1X
🔊 100%
Contenuti del libro
Informazioni
“Prendiamoci la città e altri scritti. Storia di un percorso politico” di Guido Viale ti immerge nelle intense lotte degli anni ’70 in Italia, partendo dal cuore pulsante delle fabbriche come la Fiat a Torino. Questo libro racconta la storia di Lotta Continua e del suo ambizioso programma “Prendiamoci la città”, che mirava a estendere la ribellione operaia oltre i cancelli della fabbrica, portandola nella vita di tutti i giorni, nei quartieri e nelle università. Non si trattava solo di rivendicazioni salariali, ma di una lotta sociale più ampia per cambiare radicalmente ogni aspetto della vita urbana: casa, trasporti, scuola, salute. Vedrai come operai e studenti si univano, sfidando le strutture tradizionali come sindacati e polizia, cercando una vera autonomia operaia e studentesca e smascherando gli strumenti di controllo come categorie e incentivi che dividono i lavoratori. Il libro non si ferma a quel periodo storico, però. Riflette anche sulla dissoluzione di quei movimenti, su come il femminismo ha portato una critica fondamentale, rivelando il maschilismo interno e mostrando che la radice del dominio è il patriarcato. L’ecofemminismo aggiunge poi la dimensione cruciale del rapporto con la natura, spesso trascurata. È un viaggio affascinante nella storia politica italiana, ma anche una riflessione profonda su come le idee di lotta sociale debbano evolversi oggi per affrontare le nuove sfide del “tecno-feudalesimo”, la crisi ecologica e il patriarcato, puntando sull’autorganizzazione dal basso e sul riprendere il controllo della nostra vita.Riassunto Breve
Il programma “Prendiamoci la città” nasce negli anni Settanta con l’idea di portare le lotte operaie, iniziate nelle fabbriche come la Fiat, fuori dai cancelli e in ogni aspetto della vita urbana e sociale. L’obiettivo è una trasformazione profonda dei rapporti di potere, non solo nel lavoro ma ovunque, coinvolgendo diverse persone per cambiare lo stato delle cose esistente. L’organizzazione si diffonde in Italia, vedendo gli operai come la forza principale, e si scontra con chi vuole mantenere l’ordine. Intorno al 1977, i movimenti rivoluzionari si indeboliscono. Il femminismo porta una critica importante, mostrando che le lotte erano state maschiliste e che il problema principale non era solo la lotta di classe tradizionale, ma il patriarcato, cioè il dominio maschile che si manifesta in tante forme di controllo. L’ecofemminismo aggiunge che non si può pensare solo ai rapporti tra persone, ma bisogna considerare anche il rapporto con l’ambiente, un aspetto trascurato allora e che oggi vediamo nella crisi ecologica. Oggi, per affrontare la crisi ambientale e le nuove forme di potere, serve un approccio che unisca la lotta sociale, la critica al patriarcato e un modo diverso di relazionarsi con la natura. Il programma “Prendiamoci la città” è ancora valido, ma va ripensato come un’azione che parte dal basso, con gruppi di persone nei territori che riprendono il controllo sulla loro vita e sul luogo in cui vivono.Le lotte alla Fiat, come quella del 3 luglio con scontri in corso Traiano, mostrano come gli operai inizino a organizzarsi da soli, senza o contro i sindacati, decidendo cosa chiedere e come lottare. Rifiutano i sindacati come mediatori e cercano un’organizzazione operaia nuova che unisca la lotta in fabbrica con una strategia più ampia contro il sistema. La coscienza operaia non separa più la lotta sul lavoro da quella nella società, né gli obiettivi sindacali da quelli politici. La fabbrica diventa un posto dove organizzarsi per portare la lotta fuori, nei quartieri e nelle scuole. Questo cambiamento avviene perché il lavoro è più duro, i sindacati e i partiti non riescono più a controllare le proteste, molti operai sono immigrati con esperienze di lotta e le lotte studentesche portano nuove idee. La lotta si sposta nella società, con un potenziale rivoluzionario. La borghesia fatica a mantenere il controllo con la repressione. La popolazione operaia impara a usare i quartieri per scontrarsi e creare gruppi di massa. La fabbrica rimane importante per organizzarsi e bloccare la produzione.Nella fabbrica, le categorie e le qualifiche servono a dividere gli operai e a creare differenze di stipendio, non a riconoscere la vera capacità nel lavoro moderno, che è spesso semplice e ripetitivo. I sindacati a volte cercano di gestire queste divisioni invece di eliminarle. La busta paga, con premi e incentivi, è un altro modo per dividere e spingere a lavorare di più, legando lo stipendio alla produttività. Questo rende le lotte per aumenti difficili perché sono frammentate. Si chiede invece uno stipendio fisso e uguale per tutti, non legato alla produttività o alle condizioni di lavoro dannose. Il sistema degli incentivi spinge le persone a competere tra loro, anche fuori dalla fabbrica, nella carriera, a scuola, nei consumi. La rotazione dei lavori non risolve il problema del lavoro pesante, ma distribuisce la fatica. La lotta contro queste divisioni e lo sfruttamento chiede di eliminare questi sistemi e di lottare insieme per lavorare meno e avere più controllo.Le trattenute sullo stipendio riducono i soldi che l’operaio riceve davvero. Queste trattenute sono presentate come contributi per servizi pubblici come pensione, salute e casa, ma questi servizi sono visti come insufficienti o inesistenti per gli operai. La pensione è bassa, la mutua non garantisce la salute che si perde lavorando, e per la casa si paga senza che vengano costruite. Libertà, salute e casa sono viste come cose da conquistare lottando, non da pagare con le trattenute. L’orario di lavoro effettivo è molto più lungo di quello scritto nel contratto a causa degli straordinari obbligatori, dei doppi lavori e dei lunghi viaggi per andare al lavoro. Questo riduce il tempo libero e peggiora la vita. Il lavoro diventa più intenso con ritmi più veloci e sistemi come il cottimo. La tecnologia non riduce la fatica ma aumenta lo sfruttamento e la disoccupazione. Per cambiare, si propone di eliminare le trattenute e gli straordinari, ridurre l’orario di lavoro, pagare il tempo per mangiare e viaggiare, eliminare il cottimo e gli incentivi, aumentare le pause, assumere più persone, avere una pensione anticipata e più alta, aumentare gli assegni per i figli, occupare le case vuote e non pagare l’affitto. Solo la lotta unita degli operai può ottenere questi risultati.La lotta di classe va oltre la fabbrica e la scuola. Quando gli studenti lasciano gli studi specifici, è utile se si uniscono in un impegno collettivo. Non si tratta più solo di risolvere problemi dentro la scuola o la fabbrica, ma di riconoscere la condizione di proletariato comune e lottare contro lo Stato e l’organizzazione capitalistica del lavoro. Il capitalismo divide le persone in fabbrica e nella vita di tutti i giorni. La città stessa è uno strumento di questo dominio: le case dividono, i trasporti isolano, i servizi diventano merci e strumenti di controllo. Salute, giustizia, sapere sono gestiti dai padroni per mantenere il potere. Per unirsi, il proletariato deve affrontare insieme i problemi quotidiani: casa, trasporti, salute, istruzione, giustizia. Questo significa imparare a fare da soli, a riprendersi il controllo sulla propria vita. L’unità si costruisce superando le divisioni tra gruppi e zone. Gli operai, con la loro esperienza di lotta, devono portare questa forza nei quartieri, unendo donne, disoccupati e altri. È importante capire chi sono gli sfruttatori e chi li aiuta. Prendersi la città significa unire il proletariato, superare le divisioni e riprendersi quello che è stato prodotto con il lavoro. Questa lotta è lunga e vuole cambiare la società. Quando la borghesia non riuscirà più a dividere, userà la violenza, e allora servirà la lotta armata per difendere le conquiste.Lotta Continua, nata dalle lotte operaie, è un’organizzazione che vuole eliminare le classi e il lavoro pagato per costruire il comunismo. Con “Prendiamoci la città”, sposta la lotta dalla fabbrica alla società. La città è vista come uno strumento del potere capitalista, dove problemi come casa, trasporti, prezzi e istruzione diventano occasioni di lotta. Si vuole ribaltare il controllo sulla vita di tutti i giorni, unendo le persone e rivendicando il diritto a una vita libera. Questo si fa con azioni dirette: occupare case, non pagare affitti o trasporti, manifestare per prezzi giusti. Si creano sedi nei quartieri e servizi gestiti dalle persone stesse, come asili o ambulatori, coinvolgendo i proletari e costruendo nuove relazioni. L’indagine serve a denunciare chi opprime e a distinguere chi è amico da chi è nemico. L’università è vista come uno strumento per controllare la società e le idee. Seleziona gli studenti in base a chi sono i loro genitori, preparando alcuni per comandare e altri per obbedire. L’insegnamento è autoritario, basato su esami che dividono e su un sapere che serve a mantenere gli studenti sottomessi. La ricerca spesso serve interessi economici o militari. La lotta studentesca sfida questa autorità, rifiutando lo studio isolato e cercando un sapere utile per cambiare la società. L’autorità dei professori si indebolisce quando gli studenti si organizzano e li affrontano alla pari. Sia in città che all’università, lottando si cambiano le persone stesse, scoprendo bisogni profondi e creando pratiche di comunità e uguaglianza che mostrano come potrebbe essere una società diversa. Lottare in tutti gli ambiti mette in crisi il sistema e fa vedere che sono possibili città diverse.Un errore nelle assemblee è separare gli studenti in base a quanto capiscono di politica. L’unità si crea incontrando idee diverse. Chi è più esperto aiuta gli altri a capire. Fare discorsi diversi, uno per i più avanzati e uno per gli altri, indebolisce la protesta e isola le persone. La polizia è presente fuori dall’università occupata fin dall’inizio. La libertà dentro è solo temporanea, finché le autorità non decidono di intervenire. La polizia interviene quando l’occupazione resiste. La paura della polizia non è solo per la violenza fisica, ma per la consapevolezza di non essere abbastanza uniti per resistere senza la sede occupata. Parlando con i poliziotti, si vede che anche loro vengono da famiglie normali. Alcuni capiscono che l’autorità e le leggi servono a opprimere. Ma provano anche ostilità verso gli studenti, visti come privilegiati. Nonostante questo, alcuni poliziotti visitano l’università occupata e parlano con gli studenti. Si cerca di usare questi contatti per discutere pubblicamente delle divisioni di classe nella polizia, ma l’occupazione finisce prima. Errori dei capi, come dire di non resistere o dividere i poliziotti in buoni e cattivi, impediscono di imparare da questi rapporti. In una successiva occupazione, gli studenti scelgono di resistere senza violenza e barricano le porte, affrontando la brutalità della polizia. Questo è importante in una città come Torino, poco abituata a scontri fisici. Dopo questo evento, la polizia è sempre presente dentro l’università, osservando tutto. I professori usano la polizia per imporre la loro autorità. Gli studenti capiscono che professori e polizia lavorano insieme per fermare le proteste studentesche e bloccare le loro richieste politiche, usando violenza, denunce o un insegnamento autoritario.Riassunto Lungo
1. Dalla lotta operaia alla città, passando per il patriarcato e la terra
Il programma “Prendiamoci la città”
Negli anni ’70, il programma “Prendiamoci la città” di Lotta Continua propose di portare le lotte dei lavoratori fuori dalle fabbriche e dentro la vita di tutti i giorni in città e nelle istituzioni. L’obiettivo era coinvolgere diverse persone e gruppi sociali per cambiare in modo profondo i rapporti di potere esistenti. L’idea non era creare uno stato socialista definitivo, ma avviare un “movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”. Era vista come una specie di “lunga marcia” per cambiare le istituzioni dall’interno. Questo movimento si diffuse in tutta Italia, considerando i lavoratori la forza principale, ma cercando anche di opporsi attivamente a gruppi che volevano tornare indietro o fare colpi di stato, arrivando a organizzare persino i soldati di leva.La fine dei movimenti e le nuove critiche
Intorno al 1977, Lotta Continua e altri movimenti simili si sciolsero. Questo successe per via di un grande cambiamento nel modo in cui la società e le lotte si stavano evolvendo. In quel periodo, il movimento femminista degli anni ’70 portò una critica molto importante. Le femministe fecero notare che questi movimenti erano rimasti per lo più legati a un punto di vista maschile e che la lotta di classe, così come era intesa, non andava alla radice del problema del dominio. Questa radice, dicevano, era il patriarcato, cioè un sistema sociale dove gli uomini dominano sulle donne. Questo dominio si vede in tante forme di potere e possesso, dal controllo sui figli e sulla famiglia fino al controllo sul denaro, sui beni e persino sulla natura. Sempre dal femminismo, e in particolare dall’ecofemminismo, venne un’altra critica importante. Si fece notare che i movimenti si erano concentrati troppo solo sui rapporti tra le persone, dimenticando la relazione fondamentale con l’ambiente. I movimenti degli anni ’70, infatti, non diedero abbastanza importanza agli avvisi sui problemi ecologici, che oggi vediamo chiaramente nella crisi del clima e dell’ambiente.Le sfide di oggi e un nuovo approccio
Oggi, le sfide sono diverse e complesse. Dobbiamo affrontare la crisi ecologica, che è diventata urgente, e nuove forme di potere, come quelle legate alla tecnologia e al controllo dei dati, che alcuni chiamano “tecno-feudalesimo”. Affrontare queste sfide richiede un modo di agire che unisca la lotta per una società più giusta con la critica al dominio maschile (il patriarcato) e con la costruzione di un rapporto diverso e più rispettoso con la natura. L’idea di “Prendiamoci la città” mantiene ancora un senso, ma non può essere riproposta esattamente come prima. Non si tratta di aspettare cambiamenti decisi dall’alto, ma di agire partendo dal basso, creando gruppi e comunità nei territori che riprendano il controllo su come si vive ogni giorno e su come viene usato il territorio. È un modo per affrontare le cause più profonde del dominio, tenendo conto di tutto quello che abbiamo imparato dalle critiche del passato.È così certo che il patriarcato sia la radice di ogni dominio, inclusa la crisi ecologica, e che la sua mancata comprensione abbia segnato il destino dei movimenti degli anni ’70?
Il capitolo presenta una lettura affascinante della storia dei movimenti sociali e delle sfide attuali, ponendo l’accento sulla critica femminista ed ecofemminista come chiave di volta per comprendere i limiti delle lotte passate e delineare quelle future. Tuttavia, l’affermazione che il patriarcato sia la “radice” di ogni forma di dominio, estendendola esplicitamente al controllo sulla natura e implicandola come causa principale della crisi ecologica e del superamento dei movimenti degli anni ’70, è una posizione teorica specifica e non universalmente accettata. La relazione tra diverse forme di oppressione (di classe, di genere, di razza, ecologica) è un tema complesso e dibattuto. Per approfondire questa tematica e confrontare diverse prospettive, è utile esplorare gli studi di genere, la sociologia dei movimenti sociali e l’ecofeminismo. Autori come Silvia Federici e Vandana Shiva offrono punti di vista significativi sulla connessione tra patriarcato, capitalismo e sfruttamento della natura, ma è altrettanto importante considerare altre analisi che pongono l’accento su fattori diversi o su interazioni più complesse tra le varie forme di potere.2. La Fabbrica si Ribella
Il 3 luglio a Torino, durante uno sciopero generale per il blocco degli affitti, un corteo di operai e studenti viene attaccato dalla polizia. Nonostante la violenza, i manifestanti riescono a organizzarsi, scontrandosi duramente con le forze dell’ordine per ore in corso Traiano e piazza Bengasi. Vengono costruite barricate e incendiate auto. Questo scontro non è un evento isolato, ma rappresenta il tentativo di portare la lotta nata alla Fiat sul terreno dello scontro diretto con lo Stato.L’Autonomia Operaia Cresce
Questa giornata di scontri segue cinquanta giorni di intense mobilitazioni alla Fiat, caratterizzate da una crescente autonomia degli operai. I lavoratori iniziano a scioperare anche senza l’appoggio dei sindacati o addirittura contro di essi. Definiscono in modo autonomo le proprie richieste, trattano direttamente con la direzione aziendale e rifiutano gli accordi sindacali che non ritengono soddisfacenti. La produzione a Mirafiori si blocca per oltre quindici giorni. Questa lotta ha un significato profondamente politico: non è una semplice reazione spontanea, ma un chiaro rifiuto del sindacato come mediatore e la richiesta esplicita di una nuova forma di organizzazione operaia, capace di collegare la lotta all’interno della fabbrica a una strategia più ampia contro il sistema capitalistico.Un Salto Politico
La coscienza operaia non accetta più le vecchie divisioni. Non c’è più separazione tra la lotta che si svolge in fabbrica e quella che avviene nella società, tra gli obiettivi puramente sindacali e quelli politici, tra gli operai e gli studenti. Si sviluppa un’iniziativa politica autonoma, ben visibile nelle assemblee congiunte di operai e studenti. In un solo anno, la classe operaia della Fiat compie un enorme passo avanti sul piano politico. Se prima era abituata a seguire l’iniziativa dei sindacati, ora i sindacati stessi vengono percepiti come esterni e non rappresentativi della coscienza operaia. L’iniziativa dei lavoratori copre tutti gli ambiti: la lotta dentro la fabbrica, lo scontro sociale nei quartieri, l’elaborazione politica e il collegamento diretto con gli studenti. La fabbrica diventa un luogo fondamentale non solo per lavorare, ma per organizzarsi e portare la lotta al di fuori, nei quartieri e nelle scuole.Le Cause del Cambiamento
Questo profondo cambiamento è alimentato da diverse tensioni e contraddizioni. L’aumento dei ritmi di lavoro e la compressione dei salari alla Fiat riducono la paura di perdere il posto. I sindacati e il Partito Comunista Italiano non riescono più a mantenere il controllo sui conflitti in atto. Oltre il 70% degli operai Fiat sono immigrati, spesso con esperienze di lotte dure alle spalle, e diventano un’avanguardia di massa capace di superare le divisioni interne tra lavoratori. Le lotte studentesche portano all’attenzione degli operai il tema della scuola di classe, e il contatto diretto tra operai e studenti favorisce la nascita di un primo nucleo di organizzazione politica esterna alla fabbrica.La Lotta si Estende
La lotta si sposta con forza sul terreno sociale, assumendo un potenziale rivoluzionario. La borghesia e i suoi tradizionali strumenti di controllo mostrano segni di debolezza e crisi. Una politica basata solo sulla repressione non funziona più di fronte a una coscienza anticapitalistica diffusa tra le masse. La popolazione operaia impara a utilizzare i quartieri come luoghi di scontro e a creare forme organizzative di massa, come i comitati di quartiere. Qualsiasi aspetto della vita dei proletari può diventare un motivo di conflitto e rivendicazione. La fabbrica rimane comunque un luogo centrale: serve per ricomporsi, preparare gli attacchi sociali e come terreno di lotta quotidiana per bloccare la produzione. La repressione mirata contro i singoli diventa inefficace.Le Forme della Ribellione
La lotta contro la gerarchia interna alla fabbrica si manifesta nel superamento della paura nei confronti di capi e dirigenti, che vengono apertamente sfidati e talvolta affrontati fisicamente. Questo comportamento rivela il funzionamento della fabbrica capitalistica e mostra come i suoi meccanismi di controllo possano essere inceppati e bloccati dall’azione operaia.La lotta contro le differenze salariali e le divisioni tra i lavoratori (tra operai, tra operai e impiegati) è un attacco diretto agli strumenti usati dai padroni per dividere la classe operaia. I lavoratori rifiutano le diverse categorie e gli incentivi individuali, cercando l’uguaglianza non per un ideale morale, ma perché le divisioni interne favoriscono solo il padrone. L’incontro con gli impiegati, inizialmente difficile, porta alcuni di loro ad aderire alle assemblee operaie. La richiesta di parità salariale e normativa mette in discussione l’intera struttura gerarchica dell’azienda.Il rapporto con gli studenti è fondamentale per l’evoluzione della lotta. Gli operai criticano la scuola come causa di divisioni sociali e si uniscono alla lotta studentesca contro la selezione. Negli incontri misti tra operai e studenti, il punto di vista operaio diventa dominante, dando concretezza al desiderio generale di ribellione. Questa egemonia operaia nasce dalla loro condizione di completa estraneità al lavoro, che li rende i più radicali oppositori del sistema.La lotta contro la produzione si concretizza nel blocco o nell’autolimitazione dei ritmi produttivi e nell’uso della violenza contro macchine e prodotti. Il sabotaggio diventa un atto collettivo e liberatorio. Anche l’uso inaspettato degli strumenti di repressione (come manganelli o telefoni interni) dimostra questa volontà di ribellione e controllo.I sindacati vengono percepiti come un ostacolo all’autonomia operaia, strumenti usati dal padrone per controllare i lavoratori. La lotta contro i sindacati si manifesta in scontri diretti e nel rifiuto di delegare le decisioni. Alla Fiat, la risposta “Siamo tutti delegati” significa rifiutare le posizioni sindacali e contare unicamente sulle proprie forze. Gli operai danno priorità agli obiettivi concreti e alle forme di lotta rispetto all’organizzazione formale.Verso una Nuova Organizzazione
I lavoratori non rifiutano l’idea di organizzarsi, ma cercano una forma di organizzazione politica generale che sappia collegare tutti gli aspetti della loro condizione sociale e superare le divisioni esistenti. Le organizzazioni miste di operai e studenti si dimostrano efficaci per raggiungere questo scopo. La lotta mira a far crescere l’autonomia operaia, trasformando il proletariato da una classe che esiste di fatto a una classe consapevole di sé e capace di darsi una guida politica autonoma per combattere il capitale.Se la coscienza operaia aveva compiuto un “enorme passo avanti” e la lotta aveva un “potenziale rivoluzionario”, perché questa fase di autonomia operaia non ha portato a una trasformazione radicale e duratura del sistema capitalistico in Italia?
Il capitolo descrive con forza un momento di grande slancio e autonomia delle lotte operaie, ma non affronta le ragioni per cui questo potenziale non si è pienamente realizzato nel lungo periodo. Per comprendere meglio la traiettoria storica di questi movimenti e le sfide che hanno incontrato, è fondamentale approfondire gli sviluppi successivi degli anni ’70 e ’80, studiando la repressione statale, le dinamiche interne ai gruppi dell’Autonomia, la reazione padronale (come la “marcia dei quarantamila”) e i cambiamenti strutturali nell’economia e nel mondo del lavoro. Discipline come la storia sociale, la sociologia dei movimenti e la scienza politica offrono strumenti utili. Autori come Sergio Bologna, Toni Negri (pur con le dovute distinzioni interne al movimento), e studiosi che hanno analizzato la crisi e la trasformazione del movimento operaio italiano possono fornire prospettive essenziali per contestualizzare e valutare l’impatto di quella stagione di lotte.3. Divisione e Incentivi: Strumenti dello Sfruttamento
Le categorie e le qualifiche dividono gli operai. Non mostrano la vera abilità nel lavoro di oggi, che è semplice e ripetitivo. Servono invece a creare differenze di stipendio e a dare premi a chi si adatta o a chi ha studiato, anche se studiare non rende il lavoro meno faticoso o ripetitivo. I sindacati, invece di combattere queste divisioni, provano a gestirle o a renderle legali. Spesso indirizzano le richieste di stipendio più alto verso promozioni di categoria o premi legati a dove si lavora.La busta paga e gli incentivi
Anche la busta paga divide e controlla. Le parti variabili dello stipendio, come premi e incentivi, non migliorano la vita dell’operaio. Servono invece a legare lo stipendio a quanto si produce e a spingere a lavorare di più e più in fretta, anche rischiando la salute. Questo sistema divide la lotta per avere stipendi migliori. Gli obiettivi diventano diversi per piccoli gruppi o reparti, invece di essere gli stessi per tutti. Invece, l’obiettivo è uno stipendio fisso e uguale per tutti. Non deve dipendere da quanto si produce o dalle condizioni di lavoro dannose.L’incentivo e la lotta unita
Il sistema degli incentivi non resta solo in fabbrica. Si trova anche nelle carriere negli uffici, a scuola e persino in come compriamo le cose. Funziona per spingere le persone a competere tra loro. Le porta a cercare vantaggi solo per sé, invece di agire per l’interesse di tutti i lavoratori. Cambiare spesso lavoro o mansione, se proposto come soluzione, non elimina la fatica e la ripetitività del lavoro. Spinge solo ad abituarsi al sistema. Distribuisce i danni invece di eliminarli. Combattere la divisione del lavoro e lo sfruttamento significa eliminare questi modi di dividere le persone. Richiede una lotta unita per lavorare meno e per avere il controllo sul lavoro.Ma quanto furono concretamente efficaci queste “azioni dirette” e i servizi autogestiti nel minare il sistema o rimasero esperienze limitate e isolate?
Il capitolo descrive le intenzioni e le tattiche della lotta nelle città, ma non approfondisce l’effettiva portata e le conseguenze di queste azioni. Per comprendere meglio se tali pratiche abbiano realmente scalfito il controllo capitalistico o se abbiano incontrato limiti strutturali e reazioni avverse, sarebbe utile approfondire la storia dei movimenti sociali in Italia e la sociologia urbana. Autori che hanno studiato il periodo, come Guido Crainz o altri storici e sociologi dei movimenti, possono offrire prospettive più ampie sull’impatto concreto e le sfide affrontate da queste esperienze.7. L’Autorità, l’Assemblea e la Scoperta della Polizia
La polizia è presente fuori da Palazzo Campana fin dall’inizio. La libertà che si sperimenta all’interno dell’università occupata è solo temporanea. Dura finché le autorità non decidono di intervenire con la forza. L’intervento della polizia avviene dopo che l’occupazione dimostra di poter resistere nel tempo, ad esempio superando il periodo delle vacanze di Natale. La paura che gli studenti provano verso la polizia non è solo legata alla violenza fisica. È anche la consapevolezza di non avere una struttura organizzativa abbastanza forte da mantenere l’unità una volta perso lo spazio fisico dell’università. Questo dimostra quanto gli studenti siano isolati.Le difficoltà interne dell’assemblea
Nella gestione dell’assemblea studentesca, si commettono errori. Separare gli studenti in base a quanto sono politicamente maturi è uno di questi. L’unità vera nasce dall’incontro e dal confronto tra posizioni diverse. Discorsi chiari e validi aiutano a unire le varie componenti del movimento. In questo modo, gli studenti più esperti possono aiutare a far crescere politicamente i nuovi arrivati. Usare due tipi di linguaggio diversi – uno “rivoluzionario” per alcuni e uno “riformista” per altri – indebolisce l’agitazione. Questo approccio finisce per isolare gli studenti e crea una divisione rigida, invece di costruire unità nella lotta comune.Il confronto con le forze dell’ordine
Parlando con i poliziotti che fanno la guardia fuori dall’università, si scopre che anche loro hanno un’appartenenza di classe. Alcuni poliziotti capiscono bene cosa significhi l’autoritarismo. Comprendono anche come la cultura e le leggi vengano usate per opprimere le persone. Nonostante questa comprensione, provano anche ostilità verso gli studenti. Li vedono come privilegiati che non affrontano le stesse difficoltà della loro vita quotidiana. Tuttavia, alcuni poliziotti arrivano a visitare l’università occupata e a discutere direttamente con gli studenti presenti.Tentativi di dialogo e limiti
Si prova a usare questi contatti per organizzare un dibattito pubblico. L’obiettivo è discutere apertamente delle divisioni di classe che esistono anche all’interno della polizia. Purtroppo, l’occupazione termina prima che questo dibattito possa avvenire. Errori commessi dalla dirigenza studentesca ostacolano la crescita politica che potrebbe nascere da questi rapporti. Ad esempio, sconsigliare agli studenti di praticare la resistenza passiva o cercare di distinguere tra poliziotti “buoni” e “cattivi” impedisce di capire la situazione in modo più completo e profondo.La svolta del 10 gennaio
Durante una successiva rioccupazione, che avviene il 10 gennaio, gli studenti prendono una decisione diversa. Scelgono di adottare la resistenza passiva. Barricano le porte dell’università e si preparano ad affrontare la brutalità della polizia. Questo evento è molto significativo. Accade in un contesto, come quello di Torino, che non è particolarmente abituato a scontri fisici diretti tra studenti e forze dell’ordine.La polizia dentro l’università
Dopo l’evento del 10 gennaio, la presenza della polizia diventa costante. Le forze dell’ordine sono presenti all’interno dell’università stessa. Osservano ciò che accade durante le lezioni e le discussioni degli studenti. I professori iniziano a usare la presenza della polizia per imporre la propria autorità. Lo fanno anche per questioni di poco conto. Gli studenti arrivano a capire che professori e polizia hanno un compito in comune. Il loro obiettivo è reprimere le agitazioni studentesche e impedire che le loro richieste politiche vengano ascoltate. Usano la violenza, le denunce legali o un modo di insegnare autoritario per raggiungere questo scopo.Davvero la mancanza di unità e crescita politica del movimento si riduce a pochi “errori” della dirigenza studentesca, come suggerisce il capitolo?
Il capitolo, pur offrendo spunti interessanti sulle difficoltà interne, sembra attribuire con eccessiva sicurezza la mancanza di unità e crescita politica a specifici “errori” della dirigenza studentesca, come la gestione dell’assemblea o i consigli tattici. Questa prospettiva rischia di trascurare la complessità intrinseca di un movimento eterogeneo, le inevitabili tensioni tra diverse anime politiche e l’impatto delle fortissime pressioni esterne che vanno oltre il mero intervento poliziesco. Per un’analisi più completa, sarebbe fondamentale esplorare le dinamiche dei movimenti sociali, studiando come si formano le leadership, come si gestisce il dissenso interno e quali fattori strutturali influenzano il successo o il fallimento. Approfondire il pensiero di sociologi come Alain Touraine o Alberto Melucci potrebbe offrire strumenti critici preziosi.Abbiamo riassunto il possibile
Se vuoi saperne di più, devi leggere il libro originale
Compra il libro[sc name=”1″][/sc] [sc name=”2″][/sc] [sc name=”3″][/sc] [sc name=”4″][/sc] [sc name=”5″][/sc] [sc name=”6″][/sc] [sc name=”7″][/sc] [sc name=”8″][/sc] [sc name=”9″][/sc] [sc name=”10″][/sc]