Contenuti del libro
Informazioni
“Senza via di scampo. La storia vera dell’incredibile fuga dalla Corea del Nord” di Masaji Ishikawa ti porta nel Giappone del dopoguerra, un periodo difficile dove i coreani residenti affrontano povertà e discriminazione. Molti, spinti dalla disperazione e dalla propaganda che dipinge la Corea del Nord come un “paradiso” socialista pieno di opportunità , decidono di partire, diventando parte di una massa di rimpatriati in cerca di una vita migliore. Ma l’arrivo nel presunto paradiso si rivela un incubo: la vita in Corea del Nord è segnata da miseria estrema, fame, sorveglianza costante e un brutale sistema di caste che relega i rimpatriati al gradino più basso, considerati “ostili”. È una lotta quotidiana per la sopravvivenza, che peggiora drasticamente con la terribile carestia in Corea del Nord degli anni ’90. Questo memoir è la storia vera di come, di fronte a perdite inimmaginabili e alla disperazione, l’autore trovi la forza per tentare l’incredibile fuga dalla Corea del Nord, un viaggio pericolosissimo verso la libertà , e del difficile e doloroso ritorno in Giappone, una terra che non sente più sua.Riassunto Breve
Nel Giappone del dopoguerra, molti coreani vivono in povertà e subiscono discriminazione, spesso conseguenza del lavoro forzato durante l’occupazione. Senza mezzi e con difficoltà di integrazione, molti ascoltano la propaganda di associazioni che promuovono il rimpatrio in Corea del Nord, descritta come un “paradiso terrestre” socialista con stabilità e opportunità , specialmente per l’istruzione dei figli. Il governo giapponese vede il rimpatrio come una soluzione per gestire una popolazione problematica, mentre il governo nordcoreano di Kim Il-sung cerca manodopera per la ricostruzione e vuole dimostrare la superiorità del proprio sistema. Un accordo tra le Croci Rosse porta a una migrazione di massa tra il 1959 e il 1984, con circa centomila coreani e duemila mogli giapponesi che partono, spinti dalla disperazione e dalla speranza di un futuro migliore. L’arrivo in Corea del Nord rivela una realtà desolata, lontana dalle promesse. Il porto appare abbandonato, le abitazioni sono rudimentali, manca acqua corrente e gas. Il cibo è scarso e di pessima qualità , spesso insufficiente, costringendo a cercare erbe o comprare al mercato nero a prezzi altissimi. La società è rigidamente controllata dal Partito del lavoro e divisa in caste; i rimpatriati dal Giappone sono classificati nella casta “ostile”, la più bassa, subendo discriminazioni e vedendosi negare opportunità di istruzione superiore o avanzamento professionale. La vita quotidiana è fatta di lavoro forzato, sorveglianza costante e mancanza di libertà di pensiero, punita severamente. Si è trattati come cittadini di terza classe, subendo insulti. La sopravvivenza richiede conformismo e la finzione di lealtà al regime. Anche beni modesti o l’igiene personale diventano motivo di sospetto. Nonostante le difficoltà , l’adattamento e il rispetto delle regole sembrano l’unica via. La vita è segnata da dolore costante, come la notizia della morte di parenti in Giappone. Si subiscono sfratti forzati a causa dello status “ostile”, trasferendosi in condizioni estreme, affrontando freddo intenso e mancanza di beni essenziali. I soldati si comportano in modo criminale. Le relazioni personali sono difficili a causa dello status. La repressione politica è feroce; chi critica scompare o viene mandato nei campi. L’assistenza sanitaria è negata ai poveri. Il regime impone un controllo ideologico stringente. Si affrontano lavori massacranti. Matrimoni combinati portano a relazioni difficili. La morte di familiari per fatica e povertà è comune. La sopravvivenza quotidiana è una lotta per procurare cibo e calore per i familiari, affrontando fame, freddo e paura costante. La povertà è diffusa, con scarsità di cibo e alloggi. Ottenere lavoro o casa statale è quasi impossibile senza legami con il Partito, portando a un’esistenza ai margini. La discriminazione è costante, si è visti con sospetto. La mancanza di cibo è cronica, si ruba o si mangiano piante selvatiche, si arriva a vendere il sangue per comprare riso. Il sistema burocratico è inefficiente e corrotto. Le famiglie si separano per mancanza di alloggi e lavoro. I bambini crescono in condizioni difficili. Tragedie come malattie o morti per denutrizione sono frequenti. Senza supporto esterno si rimane intrappolati nella povertà . Chi riceve aiuti dall’estero ha un tenore di vita superiore, evidenziando la disuguaglianza. La lotta per la sopravvivenza è quotidiana in un ambiente ostile. Dopo la morte di Kim Il-sung nel 1994, una grave carestia colpisce il paese. La distribuzione statale del cibo crolla, le razioni diminuiscono drasticamente, costringendo a cercare cibo non commestibile. Molti muoiono di fame, i corpi sono per strada, si arriva al cannibalismo. L’economia si ferma. Di fronte a questa situazione, un cittadino giapponese decide di fuggire in Giappone per aiutare la famiglia. L’evasione è difficile, richiede documenti e il confine con la Cina è sorvegliato. Si tenta la fuga salendo clandestinamente su un treno e attraversando il fiume Yalu. In Cina si riceve aiuto, si contatta la Croce Rossa e il consolato giapponese. Essendo cittadino giapponese, il governo interviene. Le trattative con le autorità cinesi sono delicate, poiché la Cina rimanda i fuggitivi nordcoreani. La Cina accetta di “chiudere un occhio” sulla partenza. Si organizza un trasferimento segreto e un volo charter per il Giappone. Nonostante la salvezza, il pensiero della famiglia rimasta nella carestia provoca tormento. Il ritorno in Giappone avviene nel 1996, dopo trentasei anni. Il ritorno genera speranza per il futuro e per salvare la famiglia. Si ottiene alloggio temporaneo, poi un posto in un centro di riabilitazione. La sistemazione è frustrante. I media mostrano interesse, ma il governo chiede silenzio. Incontri con politici non portano all’aiuto sperato per la famiglia. La priorità di salvare i propri cari non trova sostegno. Trovare lavoro è difficile a causa del passato poco chiaro; un impiego termina per sospetto di spionaggio. I parenti giapponesi rifiutano contatti. Il governo considera il ritorno volontario, negando supporto. La preoccupazione per la famiglia in Corea del Nord è costante, tormenta i pensieri. Si apprende della morte per fame della moglie. Un tentativo di inviare denaro a un’altra familiare fallisce; anche lei muore di fame. Le notizie dai figli cessano. L’incertezza sulla loro sorte causa insonnia. Il ritorno nel luogo di nascita in Giappone non offre conforto; il paesaggio è cambiato, non si riconosce più. Esiste una sensazione di non appartenenza, di essere in un limbo, non ufficialmente riconosciuto dal governo giapponese. Nonostante la sopravvivenza sia assicurata, il dolore per le perdite e l’incertezza sul futuro dei figli persistono.Riassunto Lungo
1. Partenza per un presunto paradiso
Nel Giappone del dopoguerra, molti coreani si trovavano in condizioni di grande povertà e subivano una forte discriminazione. Molti di loro erano discendenti di persone portate in Giappone per lavoro forzato durante l’occupazione. Dopo la fine della guerra, si ritrovarono senza mezzi e affrontarono enormi difficoltà nel trovare lavoro e nell’integrarsi nella società giapponese. In questo contesto di disperazione, alcune associazioni, come la Lega dei coreani residenti in Giappone, iniziarono a promuovere attivamente il ritorno in Corea del Nord. Presentavano la Corea del Nord come una nazione socialista in rapida crescita e un vero e proprio “paradiso terrestre”, dove si potevano trovare stabilità , opportunità e, soprattutto, istruzione gratuita per i figli. Questa propaganda si diffuse ampiamente tra la comunità coreana in Giappone, offrendo una speranza concreta di una vita migliore.Le ragioni politiche ed economiche
Il governo giapponese vedeva il rimpatrio come un modo conveniente per gestire una popolazione che considerava problematica e difficile da integrare. Era interessato a ridurre il numero di residenti coreani nel paese. Allo stesso tempo, anche il governo nordcoreano, guidato da Kim Il-sung, aveva forti motivazioni. Aveva un disperato bisogno di manodopera qualificata e non per la ricostruzione del paese dopo la guerra. Inoltre, accogliere i coreani che vivevano in un paese capitalista come il Giappone era un’ottima opportunità di propaganda per Kim Il-sung, che poteva mostrare al mondo la presunta superiorità del suo sistema socialista e acquisire nuovi cittadini fedeli e lavoratori. Entrambi i paesi, per ragioni diverse ma convergenti, trovarono vantaggioso facilitare questa migrazione di massa.
L’accordo e la grande migrazione
Fu negoziato un accordo di rimpatrio tra le Croci Rosse giapponese e nordcoreana, aprendo la strada a un’enorme migrazione. Questo spostamento organizzato di persone avvenne nell’arco di molti anni, precisamente tra il 1959 e il 1984. In questo periodo, circa centomila coreani residenti in Giappone e duemila loro mogli giapponesi si trasferirono in Corea del Nord. Per molte famiglie coreane in Giappone, la decisione di partire nacque dalla disperazione causata dalla povertà persistente e dalla costante discriminazione. Furono anche fortemente influenzati dalle persuasive promesse di una vita migliore in Corea del Nord, inclusa la garanzia di istruzione gratuita per i figli, una preoccupazione primaria per i genitori. Scegliere di partire era spesso una decisione difficile e piena di incertezze, che lasciava le famiglie divise, ma in definitiva, la forte speranza di assicurarsi un futuro stabile e prospero per sé e per i propri figli prevaleva sulle dure realtà che affrontavano quotidianamente in Giappone. Le partenze stesse erano spesso eventi pubblici, accompagnati da manifestazioni di propaganda che celebravano il ritorno e da momenti di profonda commozione mentre le famiglie lasciavano tutto ciò che conoscevano.
Considerando il titolo, perché il capitolo descrive la partenza per un ‘presunto paradiso’ senza indagare cosa accadde una volta arrivati?
Il capitolo descrive con efficacia le condizioni di disperazione in Giappone e le motivazioni politiche ed economiche che spinsero alla migrazione, ma si arresta alla partenza. La lacuna principale riguarda l’effettiva esperienza di vita dei coreani e delle loro mogli giapponesi una volta giunti nel “presunto paradiso”. Per colmare questa mancanza e comprendere l’esito di questa massiccia migrazione, è necessario esplorare fonti che documentino la realtà della Corea del Nord nel periodo considerato, al di là della propaganda iniziale. Approfondimenti sulla storia sociale e politica della Corea del Nord, le testimonianze dei rimpatriati o dei loro familiari, e studi sulle migrazioni forzate sono essenziali. Discipline come la storia contemporanea, gli studi asiatici e la sociologia possono fornire gli strumenti analitici. Autori che hanno indagato la storia della Corea del Nord possono offrire prospettive cruciali.2. La Casta Ostile nel Paradiso Promesso
L’arrivo in Corea del Nord per i coreani rimpatriati dal Giappone si rivela subito una dura realtà , lontana dalle promesse di un paradiso socialista. Il porto di sbarco appare desolato e abbandonato, e l’accoglienza si limita a formale propaganda. Le condizioni di vita iniziali sono estremamente difficili: le abitazioni sono rudimentali, spesso prive di servizi essenziali come acqua corrente o gas, e la disponibilità di cibo è scarsa e di pessima qualità . Spesso il cibo fornito non è sufficiente per sostenere una famiglia, costringendo le persone a cercare erbe commestibili o a ricorrere al mercato nero, dove i prezzi sono proibitivi.Il Controllo Sociale e la Casta “Ostile”
La società nordcoreana è completamente dominata dal Partito del lavoro, che impone l’adesione a organizzazioni affiliate per diffondere l’indottrinamento ideologico. La popolazione è rigidamente divisa in caste, stabilite in base all’origine familiare e al livello di lealtà percepita nei confronti del regime. I rimpatriati dal Giappone vengono classificati nella casta più bassa, definita “ostile”. Questa discriminazione di base ha conseguenze devastanti sul futuro delle persone, precludendo l’accesso all’istruzione superiore e ogni possibilità di avanzamento professionale, indipendentemente dalle capacità o dal merito individuale.La Vita Quotidiana tra Sorveglianza e Sopravvivenza
La vita di tutti i giorni è segnata da lavoro forzato, spesso imposto in condizioni assurde dettate da direttive burocratiche irrealistiche e senza senso. La popolazione vive sotto costante sorveglianza, e la libertà di pensiero è completamente assente e punita con estrema severità . I rimpatriati subiscono continue discriminazioni e insulti, trattati come cittadini di terza classe senza diritti. La sopravvivenza dipende dalla capacità di conformarsi e di fingere lealtà al regime e a Kim Il-sung. Anche le necessità più semplici, come l’igiene personale o il possesso di modesti beni portati dall’estero, diventano motivo di sospetto e ostilità da parte dei vicini e delle autorità . Di fronte a queste immense difficoltà , l’unica strategia percepita per andare avanti è l’adattamento completo e il rispetto scrupoloso delle regole imposte.Ma qual è il contesto storico e ideologico che ha reso “ostile” una semplice origine familiare, e come si è radicata questa classificazione?
Il capitolo descrive con efficacia le drammatiche conseguenze della classificazione dei rimpatriati come “casta ostile”, evidenziando la discriminazione e le privazioni subite. Tuttavia, non approfondisce sufficientemente le ragioni storiche e ideologiche specifiche che hanno portato il regime a etichettare un intero gruppo di persone come intrinsecamente sleale o pericoloso basandosi unicamente sulla loro provenienza. Comprendere il quadro più ampio della politica nordcoreana verso i rimpatriati, la storia della comunità coreana in Giappone (Zainichi) e l’evoluzione del sistema Songbun (il sistema di classificazione sociale) è fondamentale per cogliere appieno la logica perversa di tale discriminazione. Per approfondire, si possono esplorare studi sulla storia della Corea del Nord, l’ideologia Juche e le dinamiche sociali dei regimi totalitari, consultando autori come B.R. Myers o A. Scaramozzino.3. Vite Spezzate e la Lotta per Sopravvivere
La vita in Corea del Nord è segnata da dolore e difficoltà costanti. La notizia della morte della nonna in Giappone porta ulteriore tristezza. Nel 1968, l’arrivo di un’unità militare nel villaggio causa lo sfratto forzato di diverse famiglie, inclusa la propria, a causa del loro “songbun” considerato “ostile”. Ci si trasferisce in un villaggio vicino, trovando riparo in una casa abbandonata. Le condizioni di vita sono estreme, con freddo intenso e mancanza di beni essenziali.Condizioni di Vita Estreme e Mancanza di Servizi
I soldati si comportano in modo criminale, rubando cibo e beni, e terrorizzando la popolazione. La mancanza di servizi di base è palese. L’assistenza sanitaria, per esempio, è negata ai poveri che non possono pagare con beni preziosi. La rabbia per questa ingiustizia porta a reazioni violente.La Repressione Politica e Ideologica
La repressione politica è evidente in questo contesto. Figure potenti come Kim Chan-bon vengono eliminate da Kim Il-sung. Chiunque critichi il sistema, anche indirettamente, subisce gravi conseguenze, come dimostra il tragico destino dell’amico Young Seok-pong. Altri rimpatriati scompaiono o vengono mandati nei campi di concentramento per motivi futili. Il regime impone un controllo ideologico stringente, con slogan e comandamenti da memorizzare obbligatoriamente.Lotte Personali e la Sopravvivenza Quotidiana
In questo contesto di miseria, un breve innamoramento finisce a causa dello status di “rimpatriato”. La vita continua con lavori massacranti, come la rimozione di detriti per la costruzione di tunnel militari. Un matrimonio combinato, imposto da circostanze familiari, porta a una relazione difficile e all’abbandono da parte della moglie dopo la nascita del figlio. La madre muore, segnata dalla fatica e dalla povertà . La sopravvivenza quotidiana diventa una lotta per procurare cibo e calore per il figlio piccolo, il padre anziano e la sorella minore, affrontando la fame, il freddo e la costante paura.Ma come è possibile che un cittadino giapponese si trovasse a vivere in Corea del Nord per ben trentasei anni?
Il capitolo descrive la fuga di un individuo giapponese dalla Corea del Nord, ma lascia una lacuna fondamentale: non spiega le circostanze che hanno portato un cittadino del Giappone a risiedere per così lungo tempo in un paese noto per il suo isolamento e le difficoltà di ingresso e uscita. Questa mancanza di contesto rende la premessa della storia poco chiara e solleva interrogativi sulla sua plausibilità senza ulteriori informazioni. Per colmare questa lacuna, sarebbe utile approfondire la complessa storia delle relazioni tra Giappone e Corea del Nord, esplorando temi come i rimpatri, le migrazioni e il controverso argomento dei rapimenti di cittadini giapponesi da parte del regime nordcoreano. Approfondire studi sulla storia contemporanea della penisola coreana e le dinamiche sociali e politiche interne alla Corea del Nord, magari leggendo autori che si sono occupati di questi temi specifici, può fornire il quadro necessario a comprendere come una tale situazione possa essersi verificata.6. Terra Natia, Vita Sospesa
Il ritorno in Giappone inizialmente porta con sé una scintilla di speranza per un nuovo futuro e, soprattutto, per la possibilità di salvare la famiglia rimasta in Corea del Nord. Il Ministero degli Esteri fornisce un luogo temporaneo dove alloggiare, a cui segue un posto in un centro di riabilitazione a Hamakawa. Questo centro è pensato per persone con varie difficoltà , ma le condizioni di vita si rivelano profondamente frustranti. Condividere spazi ristretti con individui che affrontano problemi di dipendenza o malattia crea un ambiente tutt’altro che ideale per ricominciare. Nonostante la speranza iniziale, la realtà della situazione presenta subito sfide significative.Le Sfide dell’Integrazione e l’Aiuto Negato
I media mostrano interesse per la vicenda, ma il governo giapponese chiede di mantenere il silenzio per non rivelare il proprio coinvolgimento. Gli incontri con membri del Parlamento non portano all’aiuto sperato per i familiari, e la priorità di salvare i propri cari non trova alcun sostegno. Trovare lavoro risulta arduo a causa del passato non chiaro; un impiego in una ditta di pulizie termina bruscamente quando si diffonde la voce che si tratti di una spia. Anche i parenti giapponesi della madre rifiutano ogni contatto, mentre il governo considera il ritorno volontario, negando qualsiasi forma di supporto.Il Dolore delle Perdite e la Preoccupazione Incessante
La preoccupazione per la famiglia rimasta in Corea del Nord è costante e tormenta i pensieri, rendendo difficile persino mangiare; il cibo disponibile in Giappone viene inevitabilmente paragonato alla scarsità vissuta in Corea del Nord. Si apprende della morte per fame della moglie, una notizia devastante. Un tentativo di inviare denaro a Myong-hwa, che chiede aiuto per sé e i suoi figli, arriva purtroppo troppo tardi, poiché anche lei muore di fame. Le notizie da Ho-chol e dai suoi figli cessano completamente, e l’incertezza sulla sorte dei figli rimasti causa una profonda insonnia.Un Senso di Estraniamento
Ritornare nel luogo di nascita in Giappone non offre alcun conforto; il paesaggio è cambiato così tanto da non essere più riconoscibile. Esiste una forte sensazione di non appartenenza, di trovarsi in un limbo, non pienamente o ufficialmente riconosciuto dal governo giapponese. Nonostante la sopravvivenza fisica sia ora assicurata, il dolore per le perdite subite e l’incertezza sul futuro dei figli persistono in modo lancinante. Questa condizione di sospensione, a cavallo tra due mondi, definisce l’esperienza.Come può il ritorno nella “terra natia” tradursi in un’esperienza di totale estraniamento e rifiuto?
Il capitolo mette in luce un paradosso lacerante: il ritorno nel luogo di nascita, atteso come un potenziale rifugio, si rivela invece un’esperienza di profondo isolamento e rifiuto. Nonostante la speranza iniziale, il protagonista si scontra con l’indifferenza istituzionale, l’ostracismo sociale (anche da parte dei parenti) e la difficoltà di reinserirsi, sentendosi di fatto un estraneo nella propria terra. Per comprendere appieno le ragioni di questa condizione di “limbo”, al di là della narrazione personale, è fondamentale approfondire il complesso contesto storico e politico delle relazioni tra Giappone e Corea del Nord, la storia e la posizione della comunità coreana in Giappone (Zainichi), e le dinamiche sociali e psicologiche legate alla migrazione, al trauma e all’integrazione. Studi nel campo della sociologia delle migrazioni e delle relazioni internazionali possono offrire chiavi di lettura essenziali.Abbiamo riassunto il possibile
Se vuoi saperne di più, devi leggere il libro originale
Compra il libro[sc name=”1″][/sc] [sc name=”2″][/sc] [sc name=”3″][/sc] [sc name=”4″][/sc] [sc name=”5″][/sc] [sc name=”6″][/sc] [sc name=”7″][/sc] [sc name=”8″][/sc] [sc name=”9″][/sc] [sc name=”10″][/sc]