1X
🔊 100%
Contenuti del libro
Informazioni
“Proiezioni. Una storia delle emozioni umane” di Karl Deisseroth è un libro che ti fa guardare dentro la testa, letteralmente. Non è solo una storia di sentimenti, ma di come questi sentimenti, anche quelli più assurdi come la mania o il dolore profondo, siano legati a fili neurali specifici nel nostro cervello. Deisseroth, che è uno scienziato top, usa la neuroscienza e una tecnica pazzesca chiamata optogenetica per capire come funzionano questi circuiti neurali. Pensa a esperimenti sui topi che mostrano come l’ansia o l’aggressività dipendano dall’attivazione di certi neuroni. Il libro parla di tutto: dalla base biologica del disturbo bipolare o della schizofrenia, a perché l’interazione sociale è così complicata per alcuni, fino a come il nostro sé si costruisce e può scontrarsi con i bisogni del corpo, come nei disturbi alimentari. Ma non si ferma alla biologia. Ti fa pensare alla consapevolezza, alla soggettività, a cosa sono i qualia (quelle sensazioni interiori che solo tu provi) e a quanto siamo legati agli altri, anche se l’elaborazione dell’informazione sociale è una sfida. C’è anche un sacco di roba sull’evoluzione, su come certi stati mentali potrebbero essere nati e perché sono ancora qui, anche se a volte ci fanno soffrire. È un viaggio incredibile attraverso la mente umana, che unisce la scienza più avanzata con le domande più antiche sull’esistenza e le emozioni umane.Riassunto Breve
Gli stati interiori umani, anche quelli complessi come il dolore intenso o la mania, hanno basi biologiche misurabili nel cervello. La sofferenza può ridurre la varietà emotiva, mentre la mania aumenta energia e riduce il bisogno di sonno, a volte con pensieri fuori dalla realtà. Questi stati, sebbene soggettivi, si manifestano con cambiamenti fisici e comportamentali. Le neuroscienze studiano questi fenomeni analizzando i circuiti cerebrali. Tecniche come l’optogenetica, che usa la luce per controllare i neuroni, permettono di isolare e studiare connessioni specifiche. Ad esempio, proiezioni diverse da un’area chiamata nucleo del letto della stria terminale (BNST) controllano aspetti distinti dell’ansia, come la respirazione o l’evitamento del rischio. Anche la mania è legata a meccanismi neurali specifici, inclusi neuroni dopaminergici e circuiti del sonno. Mutazioni genetiche possono influenzare l’organizzazione neuronale e causare comportamenti simili alla mania. Dal punto di vista evolutivo, questi stati potrebbero essere stati utili in passato, anche se oggi possono diventare dannosi. La consapevolezza emerge gradualmente nel cervello, impiegando tempo per integrare le informazioni. L’interazione sociale è un flusso di dati complesso che il cervello deve elaborare. Per alcune persone, come quelle nello spettro autistico, questo può essere difficile e causare disagio, forse legato a uno squilibrio tra cellule cerebrali eccitatorie e inibitorie nella corteccia prefrontale. Nonostante le difficoltà, i legami umani sono fondamentali e la loro assenza crea vulnerabilità. Disturbi come quello borderline di personalità, spesso legati a traumi, mostrano paura dell’abbandono e sbalzi d’umore intensi. L’autolesionismo può essere un modo per affrontare il dolore interiore o manipolare le relazioni. La psicosi, come la schizofrenia, implica una perdita di contatto con la realtà, con allucinazioni e deliri, forse dovuta a filtri cerebrali che non funzionano bene. La vulnerabilità a queste malattie può derivare dalla complessità della civiltà umana. La mente umana può resistere ai bisogni primari del corpo, come fame o sete, come si vede nei disturbi alimentari. Questa capacità sembra risiedere in aree cerebrali più recenti, come la corteccia prefrontale e retrospleniale, che elaborano informazioni sul sé separatamente dai segnali di bisogno. Il sé è visto come un percorso definito da priorità e ricordi, la cui integrità dipende dalle connessioni cerebrali. Malattie come la demenza danneggiano queste connessioni, causando perdita di memoria e anedonia (incapacità di provare piacere). Quando le funzioni superiori si deteriorano, possono riemergere riflessi primitivi, suggerendo un nucleo biologico istintivo sotto gli strati complessi del sé. La scienza affronta anche la violenza umana, legata a componenti genetiche e alterazioni cerebrali. L’attivazione di specifiche cellule nell’ipotalamo ventromediale può indurre aggressività. Le neuroscienze moderne definiscono il sé e le azioni come frutto di circuiti distribuiti, aiutando a comprendere stati come la dissociazione e la responsabilità in termini biologici. Un mistero profondo rimane la coscienza soggettiva. Esperimenti con optogenetica mostrano che stimolare specifici neuroni può indurre percezioni, suggerendo un legame tra esperienza soggettiva e schemi di attività neurale. La questione se riprodurre artificialmente questi schemi creerebbe la sensazione soggettiva (qualia) evidenzia un problema concettuale fondamentale. Questi stati soggettivi sono centrali per l’identità umana e l’esperienza condivisa.Riassunto Lungo
1. Fili neurali e stati interiori
Gli stati d’animo che proviamo, anche quelli molto complicati come un dolore profondo o l’euforia della mania, hanno precise basi biologiche nel nostro corpo. Quando soffriamo intensamente, a volte la nostra capacità di provare diverse emozioni si riduce, un po’ come accade quando, dopo una grande perdita, non riusciamo a piangere. La mania, invece, si manifesta con un’energia incontenibile, un bisogno ridotto di dormire, e a volte pensieri esagerati o fuori dalla realtà. Questi stati che sentiamo dentro di noi si vedono e si misurano attraverso cambiamenti nel corpo e nel comportamento.La Ricerca Neuroscientifica: Circuiti Specifici
Le neuroscienze studiano questi fenomeni analizzando come funzionano le diverse parti del cervello. Usando tecniche avanzate come l’optogenetica, che permette di accendere o spegnere specifici neuroni con la luce, i ricercatori possono isolare e capire il ruolo di particolari connessioni nervose. Ad esempio, si è visto che diverse proiezioni che partono da un’area del cervello chiamata BNST (nucleo del letto della stria terminale) controllano aspetti diversi dell’ansia. Una connessione influenza il modo in cui respiriamo, un’altra regola quanto evitiamo situazioni rischiose, e un’altra ancora, legata alla dopamina, decide se un’esperienza ci sembra positiva o negativa. Questo dimostra che anche stati complessi possono essere scomposti in parti più semplici, controllate da percorsi fisici ben definiti nel cervello.Genetica e Meccanismi della Mania
Anche stati come la mania sono collegati a specifici meccanismi nel cervello. Sono coinvolti neuroni che usano la dopamina e i circuiti che regolano il nostro orologio biologico interno, quello che ci dice quando dormire e quando essere svegli. Alcune modifiche in geni specifici, come il gene ANK3, che è importante per organizzare le connessioni tra i neuroni, sono state associate al disturbo bipolare. Nei modelli animali, alterazioni in questo gene possono causare comportamenti che ricordano la mania, suggerendo un legame genetico e biologico forte con questo stato.Uno Sguardo Evolutivo
Guardando dal punto di vista dell’evoluzione, questi stati emotivi e anche alcune malattie mentali potrebbero essere visti come adattamenti o compromessi che sono stati utili in passato. La capacità di “sentirsi” in un certo modo, bene o male, potrebbe essere servita come una sorta di “moneta interna” per confrontare diverse esperienze e aiutarci a scegliere cosa fare. Il pianto emotivo, che è quasi solo umano e spesso difficile da controllare, potrebbe essersi sviluppato come un segnale sincero per rafforzare i legami tra le persone o mostrare vulnerabilità in gruppi sociali complessi. Stati di grande energia, simili alla mania, potrebbero aver dato un vantaggio in passato, magari per difendere il gruppo o sopravvivere in ambienti difficili, anche se oggi possono diventare problematici.Ma davvero possiamo ridurre l’abisso del dolore o l’incendio della mania a semplici ‘fili neurali’ e ‘basi biologiche’, ignorando il resto?
Il capitolo, pur illuminando le basi biologiche, rischia di offrire una visione eccessivamente riduttiva degli stati interiori. La ricchezza e la complessità dell’esperienza soggettiva, il suo legame indissolubile con la storia personale e il contesto, non si esauriscono nei circuiti neurali o nei geni. Per colmare questa lacuna, è indispensabile volgere lo sguardo verso la psicologia, la filosofia della mente e le scienze sociali, che esplorano le dimensioni non strettamente biologiche del sentire umano.2. Il Peso dei Legami e il Flusso dell’Informazione
La consapevolezza, che include la percezione del dolore o dei sentimenti, non è immediata nel cervello. Impiega circa duecento millisecondi per manifestarsi pienamente dopo aver ricevuto uno stimolo. Questo tempo di elaborazione è notevole, soprattutto se confrontato con la rapidità dei processi che avvengono in modo inconscio, come i riflessi automatici. L’esperienza che viviamo non è quindi un semplice flusso passivo di dati che arrivano dall’esterno, ma un processo complesso dove il cervello integra diverse informazioni che riceve nel corso del tempo.La sfida delle interazioni sociali
L’interazione con altre persone rappresenta un flusso di informazioni particolarmente intenso e spesso imprevedibile. Il cervello deve elaborare simultaneamente molti segnali diversi: le parole che vengono dette, le espressioni del viso, la postura del corpo. Inoltre, deve cercare di prevedere le azioni future degli altri. La capacità di gestire questa complessa elaborazione sociale non è uguale per tutti. Per alcune persone, come quelle che si trovano nello spettro autistico, l’enorme quantità di informazioni sociali da processare può risultare eccessiva e generare una sensazione spiacevole. Questo può portare a comportamenti come evitare il contatto visivo o altre forme di interazione che richiedono un’elaborazione intensa.Il ruolo del cervello e la ricerca
Ricerche condotte sui topi, utilizzando una tecnica chiamata optogenetica, suggeriscono che le difficoltà nelle interazioni sociali potrebbero essere collegate a uno squilibrio nell’attività di specifiche cellule cerebrali nella corteccia prefrontale. Sembra che un eccesso di attività delle cellule eccitatorie possa ridurre la capacità del cervello di trasportare le informazioni in modo efficiente, compromettendo così il comportamento sociale. La buona notizia è che ripristinare l’equilibrio tra le cellule eccitatorie e quelle inibitorie potrebbe correggere questi deficit, anche se l’intervento avviene in età adulta.Perché i legami umani sono vitali
Nonostante le sfide legate all’elaborazione delle informazioni sociali, i legami tra le persone restano di importanza fondamentale. La possibilità di connettersi, anche attraverso forme meno dirette come una telefonata o un messaggio scritto, permette di mantenere relazioni essenziali. Questo è evidente, ad esempio, nel campo dell’assistenza psichiatrica a distanza. La forza che si trae da questi legami, e al contrario la fragilità che si sperimenta quando mancano, sottolinea come la connessione sociale sia un bisogno profondo. È una necessità forse radicata nella nostra evoluzione, capace di superare le difficoltà che l’elaborazione complessa delle informazioni può presentare.L’optogenetica sui topi spiega davvero le difficoltà sociali umane?
Il capitolo, pur offrendo spunti interessanti sull’elaborazione cerebrale, compie un passo forse eccessivo nel collegare direttamente i risultati di un esperimento specifico condotto sui topi, utilizzando una tecnica avanzata come l’optogenetica, alla vastità e complessità delle difficoltà nelle interazioni sociali umane, in particolare quelle legate allo spettro autistico. La ricerca su modelli animali è cruciale, ma la sua applicazione diretta a condizioni umane così sfaccettate e influenzate da innumerevoli fattori richiede cautela. Per approfondire questa tematica e comprendere i limiti di tale trasposizione, è utile esplorare il campo della ricerca traslazionale in neuroscienze e le discipline che studiano la complessità dei disturbi del neurosviluppo, come la psichiatria e la psicologia clinica.3. La Trama Fragile della Mente
Il disturbo borderline di personalità si manifesta con sintomi come paura intensa dell’abbandono, sbalzi d’umore repentini, sensazioni persistenti di vuoto interiore e comportamenti autolesionistici. Spesso legato a esperienze traumatiche vissute durante l’infanzia, questo disturbo può portare a reazioni emotive estreme e a una percezione di sé e degli altri molto instabile nel tempo. L’autolesionismo, che può includere gesti come tagliarsi, a volte serve a contrastare un dolore interiore profondo, introducendo un dolore fisico che la persona sente di poter controllare. Questa reazione può anche suscitare risposte emotive forti negli altri, a volte in modo che può sembrare manipolativo, e riflette le notevoli difficoltà che chi soffre di questo disturbo ha nel gestire i confini interpersonali. La pelle stessa, che è il nostro confine fisico, assume un significato particolare, e la sensazione di violazione dei confini ha radici molto antiche nella nostra evoluzione.La Psicosi: Sintomi e Cause
Un’altra condizione che mostra quanto possa essere fragile la struttura della mente è la psicosi, che include malattie come la schizofrenia e implica una vera e propria rottura con la realtà condivisa. I sintomi più caratteristici sono le allucinazioni, come sentire voci che non ci sono, e i deliri, che sono credenze false e fisse a cui la persona aderisce con assoluta convinzione nonostante le prove contrarie. Queste esperienze alterate possono essere interpretate dal cervello usando i concetti più potenti e disponibili all’epoca in cui si manifestano, come telai ad aria o satelliti, nel tentativo di dare un senso a una sensazione di controllo esterno o di influenza strana. La psicosi può derivare da una combinazione di una predisposizione genetica, che rende la persona più vulnerabile, e fattori ambientali o stressanti, come traumi psicologici o malattie fisiche che colpiscono il corpo e la mente.Filtri Mentali e Impatto della Schizofrenia Grave
Il cervello umano possiede dei meccanismi che funzionano come filtri, aiutandoci a valutare la realtà e a distinguere ciò che è plausibile da ciò che non lo è. In alcune condizioni, questi filtri possono non funzionare correttamente, lasciando passare idee inverosimili o interrompendo il normale flusso del pensiero in modo caotico. Sebbene una certa apertura mentale e una tolleranza per l’improbabile possano essere collegate alla creatività e a modi di pensare fuori dagli schemi, nella schizofrenia grave la situazione è ben diversa e molto più invalidante. In questi casi, il disturbo del pensiero è profondo e i sintomi negativi, come la mancanza di iniziativa o di espressività emotiva, portano a una vera e propria disintegrazione della mente. Questo rende estremamente difficile per chi ne soffre pianificare azioni anche semplici, mantenere una conversazione coerente o interagire in modo efficace con il mondo e le persone circostanti.Ma siamo sicuri che resistere alla fame dimostri l’esistenza di un sé ‘quasi separato’ dal corpo, o non è piuttosto una semplificazione che ignora la complessità dell’interazione mente-corpo?
Il capitolo, pur offrendo spunti interessanti, sembra fare un salto logico significativo nel suggerire che la capacità di resistere ai bisogni primari implichi un sé quasi separato dal corpo. Questa interpretazione rischia di riproporre un dualismo mente-corpo che la scienza contemporanea fatica a sostenere. Per esplorare a fondo la natura del sé e il suo rapporto con il corpo e il cervello, è fondamentale confrontarsi con la filosofia della mente e le neuroscienze cognitive. Autori come Antonio Damasio o Daniel Dennett offrono prospettive che vedono il sé non come un’entità separata, ma come un fenomeno emergente e intrinsecamente legato ai processi biologici e alle interazioni cerebrali.5. Sentieri della Mente e dell’Esistenza
L’esperienza umana si costruisce nel tempo, mettendo in ordine le sensazioni e i modelli. La scienza va avanti con scoperte e correzioni, offrendo modi sempre più complessi per capire chi siamo, inclusa la nostra storia legata ai Neandertal. La verità nella scienza nasce dalla libertà di cercare e discutere, anche in modo non sempre ordinato.Violenza e Cervello
Psichiatria e neuroscienze studiano la violenza, vista a volte come un disturbo della personalità. Alcune persone mostrano di non rispettare i diritti degli altri. Le cause sono complicate, con fattori genetici e cambiamenti nel cervello, ma non si capisce ancora tutto bene e non ci sono cure semplici. Esperimenti con una tecnica chiamata optogenetica, fatta sui topi, mostrano che attivare certe cellule del cervello può causare subito aggressività. Questo fa pensare a quanto siamo davvero responsabili delle nostre azioni e alla forza dei processi nel cervello, che a volte sembrano più forti delle regole sociali. La stessa tecnica, però, può anche trovare i circuiti che fermano l’aggressività.Il Sé e le Azioni: Circuiti Neurali
Le neuroscienze moderne, studiando come funzionano le cellule in diverse parti del cervello (come la corteccia retrospleniale e prefrontale), iniziano a vedere il “sé” e le nostre azioni non come qualcosa che viene da una sola area, ma da tanti circuiti collegati. Questo aiuta a capire stati come la dissociazione e a parlare di responsabilità in modo legato alla biologia, misurabile, senza usare idee astratte come coscienza o libero arbitrio. Vedono comunque il “sé” come un essere biologico che agisce.Il Mistero della Coscienza Soggettiva
Un grande mistero è la coscienza, cioè quello che proviamo dentro di noi. L’optogenetica più avanzata permette di controllare l’attività di singole cellule nel cervello. Alcuni esperimenti dimostrano che stimolando certi neuroni visivi in un topo, l’animale si comporta come se vedesse qualcosa, anche se non c’è. Questo fa pensare che quello che percepiamo dentro possa essere legato a come funzionano certi gruppi di neuroni. Pensando a un esperimento, se potessimo ricreare artificialmente nel cervello lo schema di attività legato a una sensazione piacevole, ci chiederemmo se proveremmo davvero quella sensazione. Questo mostra un problema difficile legato ai “qualia”, cioè le esperienze soggettive interiori. Queste esperienze sono fondamentali per chi siamo e per quello che viviamo insieme agli altri.Se il “sé” e le nostre azioni sono riducibili a “tanti circuiti collegati” misurabili, come può il capitolo ammettere contemporaneamente che la coscienza soggettiva, con i suoi “qualia”, rimanga un “grande mistero” e sia “fondamentale per chi siamo”?
Il capitolo presenta una visione del “sé” e della responsabilità basata su circuiti neurali misurabili, quasi a voler superare concetti astratti. Tuttavia, riconosce esplicitamente il “mistero” della coscienza soggettiva e la sua centralità per l’identità. Questa tensione logica non viene risolta: se il sé è così legato all’esperienza interiore, come può essere spiegato senza affrontare pienamente il problema della coscienza? Per esplorare questa apparente contraddizione e i limiti di un approccio puramente biologico alla mente, è utile confrontarsi con la Filosofia della Mente, in particolare sui temi dei “qualia” e del “hard problem” della coscienza. Autori come David Chalmers o Daniel Dennett offrono prospettive molto diverse su questi argomenti, cruciali per capire cosa significhi davvero ridurre la mente al cervello.Abbiamo riassunto il possibile
Se vuoi saperne di più, devi leggere il libro originale
Compra il libro[sc name=”1″][/sc] [sc name=”2″][/sc] [sc name=”3″][/sc] [sc name=”4″][/sc] [sc name=”5″][/sc] [sc name=”6″][/sc] [sc name=”7″][/sc] [sc name=”8″][/sc] [sc name=”9″][/sc] [sc name=”10″][/sc]