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Contenuti del libro
Informazioni
“Più ci rinchiudono più diventiamo forti. Voci di donne iraniane in lotta” di Narges Mohammadi ti porta dentro la realtà brutale delle prigioni in Iran, raccontata da chi l’ha vissuta. Narges Mohammadi, un’attivista coraggiosa per i diritti umani e delle donne, ci svela il prezzo della lotta non violenta contro il regime iraniano: arresti continui, lunghe condanne e l’orrore dell’isolamento carcerario. Attraverso le sue parole e quelle di altre donne iraniane, scopriamo le condizioni disumane nelle celle di isolamento di luoghi come Evin: spazi minuscoli, buio, igiene precaria, una vera e propria “tortura bianca” che mira a spezzare la mente. Gli interrogatori sono un incubo di pressioni psicologiche, minacce alla famiglia e tentativi di estorcere false confessioni. Eppure, nonostante la separazione dai figli e la negazione di cure mediche, queste donne trovano la forza di resistere. Il libro non si ferma al carcere, ma mostra come la persecuzione continui anche dopo il rilascio, con nuovi arresti e difficoltà. È una testimonianza potente della resilienza femminile e della lotta incessante per la libertà e l’uguaglianza in Iran, unendo le voci di chi si oppone al dispotismo e all’oppressione, come quella imposta dall’hijab obbligatorio. Questa è la storia di donne che, anche rinchiuse, non smettono di lottare.Riassunto Breve
In Iran, attivisti per i diritti umani e civili, molti dei quali donne, vengono arrestati per le loro attività non violente contro il regime, come l’opposizione alla pena capitale, la lotta per i diritti delle donne e contro l’hijab obbligatorio. Le accuse spesso riguardano azioni contro la sicurezza nazionale o propaganda contro il sistema. Gli arresti avvengono all’improvviso e i detenuti vengono trasferiti in celle di isolamento in carceri come Evin. Queste celle sono piccole, spesso sporche, con scarsa luce naturale o illuminate artificialmente senza sosta. Le condizioni igieniche sono precarie, con servizi limitati e controllati. L’isolamento prolungato causa grave stress psicologico, descritto come “tortura bianca”, manifestato con ansia, paura, insonnia, depressione, disorientamento e perdita della cognizione del tempo. Anche la salute fisica peggiora a causa di scarsa alimentazione, freddo e mancanza di igiene, portando a perdita di peso e dolori. L’assistenza medica è inadeguata o negata. Gli interrogatori sono frequenti e possono durare ore, anche di notte. Gli inquirenti usano pressioni psicologiche, minacce ai familiari, bugie e domande invasive per ottenere confessioni forzate o la rinuncia all’attivismo. I detenuti sono spesso bendati durante gli interrogatori e gli spostamenti. Non viene garantito l’accesso a un avvocato né informazioni chiare sui diritti. Il contatto con l’esterno è severamente limitato e le informazioni sulla famiglia vengono manipolate. Nonostante le difficoltà, i detenuti resistono rifiutando di collaborare, denunciando le violazioni e trovando forza nella preghiera, nell’esercizio fisico o nella solidarietà con altri detenuti. Il processo legale appare arbitrario, con accuse vaghe che portano a lunghe condanne. Anche dopo il rilascio, molte donne affrontano nuove sfide, inclusi ulteriori arresti, divieti di studio o lavoro, e problemi di salute persistenti causati dalla detenzione. La persecuzione continua per coloro che hanno svolto attività politiche, giornalistiche, di attivismo o appartengono a minoranze religiose.Riassunto Lungo
1. La Prigione dell’Attivista
Narges Mohammadi dedica la sua vita all’attivismo in Iran, lottando con mezzi non violenti per i diritti umani e civili di tutti, contro la pena di morte e in particolare per i diritti delle donne. Questa attività pacifica ma determinata la rende un bersaglio per il regime, portando a numerosi arresti e condanne a lunghe pene detentive. Le accuse mosse contro di lei sono spesso legate alla sicurezza nazionale e alla presunta propaganda contro il sistema politico vigente. La sua incessante battaglia pacifica la pone costantemente sotto la minaccia della repressione statale, che cerca di soffocare ogni voce di dissenso.Le dure condizioni della prigione
Le detenzioni si svolgono frequentemente in condizioni estremamente difficili, spesso in isolamento totale, confinata in celle di piccole dimensioni. Queste celle sono caratterizzate da scarse condizioni igieniche, una quasi totale mancanza di luce naturale e un ricambio d’aria insufficiente, creando un ambiente opprimente e dannoso. Tali condizioni limitano severamente l’accesso al mondo esterno e rendono quasi impossibili le comunicazioni con familiari e avvocati. Questa privazione sensoriale e sociale prolungata provoca un profondo stato di ansia e paura, oltre a gravi problemi di salute fisica e mentale, una forma di pressione psicologica così intensa da essere descritta come “tortura bianca”.Interrogatori e pressioni psicologiche
Durante gli interrogatori, le autorità carcerarie e gli inquirenti ricorrono a una serie di tattiche per fiaccare la resistenza dei detenuti. Vengono esercitate forti pressioni psicologiche, spesso accompagnate da minacce dirette rivolte ai familiari per indurre il detenuto a cedere o a collaborare. Ci sono continui tentativi di estorcere false confessioni o di ottenere una rinuncia formale all’attività di attivismo. La separazione forzata dai figli rappresenta una delle sofferenze più acute e viene cinicamente sfruttata come leva per fare pressione. Inoltre, l’assistenza medica in carcere è gravemente inadeguata e, in alcuni casi, viene persino negata o usata come strumento punitivo contro i detenuti.La forza incrollabile della resistenza
Nonostante la persecuzione sistematica e le privazioni subite, Narges Mohammadi dimostra una resistenza incrollabile e un coraggio ammirevole. Rifiuta categoricamente di collaborare con gli inquirenti o di rinunciare ai suoi principi e alla sua lotta. Utilizza ogni occasione per denunciare pubblicamente le violazioni dei diritti umani che avvengono all’interno delle carceri iraniane. Dalla sua cella, continua a promuovere attivamente campagne per l’abolizione della pena di morte e contro la pratica disumana dell’isolamento, mantenendo viva la sua voce e il suo impegno civile.Un simbolo di unità e opposizione
Il ruolo di Narges Mohammadi trascende la sua condizione di detenuta; diventa un potente simbolo unificante per l’intera società civile iraniana, rappresentando la lotta contro il dispotismo religioso del regime. La sua battaglia per i diritti delle donne è particolarmente centrale nel movimento per la libertà e l’uguaglianza nel paese. L’opposizione all’obbligo dell’hijab, da lei considerato uno strumento fondamentale di oppressione e controllo sulla popolazione femminile, è un punto chiave della sua azione e un elemento cruciale nella più ampia richiesta di libertà e giustizia in Iran.Ma su quali specifiche basi legali o interpretazioni ideologiche il regime iraniano costruisce le accuse di ‘sicurezza nazionale’ e ‘propaganda’ contro gli attivisti?
Il capitolo, pur descrivendo le accuse mosse contro l’attivista come pretesti per la repressione, non scende nel dettaglio delle specifiche basi legali o delle interpretazioni ideologiche su cui il regime iraniano afferma di fondarle. Questa mancanza di contesto rende difficile comprendere appieno il meccanismo con cui il potere statale legittima (ai propri occhi) la persecuzione del dissenso, andando oltre la semplice constatazione dell’arbitrio. Per colmare questa lacuna e analizzare criticamente le giustificazioni addotte dal regime, sarebbe utile approfondire lo studio del sistema giuridico e politico della Repubblica Islamica, esaminando le leggi relative alla sicurezza nazionale e alla ‘propaganda’ e le modalità della loro applicazione. Approfondimenti sulla storia recente dell’Iran e sulle dinamiche interne del potere possono essere trovati negli scritti di autori che si occupano di politica iraniana e diritti umani.2. Le celle vuote e le voci degli inquirenti
L’arresto arriva spesso all’improvviso, a volte davanti ai familiari o ai bambini. Le persone arrestate vengono portate, spesso con gli occhi bendati, alla sezione 209 del carcere di Evin e chiuse in celle di isolamento. Queste celle sono piccole, buie oppure hanno luci artificiali sempre accese. Dentro c’è solo lo stretto necessario: coperte ruvide e un tappeto sottile. Le condizioni di pulizia sono pessime e l’accesso ai bagni è limitato e controllato.Gli effetti dell’isolamento
L’isolamento per tanto tempo causa un forte stress psicologico. Si prova una solitudine enorme, ansia, non si riesce a dormire e si perde la percezione del tempo. Per sopportare questo vuoto, si cerca un contatto con qualsiasi cosa, anche con gli insetti. Alcuni camminano senza sosta nella cella, altri trovano conforto nella preghiera o nello studio di libri religiosi.Gli interrogatori e la mancanza di diritti
Gli interrogatori avvengono spesso, di solito con la persona ancora bendata. Chi interroga usa minacce, insulti e pressioni psicologiche, a volte tirando in mezzo i familiari. Lo scopo è ottenere confessioni o racconti precisi, anche facendo domande molto personali sulla vita privata. Non è permesso avere un avvocato e non vengono date informazioni chiare sui propri diritti.Il peggioramento fisico e i contatti limitati
Il corpo risente delle pessime condizioni: poco cibo, freddo e scarsa igiene portano a perdere peso, avere dolori e ammalarsi. Le cure mediche sono insufficienti o non vengono date affatto. I contatti con il mondo fuori sono quasi nulli. Le poche notizie sulla famiglia che arrivano sono spesso false o distorte.Un processo legale senza regole
Il percorso legale non segue regole chiare. Le udienze vengono rimandate e le accuse sono pesanti, portando a condanne lunghe. Questo succede indipendentemente dal fatto che la persona sia colpevole o sappia di cosa è accusata.Il capitolo dipinge un quadro agghiacciante della detenzione, ma in che modo questa descrizione, pur vivida, ci aiuta a comprendere perché e come un simile sistema di annientamento psicofisico possa esistere e perpetuarsi?
Il capitolo eccelle nel descrivere la brutale realtà vissuta dal detenuto, ma la sua efficacia nello spiegare le cause profonde e la struttura di questo sistema repressivo è limitata. Per comprendere perché tali condizioni esistano, è necessario guardare oltre l’esperienza individuale e analizzare il contesto politico e istituzionale. Approfondire discipline come la politologia, in particolare lo studio dei regimi autoritari e delle tecniche di controllo statale, e la sociologia delle istituzioni può fornire gli strumenti concettuali necessari. Letture su autori che hanno analizzato le dinamiche del potere e della disciplina, come Michel Foucault, possono essere illuminanti.3. L’ombra dell’isolamento
Le celle di isolamento sono ambienti ristretti, spesso privi di finestre o con pochissima luce naturale, illuminati costantemente da lampadine artificiali. Le condizioni igieniche sono spesso inadeguate; i servizi igienici, come latrina e lavandino (a volte anche la doccia), si trovano all’interno della cella stessa, spesso in spazi non separati o con scarsa ventilazione, causando cattivi odori e umidità persistente. L’aria è spesso viziata e l’ambiente può risultare freddo o, al contrario, opprimente.Le Pressioni degli Interrogatori
Gli interrogatori avvengono con grande frequenza, a volte quotidianamente o più volte a settimana, e possono protrarsi per ore intere. Durante questi incontri, vengono esercitate forti pressioni per ottenere confessioni su accuse di spionaggio o attività sovversive, spesso del tutto infondate. Gli inquirenti non esitano a usare minacce dirette verso i familiari, inclusi figli e coniugi, e ricorrono a manipolazioni psicologiche. A volte, si verificano anche maltrattamenti fisici o allusioni sessuali. Le domande possono deviare dal caso specifico per indagare su aspetti molto personali o sulla vita della comunità.Le Conseguenze dell’Isolamento
L’isolamento prolungato, unito alla pressione degli interrogatori, provoca gravi effetti sia fisici che psicologici. Si manifestano ansia intensa, attacchi di panico frequenti, depressione profonda e insonnia cronica. A livello fisico, si osservano perdita di peso, affanno, palpitazioni e problemi di memoria, inclusa l’amnesia per eventi recenti o passati. La mancanza quasi totale di contatto umano, la scarsità di stimoli sensoriali e l’assenza di notizie dal mondo esterno acuiscono terribilmente il senso di solitudine e disorientamento. Le visite e le telefonate con i familiari sono estremamente limitate e costantemente controllate. Nonostante queste estreme difficoltà, alcune detenute riescono a trovare una fonte di forza nella preghiera, nella lettura o nell’esercizio fisico svolto all’interno dello spazio ristretto della cella. L’esperienza dell’isolamento è vissuta e descritta come una vera e propria forma di tortura, mirata a spezzare la resistenza e l’identità dell’individuo.Ma chi sono, esattamente, gli aguzzini e quale sistema politico rende possibile tale orrore?
Il capitolo descrive la brutale realtà della detenzione politica e la forza della resistenza interiore. Tuttavia, nel concentrarsi sull’esperienza dei detenuti, il capitolo non esplora a fondo il contesto politico specifico che rende possibile tale oppressione. Comprendere il sistema di potere, le sue motivazioni e le sue strutture repressive è cruciale per una visione completa. Per approfondire questo aspetto, si potrebbero esplorare studi di scienza politica, in particolare quelli che analizzano i regimi autoritari o totalitari. Autori come Hannah Arendt o studi specifici sulla storia politica del paese in questione (implicato ma non nominato nel capitolo) potrebbero offrire il contesto necessario.6. Le vite dopo il carcere
La fine di una condanna detentiva non segna necessariamente un ritorno alla normalità per le donne che hanno vissuto l’esperienza del carcere. Molte di loro continuano a subire le conseguenze delle loro azioni o delle loro convinzioni per molto tempo dopo essere state rilasciate. La vita fuori dalle mura della prigione presenta sfide significative e persistenti pressioni.Il rischio di un nuovo arresto
Per alcune donne, la libertà dura poco. Nigara Afsharzadeh, ad esempio, una volta tornata nel suo paese dopo la prigione in Iran, viene nuovamente incarcerata. Anche Mahvash Shahriari, rilasciata dopo quasi dieci anni, affronta un nuovo arresto nel 2022, accusata di spionaggio. Sedigheh Moradi, uscita nel 2016, viene nuovamente arrestata nel 2019, e Fatemeh Mohammadi, dopo una prima condanna e il rilascio, viene fermata una seconda volta per aver partecipato a proteste, subendo un’altra condanna e persino frustate. Questo schema di ripetuti arresti evidenzia la precarietà della loro situazione anche dopo aver scontato una pena.Pene lunghe e danni permanenti
Altre donne scontano condanne estremamente lunghe che segnano profondamente le loro vite. Zahra Zahtabchi, per esempio, è ancora detenuta dopo essere stata condannata a dieci anni di prigione. Anche chi viene rilasciato dopo molto tempo può portare segni indelebili. Hengameh Shahidi, dopo tredici anni di detenzione, soffre ancora per i danni fisici causati dal lungo periodo di isolamento. Queste esperienze mostrano come le conseguenze della prigione vadano ben oltre il periodo di detenzione effettivo.Le difficoltà nella vita di tutti i giorni
Anche per coloro che non vengono riarrestati, la vita fuori dal carcere è piena di ostacoli. Fatemeh Mohammadi, oltre ai problemi legali, affronta il divieto di frequentare l’università e incontra grandi difficoltà nel trovare un lavoro, limitando pesantemente le sue possibilità di reinserimento. Nonostante queste sfide diffuse, alcune donne riescono a ricostruire le proprie vite professionali. Reyhaneh Tabatabaei è diventata caporedattrice, Nazila Nouri esercita la professione medica e Marzieh Amiri lavora come giornalista, dimostrando una notevole resilienza nel riprendere le loro carriere.Le accuse dietro le detenzioni
Le ragioni che portano a queste detenzioni e alle successive complicazioni sono diverse e spesso legate a motivi politici o di coscienza. Le accuse includono spionaggio, appartenenza a organizzazioni politiche considerate illegali, attivismo per i diritti umani o per i diritti delle donne e partecipazione a proteste. Vengono colpite anche persone appartenenti a minoranze religiose, come i bahá’í, i dervisci sufi o i convertiti cristiani. La varietà delle accuse riflette le ampie restrizioni imposte e le persistenti pressioni che queste donne affrontano.Se la pena detentiva è finita, perché lo Stato continua a punire?
Il capitolo descrive efficacemente le difficoltà che le donne affrontano dopo il rilascio dal carcere, inclusi nuovi arresti e restrizioni nella vita quotidiana. Tuttavia, non approfondisce la questione fondamentale: se una persona ha scontato la sua pena, quali meccanismi legali o politici permettono o addirittura impongono che le conseguenze punitive persistano indefinitamente, trasformando la “libertà” in una forma attenuata di detenzione o controllo sociale? Per comprendere meglio questa dinamica e distinguere tra le naturali difficoltà di reinserimento e una deliberata e continua azione punitiva dello Stato, è utile esplorare discipline come il Diritto Penale e Costituzionale, la Scienza Politica (con particolare attenzione ai regimi autoritari e alla gestione del dissenso) e la Sociologia della Pena. Autori come Michel Foucault hanno analizzato le forme di potere e controllo che vanno oltre la semplice reclusione.Abbiamo riassunto il possibile
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