1. Il miraggio dell’identità siciliana
L’idea di un’identità siciliana unica e isolata è un mito molto diffuso. Si può paragonare alla storia di Giufà che cerca di salvare la luna caduta nel pozzo. Questa visione è presente negli scritti di alcuni autori e pensatori, ma spesso non corrisponde alla vera realtà storica e culturale dell’isola.Le voci della letteratura
Molti scrittori hanno cercato di descrivere i siciliani e la loro presunta identità. Pirandello, ad esempio, li ha dipinti come persone chiuse, spaventate dalla vita e isolate dal mare. Tuttavia, la vita stessa di Pirandello e quella di altri importanti intellettuali siciliani come Verga o Tomasi di Lampedusa smentiscono questa idea. Queste figure di spicco ebbero infatti esperienze internazionali significative e non si “fecero isola a sé”, dimostrando un legame con il mondo esterno ben lontano dall’isolamento descritto.Lo sguardo dei viaggiatori
Anche le interpretazioni date da viaggiatori colti che visitarono l’isola sono state spesso fraintese. La famosa frase di Goethe sulla Sicilia come “chiave di tutto” si riferiva principalmente alle sue straordinarie bellezze naturali e ai suoi reperti archeologici, piuttosto che a una presunta profondità politico-culturale unica. Altri viaggiatori, come Tocqueville, notarono il forte contrasto tra la bellezza mozzafiato del luogo e una certa povertà culturale o politica che percepivano. Alcuni, come Stendhal, arrivarono addirittura a descrivere viaggi in Sicilia che in realtà non avevano mai compiuto, a dimostrazione di quanto l’isola fosse a volte più un’idea, un “fantasma”, nella cultura europea che una realtà concreta e ben compresa.La questione della lingua
Un aspetto centrale di questo mito dell’identità siciliana forte e distinta è la questione linguistica. È significativo notare che i movimenti politici siciliani, compresi quelli separatisti attivi nel Novecento, hanno sempre usato la lingua italiana nei loro documenti ufficiali e nei loro discorsi pubblici. Questo fatto è in netta contraddizione con l’idea di una nazione siciliana linguisticamente separata e distinta dall’Italia. Documenti storici fondamentali, come la Costituzione siciliana del 1812, non fanno alcuna menzione di una lingua siciliana specifica da utilizzare per l’alfabetizzazione della popolazione o per la partecipazione alla vita politica e sociale.Intellettuali e luoghi comuni
Alcuni intellettuali siciliani hanno contribuito a perpetuare questo mito dell’identità unica. Sciascia, in un caso specifico, o Sebastiano Aglianò, hanno descritto certi tratti psicologici o antropologici presentandoli come caratteristiche esclusive dei siciliani. In realtà, molti di questi tratti si ritrovano comunemente in numerose altre culture del mondo. Aglianò, in particolare, dopo aver dipinto la Sicilia come una terra quasi orientale e lontana dall’Europa, conclude poi il suo ragionamento in modo contraddittorio affermando il ruolo centrale che l’isola ha avuto nella storia italiana ed europea.La realtà della storia
Questa narrazione di un’identità siciliana forte, immutabile e impermeabile alle influenze esterne non trova alcun riscontro nella storia millenaria dell’isola. La Sicilia è stata, al contrario, un crocevia di popoli, culture e lingue diverse che si sono incessantemente mescolate nel corso dei secoli. Il mito di un’identità siciliana unica si basa spesso su generalizzazioni affrettate e su luoghi comuni che non reggono a un’analisi storica e culturale più approfondita e attenta alla complessità della realtà.Basta dimostrare che l’identità siciliana non è isolata per negare ogni sua specificità culturale e linguistica?
Il capitolo si concentra molto sul dimostrare che la Sicilia non è stata isolata, usando esempi di intellettuali e viaggiatori. Tuttavia, l’identità di un popolo non si definisce unicamente per il suo grado di isolamento o connessione. Esistono elementi culturali, linguistici (anche al di fuori dell’uso politico), antropologici e storici che contribuiscono a un senso di specificità e appartenenza, anche in un contesto di scambi e mescolanze. Il capitolo sembra liquidare questi aspetti concentrandosi quasi esclusivamente sulla smentita dell’isolamento come unico criterio di identità. Per una visione più completa, sarebbe utile esplorare studi di antropologia culturale, sociolinguistica e storia sociale che analizzino la cultura popolare e il ruolo della lingua siciliana nella vita quotidiana, al di beyond dei documenti ufficiali. Autori come Pitrè o Camilleri, pur con approcci diversi, hanno esplorato queste dimensioni.2. L’identità riflessa in specchi distorti
Nella storia siciliana, ci sono stati tentativi di considerare la lingua locale come una vera e propria lingua nazionale, ma questi sforzi hanno mostrato limiti evidenti. L’Accademia Poetica Letteraria di Pura Lingua Siciliana, nata nel Settecento, imponeva regole severe: si potevano trattare solo certi argomenti, escludendo la politica e tutto ciò che non era strettamente legato all’isola. Questo modo di fare ha confinato il siciliano a un uso molto ristretto, impedendogli di crescere e diventare una lingua completa, capace di affrontare ogni tema. I testi che uscivano dall’Accademia spesso celebravano la Sicilia con parole altisonanti, passando dal lamento all’orgoglio, ma senza proporre idee concrete per la vita civile e sociale dell’isola.La percezione della lingua nella società e nella letteratura
Questa visione limitata contrasta con come la lingua siciliana veniva percepita dalla gente comune e rappresentata nella letteratura. Nell’Opera dei pupi, ad esempio, i personaggi buoni parlavano italiano, mentre i cattivi usavano il siciliano, spesso mostrato come una lingua rozza o inferiore. Anche scrittori importanti come Verga descrivevano il siciliano come un “dialetto semibarbaro”. Questa percezione rifletteva un’idea diffusa, presente anche nelle analisi politiche dell’epoca, che vedeva la Sicilia come una regione arretrata rispetto al resto d’Italia, quasi bloccata nel suo sviluppo.L’identità politica e lo Statuto di Autonomia
L’identità siciliana si è manifestata anche sul piano politico, in particolare con lo Statuto di Autonomia del 1946. È interessante notare che questo Statuto non si occupava della questione linguistica, ma conteneva un articolo, il numero 38, che prevedeva un trasferimento annuale di denaro dallo Stato. Lo scopo era compensare la Sicilia per il suo minor reddito rispetto ad altre regioni. Questo articolo è stato interpretato come l’ufficializzazione di un’identità basata sulla richiesta di un risarcimento, quasi a voler riparare a presunti torti subiti, piuttosto che su un percorso di sviluppo autonomo e basato sulle proprie forze.Il modello economico e l’immagine distorta
Questo modello istituzionalizzato dall’articolo 38 sembra privilegiare un approccio economico basato sul consumo di ricchezza che si ritiene di ricevere per diritto. Questo atteggiamento è ben rappresentato nella letteratura da personaggi come il giovane ‘Ntoni nei Malavoglia, che attende un aiuto esterno o un colpo di fortuna. Si contrappone invece all’idea di produrre ricchezza attraverso il lavoro e l’intraprendenza, incarnata da figure come Mastro-don Gesualdo. Questa identità, che si vede riflessa in questo meccanismo di compensazione, rischia di essere una rappresentazione distorta della realtà dell’isola, un’immagine che può impedire di comprendere veramente la Sicilia e di promuoverne uno sviluppo autentico e produttivo.Ma è davvero possibile ridurre l’identità complessa di un’isola come la Sicilia a un singolo articolo dello Statuto di Autonomia e a una presunta tendenza al “consumo di ricchezza per diritto”?
La lettura del capitolo, che lega l’identità siciliana all’interpretazione dell’articolo 38 dello Statuto come richiesta di risarcimento, offre uno spunto polemico interessante ma rischia di essere eccessivamente riduttiva. L’identità di un popolo è un fenomeno sfaccettato, influenzato da storia, cultura, economia, politica e dinamiche sociali che vanno ben oltre una singola disposizione legislativa. Per avere una visione più completa, sarebbe fondamentale approfondire la storia politica e sociale della Sicilia, le diverse correnti autonomiste, le reali condizioni economiche dell’isola nel dopoguerra e le molteplici espressioni culturali che non si limitano alla sola lingua o a stereotipi letterari. Discipline come la storia contemporanea, la sociologia e l’antropologia culturale offrono strumenti per un’analisi più ricca. Si potrebbero consultare autori che hanno studiato la storia siciliana e la questione meridionale, come Giuseppe Giarrizzo o Salvatore Lupo.3. Il Legame Antico tra Sicilia e Continente
Il siciliano si comprende facilmente per chi parla italiano. Questa vicinanza, che si potrebbe definire “modernità”, si vede bene nella letteratura, da Giovanni Meli nel Settecento fino a Verga e Camilleri. Meli, ad esempio, usa il siciliano anche per parlare di idee complicate, non solo di cose popolari, e pensava che siciliano e italiano fossero lingue molto simili. Quando scriveva in prosa, come nelle sue lezioni all’università, usava l’italiano normale e ha anche preparato una specie di guida per aiutare gli italiani a capire le sue poesie, mostrando che le differenze erano solo superficiali.Le origini storiche della vicinanza linguistica
Questa somiglianza non è una cosa recente, ma ha radici molto antiche. I testi più vecchi scritti in volgare siciliano, che risalgono al 1200 (come un accordo di matrimonio e una ricetta), mostrano già quanto fosse simile al toscano. In più, contengono molte parole che vengono dalle lingue parlate in Francia e nel nord Italia, e non hanno parole arabe. Questo si capisce meglio guardando la storia della Sicilia sotto i Normanni e gli Svevi. Dall’anno Mille in poi, la Sicilia è diventata parte dell’Europa. I re Normanni e Svevi hanno fatto arrivare sull’isola persone da diverse parti del continente, come Normanni, Francesi, Lombardi e Toscani. Queste persone hanno contribuito a diffondere il latino e a portare elementi delle loro lingue nel volgare che si parlava in Sicilia.La Scuola poetica siciliana e il contesto culturale
Anche la Scuola poetica siciliana, nata alla corte di Federico II, mostra quanto l’isola fosse legata al continente. Anche se le loro poesie ci sono arrivate copiate in toscano, il fatto che sia stato facile trasformarle così fa pensare che le lingue di base fossero già simili. I temi di queste poesie, specialmente come viene descritta la donna, vista come una persona che poteva scegliere liberamente e avere libertà sessuale, sono molto diversi da come si viveva nei paesi islamici in quel periodo. Un viaggiatore arabo di nome Ibn Jubayr l’ha notato. Questo dimostra che i Normanni hanno portato un grande cambiamento culturale, influenzato dai modelli letterari della Provenza, e questo si vede anche nella lingua. Quindi, la lingua siciliana è nata già con una forte influenza dal continente, ed è per questo che è così simile all’italiano.Ma davvero la semplice comprensione reciproca tra chi parla varietà diverse basta a dimostrare l’assenza di una “vera separazione tra le culture”?
Il capitolo lega in modo un po’ troppo disinvolto la mutua intelligibilità linguistica all’assenza di divisioni culturali. La capacità di capirsi a parole non esclude affatto l’esistenza di profonde stratificazioni sociali, identitarie o regionali che possono costituire barriere culturali significative, anche all’interno di un’area linguistica omogenea. Per approfondire il rapporto complesso tra lingua, società e cultura, sarebbe utile guardare agli studi di sociolinguistica e alla storia sociale, magari leggendo autori come Bourdieu, che hanno esplorato come il linguaggio sia intessuto nelle dinamiche di potere e distinzione sociale.5. Il furto dell’identità siciliana
La condizione del siciliano è vista come quella di un dialetto impoverito rispetto a una lingua originaria. Questa perdita di capacità espressiva sembra un furto che rende il popolo siciliano povero e incapace di esprimere pienamente pensieri e sentimenti. Non è un’esaltazione del dialetto, ma la constatazione di un limite presente. Un’antica tesi, già sostenuta nel Cinquecento da Claudio Mario Arezzo, parla di un altro tipo di furto linguistico. Secondo questa idea, la lingua italiana sarebbe nata in Sicilia e poi sarebbe stata fatta propria dai toscani.La lingua italiana e le sue origini
Questa visione, basata su come veniva interpretato Dante, suggerisce che il siciliano non sia una lingua diversa, ma l’italiano alle sue origini. Questo lega l’identità linguistica siciliana all’essere italiani, anche se in modo complesso e pieno di contraddizioni. Da un lato si rivendica un primato, dall’altro si teme l’esclusione. Arezzo, per esempio, temeva che considerare la Sicilia una nazione autonoma potesse escluderla dall’Italia e dall’Europa. Figure come Machiavelli e Arezzo avevano visioni diverse su questo rapporto.La Sicilia nella letteratura del Novecento
Nel Novecento, la letteratura ha mostrato la Sicilia in due modi diversi. C’è l’immagine dell’isola chiusa e legata alla tradizione, come si vede nel “Gattopardo”. Poi c’è l’immagine di una Sicilia più aperta e moderna, come in “Conversazione in Sicilia” di Elio Vittorini. Quest’ultimo libro presenta un’isola non isolata, dove le persone vivono esperienze e hanno rapporti (“continentali”) che vanno oltre i soliti confini. La parola “continentale” qui significa uno stile di vita aperto e moderno.Il confronto comico
Anche il teatro ha affrontato questo tema. La commedia “L’aria del continente” di Nino Martoglio guarda in modo divertente al confronto tra la mentalità siciliana di una volta e chi cerca di adottare modi “continentali”. Mostra come questa “continentalità” possa spuntare fuori anche nei posti che sembrano più tipici della Sicilia. La commedia mette in scena con ironia le difficoltà e le sorprese di questo incontro tra mondi diversi, spesso con esiti inaspettati.Un’illusione di unicità?
Forse cercare un’unicità siciliana assoluta è un’illusione, un modo per non guardare la realtà, un po’ come Giufà che cerca qualcosa che non ha mai perso. L’impressione di aver subito un furto, di aver perso una lingua o un’identità unica, potrebbe venire da un evento difficile, da un trauma. Questo trauma potrebbe aver nascosto l’antica connessione della Sicilia con l’Italia e con il “continente”.Se l’italiano è nato in Sicilia, come sostiene la tesi cinquecentesca, perché la linguistica moderna lo fa derivare dal fiorentino?
Il capitolo introduce l’antica e affascinante tesi secondo cui la lingua italiana avrebbe avuto origine in Sicilia, un’idea che si scontra con la visione del siciliano come mero dialetto impoverito. Tuttavia, questa rivendicazione storica, pur suggestiva, non trova pieno riscontro nelle evidenze della linguistica storica contemporanea, che identifica nel fiorentino trecentesco la base della lingua letteraria e poi nazionale. Per districarsi in questa apparente contraddizione e comprendere l’effettiva evoluzione della lingua italiana e il ruolo del siciliano, è indispensabile studiare la filologia romanza e la linguistica storica. Approfondire il pensiero di autori come Dante Alighieri (per capire l’origine dell’interpretazione storica) e, soprattutto, quello di linguisti moderni come Tullio De Mauro o Francesco Bruni può fornire gli strumenti critici necessari per valutare queste diverse prospettive e comprendere il complesso rapporto tra dialetto, lingua letteraria e identità.Abbiamo riassunto il possibile
Se vuoi saperne di più, devi leggere il libro originale
Compra il libro[sc name=”1″][/sc] [sc name=”2″][/sc] [sc name=”3″][/sc] [sc name=”4″][/sc] [sc name=”5″][/sc] [sc name=”6″][/sc] [sc name=”7″][/sc] [sc name=”8″][/sc] [sc name=”9″][/sc] [sc name=”10″][/sc]