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Contenuti del libro
Informazioni
“Quel che ho visto, udito, appreso…” di Giorgio Agamben ti porta subito dentro un modo di pensare che non è quello solito. Non aspettarti una storia con personaggi o luoghi specifici, qui il viaggio è dentro le idee, l’esistenza stessa. Il libro esplora come la verità non sia qualcosa di dato, ma si costruisca, spesso partendo dagli errori, e come l’essere umano viva negli “scarti”, nelle “intermittenze”, in quello spazio sottile, quasi un’ombra, tra un respiro e l’altro. Agamben guarda al “divino” non come qualcosa di statico, ma che si manifesta nel cambiamento delle cose, nello “scialo”, e suggerisce che il punto interessante non è il centro, ma la “soglia”, il “margine”. Si parla di come il pensiero e l’esperienza abbiano al centro un “vuoto”, una “lacuna” che non si riesce a dire del tutto, e di come la scrittura provi a girarci intorno, lasciando sempre un “non detto”. È un libro che ti fa vedere l’esistenza come un mix strano e contemporaneo di “complicazione” (tutto è nascosto) e “disinvoltura” (tutto è aperto), dove il segreto è esposto ma resta impenetrabile. È un invito a guardare le cose da un’altra prospettiva, quella dei vuoti, degli intervalli, di ciò che non si può afferrare del tutto, ma che è fondamentale.Riassunto Breve
Esiste un piccolo scarto temporale tra una persona e la sua immagine nello specchio, che è l’origine della psicologia. La verità non è qualcosa che esiste da sempre, ma si forma alla fine, costruita sugli errori iniziali. L’esistenza umana si manifesta a intermittenza, con l’io che abita lo spazio vuoto del respiro. Dio si vede nelle cose e in come cambiano, non in una natura che sta ferma. Il divino si trova nello “scialo”, nel perdersi a vicenda di Dio nei suoi modi e dei modi in Dio. La divinità abita il piccolo spazio che separa ogni cosa da sé stessa, suggerendo che è importante stare ai margini, sulla soglia, non al centro. Contemplare significa fermare mente e corpo, arrivando a uno stato di beatitudine dove non si distinguono più. Amare veramente qualcuno vuol dire vederlo sia nella sua vita di tutti i giorni che nel suo essere eterno in Dio. Il giudizio tra le persone è una punizione che arriva quando si esce dall’amore. La salvezza non è un evento futuro che tarda ad arrivare, ma uno stato che esiste già adesso, accessibile quando non si cerca più di raggiungerlo. La poesia ha un compito politico perché rende più intensa la lingua, facendo apparire un popolo che non c’è. L’arte consiste nel trasmettere una voce che, in realtà, è una tecnica imparata bene. Essere umani significa ricordarsi degli stati che si sono stati prima, come il bambino, l’animale, il divino. Al centro del pensiero e dell’esperienza c’è un vuoto, una sospensione o uno scarto. Questo vuoto è come un istante che non si può vivere, un punto bianco. La scrittura che viene dopo cerca di compensare il fatto che questo vuoto iniziale non si può dire, rimane senza forma. Un autore, inteso come testimone, lascia apparire quello che non dice senza spiegarlo direttamente. Ogni libro contiene un centro che non viene detto e che non si tocca, da cui il testo si allontana. Cercare di afferrare questo non detto significa perdere la condizione di autore-testimone. Quello che si voleva pensare e dire spesso rimane impensato o viene detto solo in modo indiretto. Esiste un limite tra quello che si riesce a scrivere e quello che si può solo tacere. L’esistenza umana si presenta in uno stato di complicazione, dove tutto è nascosto e non si vede, e insieme in un gesto disinvolto, dove tutto è aperto e spiegato. Queste due condizioni ci sono nello stesso momento. Il segreto è sempre esposto in piena luce, ma quello che viene svelato sembra anche sprofondare in un centro che non si può spiegare. Complicazione ed esplicazione sono a contatto, separate solo dal fatto che non c’è una rappresentazione. In questo punto di contatto c’è letizia e splendore. Quando si ritorna a rappresentare le cose, ci si nasconde di nuovo. L’essere si perde nei suoi modi e i modi si perdono nell’essere. Nel momento in cui ci si mostra nell’apparenza, ci si dimentica e ci si perde. Questo vuoto centrale è il contatto tra il nascondersi e l’apertura, tra l’essere visposto e l’abisso. È il luogo dove il segreto si mostra con chiarezza, diventando semplice e impossibile da capire. Questa lacuna centrale è quella che, fin dall’inizio, non si poteva mettere per iscritto.Riassunto Lungo
1. Lezioni dall’Intervallo e dallo Scarto
La verità non è qualcosa che esiste da sempre, ma si costruisce passo dopo passo, anche attraverso gli errori iniziali. L’esistenza umana si manifesta in momenti discontinui, come un respiro interrotto. La nostra identità, il nostro “io”, abita questo spazio sottile tra un momento e l’altro, l’interstizio. C’è un piccolo ritardo tra noi e la nostra immagine riflessa nello specchio, uno “scarto” temporale che è considerato l’origine della psicologia e di come ci manifestiamo nel mondo.Il divino nelle cose e nel cambiamento
Il divino non è un’identità immobile con la natura, ma si manifesta nelle cose e nel loro continuo modificarsi. È presente nello “scialo”, in questo continuo trasformarsi e quasi scomparire l’uno nell’altro di Dio nei suoi modi e dei modi in Dio. La divinità abita l’esile varco che separa ogni cosa da sé stessa. Abitare questo spazio sottile, la soglia o il margine, è considerato più significativo che cercare un centro stabile. È in questo confine che si rivela la vera natura del divino.Contemplazione, amore e giudizio
Contemplare significa mettere a riposo mente e corpo, raggiungendo uno stato di gioia profonda dove non c’è più separazione tra i due. Amare davvero una persona implica vederla sia nella sua esistenza di ogni giorno, legata al tempo, che nel suo essere eterno in Dio. Il giudizio reciproco tra gli uomini è visto come una punizione. Questa punizione deriva dal momento in cui si esce dallo stato di amore verso l’altro. Vivere nell’amore evita questo giudizio e la sua conseguenza negativa.Salvezza, arte ed essere umani
La salvezza non è un evento futuro che si attende, ma uno stato già presente. È uno stato accessibile nel momento in cui si smette di cercarlo attivamente. La poesia ha un compito importante, quasi politico, perché intensifica l’uso della lingua. In questo modo, la poesia riesce a manifestare l’esistenza di un popolo che altrimenti rimarrebbe assente. L’arte, in generale, consiste nel trasmettere una voce, ma questa voce è in realtà una tecnica che l’artista ha padroneggiato. Essere pienamente umani significa anche ricordare gli stati non umani che si sono vissuti in passato: l’innocenza del bambino, l’istintività dell’animale, e la connessione con il divino.Ma è davvero sufficiente definire l’origine della psicologia uno “scarto” temporale e ridurre il giudizio umano a mera “punizione” per un’assenza d’amore, o il capitolo non rischia di banalizzare temi di enorme complessità?
Il capitolo propone suggestioni evocative, ma affronta argomenti vastissimi e dibattuti – dalla genesi della coscienza alla natura del divino e delle relazioni umane – con affermazioni che sembrano trascurare la profondità e la varietà del pensiero su questi temi. La psicologia, l’etica e la teologia sono campi di studio con storie ricche e molteplici prospettive; ridurle a poche definizioni astratte rischia di lasciare il lettore privo degli strumenti critici necessari. Per colmare queste lacune e apprezzare la complessità del dibattito, sarebbe opportuno confrontarsi con la storia della psicologia, le diverse teorie etiche e le varie correnti filosofiche e teologiche che hanno affrontato questi nodi cruciali. Approfondire autori che hanno indagato la coscienza, l’etica delle relazioni o la natura del sacro, da prospettive diverse, aiuterebbe a contestualizzare e valutare criticamente le tesi presentate nel capitolo.2. La Lacuna al Centro del Pensiero
Al centro del nostro pensiero e della nostra esperienza si trova un vuoto, qualcosa che manca, una sospensione o una distanza. Questo vuoto è come un momento che non si riesce a vivere fino in fondo, un punto che rimane bianco e non definito. Tutto ciò che viene scritto in seguito cerca in qualche modo di compensare la dimenticanza di questa mancanza originale, che fin dall’inizio rimane qualcosa che non riusciamo a esprimere a parole in modo completo.Il ruolo di chi scrive e il non detto
Chi scrive, agendo come un testimone, lascia che appaia ciò che non dice direttamente, senza formularlo in modo esplicito. Ogni libro contiene un suo centro segreto, qualcosa che non viene toccato né detto apertamente, e il testo si sviluppa allontanandosi da questo punto centrale. Cercare di afferrare questo non detto significa perdere la condizione di chi testimonia semplicemente ciò che è. Spesso, quello che si voleva veramente pensare e dire rimane impensato o viene espresso solo in modo indiretto. Esiste un limite chiaro tra ciò che riusciamo a mettere per iscritto e ciò che possiamo solo tenere per noi, nel silenzio.L’esistenza tra nascondimento e rivelazione
L’esistenza umana si presenta in uno stato di complessità, dove tutto è nascosto e non visibile, e allo stesso tempo in un modo aperto e spontaneo, dove tutto è reso chiaro e spiegato. Queste due condizioni coesistono nello stesso momento. Il segreto più profondo è sempre esposto in piena luce, eppure ciò che viene rivelato sembra anche sprofondare in un punto che non possiamo spiegare. La complessità e la chiarezza sono a stretto contatto, separate solo dal fatto che non riusciamo a rappresentarle, a dar loro una forma definita. Proprio in questo punto di contatto c’è un senso di gioia e una grande luminosità. Ma quando torniamo a cercare di rappresentare questo punto, ci ritroviamo di nuovo nel nascondimento. L’essere si perde nei suoi modi di manifestarsi, e questi modi si perdono nell’essere stesso. Nel momento in cui ci mostriamo apertamente nell’apparenza, in quello stesso istante ci dimentichiamo di noi stessi e ci perdiamo. Questo vuoto centrale è il punto di contatto tra l’essere nascosto e l’essere aperto, tra ciò che è esposto e ciò che è un abisso profondo. È lì che il segreto si mostra con grande chiarezza, diventando allo stesso tempo semplice e impossibile da penetrare. Questa lacuna centrale è quella che, fin dall’inizio, non si è riusciti a formulare pienamente attraverso la scrittura o il pensiero.Come si può affermare l’esistenza di un “vuoto” o di una “lacuna” al centro del pensiero e dell’esperienza se, per definizione, questo vuoto non può essere pienamente espresso o compreso?
Il capitolo postula una fondamentale “lacuna” che sfugge alla formulazione e alla rappresentazione. Questa affermazione solleva interrogativi sulla natura stessa del linguaggio e della conoscenza. Se c’è un limite intrinseco a ciò che possiamo dire o pensare, come possiamo anche solo parlare di questo limite o di ciò che si trova oltre? Per esplorare queste tematiche, è utile confrontarsi con autori che hanno riflettuto profondamente sui limiti del linguaggio e sul rapporto tra detto e non detto, come Ludwig Wittgenstein, Martin Heidegger, Jacques Derrida, o con correnti filosofiche come la fenomenologia e l’ermeneutica.Abbiamo riassunto il possibile
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