1X
🔊 100%
Contenuti del libro
Informazioni
“Specchio delle mie brame. La prigione della bellezza” di Maura Gancitano ti porta a guardare in modo diverso l’idea di bellezza che ci circonda, specialmente per le donne. Non è una cosa naturale o eterna, ma una vera e propria costruzione sociale della bellezza, nata con la società di massa e i media, che ha creato un potente mito della bellezza. Questo libro esplora come questa pressione estetica sia diventata un dovere, generando ansia e un costante senso di inadeguatezza basato su standard di bellezza spesso impossibili. Vedrai come lo sguardo sociale, spesso maschile e veicolato da media e bellezza e social media e corpo, ci spinge all’oggettivazione femminile e all’auto-oggettivazione, trasformando il corpo in un oggetto da giudicare. Il testo analizza il ruolo dell’industria cosmetica e del consumo e bellezza che sfruttano le nostre insicurezze, e come tutto questo sia legato a ruoli di genere e al controllo sul corpo. Ma non è solo una critica: il libro cerca anche vie d’uscita, suggerendo di spostare l’attenzione dall’aspetto alla cura di sé autentica, alla fioritura personale, e all’importanza dell’azione collettiva per liberarsi da questa prigione della bellezza.Riassunto Breve
L’idea di bellezza, soprattutto per le donne, non è un fatto naturale o eterno, ma nasce in un periodo storico preciso, tra la fine del Settecento e l’inizio del Novecento. Questo succede con l’arrivo della società di massa, delle fabbriche e del consumo. Nuove cose come la fotografia e i grandi negozi aiutano a diffondere immagini che dicono come si deve essere per essere considerati belli. Diventare belle diventa un impegno per le donne, una cosa che la società chiede e che crea preoccupazione e la sensazione di non essere mai abbastanza, perché gli standard sono difficili da raggiungere. Questa idea di bellezza funziona un po’ come una religione: promette che se ti adegui, sarai accettata e “salva”, ma per farlo devi comprare prodotti e controllare il tuo corpo, sentendoti in colpa se non sei perfetta. Il mercato usa questa insoddisfazione per vendere cose. La bellezza diventa quasi un lavoro per le donne, qualcosa a cui pensare sempre, che toglie tempo ed energie. Questo sistema non è solo questione di aspetto, ma è un modo per mantenere le differenze tra uomini e donne e tra le classi sociali, limitando l’indipendenza delle donne e facendole concentrare sul loro corpo e sulla casa. Anche la medicina in passato ha aiutato a diffondere queste idee, dicendo che processi normali del corpo femminile erano malattie. L’idea di bellezza si diffonde proprio quando le donne iniziano ad avere più libertà, come per frenare i cambiamenti. È una tecnica di potere che, spingendo le donne a controllare sé stesse e a sentirsi responsabili dei loro “difetti”, rende più difficile protestare e le fa sperare nella protezione invece di desiderare l’indipendenza. La percezione di cosa è bello è molto influenzata da come la società guarda, e questo sguardo è stato per molto tempo quello degli uomini. Le donne imparano a vedersi come se fossero guardate dagli altri, e questo crea una divisione dentro di loro e le rende insoddisfatte. L’arte, per esempio, mostra spesso i corpi delle donne come oggetti da guardare. La fotografia, diventata comune nell’Ottocento, è stata uno strumento potente per la pubblicità, che non vende solo oggetti, ma promette di cambiare la persona e renderla felice se compra, creando il desiderio di essere ammirati. Questo funziona creando insoddisfazione e offrendo il consumo come soluzione. Il corpo, specialmente quello femminile, viene giudicato in pubblico. Essere grassi, per esempio, nell’Ottocento inizia a essere visto male, come mancanza di decoro. Anche la “cellulite” viene definita un problema medico nel Novecento, trasformando una caratteristica normale in un difetto da correggere, creando un grande mercato di prodotti e molta ansia. La spinta verso ideali di bellezza difficili da raggiungere (essere giovani, magre, senza peli, con tratti europei) porta a vedere le donne come oggetti sessuali e contribuisce a problemi come i disturbi alimentari. Lo sguardo dominante decide cosa è “normale” e punisce i corpi che non lo sono, inclusi quelli non bianchi o non conformi alle idee di genere. La lotta per accettare corpi diversi è legata alle lotte per i diritti di genere e di razza, mostrando che controllare i corpi è un modo per mantenere il potere. Anche i vestiti e l’aspetto sono giudicati, portando a controllare il corpo di continuo. La moda ha spesso diviso nettamente i ruoli di genere, con abiti maschili più pratici e femminili più legati all’estetica. Le donne imparano a guardarsi dall’esterno (auto-oggettivazione), e questo riduce la loro capacità di sentire il corpo dall’interno e di usare al meglio le loro capacità mentali. L’auto-oggettivazione è collegata a insoddisfazione, vergogna e ansia. Le taglie dei vestiti, nate con la moda pronta, sono spesso arbitrarie e cambiano, facendo sentire “sbagliato” chi non ci rientra. Anche l’età è un problema: invecchiare per una donna è visto come una perdita di valore, e c’è pressione per sembrare sempre giovani. I media mostrano modelli spesso irraggiungibili. Criticare l’aspetto fisico (body shaming) non aiuta la salute, ma porta a comportamenti dannosi. La pressione della bellezza crea un forte senso di non essere abbastanza, che si sente fin da piccoli. Prendersi cura dell’aspetto diventa un obbligo sociale, che fa sentire in colpa anche chi è impegnato in altre cose. Questo succede anche a chi è considerato bello, come modelle e attrici, che vengono viste solo per il loro aspetto e soffrono per questo. La bellezza usata come merce, specialmente per le donne, dà un potere limitato, che dipende da come gli uomini e il mercato le guardano. Le donne spendono molti soldi e tempo per adeguarsi a standard che l’industria e i social media cambiano sempre, creando nuove insicurezze. I social media aumentano l’auto-oggettivazione e l’ansia da confronto, influenzando l’umore e l’immagine del corpo anche negli uomini, che sentono la pressione di essere muscolosi e senza peli. Il corpo diventa qualcosa da manipolare. L’ideale di bellezza di oggi è liscio, controllabile, qualcosa da comprare, che non crea problemi e conferma chi lo guarda. Questo è diverso dall’idea filosofica di bellezza, che è misteriosa, non si può comprare, può includere il dolore e spinge a superare sé stessi, offrendo uno spazio di riflessione lontano dalla società che vuole tutto subito. Liberarsi dall’idea di bellezza non basta sapere che le immagini sono finte o gli standard irrealistici. Essere consapevoli di come funzionano i media non riduce l’insoddisfazione; a volte anche i messaggi positivi finiscono per far concentrare sull’aspetto o servono a vendere. Anche la critica femminista, utile per capire le pressioni, non cambia da sola come una persona vede il proprio corpo. L’idea di bellezza agisce a un livello profondo, difficile da combattere solo con la ragione. Evitare le immagini dannose può aiutare, ma non è sempre possibile. Un modo efficace è pensare a cosa il corpo può fare, alla sua funzionalità, come spesso fanno gli uomini. Ma anche questa visione può essere influenzata dalla società che spinge a vedere il corpo come una risorsa da migliorare sempre. Avere un’immagine positiva del corpo significa dare meno importanza alla bellezza e ignorare i messaggi negativi. Serve auto-compassione e capire che la vergogna per l’aspetto è un problema della società, non personale. Fare sport per piacere, scegliere vestiti comodi ed evitare di parlare male del corpo aiuta. La soluzione più profonda è prendersi cura di sé stessi nel senso di far fiorire la propria persona. Vuol dire dedicare energia alle emozioni, ai desideri, ai talenti e ai progetti, riscoprendo la capacità di sentire il corpo dall’interno. Trovare un senso nella propria vita, seguendo la propria vocazione, porta a una felicità che viene da dentro, non dall’aspetto. L’idea di bellezza si infila dove manca il senso; coltivare una direzione creativa nella vita è fondamentale. La competizione tra donne è un effetto di questo sistema che le isola e le rende insicure, più facili da manipolare. L’idea di bellezza le spinge a confrontarsi sempre. Superare questo richiede coraggio e vedere la forza nelle altre donne, trasformando l’invidia in apprezzamento. Il cambiamento non può essere solo individuale; il sistema attuale tende a isolare le persone e a usare le critiche a suo vantaggio. Serve un’azione di gruppo che coinvolga anche gli uomini, perché l’idea di bellezza è un problema sociale che riguarda le differenze di classe, di origine e il controllo sui corpi. Le relazioni tra donne dovrebbero basarsi sull’apprezzamento di qualità che non sono l’aspetto. Capire che “il personale è politico” significa che i problemi che sembrano individuali sono spesso comuni e richiedono soluzioni collettive. La bellezza vera non è uno standard da raggiungere, ma un’esperienza di relazione, un mistero che dà senso alla vita e libera dall’essere troppo concentrati su sé stessi.Riassunto Lungo
1. La costruzione sociale della bellezza e il suo potere
L’idea di bellezza come la conosciamo oggi, specialmente quella legata alle donne, non è sempre esistita. È nata e si è affermata tra la fine del Settecento e l’inizio del Novecento, un periodo di grandi cambiamenti con la crescita della società di massa, l’industrializzazione e l’aumento dei consumi. In quel tempo, nuove invenzioni come la fotografia e la possibilità di distribuire prodotti su larga scala hanno aiutato a diffondere immagini che mostravano un certo tipo di bellezza come l’unico giusto. Diventare belle è diventato quasi un lavoro per le donne, un dovere che crea molta pressione, ansia e la sensazione di non essere mai abbastanza brave o all’altezza di modelli spesso impossibili da raggiungere. Questo “mito della bellezza” funziona un po’ come una religione: promette che se ti conformi e compri certi prodotti, sarai accettata e “salvata”. Chiede alle donne di essere molto rigide con il proprio corpo e le fa sentire in colpa per ogni piccola imperfezione.Un Meccanismo di Potere e Controllo
Il mercato approfitta di questa insoddisfazione, offrendo continuamente prodotti e servizi come soluzioni ai problemi che esso stesso contribuisce a creare. La bellezza si trasforma così in una specie di “competenza professionale” per le donne, un pensiero fisso che porta via molte energie che potrebbero essere usate in altri modi. Questo sistema non riguarda solo l’aspetto esteriore, ma è un vero e proprio strumento di potere. Aiuta a mantenere in piedi vecchi ruoli legati al genere e alla posizione sociale, limitando l’indipendenza delle donne e spingendole a concentrarsi sul proprio corpo e sulla vita in casa. Anche la medicina, in passato, ha spesso contribuito a rafforzare queste idee, considerando come malattie processi naturali del corpo femminile. La diffusione di questo mito è avvenuta proprio mentre le donne stavano conquistando maggiori libertà, quasi come se fosse un modo per frenare i cambiamenti nella società e nell’economia. È una tattica che, spingendo le donne a sentirsi osservate e a osservarsi da sole, le fa sentire responsabili delle proprie “mancanze” e rende più difficile esprimere disaccordo, spostando l’attenzione dal desiderio di cambiare le cose alla speranza di essere protette e accettate.Il capitolo, nel descrivere il “mito della bellezza” come uno strumento di controllo emerso per frenare l’indipendenza femminile, non rischia di offrire una visione eccessivamente unidirezionale e deterministica di un fenomeno culturale complesso?
Il capitolo presenta un’analisi convincente del “mito della bellezza” come costrutto sociale legato a dinamiche di potere e controllo, particolarmente nei confronti delle donne, e ne colloca l’affermazione in un periodo storico preciso. Tuttavia, concentrandosi quasi esclusivamente su questo aspetto e sulla sua funzione di freno al progresso femminile, l’argomentazione potrebbe apparire riduttiva. La bellezza, infatti, interseca dinamiche sociali, economiche e psicologiche che vanno oltre la mera repressione di genere. Per approfondire la questione e considerare prospettive più ampie, potrebbe essere utile esplorare la sociologia del corpo, gli studi culturali sul consumo e l’identità, e le analisi delle dinamiche di potere non limitate al genere. Autori come Naomi Wolf, Michel Foucault o Pierre Bourdieu offrono strumenti concettuali per analizzare come i corpi, le pratiche estetiche e i canoni di bellezza si inseriscano in reti di potere, distinzione sociale e costruzione dell’identità, senza necessariamente ridurli a un unico, deliberato meccanismo di controllo.2. Lo Sguardo che Costruisce il Corpo Ideale
La percezione della bellezza è fortemente influenzata dallo sguardo della società. Questo sguardo è modellato dalla tecnologia e dalla pubblicità. Storicamente, è stato uno sguardo prevalentemente maschile e dominante. Questa pressione porta le donne a vedersi costantemente attraverso gli occhi degli altri, creando una divisione interiore e una sensazione di insoddisfazione. L’arte visiva europea, in particolare nel modo in cui ha rappresentato il nudo femminile, mostra come i corpi delle donne siano stati spesso esposti come oggetti di potere, non come soggetti attivi con una propria volontà.La fotografia e il potere della pubblicità
Con la diffusione della fotografia nell’Ottocento, è diventato possibile riprodurre le immagini in modo molto più ampio. Questo ha reso la fotografia uno strumento fondamentale per la pubblicità. La pubblicità non si limita a vendere oggetti; promette una trasformazione, una felicità che si otterrebbe comprando qualcosa. Crea il desiderio di essere ammirati e di avere “glamour”. Questo meccanismo si basa sul creare un senso di inadeguatezza personale e sulla promessa che si può migliorare attraverso il consumo.Il corpo sotto giudizio: grasso e “cellulite”
Il corpo, specialmente quello femminile, è diventato un bersaglio del giudizio pubblico. Nell’Ottocento si è diffuso lo stigma legato al grasso, che veniva associato a mancanza di decoro e a una posizione sociale inferiore. Questa idea ha iniziato a influenzare la percezione che le persone hanno di sé fin da piccole. Nel Novecento è stata poi “inventata” la “cellulite” come se fosse una malattia. In questo modo, una caratteristica molto comune è stata trasformata in un difetto da eliminare, alimentando un grande mercato di prodotti e generando molta ansia.Standard di bellezza irraggiungibili e controllo sociale
La società impone standard di bellezza difficilissimi da raggiungere: essere giovani, magri, senza peli e con tratti fisici considerati “caucasici”. Questa pressione porta all’oggettificazione sessuale, contribuendo a problemi come i disturbi alimentari e un generale senso di insoddisfazione per il proprio corpo. Lo sguardo dominante decide cosa è considerato “normale” e “civilizzato”, penalizzando i corpi che non si conformano a questi modelli. Questo include corpi non bianchi, corpi grassi o corpi non binari. La battaglia per accettare i corpi che non rientrano nella norma si lega strettamente alle lotte per il riconoscimento di genere e di razza, dimostrando come il controllo sui corpi sia uno strumento usato per mantenere il potere sociale ed economico.Si può davvero affermare che gli standard di bellezza siano esclusivamente una costruzione sociale e uno strumento di potere, ignorando ogni possibile base biologica o evolutiva nella percezione dell’attrazione?
Il capitolo offre una critica potente e necessaria sull’influenza pervasiva della società, della tecnologia e del potere nella definizione degli ideali corporei. Tuttavia, l’argomentazione rischia di apparire riduttiva nel non considerare la complessità del fenomeno, che potrebbe includere anche fattori biologici o evolutivi che, pur non giustificando gli standard oppressivi, possono contribuire a spiegare alcune tendenze nella percezione dell’attrattività umana. Per arricchire la comprensione e affrontare questa potenziale lacuna, sarebbe utile esplorare prospettive provenienti dalla psicologia evoluzionistica o dall’antropologia biologica. Autori come David Buss o Steven Pinker hanno trattato questi temi, offrendo spunti (sebbene dibattuti) su come la biologia possa intersecarsi con la cultura nella formazione delle preferenze.3. La Pressione dell’Apparenza e del Tempo
L’abbigliamento e l’aspetto fisico sono spesso al centro del giudizio degli altri, portando a un controllo costante sul proprio corpo. Questa attenzione si vede nella scelta dei vestiti, che a volte limitano i movimenti o richiedono di essere continuamente sistemati. La moda ha da sempre creato confini netti tra i generi: l’abbigliamento maschile è diventato più semplice e pratico, mentre quello femminile è rimasto legato all’estetica e a come distinguersi. Questa differenza storica ha contribuito a modellare le aspettative sull’aspetto di uomini e donne.Il corpo come oggetto di valutazione
La società tende a considerare i corpi femminili come qualcosa da guardare e giudicare. Le donne finiscono per fare propria questa visione esterna, osservandosi come se fossero spettatori del proprio aspetto. Questo modo di pensare riduce le energie mentali disponibili e diminuisce la capacità di sentire le proprie sensazioni fisiche, come la fame o le emozioni. Quando ci si guarda costantemente dall’esterno, si possono provare insoddisfazione per il proprio corpo, vergogna, ansia. Questo può anche portare a problemi più seri come disturbi alimentari o depressione.Le taglie e l’ideale di magrezza
L’industria dell’abbigliamento, con la nascita della moda pronta, ha introdotto taglie standard che si basano su misure non fisse e che cambiano nel tempo. Questo sistema finisce per escludere molti tipi di corpi, facendo sentire “sbagliato” chi non rientra in questi standard. Per di più, esiste il fenomeno del “vanity sizing”, dove i numeri delle taglie vengono ridotti per far sentire i clienti più magri, rafforzando così l’idea che essere magri sia l’ideale da raggiungere.La pressione legata all’età
La pressione sull’aspetto non riguarda solo la forma del corpo, ma anche l’età. Nella cultura occidentale, la bellezza è spesso associata alla giovinezza, e l’invecchiamento, soprattutto per le donne, è visto come una perdita di valore. Le donne sentono la spinta a “invecchiare bene”, cercando di mantenere un aspetto giovane per evitare critiche. Questa pressione è alimentata dai mezzi di comunicazione, che mostrano modelli di bellezza spesso impossibili da raggiungere e contribuiscono a considerare il corpo solo per il suo aspetto. Giudicare l’aspetto fisico degli altri, il “body shaming”, non aiuta a migliorare la salute, anzi, può portare a comportamenti dannosi e allontanare le persone dall’attività fisica.Al di là della denuncia, come spiega il capitolo l’esatto meccanismo per cui lo ‘sguardo’ esterno si trasforma in sofferenza interiore e ‘dovere’ autoimposto?
Il capitolo descrive efficacemente il problema della pressione sociale legata alla bellezza, ma la sua argomentazione beneficerebbe di un’analisi più approfondita sui processi che legano la norma esterna all’esperienza interna di inadeguatezza. Affermare che l’inadeguatezza ‘diventa normale’ è una constatazione, non una spiegazione del come ciò avvenga a livello psicologico e sociale. Per colmare questa lacuna, sarebbe utile esplorare la psicologia sociale, in particolare i meccanismi di interiorizzazione delle norme, la formazione dell’identità e l’impatto del confronto sociale. Approfondire autori che hanno studiato l’interazione sociale e la costruzione del sé, come Goffman, o chi si è occupato della psicologia del corpo e dell’immagine di sé, potrebbe fornire gli strumenti concettuali necessari per comprendere perché e come lo ‘sguardo’ esterno si radica così profondamente nella psiche individuale.5. Ritrovare il Senso Oltre l’Immagine
Liberarsi dal mito della bellezza va oltre il semplice capire che le immagini sono ritoccate o che gli standard sono irrealistici. La consapevolezza mediatica, infatti, spesso non diminuisce l’insoddisfazione per il proprio corpo. A volte, anche i messaggi pensati per aiutare, come gli avvisi sulle immagini modificate o le campagne sulla “bellezza reale”, finiscono per riportare l’attenzione sull’aspetto fisico. Possono persino essere usati per scopi commerciali, sfruttando proprio le insicurezze delle persone. Allo stesso modo, la critica femminista, pur utile per capire le pressioni della società, non cambia facilmente come una persona vede il proprio corpo. Il mito della bellezza agisce a un livello molto profondo e istintivo, difficile da affrontare solo con la ragione. Evitare le immagini che fanno male potrebbe sembrare una soluzione, ma non è sempre facile o desiderabile nella vita di tutti i giorni.Superare l’Ossessione per l’Aspetto
Un modo efficace per allontanarsi dall’ossessione per l’aspetto è concentrarsi su ciò che il corpo sa fare, sulla sua funzionalità, piuttosto che sul suo aspetto esteriore. Questo approccio è spesso più comune nella percezione maschile, dove il corpo è visto come uno strumento capace di agire nel mondo. Tuttavia, anche questa visione può essere influenzata dalla società moderna, che spinge a considerare il corpo come qualcosa da migliorare continuamente per essere sempre più performante. Sviluppare un rapporto sereno con il proprio corpo significa dare meno importanza alla bellezza come definita dagli standard esterni e imparare a ignorare i messaggi negativi che ci arrivano. Questo richiede gentilezza verso se stessi (autocompassione) e la consapevolezza che la vergogna legata all’aspetto non è un fallimento personale, ma un problema creato dalla società. Azioni concrete come fare sport per il piacere di muoversi, scegliere vestiti comodi che ci fanno sentire bene e smettere di criticare il proprio corpo o quello degli altri contribuiscono a questo cambiamento interiore.La Cura di Sé e la Ricerca di Senso
La soluzione più profonda per contrastare il mito della bellezza si trova nella cura di sé intesa come un percorso di crescita personale. Significa dedicare tempo ed energia alle proprie emozioni, ai desideri autentici, ai talenti e ai progetti che ci stanno a cuore. Questo permette di riscoprire la capacità di sentire il proprio corpo dall’interno, in base a come ci si sente, non a come si appare. Trovare un significato profondo nella propria esistenza, seguendo la propria vocazione o passione interiore (il proprio dàimon), porta a una felicità che nasce dalla realizzazione personale, non dall’approvazione esterna legata all’aspetto. Il mito della bellezza trova terreno fertile soprattutto dove manca un senso profondo nella vita; per questo, coltivare una direzione creativa e significativa è fondamentale per liberarsene.L’Importanza delle Relazioni e dell’Azione Collettiva
La competizione tra donne è una conseguenza diretta di un sistema che promuove l’isolamento e l’insicurezza, rendendo le persone più facili da influenzare. Il mito della bellezza spinge le donne a confrontarsi costantemente tra loro, vedendosi come rivali. Superare questa dinamica richiede coraggio e la capacità di riconoscere e apprezzare la forza e le qualità delle altre donne, trasformando l’invidia in stima reciproca. Tuttavia, il cambiamento non può essere solo un’azione individuale. Il sistema attuale tende a isolare le persone e ad assorbire le critiche, trasformandole in nuove forme di consumo o pressione. È quindi necessaria un’azione collettiva, che coinvolga attivamente anche gli uomini, perché il mito della bellezza non riguarda solo le donne. È un problema sociale complesso, legato a questioni di classe, etnia e controllo sui corpi di tutti. Le relazioni tra donne e tra persone in generale dovrebbero basarsi sull’apprezzamento di qualità umane che vanno ben oltre l’aspetto fisico. Capire che “il personale è politico” significa rendersi conto che molte difficoltà individuali sono in realtà esperienze comuni, che richiedono soluzioni condivise e un impegno a livello più ampio. La bellezza autentica non è uno standard estetico da raggiungere o un’immagine da mostrare, ma un’esperienza che nasce dalle relazioni umane, un mistero che dà significato alla vita e aiuta a superare l’egocentrismo.Se il mito della bellezza è un problema sociale profondo, che agisce a un livello “istintivo” e “politico”, basta davvero “trovare il proprio dàimon” per liberarsene?
Il capitolo identifica correttamente la natura pervasiva e sistemica del mito della bellezza, sottolineando come non basti la sola consapevolezza razionale o l’azione individuale per contrastarlo. Tuttavia, nel proporre la “ricerca di senso” e la “cura di sé” come soluzioni “più profonde”, si rischia di spostare eccessivamente il focus sulla responsabilità individuale, quasi che la suscettibilità al mito dipendesse primariamente da una mancanza interiore. Questo approccio, pur valido per il benessere personale, potrebbe non scalfire le fondamenta sociali, economiche e culturali che generano e alimentano l’insicurezza legata all’aspetto. Per comprendere meglio questa tensione tra dimensione individuale e collettiva, e per esplorare soluzioni che agiscano su entrambi i fronti, è utile approfondire la sociologia del corpo, la teoria critica e la psicologia sociale. Autori come Naomi Wolf, bell hooks e Susie Orbach offrono prospettive diverse ma complementari su come il mito della bellezza sia intrecciato con strutture di potere, disuguaglianze e dinamiche psicologiche profonde, suggerendo che la liberazione richiede un impegno che vada oltre la mera introspezione.Abbiamo riassunto il possibile
Se vuoi saperne di più, devi leggere il libro originale
Compra il libro[sc name=”1″][/sc] [sc name=”2″][/sc] [sc name=”3″][/sc] [sc name=”4″][/sc] [sc name=”5″][/sc] [sc name=”6″][/sc] [sc name=”7″][/sc] [sc name=”8″][/sc] [sc name=”9″][/sc] [sc name=”10″][/sc]