Politica

Profugopoli. Quelli che si riempono le tasche con il business degli immigrati

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1. La Nuova Eldorado dell’Accoglienza

L’Immigrazione come Opportunità Economica

L’immigrazione si presenta come una grande occasione per fare affari. Molte persone e organizzazioni senza esperienza specifica nel settore dell’accoglienza cercano di ottenere i finanziamenti pubblici destinati ai profughi. In questa situazione di emergenza, i controlli diventano meno rigidi e soggetti inaspettati si ritrovano a gestire l’accoglienza. Si vedono così associazioni folkloristiche, imprese di pompe funebri, scuole per odontotecnici, società di pesca sportiva e aziende di derattizzazione che si occupano di gestire i soldi pubblici per i migranti. Questa gestione improvvisata porta con sé molti problemi concreti per i profughi.

Condizioni di Vita Inadeguate e Proteste

I profughi sono spesso ospitati in strutture che non vanno bene, dove mancano l’igiene e i servizi di base. Ci sono segnalazioni di alloggi in cattive condizioni, cibo che non basta e poca assistenza medica. Per questo motivo, gli immigrati protestano frequentemente, facendo sapere che le loro condizioni di vita sono inaccettabili. Nonostante le prefetture spendano molti soldi, i servizi per i profughi rimangono spesso di bassa qualità.

Affari e Mancanza di Trasparenza

I bilanci di molte di queste società non sono chiari e spesso i soldi finiscono in paradisi fiscali. Sembra che l’obiettivo principale sia guadagnare, piuttosto che aiutare i migranti a integrarsi e a vivere bene. Così, l’emergenza immigrazione si trasforma in un business che rende ricco qualcuno, ma non aiuta chi avrebbe bisogno di vero aiuto e rispetto.

Se il capitolo denuncia giustamente le speculazioni sull’accoglienza, non rischia di dipingere un quadro eccessivamente negativo, ignorando la complessità del fenomeno migratorio e la possibilità che esistano anche operatori onesti e soluzioni efficaci?
Il capitolo si concentra sugli aspetti negativi, ma per una comprensione più completa, sarebbe utile analizzare dati concreti sulla gestione dei fondi, valutare l’efficacia di diversi modelli di accoglienza e considerare le prospettive di chi opera nel settore con intenti positivi. Approfondimenti in sociologia delle migrazioni, economia sociale e studi sulla corruzione potrebbero arricchire l’analisi. Autori come Roberto Saviano, che ha indagato le zone d’ombra dell’economia italiana, potrebbero offrire spunti interessanti.


2. Il Business dell’Accoglienza

L’accoglienza dei migranti è diventata un’attività che genera molti soldi per diverse persone che fanno impresa. Dietro l’apparenza di voler aiutare, si nasconde un sistema dove l’arrivo dei migranti viene usato per fare profitto. Si nota come persone che fanno affari in vari settori, come la finanza e le case, entrano nel business dell’accoglienza, anche se spesso non sanno nulla del lavoro sociale.

Esempi di imprenditori nel settore dell’accoglienza

Per capire meglio, si può pensare a una società finanziaria di Milano. Questa società aveva problemi economici con delle case che non riusciva a vendere. Allora, ha creato un’impresa per accogliere i profughi e ha ottenuto subito tanti soldi dallo Stato. Un altro esempio è quello di un politico che non lavora più in politica. Questo politico ha trasformato i suoi alberghi in centri di accoglienza, guadagnando grazie all’emergenza migranti. Ancora, ci sono imprenditori che costruiscono case e società immobiliari che hanno iniziato a gestire anche l’accoglienza dei migranti. In questo modo, hanno aumentato di molto i loro guadagni in poco tempo.

Criticità del sistema di accoglienza

Questi imprenditori, a volte con aziende nei paradisi fiscali o con storie poco chiare, ricevono appalti pubblici per gestire i centri di accoglienza. Spesso, la cosa più importante non è offrire una buona accoglienza, ma guadagnare. Si vedono casi di strutture che non vanno bene, servizi che mancano e gestioni poco trasparenti. Intanto, i guadagni delle aziende che si occupano di questo aumentano tantissimo. Così, l’interesse per il denaro diventa più importante della vera solidarietà, e l’emergenza delle persone che hanno bisogno si trasforma in un modo per fare affari senza scrupoli.

Ma è davvero così sorprendente che l’accoglienza generi un business, o non è forse inevitabile che qualsiasi attività umana, inclusa la solidarietà, si intersechi con logiche economiche?
Il capitolo sembra suggerire che l’esistenza di un “business dell’accoglienza” sia di per sé un problema, quasi una deviazione da una presunta “vera” solidarietà. Tuttavia, in un sistema economico complesso, è raro trovare attività che siano completamente separate da dinamiche di mercato. Per rispondere alla domanda posta, sarebbe utile esplorare il campo dell’economia politica e della sociologia delle organizzazioni. Autori come Karl Polanyi, con i suoi studi sull’incastro dell’economia nella società, o Luc Boltanski e Ève Chiapello, analizzando le nuove forme del capitalismo, potrebbero offrire strumenti concettuali utili per comprendere meglio come le logiche economiche si intrecciano con le azioni sociali, inclusa l’accoglienza.


Capitolo III: Re Mida del Sociale

La trasformazione delle cooperative sociali

Le cooperative sociali sono nate con l’obiettivo di creare valore sociale e mutualistico. Tuttavia, nel tempo, molte di queste realtà si sono evolute, trasformandosi in vere e proprie aziende. Questo cambiamento è particolarmente evidente nel settore dell’accoglienza degli immigrati, dove le cooperative sociali operano sempre più come imprese orientate al profitto. Questa trasformazione non rappresenta un fenomeno isolato o limitato a pochi casi di malaffare, ma appare invece un sistema diffuso e radicato nel settore. Le cooperative, sia quelle nate in contesti di area cattolica che quelle di area laica, un tempo considerate laboratori di idee e iniziative solidali, oggi mostrano bilanci e strategie aziendali che riflettono logiche tipiche del mercato, come il marketing, la governance aziendale, la tendenza al monopolio e la diversificazione dei servizi offerti.

Monopolio e gestione degli appalti nel Ferrarese e Reggiano

Un esempio emblematico di questa tendenza si riscontra a Ferrara, dove la cooperativa Camelot si aggiudica sistematicamente la maggior parte degli appalti pubblici per la gestione dei servizi destinati ai richiedenti asilo e ai rifugiati. Questa concentrazione di appalti nelle mani di un unico soggetto crea una situazione di fatto monopolistica, sollevando interrogativi sulla trasparenza delle procedure di assegnazione e sulla reale concorrenza nel settore. Un altro caso significativo è quello della Dimora d’Abramo a Reggio Emilia. Questa cooperativa, originariamente fondata in ambito cattolico con una forte vocazione sociale, è stata oggetto di critiche da parte dei soci fondatori. Le accuse riguardano una presunta perdita di vista della missione originaria rivolta ai poveri e ai soggetti più vulnerabili, a favore di una maggiore attenzione alla distribuzione degli utili tra i soci e a investimenti di tipo immobiliare.

Concentrazione e grandi numeri in Brianza e in Emilia Romagna

In Brianza, si osserva un fenomeno di concentrazione simile, con consorzi come Comunità Brianza e CS&L che raggiungono fatturati paragonabili a quelli di grandi industrie manifatturiere. Questi consorzi riescono ad ottenere la quasi totalità degli appalti per l’accoglienza dei migranti nel territorio, gestendo numeri elevatissimi di persone spesso in condizioni di sovraffollamento e con risorse limitate. Anche in Emilia Romagna, diverse cooperative come Cad, Aurora e Caleidos, pur mostrando in alcuni casi criticità gestionali e operative, rappresentano esempi di come il settore dell’accoglienza si sia trasformato in un business estremamente redditizio. In alcuni casi, l’attività di accoglienza viene affiancata ad altre attività economiche, come ad esempio la gestione di canili, in un’ottica di diversificazione del business.

Crescita nazionale e strategie aziendali avanzate

A livello nazionale, alcune grandi cooperative come Labirinto, Farsi Prossimo e Gus rappresentano esempi di realtà che hanno visto una crescita esponenziale del proprio fatturato grazie all’espansione del settore dell’accoglienza. Queste organizzazioni adottano modelli di gestione aziendale sempre più sofisticati e avanzati, tipici delle imprese private. Anche in contesti territoriali diversi, come nel caso di Pane&Rose a Prato, Integra a Lecce e Maleventum a Benevento, si riscontra una tendenza simile. Nonostante in alcuni di questi casi siano emerse inadempienze contrattuali, polemiche e inchieste giudiziarie, queste cooperative continuano a operare e prosperare nel settore dell’accoglienza. Questo dimostra come la logica del profitto e la capacità di generare fatturato abbiano assunto un ruolo predominante, spesso a discapito della qualità dei servizi offerti e della tutela dei diritti dei soggetti più vulnerabili. La diversificazione dei servizi offerti e la capacità di adattarsi alle nuove esigenze del mercato e ai cambiamenti normativi sono diventate strategie aziendali fondamentali per queste imprese sociali. Realtà come Cooperarci, Faber e Olinda testimoniano come queste cooperative siano sempre più guidate da logiche di puro business, con l’obiettivo primario di massimizzare i profitti e consolidare la propria posizione di mercato nel settore dell’accoglienza.

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Se il capitolo denuncia la trasformazione del sistema di accoglienza in un business corrotto, non rischia di generalizzare eccessivamente, oscurando le realtà virtuose e gli operatori onesti che pure esistono nel settore?
Il capitolo presenta un quadro allarmante, ma concentrandosi prevalentemente sugli scandali, potrebbe involontariamente dare un’immagine incompleta. Per avere una visione più equilibrata, sarebbe utile integrare l’analisi con studi sociologici sul terzo settore e sull’economia sociale, per comprendere meglio la complessità del sistema di accoglienza e distinguere le mele marce dal resto del raccolto. Approfondimenti sui lavori di Diego Piacentini potrebbero essere utili per capire meglio le dinamiche del settore.


5. Civiltà al Tramonto

La Minaccia del Terrorismo e la Debole Risposta Europea

Si vive in Europa un periodo di guerra non dichiarata, caratterizzato dal terrorismo islamico. Di fronte a questa grave minaccia, la reazione europea appare debole e piena di auto-colpevolizzazione. Spesso, si tende a giustificare il terrorismo come una conseguenza delle azioni dell’Occidente, senza considerare la sua vera natura ideologica. È importante capire che i terroristi non vogliono integrarsi, ma puntano alla conquista e alla sottomissione.

L’Errore della Negazione Ideologica

Questo atteggiamento di auto-colpevolizzazione e di rifiuto di riconoscere le radici islamiche del terrorismo ricorda gli errori commessi negli anni Settanta con le Brigate Rosse. Anche allora, si esitava a identificare la matrice ideologica della violenza. Solo affrontando la verità sull’origine del terrorismo islamico, che si trova all’interno di specifiche moschee e ideologie, è possibile contrastarlo in modo efficace.

Il Rinnegamento della Cultura Europea

Parallelamente alla minaccia terroristica, si assiste a un progressivo annullamento della cultura europea. Si rifiuta il presepe, si eliminano i simboli cristiani dagli spazi pubblici e si censurano opere d’arte per non offendere alcune minoranze. Questo rinnegamento delle proprie radici culturali rende la civiltà europea fragile e indifesa, esponendola al rischio di soccombere di fronte alle minacce esterne.

La Cupidigia e l’Auto-distruzione

La ricerca del profitto nell’accoglienza indiscriminata, insieme alla cupidigia, contribuisce ulteriormente a questo processo di auto-distruzione. Lo sfruttamento dell’immigrazione in Italia, basato su un sistema corrotto e pieno di sprechi, è un esempio di come l’avidità stia portando la civiltà europea sull’orlo del collasso.

La Speranza di Ribellione

Nonostante la grave situazione, rimane una speranza: una ribellione che possa invertire questa tendenza auto-distruttiva e salvare la civiltà europea dal tramonto.

Ma è davvero corretto parlare di “civiltà al tramonto” per l’Europa, quando la storia è piena di trasformazioni e adattamenti culturali, e il concetto stesso di “civiltà europea” è tutt’altro che monolitico e immutabile?
Il capitolo dipinge un quadro fosco e definitivo, quasi apocalittico, della situazione europea. Tuttavia, la storia ci insegna che le civiltà sono entità dinamiche, in continua evoluzione, capaci di superare crisi e trasformazioni profonde. Per rispondere adeguatamente alla domanda posta dal titolo del capitolo, sarebbe utile esplorare la storia delle civiltà, leggendo autori come Fernand Braudel, per comprendere i cicli storici e le dinamiche di lungo periodo. Inoltre, un approccio sociologico, con autori come Zygmunt Bauman, potrebbe aiutare a decostruire il concetto di “cultura europea” e analizzarne le trasformazioni contemporanee in modo più articolato e meno allarmistico.


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