale. Anzi, anche i video fatti in casa o con poca qualità dagli utenti comuni vengono accettati e usati anche dai media più grandi, che ormai sono presenti su tante piattaforme diverse e dialogano con i contenuti creati dal pubblico.Davvero il problema della ‘nuova cultura visiva digitale’ si riduce alla semplice difficoltà di catturare l’attenzione, o stiamo ignorando trasformazioni ben più profonde nel modo stesso in cui vediamo e interagiamo con le immagini?
Il capitolo descrive efficacemente il passaggio tecnologico e la proliferazione di immagini e piattaforme, identificando nella “difficoltà di trovare l’attenzione” il problema centrale. Tuttavia, questa focalizzazione rischia di semplificare eccessivamente un fenomeno complesso. La trasformazione digitale non riguarda solo la quantità di stimoli visivi e la conseguente dispersione dell’attenzione, ma potrebbe implicare un cambiamento qualitativo nel modo in cui percepiamo, interpretiamo e diamo significato alle immagini in un ecosistema digitale. Per approfondire queste dinamiche e andare oltre la mera constatazione della “crisi dell’attenzione”, sarebbe utile esplorare autori che hanno analizzato il rapporto tra tecnologia, percezione e cultura visiva, come Marshall McLuhan per la teoria dei media, Jonathan Crary per la critica dell’attenzione, o Nicholas Carr per l’impatto della rete sulla cognizione.Abbiamo riassunto il possibile
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