1X
🔊 100%
Contenuti del libro
Informazioni
“Poliziotto-Sessantotto. Violenza e democrazia” di Luigi Lettieri ti porta dentro il caos e le contraddizioni degli anni Settanta in Italia, partendo da una figura un po’ strana: il poliziotto, che si trova in mezzo al Sessantotto. Non è solo la storia degli studenti, ma di come i movimenti del Sessantotto hanno scosso tutta la società, dagli operai alla polizia stessa, criticando l’autorità ma scontrandosi con un sistema politico che non sapeva rispondere. Il libro racconta come il conflitto sia diventato interno, quasi “fratricida”, e come eventi terribili come la strage di Piazza Fontana abbiano rotto tutto, portando una violenza politica inaudita e, alla fine, il terrorismo. Lettieri scava nelle radici di questa violenza, mettendo in discussione l’idea di una democrazia italiana “incompiuta” che non include tutti, specialmente i più poveri o emarginati, da cui spesso venivano i poliziotti. Esplora i percorsi complicati, a volte non proprio legali, che hanno formato le persone, e riflette su cosa significa giustizia a distanza di anni, criticando una pena solo vendicativa. Alla fine, suggerisce che una vera politica democratica, anche fragile, deve basarsi sulla “pietà” e sul riconoscimento dell’altro, persino del “nemico”, imparando dalla sofferenza delle vittime per costruire qualcosa di diverso. È un viaggio intenso nella violenza e democrazia di quegli anni, che ti fa pensare un sacco su cosa significa essere giusti oggi.Riassunto Breve
I movimenti del Sessantotto si espandono in diversi settori sociali, criticando le autorità e promuovendo nuovi stili di vita, ma incontrano difficoltà nel cambiare il sistema politico. Il conflitto non è tanto generazionale, quanto interno ai movimenti stessi, una dinamica “fratricida” dovuta anche all’incapacità del sistema politico di accogliere le loro istanze. La strage di Piazza Fontana nel 1969 e la morte di Pinelli segnano un punto di rottura, distruggendo la fiducia nelle istituzioni e introducendo una violenza inattesa che altera le regole del confronto. Questa “perdita dell’innocenza” e la mancanza di una cultura nonviolenta contribuiscono alla radicalizzazione e all’emergere del terrorismo, visto come esito estremo della “dissociazione” tra spinta al cambiamento e impossibilità politica. La violenza, tuttavia, ha radici più profonde nella tradizione politica italiana, dove è vista come strumento di trasformazione. Piazza Fontana è un evento cruciale, ma alcuni lo considerano un “mito delle origini” che semplifica una realtà più complessa, legata anche all’immaginario sociale dell’epoca. L’omicidio Calabresi mostra come l’odio possa portare a violenza, inserendosi in un ciclo di protesta e repressione. Un limite dei movimenti è stato il non riconoscere l’umanità dei poliziotti, spesso provenienti da contesti di povertà e periferia, ignorando le loro condizioni di vita. La vera democrazia non si basa solo sulle regole, ma sull’inclusione dei più emarginati; un sistema che esclude ampi settori non è pienamente democratico. Il conflitto tra movimenti e polizia è complicato dall’asimmetria di potere statale. La divisione nasce anche dalla percezione di una violenza latente e dalla povertà come sua radice. Solo una politica inclusiva può ridurre questa frattura. La formazione politica non è sempre lineare; anche mezzi non legali o violenti sono stati usati in diverse fasi storiche italiane, percependo la democrazia come precaria. Figure pubbliche emerse da quei movimenti hanno avuto esperienze legate a questa contiguità con l’illegalità. La società chiede conto di queste azioni passate, sollevando il problema di quanto a lungo si debba rispondere, considerando il contesto storico. All’interno dei movimenti ci fu una lotta contro la deriva terroristica, un faticoso apprendimento della democrazia. Il caso di Sergio D’Elia, ex terrorista diventato abolizionista, mostra la possibilità di trasformazioni radicali, anche se il male passato resta irreparabile. L’arresto a distanza di decenni solleva interrogativi sul rapporto tra giustizia e tempo. La pena, per essere utile, dovrebbe guardare al futuro (prevenzione, rieducazione), non solo al passato (retribuzione). La prescrizione riconosce che il tempo cambia la persona e attenua l’allarme sociale. Applicare pene a distanza di molti anni, su persone cambiate, riduce la giustizia a mera vendetta, ignorando il diritto all’oblio e il rispetto della vita privata. Una giustizia che si fissa sul passato rischia di diventare autoritaria. Esiste un “Sessantotto minore”, un fermento dal basso che promuove libertà e soggettività. Pasolini critica gli studenti borghesi e mostra simpatia per i poliziotti poveri, evidenziando la miseria come luogo comune e denunciando il potere di giudizio studentesco. La democrazia autentica si basa sul rispetto dei diritti altrui e sulla “carità” o “pietà”, identificandosi con la vittima e il marginale. Il fallimento del Sessantotto più visibile è legato all’integralismo, alla contestazione astratta e alla mancanza di pietà. Una politica democratica autentica supera la logica amico/nemico e abbraccia l’eterologia, riconoscendo l’altro. La pietà umana è l’ultima virtù politica. La dissociazione è sia del terrorista che interiore. Riconoscere di non essere stati “innocenti” è un atto di onestà per una memoria critica. Una giustizia solo punitiva cerca capri espiatori; la politica democratica reintegra chi sbaglia, scommettendo sulla sua libertà, come previsto dalla Costituzione. La politica deve difendere i diritti dell’altro, anche del nemico. L’articolo 10 della Costituzione (asilo) mostra la tensione tra giustizia assoluta e limiti legali, rendendo la politica fragile ma responsabile. Il Sessantotto si è impigliato in questa tensione. Figure come Mimmo Lucano incarnano una “follia di carità” al “margine del politico”, sfidando la legge per un’idea superiore di giustizia e rappresentando il “poros”, luogo di incontro e rigenerazione. La Costituzione guida una politica etica, critica, non violenta, che difende i diritti inalienabili. La democrazia si fonda sul riconoscimento dell’escluso, ma ingiustizia e violenza sono universali. Poliziotto e studente sono entrambi vittime e violenti. La democrazia affronta la violenza, interrogandosi se fermarla con la forza la ripeta. La vittima è centrale, ma anche figura di violenza reattiva. La non violenza è una pratica politica avanzata, ma complessa. Etica e politica devono restare unite. La vittima contiene il segreto del politico, chiedendo giustizia e rivelando la via verso una comunità futura di liberi e uguali, che si trova tra gli emarginati.Riassunto Lungo
1. Conflitti e Dissociazione del Sessantotto
I movimenti nati nel Sessantotto non riguardano solo gli studenti. Si diffondono in molti altri ambienti: tra gli operai, i calciatori, i gruppi cattolici e anche tra alcuni poliziotti. Questi movimenti mettono in discussione le autorità e spingono per cambiare il modo di vivere e le relazioni tra le persone. Nonostante questa grande capacità di cambiare la cultura e le idee comuni, i movimenti trovano difficile modificare davvero i rapporti di potere e il sistema politico. La figura del poliziotto, ad esempio, mostra bene questa situazione: diviso tra il suo lavoro per lo Stato e le tensioni sociali di quel periodo.Conflitti Interni e Mancanza di Sbocchi
Il vero scontro non è tanto tra giovani e vecchi, ma avviene spesso tra le persone della stessa generazione e tra i diversi gruppi che formano il movimento. È uno scontro ‘tra fratelli’. Il sistema politico italiano non riesce a dare risposte concrete a queste richieste che vengono da fuori dalle istituzioni. Questo porta la tensione e il conflitto a chiudersi su sé stessi, dentro il movimento. Il risultato è che il movimento si divide in tanti pezzi e nascono scontri interni.Il Trauma di Piazza Fontana
Un momento decisivo è la strage di Piazza Fontana a Milano, il 12 dicembre 1969, seguita dalla morte di Giuseppe Pinelli. Questo fatto terribile è un trauma per tutti e distrugge la fiducia nelle istituzioni e nell’accordo che lega i cittadini allo Stato. Molti sentono che lo Stato ha tradito la legge con azioni illegali e tentativi di nascondere la verità (depistaggi). La strage porta una violenza enorme e inaspettata, cambiando le regole non scritte di come si affrontavano i conflitti. Questo clima di sfiducia e violenza apre la strada a nuove forme di scontro.Dalla Sfiducia al Terrorismo
Dopo questi fatti, si perde l”innocenza’ e la mancanza di una cultura forte che promuova la nonviolenza in Italia contribuiscono a rendere gli animi più radicali. Questo porta alla nascita del terrorismo. Il terrorismo è la conseguenza più estrema di quel conflitto che si è chiuso su sé stesso e della separazione (‘dissociazione’) tra il desiderio di cambiare le cose e l’impossibilità di farlo attraverso la politica. È un modo violento per cercare di forzare un cambiamento che la via normale non permetteva. Questa violenza segna profondamente quel periodo storico.Ma è davvero così lineare il passaggio dai conflitti interni del Sessantotto alla nascita del terrorismo?
Questo capitolo, pur descrivendo efficacemente le tensioni e le divisioni interne ai movimenti e l’incapacità del sistema politico di assorbirle, rischia di presentare la nascita del terrorismo come una conseguenza quasi inevitabile e diretta di tale “dissociazione”. Questa visione potrebbe semplificare eccessivamente un fenomeno complesso, trascurando altri fattori cruciali come le specifiche ideologie radicali che si diffusero, le dinamiche autonome dei gruppi terroristici e il ruolo, non solo reattivo ma a volte anche catalizzatore, di certe azioni dello Stato. Per una comprensione più completa, sarebbe utile approfondire gli studi sulla violenza politica e sul terrorismo, esaminando autori che hanno analizzato le motivazioni ideologiche e le strategie dei gruppi armati, come ad esempio Donatella Della Porta.2. Le Radici della Violenza e la Democrazia Incompiuta
Una tradizione politica vedeva la violenza come uno strumento necessario per creare un mondo nuovo, e questa idea era presente molto prima di eventi specifici. La strage di piazza Fontana nel dicembre 1969 è spesso vista come un momento cruciale che ha reso più intenso il conflitto. Alcuni pensano che questo evento abbia giustificato l’uso della violenza per i militanti, portando a un’azione più aperta contro i fascisti e lo Stato. Esiste un dibattito sul vero ruolo di piazza Fontana; c’è chi la considera l’origine della violenza, ma altri criticano questa visione definendola un “mito delle origini”. Questa critica suggerisce che tale interpretazione sia parziale, perché ignora problemi che esistevano già prima e serve a idealizzare il passato. La questione centrale è capire quanto questa narrazione fosse una costruzione basata su un’idea precisa o il risultato di un insieme complesso di realtà, esperienze e il modo in cui le persone percepivano la loro vita e i loro rapporti sociali in quel periodo.I movimenti e il rapporto con lo Stato
Un esempio di come una forte campagna di odio possa portare a un atto criminale, anche se compiuto da un gruppo ristretto, è l’omicidio del commissario Calabresi. Questo evento si inserisce in un periodo segnato da molta violenza, dove protesta e repressione si scontravano continuamente. Un problema fondamentale dei movimenti di quel tempo era il non riuscire a vedere l’umanità dei poliziotti, considerati solo come nemici. Questo atteggiamento ha impedito di affrontare questioni importanti come la povertà e la mancanza di democrazia nelle zone periferiche delle città, da dove spesso provenivano gli stessi poliziotti. I movimenti scoprivano la miseria in queste aree, ma non la capivano fino in fondo come una condizione di totale privazione.Il significato di una vera democrazia
La vera democrazia non si basa soltanto sulle regole formali, ma sull’includere tutti, specialmente chi è più messo ai margini e chi è più povero. Un sistema politico che lascia fuori larghe fasce della popolazione non può dirsi completamente democratico. La democrazia autentica trova il suo senso più profondo nel prendersi cura delle persone più vulnerabili e di quelle escluse dalla società.La persistenza del conflitto
Il conflitto tra i movimenti e la polizia è difficile da risolvere a causa della grande differenza di potere: lo Stato ha il monopolio sull’uso legittimo della forza. Anche se entrambe le parti subiscono violenza, lo fanno in modi diversi e con conseguenze molto differenti. Eventi tragici accaduti anche di recente mostrano che questa divisione profonda continua ancora oggi. Alla base di questa frattura tra giovani, movimenti e lo Stato c’è la sensazione di una violenza nascosta e l’idea che la povertà sia una delle sue cause principali. Solo una politica che riesca a includere davvero tutti può diminuire questa divisione. La democrazia, anche dopo molti anni, è ancora un obiettivo che non è stato raggiunto pienamente.Davvero i movimenti non vedevano l’umanità dei poliziotti solo perché li consideravano nemici, o la questione era ben più complessa di così?
Il capitolo, nel trattare il rapporto tra movimenti e polizia, propone una lettura interessante ma forse riduttiva. La mancata percezione dell’umanità dei poliziotti da parte dei militanti non può essere liquidata unicamente come conseguenza del considerarli “nemici” o legata alle loro origini sociali. Questo approccio rischia di ignorare la complessità del conflitto politico e sociale dell’epoca, caratterizzato da repressione statale, ideologie radicali e una spirale di violenza che coinvolgeva molteplici attori e motivazioni. Per comprendere appieno questa dinamica, è necessario approfondire la storia politica e sociale degli anni ’70 in Italia, studiando il contesto della lotta di classe, le strategie dello Stato e le diverse correnti all’interno dei movimenti. Utile sarebbe leggere autori come Paul Ginsborg o Miguel Gotor, che offrono ricostruzioni storiche dettagliate del periodo, o esplorare studi sociologici sul conflitto e sul ruolo delle forze dell’ordine.3. Percorsi Irregolari verso la Democrazia
Imparare a vivere in una democrazia non segue sempre un percorso dritto e pulito. A volte, il cammino verso la democrazia può passare anche attraverso azioni che non sono legali o che usano la violenza. Questo non è successo solo negli anni Settanta in Italia, ma anche prima, subito dopo la guerra. In quel periodo, sia la Democrazia Cristiana che il Partito Comunista misero in piedi gruppi segreti armati. Lo fecero per difendersi o per essere pronti se la democrazia fosse stata messa in pericolo e il paese avesse preso una strada autoritaria.Perché Strumenti Non Democratici?
L’idea di poter usare strumenti non democratici era diffusa anche tra chi credeva davvero nella democrazia. Sentivano che la democrazia era fragile e poteva finire da un momento all’altro. Negli anni Sessanta e Settanta, la paura di minacce come il ritorno del fascismo o colpi di stato portò alcuni a pensare che fosse inevitabile usare mezzi al di fuori delle regole ufficiali dello stato. Questa sensazione era forte perché le minacce sembravano molto reali e vicine.Il Passato di Alcuni Leader e il Giudizio della Società
Molte persone che sono diventate figure pubbliche importanti sono venute fuori da quei movimenti. Nomi come Massimo D’Alema, Joschka Fischer, Daniel Cohn-Bendit e Adriano Sofri hanno avuto esperienze che toccano questo argomento. D’Alema ha raccontato di aver lanciato molotov da giovane. Fischer ha descritto la sua reazione violenta dopo essere stato picchiato dalla polizia. Queste storie dimostrano che l’essere stati vicini alla violenza o all’illegalità ha fatto parte del percorso di crescita di alcuni leader politici. La società spesso chiede conto di queste azioni passate, come se volesse una “confessione” o un modo per “ripagare” il male fatto, anche a distanza di tanti anni. Ci si chiede fino a quando si debba rispondere di parole o fatti del passato, considerando che il periodo storico in cui sono avvenuti può cambiare il modo in cui vediamo se un’azione era innocua o criminale.La Lotta Interna contro il Terrorismo
Dentro i movimenti degli anni Settanta, ci fu anche una battaglia forte per non cadere nel terrorismo. Alcuni che avevano partecipato a quei movimenti cercarono di fare da ponte, anche in momenti difficilissimi come i rapimenti di Moro e Peci, per evitare altra violenza. Questo lavoro politico aveva lo scopo di tenere la violenza fuori dall’azione sociale. Fu un passo molto importante in quel difficile processo di imparare e accettare pienamente la democrazia.Il Caso D’Elia e la Questione Etica
La storia di Sergio D’Elia, un ex terrorista che è stato in prigione e che dopo ha lavorato per far abolire la pena di morte ottenendo risultati veri, ci fa riflettere su un punto difficile. Le azioni positive fatte dopo possono in qualche modo “riparare” il male commesso prima? Non c’è un modo diretto per bilanciare il male con il bene; il danno fatto resta. Ma queste esperienze mostrano che le persone possono cambiare in modo profondo. Questi cambiamenti possono portare benefici reali per tutti, anche se il dolore causato in passato non può essere cancellato.Se la Costituzione è la bussola etica, come si concilia questo con l’elogio di azioni che operano ‘al limite’ della legge?
Il capitolo presenta la Costituzione come guida fondamentale per una politica eticamente forte, capace di difendere i diritti e rifiutare la violenza. Tuttavia, nel discutere figure come Mimmo Lucano, si descrivono azioni che si pongono “al limite della politica” e che “mettono in discussione la legge” per seguire un’idea di giustizia superiore. Questa tensione tra il rispetto del quadro normativo costituzionale e la valorizzazione di azioni che lo eccedono o lo sfidano per un fine etico percepito come più alto non viene pienamente risolta. Per approfondire questa complessa relazione tra legge, etica e azione politica, può essere utile esplorare la filosofia politica e del diritto, concentrandosi sui concetti di stato di diritto, disobbedienza civile e giustizia. Autori come Hannah Arendt o John Rawls offrono spunti fondamentali sulla natura dell’azione politica e sul rapporto tra legge e morale.7. La democrazia e il segreto della vittima
La democrazia si basa sul riconoscimento dell’altro, specialmente di chi è considerato debole o messo da parte. Nonostante questo ideale, l’ingiustizia e la violenza sono presenti ovunque e nessuno può dirsi completamente al riparo. Non si può provare compassione solo per una parte, come il poliziotto, ignorando la sofferenza complessa di un’altra, come lo studente. Lo sguardo democratico è imparziale: cerca sempre chi è stato escluso, anche chi sembra il persecutore, perché nessuno è del tutto privo di colpa. La storia che viviamo porta con sé responsabilità e colpe che non possiamo evitare.La comprensione attraverso la sofferenza
La vera comprensione delle cose non si raggiunge solo guardando, perché la vista è limitata dal nostro punto di vista. Si arriva a capire davvero attraverso la passione e la sofferenza, mettendosi in una posizione di esposizione verso l’altro. Questa capacità di capire attraverso la passione è una forma di intelligenza più profonda.La dualità di vittima e violento
Poliziotto e studente si trovano a condividere un destino simile: sono entrambi, in modi diversi, vittime e capaci di violenza. La violenza usata dal poliziotto, se non giustificata, è una doppia ingiustizia. Anche gli studenti, pur criticando il sistema, agiscono spesso da una posizione di debolezza e frustrazione. Questa condizione può però trasformarsi in una nuova forma di potere o superiorità.Democrazia e violenza
Questo solleva una domanda fondamentale per la democrazia: come affrontare la violenza? Usare la violenza per fermarla significa forse ripeterla? L’ordine della società si regge sulla minaccia dell’uso della forza? La vittima, che è così importante per la democrazia, è anche una figura che può reagire con violenza. La figura che unisce Poliziotto e Sessantotto rappresenta questa contraddizione complessa tra la politica, la forza e l’idea di liberazione. Si può considerare la non violenza come una pratica politica avanzata. Principi morali come preferire subire un’ingiustizia piuttosto che commetterla possono diventare una vera forza politica. Una democrazia autentica tende verso la non violenza. Tuttavia, rifiutare completamente ogni forma di violenza può essere pericoloso o moralmente discutibile quando ci si trova di fronte a una sopraffazione brutale. L’inazione, in certi casi, può essere vista come una forma di violenza. Per questo, il concetto stesso di non violenza richiede un’analisi attenta.Etica, politica e il segreto della vittima
È fondamentale mantenere sempre unite l’etica e la politica. L’azione democratica è una forma di ribellione non violenta e capace di mettersi in discussione, che si oppone all’ingiustizia per aiutare chi è oppresso. La vittima di violenza porta con sé un segreto fondamentale per chi fa politica. Figure come Stefano Cucchi, il cui corpo è stato segnato dalla violenza, chiedono un impegno politico più profondo e sentito. La vittima non è solo qualcuno che si sacrifica, ma è il vero sovrano in una democrazia. È la vittima che chiede giustizia e indica la strada verso una comunità futura dove tutti sono liberi e uguali. Questa comunità, immaginata anche dal movimento del Sessantotto, è quella dove prevale una giustizia senza limiti, capace di vedere sia il poliziotto che subisce umiliazioni sia il giovane che viene picchiato. La democrazia è proprio questa lotta fatta con passione per la giustizia.Se la democrazia si fonda sulla vittima e tende alla non violenza, come si distingue l’azione democratica dalla mera inazione di fronte alla violenza di stato o di altri poteri forti?
Il capitolo, pur sottolineando l’importanza della non violenza come pratica politica avanzata e il ruolo centrale della vittima, lascia aperta la questione cruciale di come questa impostazione si traduca in azione efficace di fronte a una “sopraffazione brutale”, che il testo stesso ammette possa rendere l’inazione una forma di violenza. La tensione tra l’ideale non violento e la necessità di agire contro l’ingiustizia richiede un approfondimento su come la “lotta fatta con passione per la giustizia” possa concretamente opporsi al potere costituito senza ricorrere alla violenza, ma anche senza cadere nella passività che lascerebbe campo libero alla sopraffazione. Per esplorare questa complessa dinamica, è utile confrontarsi con le teorie del potere e della violenza politica, leggendo ad esempio Hannah Arendt, e con le filosofie e pratiche della resistenza non violenta, come quelle di Gandhi, per comprendere le strategie attive che vanno oltre la semplice assenza di violenza fisica.Abbiamo riassunto il possibile
Se vuoi saperne di più, devi leggere il libro originale
Compra il libro[sc name=”1″][/sc] [sc name=”2″][/sc] [sc name=”3″][/sc] [sc name=”4″][/sc] [sc name=”5″][/sc] [sc name=”6″][/sc] [sc name=”7″][/sc] [sc name=”8″][/sc] [sc name=”9″][/sc] [sc name=”10″][/sc]