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Contenuti del libro
Informazioni
“Platone. Storia di un dolore che cambia il mondo” di Annalisa Ambrosio ti porta nell’antica Grecia, un mondo molto diverso dal nostro, pieno di vuoto e paura, ma anche il luogo dove nasce la filosofia. Seguiamo la vita di Platone, o Aristocle, un ragazzo ateniese segnato dal trauma della guerra e dalla perdita più grande: la morte del suo maestro, Socrate. Questo dolore non lo distrugge, ma diventa la scintilla che accende il suo pensiero. Il libro esplora come Platone, partendo dai dialoghi socratici, sviluppa le sue idee rivoluzionarie, come il famoso mito della caverna o la visione della città ideale nella sua Repubblica. Scoprirai il contrasto tra i veri filosofi e i sofisti, e come Platone credeva nel potere delle storie e dell’educazione, fondando l’Accademia di Atene, per plasmare non solo le menti ma anche la realtà. È un viaggio nella filosofia greca antica che mostra come le idee, nate dal dolore e dalla ricerca della verità, possano davvero cambiare il mondo, diventando una bussola per l’umanità.Riassunto Breve
Nell’antichità, la vita è caratterizzata da pochi stimoli esterni, portando a molta solitudine, noia e paura. L’unica voce rassicurante è quella interiore. Platone, nato Aristocle, vive il trauma della guerra e della sconfitta di Atene, che lo porta a rifiutare la politica. Il dolore più grande è la morte del suo maestro Socrate, condannato ingiustamente. Socrate, a differenza dei sofisti che si fanno pagare e cercano una verità relativa, interroga le persone per farle riflettere sul senso della vita e sulle loro convinzioni, affermando di sapere di non sapere. La sua morte spinge Platone a iniziare a scrivere, usando il dialogo per mantenere vivo il maestro e il suo metodo: fermarsi, guardarsi dentro, spiegare, cercando verità universali e definizioni chiare (le Idee). Platone vuole creare una città giusta dove un uomo come Socrate non possa essere ucciso. Capisce che per cambiare il mondo non basta la politica tradizionale o educare una sola persona potente, come prova il fallimento del suo tentativo a Siracusa con Dionisio II. Sviluppa l’idea che le *storie*, come il mito della caverna che spiega il percorso verso la conoscenza o il mito di Er che parla di giustizia dopo la morte, possono essere strumenti razionali per orientare le persone e la società verso il Bene e la giustizia. Queste storie non sono solo intrattenimento, ma hanno un “design” preciso: si rivolgono a qualcuno, contengono un messaggio che si ritiene vero (anche se a volte si parla di “nobile menzogna” usata dal potere per il bene comune), e mirano a influenzare chi le ascolta. Forniscono un “Nord”, una direzione per il comportamento collettivo. L’Accademia nasce per studiare e diffondere queste idee e formare futuri governanti. Le storie, anche quelle personali come l’amore, funzionano perché vengono credute e cambiano la percezione e il comportamento. Oggi, il problema non è tanto l’ideologia in sé, ma la mancanza di idee forti in cui credere o di figure positive a cui ispirarsi, che lascia le persone senza un punto fermo, senza una “terraferma” su cui basare le proprie azioni e convinzioni.Riassunto Lungo
1. La Voce Interiore nell’Antichità
Il mondo antico era molto diverso da quello di oggi, caratterizzato da una grande semplicità materiale. Le case contenevano pochi oggetti, per lo più strumenti pratici per la vita quotidiana. Questa mancanza di stimoli esterni, di “voci” come scritte, marchi o messaggi, portava le persone a trascorrere molto tempo da sole con i propri pensieri.Questa condizione di solitudine generava spesso sensazioni di noia e una paura profonda. La paura nell’antichità era legata soprattutto alla mancanza di conoscenze scientifiche e alla percezione delle forze naturali come minacciose e difficili da comprendere. Sebbene i miti offrissero spiegazioni, i Greci iniziarono a metterle in discussione, come si vede nell’invenzione della tragedia. In questo ambiente con pochi “sussurri” esterni, l’unica voce capace di offrire conforto era quella interiore, considerata unica e preziosa, in grado di dare forza di volontà e permettere di stabilire obiettivi e rispettarli.Le esperienze che segnano Platone
Aristocle, conosciuto come Platone per le sue spalle larghe, visse ad Atene in un periodo difficile, segnato dalla Guerra del Peloponneso. Nonostante provenisse da una famiglia nobile e avesse avuto un’infanzia agiata, fu profondamente colpito dal trauma dell’assedio, dalla peste e dalla sconfitta di Atene per mano di Sparta. Questi eventi portarono alla distruzione delle mura della città e all’instaurazione di un governo tirannico, guidato da un suo parente, Crizia. Questa esperienza generò in lui una grande confusione e angoscia, portandolo a rinunciare all’idea di dedicarsi alla politica e a condividere una paura diffusa tra i suoi concittadini.È importante distinguere la paura, che spesso è un sentimento collettivo e astratto legato all’incertezza, dal dolore. Il dolore è una sensazione individuale e fisica che si manifesta dopo che un evento negativo è già accaduto. È un’esperienza intima che contribuisce a definire chi siamo. Per Platone, il primo dolore significativo fu la morte del suo maestro, Socrate.Il significato di “scuola” nell’antica Grecia
Il concetto di “scuola” nell’antica Grecia era molto diverso da quello moderno. La parola greca da cui deriva significa “ozio”, indicando che era un luogo dedicato al tempo libero, accessibile solo ai cittadini ricchi e liberi. Gli schiavi, che costituivano circa un terzo della popolazione, ne erano esclusi. Lo scopo principale della scuola non era preparare al lavoro o al guadagno, ma promuovere il “pensare” puro. L’educazione includeva discipline come la musica e la poesia, intesa come conoscenza dei miti. I miti fornivano spiegazioni sul mondo, indicazioni su come comportarsi nella società e intrattenimento, senza una netta separazione tra ciò che era reale e ciò che era frutto della fantasia. Platone era un pensatore, ma a quel tempo il termine “filosofo” come professione non esisteva; pensare era un’attività libera e non retribuita, riservata a chi poteva permettersi l’ozio.Ma siamo certi che la “voce interiore”, descritta come unica fonte di conforto e guida per la volontà, sia un concetto realmente antico e non piuttosto una proiezione psicologica dei nostri tempi sul passato?
Il capitolo presenta questa “voce interiore” con caratteristiche che richiamano la moderna psicologia del sé e della motivazione. Tuttavia, l’idea di un dialogo interiore strutturato e centrale per l’individuo, nel senso che intendiamo oggi, potrebbe non corrispondere pienamente all’esperienza o alla concettualizzazione del sé nell’antichità. Per comprendere meglio come gli antichi percepivano la propria interiorità, è fondamentale esplorare le fonti primarie della filosofia greca e romana, studiando autori come Platone stesso, Epitteto o Marco Aurelio, e confrontarsi con le ricerche sulla storia della soggettività e della coscienza nel mondo antico.2. Filosofi, Sofisti e l’Eredità di Socrate
I primi pensatori greci, noti come filosofi “fisici”, si dedicavano allo studio della natura, cercando di individuare un principio unico da cui tutto ha origine, come l’acqua o gli atomi. Utilizzavano il ragionamento logico invece dei racconti mitologici e mettevano per iscritto le loro idee per poterle affinare. Questi filosofi non chiedevano compensi per il loro insegnamento, considerando la conoscenza un bene prezioso da preservare. Tra loro, Parmenide sosteneva che solo ciò che esiste può essere pensato e che la verità è una sola e immutabile.I sofisti e il valore del sapere
In seguito, emersero i sofisti, maestri esperti nell’arte del discorso e nella logica, che spostarono l’attenzione sulla condizione umana e sul governo della città. A differenza dei filosofi precedenti, i sofisti si facevano pagare per le loro lezioni, offrendo competenze considerate utili per partecipare alla vita pubblica. La loro ricerca si orientava verso una verità che consideravano relativa o legata alla capacità di persuasione, spesso al servizio di chi li pagava, segnando così una netta differenza rispetto all’approccio dei primi filosofi.Socrate: la ricerca della verità interiore
In questo contesto, si distingue la figura di Socrate, che rifiutava categoricamente di accettare denaro per il suo insegnamento e criticava chi lo faceva. Non scrisse nulla, dedicandosi invece a dialogare con le persone per le strade e nelle piazze di Atene, interrogandole sul senso delle loro azioni e delle loro convinzioni riguardo alla vita nella città. Attraverso le sue domande, Socrate metteva in luce come molti credessero di sapere, ma in realtà non avessero riflettuto a fondo sul significato profondo della loro esistenza, portandolo alla celebre affermazione di “sapere di non sapere”.La condanna e l’eredità di Socrate
Aristocle, un giovane di natura riservata, divenne uno dei suoi discepoli più devoti. La morte di Socrate, condannato a morte dallo Stato ateniese con accuse di empietà e corruzione dei giovani, ebbe un impatto devastante su di lui, in un periodo segnato da forte instabilità politica ad Atene. Socrate accettò serenamente la condanna, rifiutando la possibilità di fuggire, poiché riteneva fondamentale non sottrarsi alle leggi dello Stato, anche quando queste gli apparivano ingiuste. Il profondo dolore per la perdita del suo maestro, giustiziato dalla sua stessa città, trasformò radicalmente Aristocle. Questa tragica esperienza divenne il fondamento su cui costruì il suo futuro pensiero filosofico, spingendolo a onorare la memoria di Socrate, a renderla immortale attraverso i suoi scritti e a concepire l’idea di una città perfetta, dove un uomo giusto come il suo maestro non potesse mai essere condannato a morte.Perché il capitolo si riferisce al discepolo più noto di Socrate con un nome che non è quello con cui è universalmente conosciuto?
Il capitolo menziona un discepolo di Socrate di nome “Aristocle”, ma la figura storica e filosofica più nota legata a Socrate è universalmente conosciuta con un altro nome. Questa scelta terminologica può generare confusione e omette un contesto fondamentale sull’identità e lo sviluppo del pensiero del discepolo più influente di Socrate. Per colmare questa lacuna e comprendere appieno l’eredità socratica e la nascita della filosofia platonica, è indispensabile approfondire la figura di Platone, il suo rapporto con il maestro e l’impatto della sua opera. Lo studio della filosofia antica, con particolare attenzione a Platone, è il punto di partenza necessario.3. L’Eco di Socrate: Fermarsi, Guardarsi Dentro, Spiegare
La morte di Socrate nel 399 a.C. ha segnato profondamente Platone e lo ha spinto a iniziare a scrivere. Anche se Socrate non ha lasciato scritti, Platone ha deciso di tenerlo vivo attraverso i suoi dialoghi. Lo ha reso il protagonista, prestandogli la voce per esporre le idee filosofiche. Questa scelta di scrivere, in particolare usando la forma del dialogo, è un modo per imitare il metodo di Socrate, basato sulla discussione e sull’esame critico delle idee.Perché Platone ha scelto di scrivere
Platone ha scelto il dialogo filosofico, un tipo di scrittura che esisteva già ma non era usato per parlare di filosofia, per ricreare le conversazioni del suo maestro. L’obiettivo era doppio: da un lato, non dimenticare Socrate; dall’altro, portare avanti il suo lavoro di ricerca sulla realtà e su cosa è bene. Scrivere è diventato per Platone uno strumento per affrontare il dolore della perdita e per denunciare l’ingiustizia subita da Socrate. Cercava di immaginare e costruire un mondo ideale dove una cosa così non potesse più accadere.Il metodo di Socrate: Fermarsi, Guardarsi Dentro, Spiegare
Il cuore del metodo di Socrate, che Platone ci ha trasmesso, si basa su tre passaggi fondamentali. Questi passaggi sono: fermarsi, guardarsi dentro e spiegare. Socrate usava fare domande inaspettate che interrompevano la vita frenetica delle persone. Le costringeva a riflettere sulle proprie idee e a esaminare cosa pensavano davvero. Questo processo, a volte scomodo, spesso mostrava che le persone non sapevano davvero quello che credevano di sapere, rivelando certezze senza fondamento. Dopo questo primo momento, Socrate aiutava l’interlocutore a mettere in ordine i pensieri. Li guidava a definire concetti importanti come giustizia, bontà o amore, cercando di trovare verità che valgono per tutti. Questo portava a pensare in modo più chiaro e a conoscere meglio sé stessi. Secondo Socrate e Platone, capire cosa è bene è essenziale per poter agire in modo giusto. Grazie a questo metodo, la filosofia ha iniziato a concentrarsi meno sullo studio dell’universo e più sulla vita delle persone e sulla morale.La filosofia di Platone in azione
I concetti e le storie che Platone ha sviluppato, come l’idea del Mondo delle Idee o la descrizione della Repubblica ideale, funzionano come strumenti per capire la realtà. Partono da quello che vediamo nel mondo reale, creano un racconto o un modello per capirlo meglio o per immaginarlo diverso, e poi influenzano di nuovo la realtà. Questo continuo movimento tra la realtà e il racconto caratterizza il modo di fare filosofia di Platone. C’è una grande differenza tra Platone (e Socrate) e i sofisti. I sofisti usavano le parole principalmente per convincere gli altri e ottenere vantaggi personali. Invece, Platone e Socrate cercavano la verità e il bene per tutta la comunità. Usavano il dialogo per portare alla luce quello che non era chiaro e per aiutare le persone a vivere in modo più consapevole e giusto.Il capitolo non rischia di attribuire a Platone un’originalità eccessiva e di interpretare il suo pensiero con categorie troppo moderne?
Il capitolo presenta l’idea che Platone sia stato il primo a comprendere l’uso strategico e trasformativo delle storie, contrapponendolo ai miti orali e introducendo concetti come il “design” della narrazione. Questa prospettiva, pur interessante, potrebbe semplificare eccessivamente il contesto storico e filosofico, ignorando l’importanza della retorica e della narrazione in culture precedenti o contemporanee a Platone, e applicando termini moderni (“design”) che potrebbero non cogliere appieno le sfumature del pensiero platonico. Per approfondire questa tematica e valutare criticamente l’argomentazione, sarebbe utile esplorare la storia della filosofia antica, in particolare il dibattito tra filosofia e retorica, e confrontare diverse interpretazioni del pensiero di Platone, magari leggendo autori che si sono occupati di Platone o di storia della retorica, come Aristotele o studiosi moderni della filosofia classica.7. Ideologia: Dalla Menzogna Nobile alla Terraferma delle Idee
L’ideologia si basa sul principio che un potere imponga ai suoi sudditi una “nobile menzogna”. Dopo la seconda guerra mondiale, l’ideologia è stata spesso vista solo come un male assoluto. Alcuni pensatori, come Popper, hanno collegato questa visione a Platone, sostenendo che egli considerasse la massa capace di credere nella stessa cosa senza valutarne le conseguenze. Tuttavia, guardando a contesti storici reali, come nel caso di Dionisio II, si capisce che l’applicazione delle idee platoniche era complessa e l’esito incerto. Platone cercava di distinguere le storie vere da quelle false, ma non sempre si può intervenire quando una storia falsa inizia a diffondersi e a imporsi.La forza delle storie e delle “favole”
Credere in un ideale non porta sempre a risultati positivi. Spesso questa fede si trasforma in “favole” dannose che servono a identificare e combattere dei nemici. Esistono narrazioni di vario tipo. Alcune sono innocue, come la storia di Peter Pan. Altre, invece, si dimostrano molto pericolose, come nel caso di Mein Kampf. Queste storie mostrano come le narrazioni possano manifestarsi nelle loro forme più pure, sia innocue che dannose.La mancanza di idee e la “terraferma”
Oggi, il pericolo maggiore non è l’ideologia di per sé, anche se può rendere uno stato rigido e ridurre le persone a semplici ingranaggi. Il rischio più grande è la mancanza di idee in cui credere o l’assenza di figure positive a cui ispirarsi. Vivere senza avere nulla in cui credere porta a confusione e incertezza su cosa fare. Manca un punto fermo su cui appoggiarsi. Anche se può sembrare strano, un’idea, un principio, può offrire questa stabilità, agendo come una vera e propria “terraferma” in un mondo incerto.Se le idee possono trasformarsi in “favole” pericolose come Mein Kampf, come può il capitolo sostenere che la mancanza di idee sia il pericolo maggiore oggi?
Il capitolo evidenzia giustamente la necessità di un punto fermo, una “terraferma” di idee in un mondo incerto. Tuttavia, sorge una contraddizione: se l’ideologia e le “favole” che ne derivano possono portare a esiti catastrofici, come dimostrato dalla storia, è davvero la loro assenza il rischio principale, piuttosto che la loro potenziale natura distruttiva? Per comprendere meglio questa dinamica, è utile approfondire la natura dell’ideologia non solo come menzogna imposta, ma come sistema di credenze con funzioni sociali complesse, esplorando autori come Marx, Mannheim, Arendt e Aron, e discipline come la filosofia politica e la sociologia.Abbiamo riassunto il possibile
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