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RISPOSTA: “Secessione. Una politica di noi stessi” di Eric Sadin è un libro che ci invita a riflettere profondamente sul presente, analizzando come la nostra società sia finita in una sorta di “vecchiaia senza età ”, disorientata e apatica nonostante l’enorme bagaglio di conoscenze accumulate. Sadin ci porta in un viaggio attraverso le trasformazioni radicali che hanno plasmato il nostro mondo, evidenziando come l’ultraliberalismo e la digitalizzazione abbiano creato un paesaggio “sbrindellato”, dove l’autonomia individuale è minacciata dall’automazione e dalla spersonalizzazione. Il libro esplora la nuova realtà digitale e la divisione sociale che ne deriva, con la pandemia che ha accelerato una “telesocialità generalizzata” e creato nuove classi sociali, dalla “classe premium” alla “legione nascosta” dei lavoratori essenziali. Non mancano riflessioni sulla crisi ecologica e sulla trappola del linguaggio, dove neologismi e formule predefinite creano una “doxa” egemonica che soffoca il pensiero critico. Sadin ci sprona a una “critica pragmatica” contro l’illusione rivoluzionaria, invitandoci a rifiutare il linguaggio “oppioide” e le soluzioni superficiali, e a concentrarci sull’azione concreta e sulla “piena sovranità di noi stessi”. Il libro celebra la forza del rifiuto e la ricerca di un nuovo senso, proponendo la nascita di “collettivi” come unica via per sfuggire alla “schiavitù remunerata” e costruire una società più giusta, basata sull’amicizia, la cooperazione e il rispetto per il vivente, recuperando la vocazione originaria della tecnica.Riassunto Breve
L’umanità , pur avendo accumulato un’enorme quantità di sapere, si trova in uno stato di disorientamento e apatia, incapace di imparare dai propri errori passati. Le trasformazioni sociali, spesso guidate da interessi potenti e processi sofisticati, hanno portato a una frammentazione individuale e a una perdita di autonomia, accentuate dall’indolenza nel difendere i progressi acquisiti. La ricerca di soluzioni semplici, come il ritorno a modelli passati o la delega a figure politiche, si rivela inadeguata di fronte alla complessità del presente, segnato dall’automazione, dalla spersonalizzazione e dall’uso pervasivo della tecnologia. Gli schermi, in particolare, creano barriere al dialogo, promuovendo un’esistenza isolata e disincarnata, mentre il “tempo reale” impone ritmi insostenibili, trasformando le persone in esecutori di istruzioni automatizzate. Il linguaggio stesso, attraverso neologismi e formule predefinite, crea una “doxa” egemonica che soffoca il confronto critico. È necessaria un’azione collettiva e un metodo per superare la paralisi sociale, abbandonando la passività e la delega per riconquistare la “piena sovranità di noi stessi” attraverso l’azione concreta e la mobilitazione delle proprie forze, passando da spettatori passivi ad attori del proprio destino.La pandemia ha accelerato la trasformazione digitale, portando a una “telesocialità generalizzata” che ha cancellato i corpi e mediato le relazioni attraverso gli schermi, accentuando divisioni sociali in tre categorie: la “classe premium” che lavora da remoto, la “classe eco” sottoposta a doppio regime e controllo, e la “legione nascosta” di lavoratori essenziali e precari. Questa nuova struttura sociale ricorda un ordine feudale, rappresentando una regressione. La gioventù, in particolare, affronta isolamento, precarietà economica e un futuro incerto, con un’istruzione orientata alla performance e un mercato del lavoro spesso privo di significato. Nonostante ciò, emergono segnali di resilienza e desiderio di cambiamento, ma per superare questa crisi è necessario agire concretamente per smantellare le strutture sociali divisive e riconnettersi con le energie vitali.La modernità occidentale ha mostrato una tendenza all’eccesso, culminata in un’epoca di sfruttamento incontrollato delle risorse e mercificazione diffusa. La consapevolezza dell’impatto umano sull’ambiente, evidenziata dal buco nell’ozono e dal riscaldamento climatico, ha generato un ampio dibattito, ma l’uso dei social media ha creato divisioni e una certa “eroizzazione” di figure. La critica al capitalismo, pur proliferando, ha mostrato limiti, come una divisione tra “dominanti” e “dominati” e il rischio di trasformarsi in un conformismo. L’avvento di Internet e della digitalizzazione è stato in gran parte trascurato dalla critica tradizionale, che si è concentrata su aspetti secondari, trascurando la trasformazione più profonda della società . L’ideologia del futuro ha favorito processi di “impedimento”, plasmando la società senza permettere un’indagine critica. La politica del linguaggio, con un lessico specialistico e anglicismi, crea un sistema di controllo. La soluzione non risiede in figure provvidenziali o in un approccio puramente critico, ma nella capacità di osservare i fenomeni, agire con lungimiranza e sviluppare una “contropolitica del linguaggio” basata sulla narrazione delle realtà quotidiane e sulla mobilitazione della responsabilità .Esiste una forte critica al sistema attuale, ma spesso si limita a denunciare a posteriori, senza agire tempestivamente. La “critica pragmatica” interviene nel momento in cui i problemi emergono, affrontando direttamente i contesti di potere. Viene criticato l’uso di un linguaggio vuoto e pieno di slogan da parte di aziende, che crea un “linguaggio oppioide” con effetti tossici sulla percezione della realtà . Le aziende operano in modo quasi segreto, rendendo importante l’osservazione esterna per svelare le iniquità . La pandemia ha evidenziato le fragilità del sistema, ma le risposte sono considerate insufficienti o ingannevoli, con un’eccessiva fiducia nella delega politica e soluzioni superficiali. Viene criticata la “dissuetudine dell’insurrezione”, con movimenti visti come passivi e un’espressione di negatività fine a se stessa. La vera rivoluzione non è più nelle barricate, ma nella riorganizzazione della società . Si propone di agire nei luoghi dove i problemi si manifestano concretamente, con azioni risolute e ben circoscritte, basate sulla testimonianza di esperienze vissute, per promuovere un cambiamento reale e non alimentare un “neoconformismo”.Il principio kantiano di trattare le persone come fini in sé è stato messo da parte, lasciando spazio all’individualismo e all’utilitarismo. La società attuale è caratterizzata da un’eccessiva tecnicizzazione e meccanizzazione, che riduce le persone a semplici ingranaggi, portando a un senso di “sradicamento”. Di fronte a questo, emerge la necessità dell'”interposizione”, un atto di rifiuto deciso e collettivo contro pratiche che calpestano i principi fondamentali. Azioni dirette e la difesa di valori intangibili, come dimostrato da esempi storici, possono portare a cambiamenti concreti e nuove forme di organizzazione. Movimenti più recenti incarnano questa forza di rifiuto morale, dimostrando come dal negativo possa nascere il positivo attraverso la sperimentazione e la solidarietà . Tuttavia, queste iniziative rischiano di rimanere isolate. La vera sfida è trasformare queste “eccezioni” in regole condivise, integrando il maggior numero possibile di persone e superando la dicotomia tra iniziative dal basso e supporto statale, per creare un modello di società che metta al centro la gioia e la realizzazione individuale e collettiva.Il mondo del lavoro, a partire dagli anni ’30, ha visto una crescente meccanizzazione e divisione dei compiti, trasformando gli operai in ingranaggi di un sistema produttivo sempre più complesso, logica estesa anche ai servizi e all’amministrazione. Questa standardizzazione ha portato a un senso di alienazione e a una perdita di realizzazione personale. Le aspirazioni a un lavoro più significativo non hanno trovato piena attuazione, generando sofferenza, isolamento e problemi di salute. Di fronte a questo scenario, emerge la necessità di ripensare il modello attuale, che si fonda sul lavoro salariato e sul consumo, promuovendo la creatività e la realizzazione personale, andando oltre la semplice “decenza ordinaria”. Per fare ciò, è fondamentale “istituzionalizzare l’alternatività ”, favorendo la nascita e il sostegno di collettivi. Questi gruppi, basati su principi di equità , rispetto ambientale e rifiuto del profitto, offrono un’alternativa al macchinismo e all’intelligenza artificiale. I collettivi, con la loro dimensione ridotta e il loro spirito di cooperazione, promuovono un ritorno a valori come l’amicizia, la condivisione e il rispetto reciproco, mirando a creare una società più equilibrata e a recuperare la vocazione originaria della tecnica. La pandemia ha evidenziato il bisogno di connessione e di “presenza” autentica, mettendo in luce la scissione tra interiorità e mondo esterno. La risposta a questa crisi non risiede in soluzioni universali o in un ritorno al passato, ma nella creazione di “società di amicizia” che valorizzino la creatività , la cooperazione e il rispetto per il vivente, promuovendo iniziative dal basso supportate dalla collettività .Riassunto Lungo
1. Il Presente Come Specchio del Passato e Bussola per il Futuro
La Disconnessione tra Storia e Presente
L’umanità ha accumulato un’enorme quantità di conoscenze ed esperienze nel corso dei secoli, eppure si trova in una condizione di disorientamento e apatia. Le generazioni attuali, pur essendo “le più vecchie” in termini di storia, non riescono a trarre insegnamenti dai drammi e dalle evoluzioni passate. Questo porta a una sorta di “vecchiaia senza età ”, caratterizzata da disincanto e illusioni persistenti, che impedisce di utilizzare la saggezza accumulata per affrontare le sfide presenti.Le Conseguenze della Svolta Ultraliberale
Una società che ha subito un “maremoto” causato da un’onda di trasformazioni, guidata da dinamiche auto-organizzate, interessi potenti e processi sofisticati che plasmano le opinioni, si ritrova in un paesaggio “sbrindellato”. Le persone si sentono frammentate e indebolite, anche a causa della propria indolenza nel difendere i progressi passati. Si critica la tendenza a cercare soluzioni semplici, come il ritorno allo stato sociale o la delega a figure politiche, che si rivelano inadeguate di fronte alla complessità del mondo attuale, segnato da nuove forme di potere e dalla tecnologia.Automazione, Spersonalizzazione e il Dominio del Tempo Reale
L’automazione e la spersonalizzazione, introdotte da metodi manageriali e digitalizzazione, hanno portato a una riduzione dell’autonomia individuale e a un senso di isolamento. L’uso pervasivo della tecnologia, in particolare degli schermi, crea una barriera al dialogo e alla negoziazione, promuovendo un’esistenza solitaria e disincarnata. Il “tempo reale”, inizialmente pensato per facilitare le cose, è diventato una potenza politica che impone comportamenti e ritmi insostenibili, trasformando le persone in esecutori di istruzioni automatizzate.La Critica al Linguaggio e la Necessità di una Società Critica
L’uso del linguaggio, attraverso neologismi e formule predefinite, crea una “doxa” egemonica e normativa, priva di un reale confronto critico. È necessaria un'”igiene del linguaggio” e una “società critica” capace di opporsi a questo uso strumentale delle parole. La soluzione risiede nell’azione collettiva e in un metodo per affrontare la paralisi sociale, abbandonando la passività e la delega. È fondamentale promuovere la “piena sovranità di noi stessi” attraverso l’azione concreta e la mobilitazione delle proprie forze.Emancipazione e Riappropriazione: Agire per il Proprio Destino
Si contrappone l’idea di “emancipazione”, legata a un futuro incerto, alla “riappropriazione”, che implica un’azione immediata per liberarsi dalle catene e vivere secondo le proprie convinzioni. La vera sfida consiste nel passare da spettatori passivi ad attori del proprio destino, costruendo collettivamente modi di vita e organizzazione che favoriscano l’espressione individuale nel rispetto degli altri e dell’ambiente.Se la “vecchiaia senza età ” è dovuta all’incapacità di trarre insegnamenti dal passato, non si rischia di cadere in una contraddizione logica attribuendo al “tempo reale” e all’automazione la causa principale della disconnessione, quando invece il problema sembrerebbe radicato in una più profonda incapacità umana di apprendere dalla storia?
Il capitolo identifica correttamente la disconnessione tra storia e presente come una delle cause del disorientamento attuale, attribuendo parte della responsabilità a fattori esterni come la “svolta ultraliberale”, l’automazione e il dominio del “tempo reale”. Tuttavia, l’argomentazione potrebbe beneficiare di un’analisi più approfondita delle ragioni intrinseche per cui le generazioni attuali sembrano incapaci di apprendere dalla storia. Si potrebbe indagare se questa incapacità sia un fenomeno nuovo o una costante della condizione umana, e se le cause esterne siano effettivamente i motori primari o piuttosto amplificatori di una predisposizione preesistente. Per approfondire, sarebbe utile esplorare discipline come la psicologia cognitiva per comprendere i meccanismi di apprendimento e memoria collettiva, e la filosofia della storia per analizzare le diverse interpretazioni del rapporto tra passato e presente. Autori come Hannah Arendt e Michel Foucault potrebbero offrire prospettive illuminanti sulla natura del potere, del linguaggio e della memoria storica.La Trasformazione Digitale e le Nuove Divisioni Sociali
L’Impatto della Pandemia sulla Vita Digitale
L’esperienza della pandemia ha accelerato una trasformazione digitale già in atto, portando a un uso massiccio di strumenti online per quasi ogni aspetto della vita, dal lavoro alla socialità . Questo ha creato una “telesocialità generalizzata”, dove le interazioni fisiche sono state sostituite da quelle mediate dagli schermi. Questo cambiamento, sebbene presentato come una soluzione pratica, ha comportato una cancellazione dei corpi e una mediatizzazione delle relazioni, con lo schermo che diventa un’istanza di interferenza nelle interazioni umane.La Nuova Struttura Sociale Post-Pandemia
Questa transizione ha evidenziato e accentuato profonde divisioni sociali, creando tre categorie distinte di persone. La “classe premium” è composta da professionisti e lavoratori autonomi di alto livello che possono lavorare da remoto, godendo di una migliore qualità della vita. La “classe eco” include coloro che sono sottoposti a un doppio regime di lavoro, tra ufficio e casa, con un aumento del controllo e del rischio di burnout. Infine, la “legione nascosta” comprende lavoratori essenziali e manodopera logistica, spesso precari e sottopagati, la cui importanza è emersa chiaramente durante i lockdown.Un Ritorno al Passato Sociale
Questa nuova struttura sociale ricorda un ordine feudale, con classi impermeabili ma interdipendenti, e rappresenta una regressione sociale e giuridica. Le società di consulenza presentano queste nuove pratiche come opportunità , ma in realtà si assiste a un’organizzazione sociale iniqua e irrigidita.La Gioventù nell’Era Digitale
Parallelamente, la crisi pandemica ha avuto un impatto devastante sulla gioventù, portando a un senso di isolamento, precarietà economica e abbandono esistenziale. Molti giovani si trovano a fronteggiare un futuro incerto, con un’istruzione orientata alla performance e un mercato del lavoro competitivo e spesso privo di significato (“bullshit jobs”). Questa situazione, unita a decisioni economiche e politiche sfrenate, genera frustrazione, senso di impotenza e una generale regressione.Segnali di Resilienza e Necessità di Azione
Nonostante questo quadro, emergono anche segnali di resilienza e desiderio di cambiamento, con iniziative di solidarietà e una ricerca di autenticità . Per superare questa crisi e costruire un futuro migliore, è necessario andare oltre la semplice denuncia e agire concretamente per smantellare le strutture sociali divisive e riconnettersi con le energie vitali della giovinezza.Se la “telesocialità generalizzata” cancella i corpi e mediatizza le relazioni, come può la “legione nascosta” di lavoratori essenziali, la cui importanza è emersa durante i lockdown, essere considerata parte di una struttura sociale che ricorda un ordine feudale, piuttosto che una forza motrice di cambiamento o un gruppo con un diverso tipo di potere contrattuale?
Il capitolo dipinge un quadro di regressione sociale e giuridica, paragonando la nuova struttura a un ordine feudale, ma non chiarisce a fondo le dinamiche di potere e interdipendenza tra le classi emergenti, in particolare per quanto riguarda i lavoratori essenziali. Per approfondire la comprensione di queste dinamiche e delle loro implicazioni, potrebbe essere utile esplorare concetti di sociologia del lavoro e delle classi sociali, magari consultando autori come Pierre Bourdieu per le sue analisi sul capitale sociale e culturale, o Karl Marx per una prospettiva più classica sulle divisioni di classe e lo sfruttamento. Inoltre, un’analisi più dettagliata delle politiche del lavoro e delle forme di organizzazione sindacale nel contesto digitale potrebbe fornire ulteriori elementi di riflessione.La modernità e l’eccesso
L’epoca dell’eccesso
La modernità occidentale, a partire dal XIX secolo, ha mostrato una tendenza a superare ogni misura. Questo si è visto in molti aspetti della vita, dalla costruzione di fabbriche imponenti all’organizzazione delle grandi città , fino all’espansione dei trasporti e alle esposizioni universali, che celebravano il progresso. Successivamente, a partire dagli anni Ottanta, si è assistito a un “eccesso” più generale, che ha portato a uno sfruttamento senza limiti delle risorse naturali e a una mercificazione di quasi tutto.La consapevolezza ambientale
La scoperta del “buco nell’ozono” nel 1985 ha segnato un momento importante, mostrando chiaramente come le attività umane potessero danneggiare l’ambiente. In seguito, l’aumento di disastri naturali ha fatto crescere la consapevolezza sul “riscaldamento climatico”. Questo ha dato vita a un vasto dibattito pubblico, con una forte presenza sui media e la comparsa di persone che si presentavano come difensori dell’ambiente. Tuttavia, l’uso dei social media ha creato una divisione tra chi è esperto e il pubblico, che spesso è rimasto un semplice spettatore, dando vita a dinamiche di potere e a un’eccessiva ammirazione per alcune figure.La critica al capitalismo e i suoi limiti
Dagli anni Duemila, in particolare dopo eventi come la caduta del Muro di Berlino e l’avvento della globalizzazione, è aumentata la produzione di scritti che criticano il capitalismo. Nonostante l’iniziale entusiasmo per un mondo “piatto” e sempre più connesso, la globalizzazione ha in realtà aumentato le disuguaglianze e lo sfruttamento. La critica al capitalismo è diventata quasi una materia di studio, con autori importanti e un ampio dibattito.Tuttavia, questa critica ha mostrato dei limiti, come una certa tendenza a concentrarsi su un sapere “dall’alto” e a creare una netta divisione tra chi domina e chi è dominato. Si è creata un’industria della critica al capitalismo che rischia di trasformarsi in una forma di conformismo. La vera sfida, invece, è stata l’arrivo di Internet e della digitalizzazione, argomenti che la critica tradizionale ha in gran parte ignorato.L’impatto della digitalizzazione e il linguaggio
La critica all’industria digitale, emersa più tardi, si è spesso concentrata su aspetti meno centrali, come l’evasione fiscale delle grandi aziende o la gestione dei dati personali, trascurando il cambiamento più profondo nella società . L’idea di un futuro perfetto ha favorito processi che hanno plasmato la società senza permettere un’analisi critica delle proprie basi.In questo contesto, il modo in cui si usa il linguaggio, attraverso termini specialistici e parole straniere, ha creato un sistema di controllo e di conformismo. La soluzione non sta nell’aspettare figure salvifiche o in un approccio solo critico, ma nella capacità di osservare i fenomeni mentre iniziano, di agire con lungimiranza e di sviluppare una “contropolitica del linguaggio”. Questa si basa sulla narrazione delle esperienze quotidiane e sulla promozione della responsabilità individuale.Se l’imperativo categorico kantiano è un principio universale e la dignità umana un valore irrinunciabile, come si concilia l’apparente fallimento di questi ideali nella modernità con la persistente efficacia di movimenti di “rifiuto” che, pur basati su principi etici, rischiano di rimanere esperienze marginali e incapaci di un cambiamento sistemico?
Il capitolo presenta una narrazione che, pur partendo da solidi fondamenti filosofici come l’imperativo categorico kantiano e le riflessioni di Weil e Lévinas sullo sradicamento, sembra sottovalutare la complessità dei meccanismi sociali e politici che ostacolano la trasformazione. L’enfasi sui movimenti di “rifiuto” come unica via d’uscita, pur nobile nelle intenzioni, rischia di ignorare la necessità di un’analisi più approfondita delle cause strutturali che perpetuano l’individualismo e l’utilitarismo. Per colmare questa lacuna, sarebbe utile approfondire discipline come la sociologia delle élite e l’economia politica, per comprendere meglio le dinamiche di potere e le resistenze al cambiamento. Inoltre, la lettura di autori come Michel Foucault potrebbe offrire strumenti critici per analizzare le relazioni tra potere, sapere e le modalità con cui le istituzioni mantengono il controllo, anche attraverso la gestione del “discorso” sul progresso. Infine, una maggiore attenzione alle strategie di negoziazione e di influenza politica, oltre alla pura azione di “rifiuto”, potrebbe fornire indicazioni concrete su come trasformare le “eccezioni” in “regole condivise”, come auspicato dal capitolo stesso.3. La Rivoluzione Silenziosa dei Collettivi
Meccanizzazione e Alienazione nel Lavoro
A partire dagli anni ’30, il mondo del lavoro ha visto una crescente meccanizzazione e divisione dei compiti, un processo ben rappresentato in film come “Tempi Moderni” di Chaplin. Questo approccio, ispirato alle teorie di Taylor, ha trasformato gli operai in semplici ingranaggi di un sistema produttivo sempre più complesso. Trent’anni dopo, con “Playtime” di Tati, si è osservato come questa logica si sia estesa anche ai servizi e all’amministrazione, dando vita a una società dei consumi basata sul lavoro salariato e sull’utilitarismo. Questa standardizzazione ha portato a un diffuso senso di alienazione e a una perdita di realizzazione personale, come sottolineato da pensatori come Marx e Morris. Le aspirazioni a un lavoro più significativo, espresse dal movimento operaio o dagli situazionisti con il loro motto “Non lavorate mai”, non hanno trovato piena attuazione. La condizione di “schiavitù remunerata” e la costante competizione hanno generato sofferenza, isolamento e problemi di salute.La Necessità di Ripensare il Modello Lavorativo
Di fronte a questo scenario, emerge con forza la necessità di ripensare il modello attuale, che si fonda sul lavoro salariato e sul consumo. Hannah Arendt ha saputo distinguere tra lavoro, inteso come attività funzionale e poco gratificante, opera, che rappresenta la creazione e la soddisfazione, e azione, che è iniziativa e partecipazione. L’obiettivo dovrebbe quindi essere quello di promuovere la creatività e la realizzazione personale, andando oltre la semplice “decenza ordinaria”.I Collettivi come Alternativa
Per raggiungere questo scopo, è fondamentale “istituzionalizzare l’alternatività ”, favorendo la nascita e il sostegno di collettivi. Questi gruppi, che si basano su principi di equità , rispetto ambientale e rifiuto del profitto a tutti i costi, offrono una valida alternativa al macchinismo e all’intelligenza artificiale, che rischiano di omologare l’umanità . L’artigianato, con la sua enfasi sulla maestria e sulla creazione di opere “proprie”, si configura come un modello di resistenza a questa tendenza. I collettivi, grazie alla loro dimensione ridotta e al loro spirito di cooperazione, promuovono un ritorno a valori come l’amicizia, la condivisione e il rispetto reciproco. Questo approccio, che si contrappone alla “grande scala” e all’utilitarismo del capitalismo, mira a creare una società più equilibrata e a recuperare la vocazione originaria della tecnica: migliorare le mansioni senza sminuire le capacità umane.La Pandemia e il Bisogno di Connessione Autentica
La recente pandemia ha ulteriormente evidenziato il bisogno di connessione e di “presenza” autentica, mettendo in luce la scissione tra la nostra interiorità e il mondo esterno, acuita dall’astrazione e dall’individualismo neoliberista. La risposta a questa crisi non risiede in soluzioni universali o in un ritorno al passato, come il salasso nell’epoca classica, ma nella creazione di “società di amicizia” che valorizzino la creatività , la cooperazione e il rispetto per il vivente. Questo implica un cambiamento radicale nel modo in cui organizziamo il lavoro, l’istruzione, la giustizia e persino il sistema carcerario, promuovendo iniziative dal basso supportate dalla collettività .È davvero possibile “istituzionalizzare l’alternatività ” e promuovere collettivi come unica soluzione alla standardizzazione e all’alienazione lavorativa, ignorando le dinamiche economiche globali e la complessità delle esigenze umane, o si tratta di un’utopia romantica che trascura le sfide pratiche e le potenziali controindicazioni di un tale modello?
Il capitolo propone i collettivi come un’alternativa valida al modello lavorativo dominante, basandosi su principi di equità , rispetto ambientale e rifiuto del profitto. Tuttavia, l’argomentazione potrebbe beneficiare di un’analisi più approfondita delle sfide concrete che questi collettivi devono affrontare per sopravvivere e prosperare in un contesto economico dominato dalla logica del profitto e della scala. Manca un’esplorazione delle possibili criticità interne ai collettivi stessi, come la gestione dei conflitti, la distribuzione delle responsabilità e la sostenibilità a lungo termine. Per approfondire la comprensione di queste dinamiche, sarebbe utile consultare studi sulla sociologia delle organizzazioni, in particolare quelli che analizzano le forme di cooperazione e le loro fragilità . Autori come Elinor Ostrom, con i suoi lavori sui beni comuni, o studi sulle cooperative e sulle imprese sociali potrebbero offrire spunti preziosi per comprendere meglio le condizioni necessarie affinché tali modelli alternativi possano realmente affermarsi e resistere alle pressioni del sistema prevalente. Inoltre, un’analisi più dettagliata delle implicazioni psicologiche e sociali dell’adesione a tali modelli, al di là della mera contrapposizione all’utilitarismo, potrebbe arricchire la prospettiva.Abbiamo riassunto il possibile
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