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Informazioni
“Sui sentieri del jihad. Viaggio nel fondamentalismo islamico” di Giovanni Porzio … ti porta dentro un mondo complicato, partendo dall’Afghanistan dei Taliban e di Al-Qaeda alla fine degli anni Novanta, dove vedi come nascono certe idee radicali e l’uso degli attacchi suicidi, non solo lì ma anche in Palestina. Poi ti sposti in Iraq dopo l’invasione americana, scoprendo che la resistenza non era solo Al-Qaeda ma un mix di gente stanca e arrabbiata, e capisci quanto le scelte politiche sbagliate e la corruzione abbiano creato il caos, anche con conseguenze terribili come quelle a Fallujah. Il viaggio continua con l’ascesa brutale dell’ISIS tra Siria e Iraq, un gruppo che sembrava invincibile ma che poi ha perso il suo “Califfato”, anche se il jihadismo non si ferma, anzi, si sposta e si adatta, arrivando in Africa, in posti come la Somalia o il Sahel, dove la povertà, lo sfruttamento delle risorse e i governi deboli creano il terreno perfetto per gruppi come Boko Haram o Al-Shabab. E alla fine, torni in Afghanistan, vedendo come i Taliban sono tornati al potere nel 2021 dopo vent’anni di guerra, nonostante gli sforzi internazionali, lasciando il paese in una crisi umanitaria pazzesca, con la droga che distrugce vite e i diritti delle donne cancellati di nuovo. È un quadro che ti fa capire che il fondamentalismo islamico non è un blocco unico, ma un fenomeno complesso, legato a guerre, crisi umanitarie, corruzione e problemi sociali profondi che continuano a infiammare diverse parti del mondo.Riassunto Breve
L’Afghanistan alla fine degli anni Novanta è sotto il controllo dei taliban, che impongono regole severe basate su una visione rigida dell’Islam e del codice tribale, limitando molto la vita delle persone, soprattutto delle donne, e usando punizioni dure. Nonostante dicano di combattere il crimine, il paese vive una crisi umanitaria grave. I taliban ospitano Osama bin Laden e Al-Qaeda per via di obblighi tribali, anche se i loro obiettivi sono diversi: Al-Qaeda vuole una guerra santa globale, i taliban vogliono controllare solo l’Afghanistan. Il Pakistan aiuta i taliban con soldi e armi. Intanto, si diffondono gli attacchi suicidi, usati in azioni come l’11 settembre. Alcuni pensatori come Abdullah Azzam e Ayman al-Zawahiri creano idee che dicono che questi attacchi sono una forma di guerra santa, anche se colpiscono civili, cosa diversa da come si vedeva prima nell’Islam. Gruppi come Hamas e Hezbollah usano gli attacchi suicidi perché li vedono come l’unica arma contro nemici più forti, una risposta alla disperazione per l’occupazione e la mancanza di altre vie. Le persone diventano kamikaze spesso per perdite personali, umiliazione o perché sentono di non avere futuro, e la morte sembra meglio. Dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, iniziano operazioni militari in Afghanistan contro i gruppi legati a Bin Laden. Sul posto ci sono combattenti locali e molti stranieri uniti da un’idea radicale dell’Islam. Documenti trovati mostrano come sono organizzati, i loro piani e come si addestrano, con manuali per la guerriglia e le bombe, e legami con altri paesi. L’invasione dell’Iraq nel 2003 apre un altro fronte. Dopo la caduta di Saddam Hussein, non arriva la stabilità; l’esercito iracheno viene smantellato e le scelte fatte dopo l’invasione creano rabbia, specialmente tra i sunniti. Fallujah diventa un punto di resistenza contro le forze straniere. La resistenza è fatta da diversi gruppi, non solo stranieri legati a figure come Abu Musab al-Zarqawi, ma anche ex militari, capi tribali e integralisti. Le operazioni militari causano molte morti tra i civili e danni a lungo termine, come mostrano studi a Fallujah che trovano più tumori e problemi genetici legati all’uso di uranio impoverito e fosforo bianco. La corruzione e la debolezza dell’esercito iracheno portano al suo crollo quando lo Stato Islamico (Daesh) avanza nel 2014. La difesa di Baghdad e la ripresa di zone come Fallujah dipendono molto dalle milizie sciite appoggiate dall’Iran, che spesso agiscono fuori dal controllo dello stato. Il conflitto è legato a profonde divisioni tra gruppi religiosi, problemi storici e sociali, non solo alla lotta contro il terrorismo. Lo Stato Islamico (Daesh) nasce dall’instabilità in Iraq dopo l’invasione, con Abu Bakr al-Baghdadi che diventa capo nel 2010. La guerra civile in Siria permette a Daesh di crescere, ricevendo aiuti da chi ha interessi diversi nella regione. Daesh prende il controllo di grandi aree in Siria e Iraq, proclamando un Califfato nel 2014. Il suo dominio è molto violento, applica una legge islamica severa, distrugge luoghi storici e compie genocidi, come quello contro gli yazidi. Una coalizione di paesi, con l’aiuto di forze locali come i curdi e le milizie irachene, combatte Daesh, che perde il suo territorio e i suoi capi vengono uccisi. Anche se perde il territorio, Daesh riesce a riorganizzarsi in gruppi più piccoli e a sfruttare nuove situazioni di caos. Intanto, in Somalia, dopo la caduta dello stato nel 1991, ci sono carestia, guerra tra capi militari e missioni internazionali che falliscono. Questo caos aiuta la crescita di gruppi islamisti, e sale al potere Al-Shabab. Questo gruppo radicale combatte il governo e le forze straniere, controlla zone rurali e città, e si finanzia con attività illegali. Al-Shabab si espande oltre la Somalia, facendo attacchi in Kenya. L’idea della guerra santa si diffonde ancora, arrivando in Mozambico, dove il gruppo Ansar al-Sunna, legato a ISIS, sfrutta il malcontento locale, la corruzione e i traffici illegali per trovare gente e agire con violenza. Questo mostra come il fenomeno della guerra santa continua e si adatta dove lo stato è debole e la gente è lasciata sola. Nel delta del Niger, i soldi guadagnati dal petrolio dalle grandi aziende non arrivano alla gente del posto. Questo crea molta povertà e fa nascere gruppi armati che attaccano gli impianti e rapiscono stranieri. La situazione peggiora per la corruzione e perché nei villaggi mancano i servizi base. Nel nord della Nigeria e nella zona del Sahel, la violenza è causata da tensioni tra religioni, differenze sociali e scontri per la terra. Gruppi come Boko Haram e quelli legati ad al-Qaida e ISIS usano la povertà e il fatto che la gente è messa da parte per reclutare combattenti, anche bambini. Questi gruppi attaccano con molta violenza civili, scuole e edifici, causando migliaia di morti e milioni di persone costrette a fuggire. Il conflitto si allarga tra Nigeria, Camerun, Niger, Mali e Burkina Faso. La siccità e i cambiamenti del clima peggiorano la vita, aumentando le tensioni tra chi coltiva e chi alleva animali. Le milizie che si difendono da sole e le forze di sicurezza dello stato sono spesso accusate di violenze contro la gente. I gruppi armati si finanziano con i soldi dei riscatti, il contrabbando e controllando le miniere illegali, specialmente quelle d’oro. Gli interventi militari di altri paesi e le missioni di pace non riescono a fermare la violenza. La presenza di mercenari russi rende tutto più complicato, con episodi di massacri di civili. La situazione mostra che gli stati e gli aiuti esterni non riescono a risolvere le cause profonde del conflitto. Dopo vent’anni di presenza di altri paesi, i taliban riprendono Kabul velocemente nell’estate 2021. Le forze di sicurezza afghane, addestrate e pagate dagli Stati Uniti con tanti soldi, si arrendono in massa senza combattere. Questo succede per la grande corruzione nel governo afghano, il morale basso dei soldati pagati male e infiltrati, e perché sentono che la guerra è persa. Già nei primi anni dopo il 2001, la situazione è difficile. Gli americani, all’inizio visti come liberatori, poi sono visti come una forza di occupazione. Tornano vecchie liti interne e il governo centrale ha poco potere. Aumentano gli attacchi e le morti tra i civili, anche per i bombardamenti dall’alto. Fatti gravi, come l’uccisione di prigionieri a Sheberghan, mostrano la violenza del conflitto. La povertà è diffusa, con gente che fugge da casa e bambini che vivono per strada. Le costruzioni sono distrutte. L’oppio diventa una risorsa economica fondamentale, la sua produzione cresce molto e finanzia chi combatte e i capi militari locali. Si diffonde la produzione di eroina. I contadini restano poveri, spesso pieni di debiti e costretti a vendere le figlie. Anche se nelle città ci sono alcuni miglioramenti, come l’accesso alla scuola e nuove possibilità per le donne, la società resta legata a vecchie tradizioni e al potere degli uomini. I diritti umani sono spesso ignorati e le donne subiscono violenze. Per molti reati si applica la legge islamica della scuola hanafita. La strategia militare internazionale non riesce a battere i taliban. Documenti interni mostrano che gli Stati Uniti sapevano della corruzione, della debolezza delle forze afghane e che non avevano obiettivi chiari. L’opinione pubblica americana viene ingannata. Dopo il 2010, la sicurezza peggiora, specialmente a Kabul, con continui attacchi. I taliban guadagnano terreno. Nello stesso tempo, nasce lo Stato Islamico-Provincia di Khorasan (Is-K), che fa attacchi molto violenti contro i civili e gli sciiti. La droga continua a fare vittime; la produzione di oppio e metanfetamina è alta e i tossicodipendenti aumentano, molti sono ex militari o poliziotti. L’accordo di Doha del 2020 porta al ritiro americano, che è come una resa. Nel 2021, con il ritorno dei taliban, la crisi umanitaria diventa ancora più grave. Gli aiuti internazionali si fermano, il sistema sanitario non funziona più, e milioni di persone soffrono la fame. I taliban di oggi, anche se usano tecnologie moderne, impongono un regime rigido, soprattutto per le donne, con limiti all’istruzione, al lavoro e alla libertà di muoversi. Artisti, giornalisti e attivisti si nascondono o scappano. La violenza continua, con omicidi mirati e attacchi suicidi. La caduta del Panjshir, che era un punto di resistenza contro i taliban, simboleggia la fine della lotta. Il paese resta diviso, con tensioni anche tra i diversi gruppi taliban. Il ritiro dei paesi occidentali lascia l’Afghanistan isolato e influenzato da nuovi equilibri di potere nella regione. La guerra non finisce, ma cambia forma, e la popolazione continua a subire violenze e a vivere in condizioni difficili.Riassunto Lungo
1. Dalle Macerie di Kabul al Jihad Suicida
Alla fine degli anni Novanta, l’Afghanistan si trova sotto il controllo dei taliban. Sono emersi dal caos lasciato dalla guerra civile dopo il ritiro sovietico. Il loro governo impone una visione molto rigida dell’Islam, mescolata con le tradizioni tribali Pashtunwali. Questo porta a regole severe per la vita sociale, soprattutto per le donne, e a punizioni molto dure. Nonostante i taliban riescano a ridurre la criminalità, il paese attraversa un periodo di grave crisi umanitaria. In questo contesto, i taliban offrono ospitalità a Osama bin Laden e al gruppo di Al-Qaeda, legati da un antico codice di onore tribale. Anche se uniti dall’ospitalità, i loro obiettivi sono diversi: Al-Qaeda punta a una lotta religiosa globale, mentre i taliban vogliono controllare solo l’Afghanistan. Il Pakistan fornisce ai taliban un importante aiuto militare e finanziario.L’ascesa degli attacchi suicidi
Parallelamente a questi eventi in Afghanistan, si diffonde sempre più l’uso degli attacchi suicidi come arma. Questa tattica viene impiegata in azioni di grande impatto, come gli attentati dell’11 settembre, ma anche nel conflitto tra Palestinesi e Israele. Figure come Abdullah Azzam e Ayman al-Zawahiri sviluppano le idee che giustificano queste missioni, presentandole come una forma legittima di jihad. Questa interpretazione si allontana da visioni islamiche precedenti e permette di considerare accettabili anche le vittime civili durante questi attacchi.Motivazioni dietro gli attacchi
Organizzazioni come Hamas e Hezbollah vedono gli attacchi suicidi come l’unica risposta efficace contro un nemico con una forza militare molto superiore. Per loro, è un modo per reagire alla disperazione causata dall’occupazione e dalla mancanza di altre possibilità di lotta. A livello personale, le ragioni che spingono un individuo a diventare un attentatore suicida sono spesso legate a esperienze dolorose. Possono derivare da perdite subite, dal sentirsi umiliati o dalla sensazione che la propria vita non abbia futuro, al punto che la morte appare come l’unica via d’uscita o l’opzione migliore.Il capitolo accenna a una “lontananza da visioni islamiche precedenti” per giustificare le vittime civili negli attacchi suicidi. Ma non è forse questa giustificazione il vero punto oscuro, che meriterebbe ben altra luce?
Il capitolo, pur menzionando la giustificazione ideologica degli attacchi suicidi e la sua “lontananza da visioni islamiche precedenti”, glissa sul punto cruciale: quali fossero queste visioni e come si sia arrivati a giustificare l’uccisione di civili. Questa lacuna impedisce di comprendere appieno il meccanismo perverso che trasforma la disperazione individuale e la strategia di gruppo in una violenza così indiscriminata. Per colmare questa grave mancanza, è indispensabile studiare a fondo la teologia politica dell’Islam moderno e i processi di radicalizzazione. Autori come Olivier Roy o Scott Atran offrono spunti essenziali per decifrare questo oscuro passaggio.2. Le Radici Nascoste della Guerra Infinita
Dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, le operazioni militari in Afghanistan puntano a contrastare i gruppi legati a Bin Laden. Sul terreno combattono i soldati dell’Alleanza del Nord e migliaia di jihadisti stranieri. Questi ultimi sono reclutati da al-Qaida e altri gruppi, uniti da un’interpretazione radicale dell’islam che si diffonde attraverso scuole religiose. Documenti scoperti in covi a Kabul svelano l’organizzazione militare, gli obiettivi e le tecniche di addestramento di questi gruppi. Tra i materiali trovati ci sono manuali di guerriglia urbana e istruzioni per fabbricare esplosivi, che mostrano anche i collegamenti internazionali di queste reti.L’invasione dell’Iraq e la nascita della resistenza
L’invasione dell’Iraq nel 2003 apre un altro fronte nel conflitto. La caduta del regime di Saddam Hussein non porta pace e stabilità nel paese. Lo smantellamento dell’esercito iracheno e le decisioni prese dopo l’invasione alimentano un forte malcontento, soprattutto tra la minoranza sunnita. La città di Fallujah diventa un punto cruciale della resistenza contro le forze straniere. Questa resistenza è formata da diversi gruppi, tra cui ex ufficiali del vecchio regime, capi tribali e integralisti. Non si tratta solo di jihadisti stranieri legati a figure come Abu Musab al-Zarqawi, come spesso raccontato dai media occidentali; la realtà sul campo è molto più complessa e radicata nel territorio.Conseguenze a lungo termine e nuove minacce
Le operazioni militari hanno conseguenze devastanti, causando molte vittime tra i civili e danni che durano nel tempo. Studi condotti a Fallujah sugli effetti dell’uranio impoverito e del fosforo bianco mostrano un aumento preoccupante di tumori e malformazioni genetiche nella popolazione. La corruzione e la scarsa efficienza dell’esercito iracheno contribuiscono al suo crollo di fronte all’avanzata dello Stato Islamico (Daesh) nel 2014. La difesa di Baghdad e la riconquista di aree strategiche come Fallujah dipendono in larga misura dalle milizie sciite. Queste milizie ricevono supporto dall’Iran e spesso agiscono al di fuori del controllo del governo iracheno. Il conflitto, quindi, affonda le sue radici non solo nella lotta al terrorismo internazionale, ma anche in profonde divisioni tra le diverse comunità, con cause storiche e sociali complesse.Davvero possiamo affermare con certezza scientifica che l’uso di specifiche armi sia la sola causa dell’aumento di tumori e malformazioni, o il capitolo sorvola sulla complessità della ricerca in zone di guerra?
Il capitolo menziona studi che mostrano un aumento di patologie a Fallujah, legandolo all’uso di uranio impoverito e fosforo bianco. Tuttavia, stabilire un nesso causale definitivo tra l’esposizione a specifiche sostanze in un ambiente complesso e contaminato come una zona di conflitto e l’incidenza di malattie a lungo termine è una sfida scientifica notevole, che richiede robusti studi epidemiologici e tossicologici. La ricerca in questo campo è spesso oggetto di dibattito e influenzata da molteplici fattori ambientali e sociali. Per approfondire la questione, è utile consultare studi di epidemiologia ambientale condotti in contesti bellici e leggere le analisi di esperti di salute pubblica e tossicologia militare, nonché i rapporti di organizzazioni internazionali che si occupano degli effetti a lungo termine dei conflitti sulla salute delle popolazioni civili.3. L’ombra del Jihad: Dalla Siria al Mozambico
Lo Stato Islamico (Daesh) nasce dall’instabilità in Iraq dopo l’invasione del paese. Abu Bakr al-Baghdadi prende la guida del gruppo nel 2010. La guerra civile in Siria offre a Daesh l’opportunità di espandersi rapidamente. Riceve sostegno da diversi attori regionali con interessi propri. Daesh conquista vasti territori sia in Siria che in Iraq. Nel 2014, proclama la nascita di un Califfato su questi territori. Il suo dominio è caratterizzato da una violenza estrema e brutale. Applica la legge islamica in modo molto rigido. Distrugge importanti siti storici e compie genocidi, come quello contro il popolo yazida. Una grande coalizione internazionale, con l’aiuto di forze locali come i curdi e le milizie irachene, combatte Daesh. Questa lotta porta alla perdita dei suoi territori. I suoi leader, al-Baghdadi nel 2019 e i suoi successori, vengono uccisi. Nonostante abbia perso il controllo del territorio, Daesh mantiene la capacità di riorganizzarsi in piccole cellule. Sfrutta le nuove situazioni di instabilità nel mondo per continuare a operare.Al-Shabab in Somalia
In un contesto diverso, la Somalia vive un periodo di profondo disordine. Nel 1991, lo Stato centrale crolla, lasciando il paese nel caos. Questo porta a una grave carestia e a una guerra civile tra diversi capi militari. Anche le missioni internazionali inviate per aiutare il paese non riescono a stabilizzare la situazione. Questo scenario di caos favorisce la crescita di gruppi islamisti radicali. Tra questi, emerge con forza Al-Shabab. Questo gruppo combatte sia le forze del governo somalo che le missioni militari straniere presenti nel paese. Controlla vaste aree rurali e alcune città importanti. Finanzia le sue operazioni con diverse attività criminali. Al-Shabab riesce anche a estendere la sua influenza fuori dalla Somalia. Ha compiuto attacchi terroristici in Kenya, dimostrando la sua portata regionale.Ansar al-Sunna in Mozambico
L’ideologia jihadista si diffonde ulteriormente, raggiungendo il Mozambico, nell’Africa sud-orientale. Qui opera il gruppo Ansar al-Sunna. Questo gruppo è affiliato all’ISIS. Sfrutta il malcontento della popolazione locale, che si sente trascurata. Approfitta della corruzione diffusa nel paese. Utilizza le economie illegali, come il traffico di droga e minerali, per reclutare nuovi membri e finanziarsi. Ansar al-Sunna opera con metodi estremamente violenti contro la popolazione e le forze di sicurezza. La sua presenza dimostra la persistenza e l’adattabilità del fenomeno jihadista. Questo fenomeno trova terreno fertile nei paesi dove lo Stato è fragile. Prospera dove c’è marginalizzazione sociale ed economica.Il capitolo non rischia di semplificare eccessivamente le cause della violenza e del jihadismo, riducendole quasi esclusivamente a fattori economici come la povertà e lo sfruttamento delle risorse?
Questa lettura, pur evidenziando aspetti cruciali, potrebbe trascurare la complessità intrinseca di questi fenomeni. I conflitti e l’ascesa di gruppi armati, inclusi quelli a matrice jihadista, sono spesso il risultato di un intreccio di fattori che vanno oltre l’economia, abbracciando dinamiche politiche, storiche, sociali e ideologiche specifiche di ciascuna regione. Per una comprensione più completa, sarebbe utile esplorare gli studi di politologi e sociologi che analizzano le radici multiple dei conflitti contemporanei e le specifiche traiettorie storiche dei paesi africani, magari leggendo autori che si sono occupati di questi temi.5. Il ritorno dell’Emirato e le sue conseguenze
Dopo vent’anni di presenza internazionale, la situazione in Afghanistan rimane complessa fin dai primi anni dopo il 2001. Inizialmente visti come liberatori, gli americani vengono progressivamente percepiti come una forza di occupazione. Riemergono vecchie faide interne e l’autorità del governo centrale è debole. Aumentano gli attentati e le vittime civili, spesso causate anche dai raid aerei. Incidenti gravi, come il massacro di prigionieri a Sheberghan, mettono in luce la brutalità del conflitto in corso.La Strategia Militare e i suoi Limiti
La strategia militare internazionale non riesce a sconfiggere i taliban in modo definitivo. Documenti interni mostrano che gli Stati Uniti erano consapevoli della corruzione diffusa nel governo afghano, della debolezza delle forze di sicurezza locali e della mancanza di obiettivi chiari per la missione. L’opinione pubblica americana viene in parte manipolata riguardo all’andamento reale del conflitto.Difficoltà Socio-Economiche e la Droga
La povertà è molto diffusa in tutto il paese. Molte persone sono sfollate e ci sono numerosi bambini di strada. Le infrastrutture essenziali sono distrutte o gravemente danneggiate. In questo contesto difficile, l’oppio diventa una risorsa economica fondamentale. La produzione di oppio aumenta notevolmente, finanziando sia gli insorti che i signori della guerra locali. Si diffonde anche la raffinazione dell’eroina. Nonostante questo giro d’affari, i contadini rimangono poveri, spesso indebitati e in situazioni disperate, a volte costretti a vendere le figlie. La droga continua a causare molte vittime; la produzione di oppio e metanfetamina è elevata e il numero di tossicodipendenti cresce costantemente, molti dei quali sono ex militari o poliziotti.Diritti Umani e Condizione delle Donne
Nonostante alcuni progressi nelle città, come un maggiore accesso all’istruzione e nuove opportunità di lavoro per le donne, la società afghana rimane profondamente patriarcale e legata a tradizioni arcaiche. I diritti umani vengono spesso ignorati e le donne continuano a subire abusi e discriminazioni. Per molti reati, prevale l’applicazione del diritto islamico di scuola hanafita.Peggioramento della Sicurezza e Nuovi Attori
Dopo il 2010, la situazione della sicurezza peggiora ulteriormente, in particolare nella capitale Kabul, colpita da continui attentati. I taliban guadagnano terreno e controllo su diverse aree del paese. Parallelamente, emerge un nuovo gruppo estremista, l’Islamic State-Wilayat Khorasan (Is-K), che compie attentati estremamente violenti e sanguinosi, spesso diretti contro civili e membri della comunità sciita.Il Ritiro Occidentale e il Ritorno dei Taliban
L’accordo di Doha, firmato nel 2020, spiana la strada al ritiro delle truppe americane e internazionali, segnando di fatto una resa da parte della coalizione. Nell’estate del 2021, i taliban riconquistano Kabul con sorprendente rapidità. Le forze di sicurezza afghane, addestrate e finanziate dagli Stati Uniti con miliardi di dollari, si arrendono in massa senza opporre resistenza. Questo crollo improvviso è dovuto alla corruzione diffusa nel governo, al basso morale delle truppe mal pagate e infiltrate, e alla percezione generale che la guerra fosse ormai persa.L’Emirato Islamico 2.0 e la Crisi Umanitaria
Con il ritorno dei taliban nel 2021, la crisi umanitaria si aggrava drasticamente. Gli aiuti internazionali, che sostenevano gran parte dell’economia e dei servizi, cessano quasi completamente. Il sistema sanitario collassa e milioni di persone soffrono la fame. I taliban, nella loro nuova versione (spesso definita “Taliban 2.0”), pur utilizzando tecnologie moderne per la propaganda e il controllo, impongono un regime estremamente rigido. Le restrizioni colpiscono duramente le donne, limitando il loro accesso all’istruzione, al lavoro e alla libertà di movimento. Artisti, giornalisti e attivisti per i diritti umani sono costretti a nascondersi o a fuggire dal paese. La violenza non si ferma, con omicidi mirati e attacchi suicidi che continuano a verificarsi.La Fine della Resistenza Organizzata
Anche la caduta del Panjshir, una valle storicamente roccaforte della resistenza anti-taliban, simboleggia la fine della resistenza organizzata su larga scala. Il paese rimane frammentato, con tensioni interne che persistono anche tra le diverse fazioni taliban. La ritirata delle forze occidentali lascia l’Afghanistan isolato sulla scena internazionale e in balia di nuove dinamiche geopolitiche nella regione. La guerra, pur cambiando forma, non finisce, e la popolazione continua a subire le conseguenze della violenza e delle privazioni.Perché un apparato statale costruito e finanziato per vent’anni è crollato in pochi giorni, se i problemi erano solo corruzione e morale bassa?
Il capitolo descrive il rapido collasso delle forze governative afghane, attribuendolo a corruzione e basso morale. Tuttavia, questa spiegazione appare insufficiente per giustificare una resa così totale e repentina. Per comprendere la fragilità strutturale che ha portato a questo esito, è necessario analizzare più a fondo la natura dello stato afghano post-2001: la sua dipendenza dagli aiuti esterni, la sua legittimità percepita dalla popolazione e le dinamiche politiche interne ed esterne che hanno plasmato il suo sviluppo. Approfondire la politologia, la sociologia dei conflitti e gli studi sullo state-building in contesti post-bellici può offrire prospettive più complete. Autori come Gilles Dorronsoro o Antonio Giustozzi hanno analizzato in dettaglio le debolezze intrinseche di quel sistema.Abbiamo riassunto il possibile
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