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RISPOSTA: “Profitti del potere. Stato ed economia nell’Europa moderna” di Silvia Messina ci porta in un viaggio affascinante attraverso l’Europa tra il tardo Medioevo e l’inizio dell’età moderna, un periodo di enormi cambiamenti dove il potere statale e l’economia si intrecciano in modi sorprendenti. Il libro esplora come le guerre, sempre più costose a causa della “rivoluzione militare”, abbiano spinto gli Stati a sviluppare sistemi fiscali più efficienti, trasformandosi in veri e propri “stati fiscali”. Dalle fiorenti città mercantili come Venezia e Amsterdam, che dominavano i commerci a lunga distanza, agli Stati territoriali in ascesa come Francia e Inghilterra, Messina analizza come la necessità di finanziare eserciti sempre più grandi abbia plasmato le economie nazionali. Ci immergiamo nelle sfide finanziarie della Spagna, gravata da debiti e privilegi, nel sistema fiscale francese, segnato da esenzioni e inefficienze, e nella sorprendente capacità di gestione delle Province Unite. Il Seicento emerge come un secolo cruciale, segnato da crisi ma anche da una riorganizzazione economica che vede il baricentro spostarsi verso l’Atlantico, con l’Inghilterra e la Francia in prima linea. Attraverso un’analisi dettagliata di diverse realtà, dalla Toscana al Piemonte sabaudo, dallo Stato Pontificio al Regno di Napoli, fino alle potenze emergenti come Prussia e Russia, il libro svela le strategie adottate dagli Stati per crescere e affermare la propria potenza, mostrando come la competizione politica e militare abbia stimolato innovazione e trasformazione economica, gettando le basi per il mondo moderno.Riassunto Breve
La crescita del potere statale in Europa, tra il tardo Medioevo e l’età moderna, è stata profondamente legata alla guerra e alla conseguente necessità di finanziare eserciti sempre più grandi e tecnologicamente avanzati. Le città mercantili, pur essendo centri di ricchezza e innovazione finanziaria, furono gradualmente superate dagli Stati territoriali che, per sostenere le costose guerre, svilupparono sistemi fiscali più efficienti e centralizzati. La “rivoluzione militare”, con l’introduzione di armi da fuoco e fortificazioni bastionare, aumentò esponenzialmente le spese belliche, spingendo gli Stati a espandere le proprie entrate attraverso una pressione fiscale crescente. L’Inghilterra, ad esempio, passò da un modello di “Stato patrimoniale” a un “fisco state” più maturo, migliorando la riscossione delle imposte dirette e indirette e vendendo uffici pubblici per garantire flussi di cassa. La capacità di uno Stato di raccogliere tasse divenne un indicatore cruciale della sua forza.Il confronto tra Spagna, Francia e Province Unite evidenzia le diverse strategie e i risultati ottenuti. La Spagna, gravata da vasti impegni militari e da un impero esteso, accumulò debiti ingenti a causa di un sistema fiscale inefficiente, con privilegi e deleghe che spostavano il carico sui consumatori. La Francia, pur avendo un potenziale fiscale elevato, soffrì di esenzioni per nobiltà e clero e di un sistema fiscale iniquo che non garantiva il pieno afflusso delle entrate al tesoro centrale, sfociando in una crisi finanziaria. Le Province Unite, al contrario, gestirono le finanze pubbliche con notevole efficienza, basandosi su imposte indirette e un alto grado di consenso politico, finanziando le spese militari attraverso tassazione e emissione di titoli pubblici.Il Seicento fu un secolo di crisi generale, segnato da guerre, epidemie e cambiamenti climatici, che vide il ruolo dello Stato diventare sempre più centrale. In Inghilterra, il debito pubblico e il sistema fiscale, supportati dal Parlamento, finanziarono una politica estera aggressiva e l’espansione commerciale, rendendo il paese una potenza finanziaria e militare. La Germania vide la guerra come motore di una crescente fiscalità e di un rafforzamento del particolarismo politico, con la Prussia che si distinse come Stato militare. L’Italia e la Spagna subirono un impatto devastante, con crollo demografico e contrazione economica, mentre la Germania affrontò un drammatico calo demografico. Le Province Unite, invece, vissero un periodo di prosperità economica, diventando un centro commerciale globale. La crisi del Seicento evidenziò l’importanza dello Stato nell’economia, stimolando l’innovazione tecnologica, soprattutto nell’industria bellica.La crisi del Seicento portò a un ri-centramento dell’economia e a uno spostamento del baricentro commerciale dal Mediterraneo verso l’Atlantico, con la crescita di città nel nord e nell’ovest Europa. Il mercantilismo divenne la politica economica dominante, volta a rafforzare lo Stato attraverso l’accumulazione di ricchezza nazionale, con politiche protezionistiche e sostegno alle manifatture e alla marina mercantile. L’Inghilterra e la Francia furono protagoniste di questo nuovo assetto, con l’Inghilterra che rafforzò la sua potenza marittima e commerciale e la Francia che promosse politiche mercantiliste. Altri paesi risposero in modi diversi: la Spagna mostrò riprese regionali, la Germania affrontò una profonda crisi, e l’Italia vide una ristrutturazione delle sue strutture produttive.Gli Stati italiani, tra Cinquecento e Seicento, agirono come laboratori “pre-mercantilisti”, con classi dirigenti che cercavano di rafforzare il potere centrale e sostenere la produzione. Le guerre aumentarono tassazione e indebitamento, con misure per controllare l’approvvigionamento alimentare e proteggere le manifatture interne. Tuttavia, le piccole dimensioni degli stati e il limitato controllo interno impedirono un vero mercantilismo per mancanza di autarchia e unificazione politica. Le differenze tra centro-nord e Mezzogiorno furono significative, con il primo più reattivo alle crisi e il secondo legato a residui feudali. La frammentazione politica, l’egemonia spagnola e la minaccia ottomana condizionarono pesantemente le scelte economiche. Venezia, pur potenza navale, fu schiacciata tra grandi potenze, spostando capitali verso la terraferma. Genova divenne un vassallo della Spagna, concentrando i suoi capitali in Spagna e nelle Americhe.In Toscana, nel Cinquecento, si assistette a un passaggio da un’economia mercantile a una prevalentemente agricola, con scelte politiche focalizzate sull’approvvigionamento alimentare. L’istituzione del porto franco a Livorno favorì mercanti stranieri per mancanza di investimenti nella flotta commerciale regionale. Le politiche mercantilistiche miravano a sostenere le manifatture fiorentine. Il Piemonte sabaudo mostrò un modello di sviluppo più strutturato, con un governo centrale che supportò l’agricoltura e il settore serico, portando a uno Stato meglio amministrato e a una crescita economica. Lo Stato Pontificio, invece, fu considerato un ostacolo all’unificazione italiana, con un impatto negativo sulla cultura e sull’industria tipografica, e un’economia caratterizzata da immobilismo.Lo Stato di Milano vide la sua economia stimolata dalla spesa militare spagnola, ma la crisi del Seicento, la peste e la politica del patriziato urbano portarono a un crollo delle manifatture. Nel Regno di Napoli, la politica economica fu subordinata alle esigenze dell’impero spagnolo, con restrizioni commerciali e investimenti concentrati sulla rendita pubblica, indebolendo il mercato dei capitali. La peste e il mutato scenario economico peggiorarono la situazione, con il Mezzogiorno che fu dissanguato dall’impero spagnolo. Il Portogallo, pur pioniere nell’espansione coloniale, non si sviluppò economicamente allo stesso modo, diventando di fatto una colonia britannica a causa del trattato di Methuen.Il declino della Spagna imperiale nel XVII secolo è attribuito all’eccessivo indebitamento, al potere del clero e dell’aristocrazia, e a politiche economiche inadeguate. Le Province Unite prosperarono grazie a un’economia basata su commercio, industria e tecnologia, diventando un centro commerciale globale. La Francia cercò di costruire uno stato centralizzato e un’economia nazionale attraverso politiche mercantiliste, che contribuirono a evitare il destino della Spagna, pur affrontando sfide interne.Tra il XVI e il XVIII secolo, Inghilterra, Svezia e Russia vissero profonde trasformazioni. L’Inghilterra divenne la prima potenza commerciale grazie a una politica mercantilista pragmatica, supportata dalla geografia e dall’espansione coloniale, con gli Atti di Navigazione che segnarono una svolta. La Svezia sfruttò le sue ricchezze naturali per finanziare ambizioni militari e sviluppare industrie belliche, vivendo un periodo di benessere economico nel Settecento. La Russia, prima di Pietro il Grande, era isolata e arretrata, ma le sconfitte militari spinsero alla modernizzazione e all’occidentalizzazione, con lo sviluppo dell’industria pesante e la creazione di un forte esercito e marina, sebbene il sistema sociale rimase un freno.La Prussia si trasformò in una potenza europea grazie a una forte centralizzazione e a un’organizzazione statale focalizzata sulla macchina militare, beneficiando del declino di Svezia e Polonia. L’economia prussiana fu piegata alle esigenze belliche, con un’alta percentuale delle entrate destinata all’esercito, e una politica cameralista che mirava all’aumento della popolazione attraverso l’attrazione di immigrati. L’Impero Asburgico, invece, era una confederazione di regni con notevole autonomia, dove la nobiltà e le diete locali mantenevano un forte potere, e l’imperatore necessitava del consenso delle élite per le sue politiche. Solo con Maria Teresa si avviò una maggiore centralizzazione e un intervento più incisivo nell’economia. La volontà degli Stati europei di intervenire nell’economia crebbe in età moderna, legando la forza militare alla ricchezza nazionale, stimolando investimenti in settori strategici e portando a un’innovazione tecnologica e scientifica diffusa in Europa. Questo sistema di stati indipendenti favorì scelte economiche competitive e l’apertura verso mercanti e specialisti, ponendo le basi per la futura rivoluzione industriale.Riassunto Lungo
1. Dalle Città Mercantili agli Stati Fiscali: La Crescita del Potere Statale attraverso la Guerra e la Tassazione
Il Potere delle Città Mercantili
Tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna, il centro del potere economico si trovava nelle fiorenti città commerciali. Luoghi come Venezia, Genova e Amsterdam prosperavano grazie ai commerci su lunghe distanze. Avevano sviluppato sistemi di credito avanzati e si specializzavano nella produzione di beni di alto valore. Queste città erano come “mondi economici” con una città principale al centro, che era aperta e accogliente verso culture diverse, mantenendo così il suo dominio per un certo periodo.La Sfida degli Stati Territoriali
Contemporaneamente, gli Stati territoriali che stavano nascendo, come la Francia e l’Inghilterra, dovevano affrontare spese belliche sempre più alte e un debito pubblico in crescita. Nonostante la loro forza politica, inizialmente erano meno avanzati delle città mercantili sul piano economico. Questo divario tra potere politico ed economico si è gradualmente ridotto nel tempo.La Rivoluzione Militare e i Costi della Guerra
La “rivoluzione militare” ha portato a un miglioramento delle armi da fuoco, alla costruzione di fortificazioni più resistenti e all’aumento delle dimensioni degli eserciti. Tutto ciò ha reso la guerra un’attività estremamente costosa. L’aumento delle spese per la difesa è diventato così il principale motore che ha spinto gli Stati a sviluppare sistemi fiscali più efficienti. Per poter finanziare le guerre, gli Stati sono stati costretti ad aumentare le proprie entrate, incrementando la pressione fiscale sui cittadini.L’Evoluzione Fiscale in Europa
La crescita delle entrate statali è stata un fenomeno comune in tutta Europa, ma con differenze significative tra i vari paesi. L’Inghilterra, ad esempio, è riuscita ad aumentare le sue entrate fiscali in modo notevole. È passata da un sistema in cui lo Stato si basava principalmente sulle proprie terre e risorse a un sistema fiscale più strutturato e centralizzato. Questo miglioramento è stato possibile grazie a una riscossione delle tasse più efficace, sia per le imposte dirette che per quelle indirette. Anche la vendita di uffici pubblici, sebbene non sempre efficiente, ha garantito un flusso costante di denaro.La Tassazione come Indicatore di Forza Statale
In generale, la capacità di uno Stato di raccogliere tasse, sia in termini assoluti che per abitante, è diventata un segno importante della sua forza e della sua capacità di competere con altri. Le città con più abitanti e con economie più attive, come le Province Unite e l’Inghilterra, hanno dimostrato una maggiore efficienza nella gestione fiscale. Tuttavia, anche gli Stati più autoritari e con un’economia prevalentemente agricola sono riusciti a ottenere buoni risultati, spesso grazie alla necessità di finanziare le guerre. La guerra, quindi, si conferma come il fattore principale che ha guidato la formazione dello Stato fiscale, influenzando profondamente le gerarchie politiche e militari e la crescita economica in Europa.Se la guerra è il motore primario della formazione dello Stato fiscale, come si spiega la resilienza e la prosperità delle città mercantili, che per definizione prosperavano in assenza di un controllo territoriale esteso e di un apparato bellico imponente?
Il capitolo suggerisce una dicotomia tra città mercantili e Stati territoriali, ma non approfondisce a sufficienza come le prime, pur non essendo Stati fiscali nel senso moderno, abbiano sviluppato sofisticati meccanismi di finanziamento e gestione delle risorse che ne hanno garantito la forza e l’influenza. Per comprendere appieno questa dinamica, sarebbe utile esplorare le opere di storici economici che hanno analizzato le strutture finanziarie e le politiche delle repubbliche marinare e delle città-stato, come quelle che hanno studiato il sistema fiscale e le strategie di accumulazione di Venezia o Genova, o le politiche economiche delle Province Unite. Approfondire la letteratura sulla storia del commercio e della finanza nel tardo Medioevo e nell’età moderna potrebbe fornire il contesto mancante per valutare il rapporto tra potere mercantile e potere statale, nonché le diverse vie di sviluppo economico e politico.2. Tesori e Debiti: Finanze Pubbliche a Confronto tra Spagna, Francia e Province Unite
La Spagna: un Impero tra Impegni e Debiti
La Spagna, nel periodo moderno, affrontò sfide finanziarie significative a causa dei suoi vasti impegni militari e della gestione di un impero esteso. L’aumento dei costi bellici e l’incapacità di bilanciare le spese con le entrate portarono a un indebitamento crescente. Nonostante le riforme nel Settecento, il sistema fiscale spagnolo rimase gravato da privilegi e dalla delega della riscossione a élite locali, che spesso spostavano il carico fiscale sui consumatori e non sui più abbienti. Questo causò inefficienze e corruzione, limitando le entrate effettive.La Francia: un Potenziale Inespresso e una Crisi Imminente
La Francia, pur avendo un potenziale fiscale elevato, soffrì di un sistema caratterizzato da numerose esenzioni per nobiltà e clero, oltre a privilegi per chi deteneva cariche pubbliche. Le continue guerre, specialmente sotto Luigi XIV, aumentarono enormemente le spese e il debito. Il fallimento di esperimenti finanziari come il “sistema di Law” e l’incapacità di riformare un sistema fiscale iniquo e inefficiente, dove solo una parte delle imposte raggiungeva il tesoro centrale, contribuirono a una crisi finanziaria che sfociò nella Rivoluzione.Le Province Unite: Efficienza Fiscale e Fiducia Finanziaria
Le Province Unite, al contrario, dimostrarono una notevole capacità di gestire le finanze pubbliche, soprattutto grazie a un sistema fiscale efficiente basato su imposte indirette e a un alto grado di consenso politico. La guerra d’indipendenza stimolò una “rivoluzione fiscale” che permise di finanziare le spese militari attraverso la tassazione e l’emissione di titoli pubblici. Nonostante un debito considerevole, la fiducia dei risparmiatori e un sistema finanziario ben organizzato mantennero un certo equilibrio, anche se gli interessi particolaristici tra le province ostacolarono riforme necessarie.È davvero possibile affermare che le Province Unite abbiano raggiunto un “certo equilibrio” finanziario, nonostante un debito considerevole e la presenza di interessi particolaristici che ostacolavano riforme, quando il capitolo stesso evidenzia le inefficienze del sistema fiscale spagnolo e francese dovute proprio a privilegi e particolarismi?
Il capitolo presenta un confronto tra Spagna, Francia e Province Unite, delineando le rispettive sfide finanziarie. Tuttavia, la valutazione dell’equilibrio finanziario delle Province Unite potrebbe beneficiare di un’analisi più approfondita che metta in luce le specifiche meccaniche attraverso cui il “consenso politico” e la “fiducia dei risparmiatori” hanno effettivamente compensato le criticità strutturali, piuttosto che limitarsi a un’affermazione di efficienza generale. Per comprendere meglio queste dinamiche, sarebbe utile approfondire gli studi sulla storia economica delle repubbliche mercantili e sulle politiche fiscali delle città-stato europee in età moderna. Autori come Jan de Vries o Charles Tilly potrebbero offrire prospettive illuminanti sulle interrelazioni tra struttura politica, consenso sociale e gestione del debito pubblico in contesti simili.3. La Crisi del Seicento e la Trasformazione degli Stati Europei
Il Contesto Generale della Crisi del Seicento
Il Seicento è stato un secolo di profonde trasformazioni per l’Europa, segnato da eventi come la Guerra dei Trent’anni, epidemie e cambiamenti climatici, che hanno portato a una crisi generale. In questo contesto, il ruolo dello Stato è diventato sempre più centrale, influenzando la crescita economica, il sistema fiscale e la politica estera.L’Ascesa Finanziaria e Militare dell’Inghilterra
In Inghilterra, la crescita del debito pubblico e del sistema fiscale, supportata dal Parlamento, ha permesso al paese di finanziare una politica estera aggressiva e di espandere i propri commerci. Nonostante un onere fiscale inizialmente leggero, le necessità belliche hanno portato a un aumento della tassazione, con un’evoluzione verso una gestione statale più centralizzata delle imposte. Questo ha reso l’Inghilterra una potenza finanziaria e militare.La Prussia e l’Austria nell’Impero Germanico
Al contrario, l’Impero germanico, pur avendo un mercato interno dei capitali meno sviluppato, ha visto la guerra come motore di una crescente fiscalità e di un rafforzamento del particolarismo politico. La Prussia, in particolare, si è distinta come Stato militare, mentre l’Austria ha dovuto gestire la sua natura multinazionale attraverso l’intermediazione delle élite locali.L’Italia e la Spagna Colpite dalla Crisi
La crisi del Seicento ha avuto un impatto devastante sull’Italia e sulla Spagna, con un crollo demografico e una contrazione delle attività economiche. L’Italia, precedentemente centro nevralgico dell’economia europea, ha subito il colpo della peste e la perdita dei mercati esteri, aggravata dalle politiche mercantilistiche dei concorrenti. La Spagna, nonostante una fase di crescita iniziale, ha sofferto a causa di strutture sociali rigide, un indebitamento pubblico elevato e catastrofi demografiche.Le Conseguenze della Crisi in Germania e l’Ascesa Occidentale
La Germania ha affrontato un drammatico calo demografico a causa della guerra e delle epidemie, interrompendo le reti commerciali e produttive. Solo nella seconda metà del secolo si è assistito a un recupero, ma la crisi ha favorito l’ascesa marittima e occidentale di paesi come le Province Unite e l’Inghilterra.La Prosperità delle Province Unite
Le Province Unite, in particolare, hanno vissuto un periodo di prosperità economica, diventando un centro commerciale globale e finanziando la loro lotta per l’indipendenza attraverso le entrate doganali e le accise. Questo successo è stato basato su un’egemonia nel commercio internazionale.Lo Stato come Motore Economico e Innovativo
In generale, la crisi del Seicento ha evidenziato la crescente importanza dello Stato nell’economia, attraverso la domanda pubblica, gli investimenti e le politiche economiche come il mercantilismo. La competizione politica e militare ha stimolato l’innovazione tecnologica, in particolare nell’industria bellica, con ricadute positive anche nei settori civili.È davvero possibile attribuire il successo delle potenze nordiche esclusivamente a politiche mercantiliste, risorse naturali e riforme militari, trascurando completamente l’impatto delle dinamiche sociali interne e delle interazioni culturali con altre civiltà?
Il capitolo dipinge un quadro in cui l’ascesa delle potenze nordiche sembra quasi un processo lineare e autonomo, guidato da decisioni politiche e sfruttamento di risorse. Tuttavia, questa narrazione rischia di semplificare eccessivamente la complessità storica, ignorando come le strutture sociali preesistenti, le migrazioni, gli scambi culturali e persino le influenze ideologiche abbiano giocato un ruolo cruciale nel plasmare queste trasformazioni. Per una comprensione più completa, sarebbe opportuno approfondire studi che analizzino l’impatto delle reti commerciali globali, delle correnti intellettuali europee e delle dinamiche interne di classe e potere che hanno accompagnato questi periodi. Autori come Fernand Braudel, con la sua enfasi sulla “longue durée” e sulle strutture economiche e sociali, o storici che si concentrano sulle interconnessioni culturali e sulle migrazioni, potrebbero offrire prospettive illuminanti per colmare queste lacune.7. La Strategia degli Stati Europei per la Crescita e la Potenza
L’Ascesa della Prussia come Potenza Militare
La Prussia, nata dall’unione del Brandeburgo con la Prussia, divenne una potenza europea grazie a una forte organizzazione statale e a una centralizzazione volta a potenziare la macchina militare. Tre sovrani, Federico I, Federico Guglielmo I e Federico II, furono i principali artefici di questo sviluppo, supportati da un esercito efficiente e da un’amministrazione capace di mobilitare efficacemente le risorse umane e materiali. La Prussia trasse vantaggio dal declino di potenze come la Svezia e la Polonia, nonché dalle difficoltà interne dell’Austria, riuscendo così a espandersi nonostante le dimensioni territoriali iniziali ridotte e le risorse limitate.La Politica Economica e Sociale Prussiana
L’economia prussiana fu interamente orientata verso le esigenze belliche, con una quota significativa delle entrate destinata al mantenimento dell’esercito. Per finanziare questo sforzo, furono introdotte nuove tasse, come le accise, e venne ridotto il potere delle assemblee rappresentative nella decisione delle imposte. Le proprietà demaniali furono gestite in modo efficiente, diventando una fonte di reddito fondamentale per lo Stato. La politica cameralista prussiana mirava all’incremento della popolazione attraverso l’attrazione di immigrati, ai quali venivano offerti vantaggi economici e religiosi. Questo favorì lo sviluppo di manifatture e l’acquisizione di competenze tecniche, in particolare con l’arrivo degli Ugonotti. Lo Stato intervenne attivamente nel sostenere le imprese, creando un polo manifatturiero attorno a Berlino e impiegando la manodopera in modo estensivo. Anche in agricoltura si registrarono progressi grazie a riforme e al sostegno pubblico, con la modernizzazione delle strutture agrarie e l’introduzione di nuove tecniche di gestione.Le Sfide dell’Impero Asburgico
L’Impero Asburgico si presentava come una confederazione di regni con un’elevata autonomia, dove la nobiltà e le diete locali conservavano un potere considerevole. La minaccia ottomana contribuì a rafforzare l’autorità imperiale, ma l’Impero rimase uno “Stato dei ceti”, dove l’imperatore aveva bisogno del consenso delle élite per attuare le sue politiche. Le entrate fiscali, in particolare il “contributionale” per le spese militari, venivano negoziate con i corpi rappresentativi, gravando pesantemente sui contadini. Nonostante gli sforzi mercantilisti di imperatori come Leopoldo I e Carlo VI per promuovere manifatture e commerci, i risultati furono spesso modesti e limitati. L’intervento statale nell’economia fu frammentario e occasionale fino all’era di Maria Teresa, a causa dei conflitti di interesse tra la monarchia e l’aristocrazia.Le Riforme di Maria Teresa e le Limitazioni
Solo con Maria Teresa si avviò una maggiore centralizzazione e un intervento più incisivo, con la creazione di nuove strutture amministrative, la promozione di manifatture e l’attrazione di artigiani specializzati. Tuttavia, l’agricoltura rimase legata a un sistema servile, e i tentativi di riforma agraria incontrarono la resistenza della nobiltà. Nonostante ciò, molte proprietà signorili svilupparono manifatture e forme di produzione a domicilio, con i nobili che agivano come imprenditori e gestivano direttamente le attività economiche.La Crescita Economica Europea e la Competizione tra Stati
In generale, la volontà degli Stati europei di intervenire nell’economia aumentò in età moderna, legando la forza militare alla ricchezza nazionale. La competizione tra gli Stati stimolò investimenti in settori strategici e l’acquisizione di “conoscenza utile”, portando a un’innovazione tecnologica e scientifica diffusa in Europa. Questo sistema di stati indipendenti favorì scelte economiche competitive e l’apertura verso mercanti e specialisti. Tuttavia, i monopoli e le guerre ebbero anche costi elevati, come prezzi più alti per i consumatori e distruzioni di capitale. Nonostante ciò, le politiche di sostegno all’economia nazionale furono fondamentali per la crescita e la trasformazione economica europea, ponendo le basi per la futura rivoluzione industriale.Se la centralizzazione prussiana e l’orientamento bellico dell’economia furono così efficaci, perché il capitolo non esplora in modo più approfondito le implicazioni a lungo termine di questo modello, soprattutto considerando le successive sconfitte militari e le trasformazioni geopolitiche che hanno interessato la Prussia e la Germania?
Il capitolo descrive con efficacia l’ascesa della Prussia come potenza militare e i meccanismi della sua politica economica e sociale, evidenziando come l’orientamento bellico e la centralizzazione statale abbiano favorito la crescita. Tuttavia, manca un’analisi critica delle potenziali criticità intrinseche a un modello così fortemente militarizzato e centralizzato, soprattutto in prospettiva storica. Per approfondire questo aspetto, sarebbe utile esplorare studi di storia militare e politica che analizzino le cause delle sconfitte prussiane e tedesche, nonché le conseguenze sociali ed economiche di un sistema basato sulla preparazione bellica continua. Autori come Geoffrey Parker, che ha studiato la “rivoluzione militare”, o storici che si sono occupati della Germania guglielmina e delle sue politiche, potrebbero offrire prospettive illuminanti. Inoltre, un’analisi comparativa con altri modelli di sviluppo statale europeo, magari meno orientati alla forza militare e più alla cooperazione o all’equilibrio di potere, potrebbe fornire un contesto più ampio per valutare la sostenibilità e le limitazioni del modello prussiano.Abbiamo riassunto il possibile
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