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Contenuti del libro
Informazioni
“Palestina Israele. Il lungo inganno. La soluzione imprescindibile” di Mario Neri ti porta dritto nel cuore di uno dei conflitti più complessi e dolorosi del nostro tempo. Il libro esplora perché, dopo decenni, la pace tra israeliani e palestinesi sembra ancora lontanissima, puntando il dito sull’occupazione israeliana dei territori palestinesi, in particolare a Gaza e in Cisgiordania, e sulla negazione del diritto fondamentale del popolo palestinese ad avere un proprio Stato. Viene analizzato come i tentativi di pace, come gli accordi di Oslo, siano falliti, spesso visti come un “lungo inganno” che non ha mai realmente mirato a una vera soluzione a due Stati basata sui confini del 1967, ma ha piuttosto favorito l’espansione degli insediamenti. L’autore non risparmia critiche al sostegno occidentale, soprattutto dagli Stati Uniti, che viene percepito come un ostacolo a una soluzione equa, e alla distorsione mediatica che spesso ignora la sofferenza dei palestinesi. Si parla della figura storica di Yasser Arafat e del difficile cammino dell’OLP, ma anche dell’ascesa di Hamas, vista in parte come una conseguenza delle politiche israeliane e del fallimento del processo di pace. Nonostante la violenza e la disperazione che segnano la vita quotidiana nei territori occupati, il libro ribadisce con forza che l’unica via d’uscita da questa spirale è il riconoscimento dei diritti palestinesi e la realizzazione concreta di una soluzione a due Stati, l’unica alternativa per garantire sicurezza e giustizia per entrambi i popoli.Riassunto Breve
La questione centrale in Medio Oriente è il diritto del popolo palestinese a una patria. La pace non è possibile finché milioni di palestinesi non hanno uno Stato riconosciuto. Israele, fin dalla sua fondazione, viola risoluzioni ONU, mantiene l’occupazione e impedisce la formazione di uno Stato palestinese indipendente. Questo comportamento è sostenuto economicamente, finanziariamente e militarmente da paesi occidentali come Stati Uniti ed Europa. L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), guidata da Yasser Arafat, ha cercato una soluzione politica basata su due Stati, affrontando divisioni interne e attacchi esterni. La vita di Arafat si identifica con il difficile cammino dei palestinesi verso l’autodeterminazione, ostacolato da Israele e dai regimi arabi. Esiste una difficoltà per molti israeliani nell’immaginare la pace, vista come una minaccia, a differenza della guerra. Questo timore, unito alla negazione dell’ingiustizia verso i palestinesi, crea blocchi mentali. La violenza, sia quella di Stato praticata da Israele (occupazione, demolizioni, uccisioni) sia quella che ne deriva come reazione, alimenta una spirale distruttiva. La mancata realizzazione degli accordi di Oslo e l’impedimento della nascita dello Stato palestinese hanno portato a una situazione esplosiva. La resistenza palestinese, come l’Intifada, dimostra la determinazione di un popolo che non ha perso la speranza. La soluzione risiede nel riconoscimento dei diritti palestinesi e nella fine dell’occupazione. La reazione di Israele dopo l’attacco del 7 ottobre è considerata un crimine di Stato contro i civili a Gaza, con bombardamenti intensi e blocco di beni essenziali. Gli Stati Uniti e l’Occidente sono visti come complici, sostenendo Israele e opponendosi a un cessate il fuoco all’ONU. L’unica soluzione per una pace duratura è la creazione di uno Stato palestinese autonomo e indipendente, con Gerusalemme Est come capitale, che richiede lo smantellamento degli insediamenti israeliani nei territori occupati dal 1967. Questa soluzione necessita di una forte volontà politica attualmente assente in Israele, negli USA e in Europa. Il giornalismo italiano è accusato di presentare una visione parziale a favore di Israele. La situazione nei territori occupati è definita apartheid. L’accusa di antisemitismo è usata contro chi critica le politiche israeliane, sebbene queste politiche siano considerate una causa che genera antisemitismo. La situazione a Gaza è descritta come un genocidio di civili. Nonostante la forza militare, Israele appare politicamente isolato a livello internazionale, insieme all’Occidente. L’informazione sul conflitto presenta distorsioni, trasformando il giornalismo in propaganda, come nel caso della diffusione di notizie false per aumentare l’orrore contro i palestinesi. La condizione del popolo palestinese è segnata da sofferenza e sradicamento, come espresso nella poesia “Carta di identità ” di Mahmoud Darwish, che riflette la difficile realtà palestinese e l’indignazione per l’usurpazione della terra. Un’azione nonviolenta a Ramallah nel 1988, con parlamentari italiani che si incatenano chiedendo “Due popoli, due Stati” e “Stop alla repressione”, dimostra come un gesto nonviolento possa esporre l’oppressione e mettere in difficoltà un apparato militare potente. La crescita di Hamas è un evento prevedibile, legato a precise dinamiche e scelte politiche. Israele ha sostenuto e finanziato gruppi islamisti, inclusa Hamas, fin dagli anni Ottanta per indebolire l’OLP laica e dividere i palestinesi. Hamas è un’organizzazione politica, sociale e religiosa che utilizza il terrorismo, mira a reislamizzare le società arabe e stabilire uno Stato palestinese teocratico che non prevede l’esistenza di Israele. Riceve ampio sostegno finanziario e politico. La sua affermazione è facilitata dalle condizioni di occupazione israeliana e dalla mancanza di una soluzione politica. Il cosiddetto processo di pace non ha mai portato a negoziati su temi fondamentali per i palestinesi e le proposte non prevedevano un vero Stato. Questo fallimento ha indebolito l’Autorità Palestinese e favorito l’ascesa di Hamas. Pacifisti israeliani come Uri Avnery hanno sostenuto fin dal 1948 la soluzione “due popoli, due Stati”, vedendo Israele come uno Stato coloniale basato su un sistema di apartheid. La classe politica israeliana teme la pace e necessita di un nemico per mantenere il proprio potere, mentre la sicurezza si otterrà solo quando i palestinesi avranno speranza e diritti riconosciuti. La vita si svolge in un mondo in continuo cambiamento. L’arrivo in Palestina suscita amore per il paese. Il sionismo, nella sua forma originaria, è considerato superato dalla nascita dello stato di Israele. Gli israeliani costituiscono una nazione nuova. Il conflitto con la popolazione araba preesistente è visto come un errore iniziale dei sionisti nel non cercare un’integrazione delle aspirazioni. La religione non è la causa principale del conflitto. La soluzione si individua nella coesistenza di due stati, con mutua cooperazione e confini aperti. La situazione a Gaza è caratterizzata da un blocco imposto da Israele, iniziato dopo il ritiro del 2005, che crea un ciclo di violenza e repressione. La popolazione di Gaza, in gran parte rifugiati del 1948, soffre per la mancanza di beni essenziali. Nonostante la sofferenza, la storia dimostra la capacità di un popolo di resistere. Si auspica un armistizio per riaprire le frontiere e riconnettere Gaza al mondo. L’esperienza in Libano negli anni ’80 evidenzia il rischio costante della morte per i palestinesi rifugiati, che costruiscono una struttura quasi statale, destabilizzando il paese e portando a tragici massacri. La ricerca di dialogo e pace è un percorso difficile, ostacolato da chi non desidera una soluzione negoziata. I piani di pace sono falliti perché le potenze esterne, in particolare gli Stati Uniti, sostengono il sistema israeliano, descritto come un apartheid, anziché agire da arbitri imparziali. Nonostante le difficoltà e lo scetticismo, la formula “due popoli, due stati” rimane l’unica alternativa praticabile per risolvere il conflitto. Il conflitto è un confronto storico lungo, principalmente nazionale e territoriale, influenzato da traumi storici per entrambi i popoli. Il movimento sionista mirava a creare uno Stato ebraico in Palestina, terra già abitata da arabi. La nascita di Israele nel 1948 ha comportato lo spostamento di centinaia di migliaia di palestinesi (Naqba) e l’espansione del territorio israeliano. La guerra del 1967 ha portato all’occupazione dei restanti territori palestinesi e all’inizio di una colonizzazione sistematica. I tentativi di processo di pace non hanno portato alla pace perché Israele e Stati Uniti perseguivano obiettivi diversi dalla creazione di un vero Stato palestinese indipendente basato sui confini del 1967. Israele ha continuato a espandere gli insediamenti e a mantenere il controllo militare. Le proposte descritte come “offerte generose” non erano piani per uno Stato palestinese sovrano, ma miravano a consolidare il controllo israeliano. Il fallimento di questi processi ha indebolito la leadership palestinese moderata e rafforzato i gruppi radicali. La questione centrale rimane l’occupazione militare e la colonizzazione israeliana. Una soluzione praticabile richiede due Stati basati sulle linee del 1967, riconoscimento reciproco, smantellamento degli insediamenti, gestione della questione dei rifugiati e status condiviso per Gerusalemme. La coesistenza tramite uno Stato palestinese accanto a Israele è l’unica alternativa ragionevole al conflitto continuo.Riassunto Lungo
1. La pace temuta e lo stato mancante
La questione centrale in Medio Oriente ruota attorno al diritto del popolo palestinese a una patria. La pace rimane irraggiungibile finché milioni di palestinesi non avranno uno Stato riconosciuto. Israele, dalla sua fondazione, ha violato numerose risoluzioni dell’ONU, mantenendo l’occupazione e impedendo la formazione di uno Stato palestinese indipendente. Questo comportamento è sostenuto economicamente, finanziariamente e militarmente da paesi occidentali come Stati Uniti ed Europa, che vedono Israele come un punto di controllo strategico nella regione.L’impegno dell’OLP e la figura di Yasser Arafat
L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), guidata da Yasser Arafat, ha cercato il dialogo e una soluzione politica basata su due Stati, nonostante le divisioni interne e gli attacchi esterni. Arafat, figura centrale della lotta palestinese, ha incarnato il destino del suo popolo, affrontando innumerevoli pericoli e resistendo a tentativi di eliminazione. La sua vita si identifica con il difficile cammino dei palestinesi verso l’autodeterminazione, un percorso ostacolato non solo da Israele ma anche dagli interessi dei regimi arabi.La paura della pace e la spirale di violenza
Per molti israeliani, la pace rappresenta un concetto sconosciuto e preoccupante, a differenza della guerra che rientra nel normale ordine delle cose. Questo timore, unito alla negazione dell’ingiustizia commessa verso i palestinesi, crea blocchi mentali che impediscono una soluzione equa. La violenza e il terrorismo, sia quello di Stato praticato da Israele (attraverso occupazione, demolizioni, uccisioni e assedi) sia quello che ne deriva come reazione, alimentano una spirale distruttiva. La mancata realizzazione degli accordi di Oslo e l’impedimento della nascita dello Stato palestinese hanno portato a una situazione esplosiva.La resistenza e la speranza palestinese
La resistenza palestinese, come dimostrato dall’Intifada, riflette la determinazione di un popolo che, nonostante le sofferenze, non ha perso la speranza. La soluzione risiede nel riconoscimento dei diritti palestinesi e nella fine dell’occupazione. Senza questi passi, la guerra continuerà , con rischi crescenti per la stabilità globale.Il capitolo, pur evidenziando l’occupazione come ostacolo centrale, non rischia forse di semplificare eccessivamente la complessità del conflitto, riducendo la violenza palestinese a mera reazione e trascurando le dinamiche interne e le diverse agende dei vari attori in gioco?
Il capitolo presenta una narrazione focalizzata principalmente sull’occupazione israeliana e sul supporto occidentale come cause primarie della mancata pace e della violenza. Tuttavia, per comprendere appieno la spirale distruttiva e le difficoltà nel raggiungere una soluzione, sarebbe utile approfondire non solo le azioni dello Stato di Israele, ma anche la storia e le motivazioni delle diverse fazioni palestinesi (oltre l’OLP), le loro strategie e il loro impatto sul processo di pace. Allo stesso modo, un’analisi più sfumata potrebbe esplorare le complessità della politica interna israeliana al di là di un generico “timore della pace”, e il ruolo ambiguo o talvolta ostruzionistico di alcuni regimi arabi, come accennato brevemente nel testo. Approfondire la storia del movimento palestinese, le diverse correnti ideologiche al suo interno e l’evoluzione della politica israeliana sulla sicurezza e sugli insediamenti può fornire un quadro più completo. Per un’analisi più approfondita di queste dinamiche, si possono consultare autori che hanno studiato la storia politica palestinese o le diverse prospettive all’interno della società israeliana.2. Delirio, propaganda e la via della pace
La reazione di Israele all’attacco del 7 ottobre è stata descritta come una risposta sproporzionata, che ha colpito principalmente i civili a Gaza. Oltre ai bombardamenti intensivi, sono stati imposti blocchi su beni essenziali come acqua, cibo ed elettricità , lasciando la popolazione in una situazione disperata. Gli Stati Uniti e l’Occidente sono stati accusati di complicità , fornendo sostegno finanziario e militare a Israele e opponendosi a un cessate il fuoco all’ONU.La via verso la pace
La creazione di uno Stato palestinese autonomo e indipendente, con Gerusalemme Est come capitale, è vista come l’unica soluzione per una pace duratura. Questo obiettivo richiede lo smantellamento degli insediamenti israeliani nei territori occupati dal 1967, un passo che attualmente manca di sostegno politico sia in Israele che tra i suoi alleati occidentali.Il ruolo del giornalismo
Il giornalismo italiano è stato criticato per una copertura mediatica parziale, spesso a favore di Israele e senza una conoscenza diretta della situazione a Gaza e in Cisgiordania. Alcuni giornalisti sono stati accusati di faziosità , contribuendo a una narrazione distorta. La situazione nei territori occupati è stata definita apartheid, mentre l’accusa di antisemitismo viene spesso usata per silenziare le critiche alle politiche israeliane.L’isolamento internazionale
Nonostante la sua superiorità militare, Israele appare politicamente isolato a livello globale, insieme ai suoi alleati occidentali. Questo isolamento è emerso chiaramente nel voto dell’Assemblea Generale dell’ONU a favore di una tregua umanitaria. La politica attuale è vista come una causa di crescente antisemitismo e di un allontanamento dalla comunità internazionale.Come può il capitolo presentare la soluzione a due stati come l'”unica” via per la pace, omettendo le complessità e gli ostacoli fondamentali che ne hanno storicamente impedito la realizzazione?
Il capitolo, pur indicando la soluzione a due stati come l’unica via per la pace, non approfondisce le ragioni storiche e politiche per cui tale soluzione non si è mai concretizzata, al di là della mancanza di sostegno per lo smantellamento degli insediamenti. Per comprendere appieno le sfide e le alternative, sarebbe utile approfondire la storia del processo di pace, le posizioni negoziali delle diverse parti, incluse le fazioni palestinesi, e le dinamiche geopolitiche regionali. Discipline come la storia del Medio Oriente e le relazioni internazionali offrono strumenti essenziali. Autori che hanno analizzato criticamente i negoziati di pace e le diverse prospettive sul conflitto possono fornire un quadro più completo.3. Un gesto a Ramallah
La copertura mediatica del conflitto israelo-palestinese è spesso distorta, con affermazioni non supportate da prove che trasformano il giornalismo in propaganda. Questo fenomeno compromette la formazione dell’opinione pubblica e mina la democrazia. Un esempio è la diffusione di notizie false, come quella sui “bambini decapitati” dopo l’attacco di Hamas, che mira ad aumentare l’orrore contro i palestinesi. Chi contesta tali notizie rischia di essere accusato di simpatia verso i terroristi, nonostante un lungo impegno contro il terrorismo.La voce della poesia
La condizione del popolo palestinese è segnata da sofferenza e sradicamento, come espresso nella poesia “Carta di identità ” di Mahmoud Darwish. La sua vita, caratterizzata dalla distruzione del villaggio natale, dall’esilio e dagli arresti, riflette la difficile realtà palestinese. La poesia esprime indignazione per l’usurpazione della terra e l’oppressione, pur mantenendo un tono elegiaco.L’azione nonviolenta a Ramallah
Nel 1988, a Ramallah, si svolge un’azione nonviolenta durante la visita di una delegazione parlamentare italiana. Alcuni membri si incatenano a lampioni in un punto trafficato della città , esponendo cartelli con messaggi come “Due popoli, due Stati”, “Convivenza pacifica” e “Stop alla repressione”. L’azione, pianificata per essere rapida e visibile, attira subito l’attenzione della popolazione palestinese locale, che mostra sostegno e gratitudine, offrendo cibo e bevande.La reazione e le conseguenze
L’arrivo dei soldati israeliani genera una fase di incertezza. Dopo aver chiesto spiegazioni e tentato invano di trovare le chiavi per liberare i manifestanti, i soldati tagliano le catene alla base dei pali. I manifestanti vengono trascinati in un furgone e portati in una struttura militare, dove subiscono un interrogatorio in un ambiente che mostra segni di violenza, come scalini macchiati di sangue. La notizia della protesta si diffonde rapidamente a livello internazionale, causando preoccupazione in Italia. L’intervento diplomatico italiano porta alla liberazione dei manifestanti e di un giovane palestinese arrestato con loro.L’impatto dell’azione
L’iniziativa dimostra che un’azione nonviolenta, anche se piccola, può esporre l’oppressione e mettere in difficoltà un apparato militare potente, mostrandone la vulnerabilità .È davvero sufficiente attribuire il fallimento dei piani di pace unicamente al sostegno esterno a un sistema definito “apartheid”, o si trascurano così le responsabilità e le dinamiche interne del conflitto?
Il capitolo, pur ponendo l’accento sul ruolo delle potenze esterne e usando un’etichetta forte come “apartheid”, rischia di offrire una spiegazione parziale del fallimento dei negoziati. La complessità del conflitto israelo-palestinese deriva anche dalle profonde divisioni tra le parti, dalle loro reciproche sfiducie e dalle posizioni irriducibili su questioni chiave come i confini, i rifugiati e la sicurezza. Per una visione più completa, è necessario studiare le posizioni negoziali storiche di entrambe le leadership, le dinamiche politiche interne israeliane e palestinesi, e le diverse interpretazioni delle risoluzioni internazionali. Approfondire il lavoro di storici come Avi Shlaim o Rashid Khalidi, e le analisi di organizzazioni che si occupano di diritto internazionale e diritti umani, può aiutare a cogliere la multifattorialità del problema.6. Il Lungo Inganno della Pace
Il conflitto tra israeliani e palestinesi ha radici profonde, legate a questioni nazionali e territoriali. Entrambi i popoli portano con sé traumi storici che influenzano il confronto. Il movimento sionista, nato per creare uno Stato ebraico in Palestina, si è scontrato con la presenza di una popolazione araba già insediata. La nascita di Israele nel 1948 ha segnato un punto di svolta, con lo spostamento forzato di centinaia di migliaia di palestinesi, evento noto come Naqba. Inoltre, il territorio israeliano si è espanso oltre i confini stabiliti dall’ONU, alimentando tensioni.L’occupazione e la colonizzazione
La guerra del 1967 ha portato all’occupazione dei territori palestinesi rimanenti, tra cui Cisgiordania e Gaza. Da allora, Israele ha avviato una colonizzazione sistematica, sostenuta da diverse forze politiche. Questo processo ha ulteriormente complicato la situazione, rendendo sempre più difficile la possibilità di una soluzione pacifica. I tentativi di negoziato, come gli accordi di Madrid e Oslo, non hanno portato ai risultati sperati, lasciando il conflitto irrisolto.I fallimenti del processo di pace
I negoziati di pace, tra cui Camp David, Road Map e Annapolis, non hanno raggiunto l’obiettivo di creare uno Stato palestinese indipendente. Le proposte avanzate da figure come Barak e Olmert, spesso descritte come “offerte generose”, non garantivano la sovranità palestinese. Al contrario, miravano a consolidare il controllo israeliano sui territori occupati, lasciando i palestinesi in aree isolate e prive di autonomia su confini, risorse e Gerusalemme Est. Questo approccio ha indebolito le leadership moderate palestinesi e favorito l’ascesa di gruppi radicali.La via per una soluzione
La questione centrale rimane l’occupazione militare e la colonizzazione israeliana. Una soluzione praticabile richiede la creazione di due Stati basati sulle linee del 1967, con un reciproco riconoscimento e la gestione condivisa di temi cruciali come i rifugiati e lo status di Gerusalemme. La coesistenza pacifica tra uno Stato palestinese e Israele rappresenta l’unica alternativa ragionevole a un conflitto che continua a trascinarsi senza fine.Davvero il “lungo inganno della pace” è stato un inganno a senso unico, o il capitolo omette di analizzare le responsabilità e le divisioni interne della parte palestinese nel fallimento dei negoziati?
Il capitolo offre una prospettiva chiara, concentrandosi sulle azioni israeliane come causa principale del perdurare del conflitto e del fallimento dei negoziati. Tuttavia, per comprendere appieno la complessità della situazione, è fondamentale considerare anche il ruolo giocato dalle dinamiche interne palestinesi, dalle strategie negoziali adottate dalle loro leadership e dalle profonde divisioni politiche che hanno spesso ostacolato un fronte comune. Approfondire la storia politica palestinese e le sfide della costruzione statale, magari leggendo autori come Rashid Khalidi o Yezid Sayigh, può fornire un quadro più sfaccettato.Abbiamo riassunto il possibile
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