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Contenuti del libro
Informazioni
“Orrore, schifo, guerra. L’aggressione all’Ucraina nelle parole dei bambini russi” di Julia Yakovleva non è un libro sul fronte, ma su come la guerra in Ucraina si insinua nella vita quotidiana dei bambini e adolescenti russi, anche a migliaia di chilometri di distanza. Attraverso le loro voci, raccolte in Russia, scopriamo un mondo dove il conflitto arriva tramite i telefoni, le discussioni in famiglia, la propaganda a scuola e la crescente censura. Questi giovani, dai 5 ai 17 anni, non vedono le bombe, ma vivono la paura, il silenzio imposto dagli adulti, la confusione di fronte a un argomento proibito e le divisioni che spaccano le famiglie. Il libro esplora come reagiscono alla repressione statale, a volte con sottili gesti di dissenso o con un senso di assurdo, e come cercano di capire una realtà che sembra sfuggire a ogni logica. È un ritratto crudo e necessario dell’impatto della guerra e della propaganda russa sulle nuove generazioni, mostrando il loro trauma di testimonianza e la loro sorprendente lucidità nel navigare un mondo dove la parola “guerra” stessa è diventata illegale. Le loro testimonianze guerra sono preziose per capire cosa significa crescere all’ombra di un conflitto che non hanno scelto, ma che li segna profondamente.Riassunto Breve
La guerra in Russia, pur non manifestandosi sempre con bombardamenti diretti, ha un impatto profondo sulla vita di bambini e adolescenti. Entra attraverso i telefoni, le tensioni familiari, l’ambiente scolastico e i cambiamenti nella società. Molti adulti tendono a minimizzare queste esperienze, ritenendo più importanti le sofferenze al fronte. I giovani, invece, spesso riescono a parlare della situazione con meno filtri e paure rispetto agli adulti, ponendo domande semplici ma fondamentali. La guerra diventa rapidamente un argomento proibito in molte famiglie, generando divisioni e silenzi, con i giovani che cercano modi per mantenere il dialogo nonostante i disaccordi con genitori o nonni pro-governo. La paura di conseguenze legali per le parole o le azioni è concreta. Si assiste o si sente parlare di arresti di familiari o manifestanti, eventi che i bambini descrivono con una normalità che evidenzia quanto la repressione stia diventando parte della quotidianità. Questa situazione rivela una profonda abitudine alla violenza e all’accettazione della sofferenza nella società. Nonostante il clima di paura e la censura, emergono forme di protesta nascoste, come adesivi o simboli disseminati di nascosto, spesso opera di adolescenti che agiscono con un misto di paura ed eccitazione, trovando in queste azioni un senso di non essere soli. Tra i giovani non si riscontrano posizioni apertamente a favore della guerra, ma esiste molta confusione e ambivalenza. Si cerca di capire chi approva l’uccisione di persone. Alcuni giustificano il conflitto come una difesa necessaria contro minacce esterne, spesso identificando l’America come avversario. Sostenere il proprio paese diventa una risposta automatica. Emergono domande difficili e irrisolte sulla lealtà al paese e l’opposizione alla violenza, particolarmente acute per chi ha familiari nell’esercito. I bambini più piccoli hanno una comprensione limitata o nulla della guerra, ma percepiscono la paura e la tensione degli adulti attraverso i loro sguardi e comportamenti. Molti genitori scelgono di non parlare del conflitto, creando una “sfera di silenzio” intorno a loro, anche se la guerra si insinua comunque attraverso l’atmosfera familiare. La parola “guerra” stessa è soggetta a restrizioni legali e viene evitata anche nelle conversazioni private, sostituita da eufemismi come “questi eventi” o “questa cosa”. Il conflitto diventa un’entità senza nome, che incute timore. Lo Stato investe molto nella propaganda, anche nelle scuole, cercando di ottenere il supporto dei giovani e imponendo simboli come la Z e la V, il cui significato appare confuso. Le scuole diventano luoghi dove si impone il silenzio sulle opinioni non allineate. Molti studenti reagiscono alla retorica ufficiale con scetticismo o ironia, e a volte proteggono insegnanti contrari alla guerra mantenendo il silenzio. I giovani sperimentano un trauma da testimonianza: vedono e sanno, ma non possono agire. Provano paura per simboli di autorità o rumori forti. Si verifica un rovesciamento dei ruoli, dove i giovani sentono il bisogno di proteggere i genitori dalle loro paure, mentre gli adulti a volte minimizzano le preoccupazioni dei figli, attribuendole a difficoltà legate all’età. Comprendere le voci di questi giovani, con le loro paure, la loro rabbia e le loro domande irrisolte, è fondamentale per capire l’impatto della guerra al di là del fronte e la complessa realtà che stanno vivendo.Riassunto Lungo
1. L’Eco Lontana della Guerra
L’impatto della guerra nella vita quotidiana
Anche se la guerra non colpisce direttamente con bombe o fughe, entra nella vita quotidiana di bambini e adolescenti. La sentono arrivare soprattutto attraverso i telefoni. Molti adulti pensano che queste esperienze non siano importanti come le sofferenze di chi è al fronte. Ma la guerra, anche se lontana, si fa strada nei loro giorni, nei sogni, nei piccoli litigi e nelle amicizie. I bambini, a differenza di tanti grandi, riescono a parlare di questa nuova realtà senza avere paura di sbagliare o di dire cose non giuste.Le domande e le prime reazioni
Il tempo che stiamo vivendo porta domande semplici ma molto importanti. Ci si chiede, ad esempio, se sia giusto o sbagliato togliere la vita a un essere umano. I giovani parlano di come hanno saputo che la guerra era iniziata, spesso ricordando il 24 febbraio. Raccontano dello shock, della fatica di credere a quello che succedeva, della tensione che si sentiva a scuola. Descrivono una sensazione strana, come se la normalità fosse sparita. Anche se le bombe non cadono vicino a loro, alcuni provano paura.Il valore delle testimonianze e il modo di ascoltare
Le parole di questi bambini e adolescenti, che hanno tra i 5 e i 17 anni, sono molto preziose. Sono una testimonianza di un momento storico unico. I giovani stessi capiscono quanto sia importante quello che stanno vivendo e raccontando. Ascoltare le loro voci significa dare valore alla loro esperienza. È importante raccogliere queste storie così come vengono raccontate, senza giudicare le opinioni e senza cercare di cambiarle. Ad esempio, la parola ‘guerra’ non viene usata a meno che non siano i ragazzi a farlo per primi. Questo perché oggi, in russo, quella parola non fa più pensare solo al conflitto del 1941-45, ma si riferisce subito alla guerra di oggi.Ascoltare i bambini “senza giudicare” è davvero un approccio neutro, o rischia di trascurare il contesto e la necessità di interpretazione critica?
Il capitolo pone grande enfasi sul valore delle testimonianze dei bambini e sulla necessità di raccoglierle così come sono, evitando giudizi o tentativi di modificarle, e persino evitando termini specifici come “guerra” se non usati dai ragazzi stessi. Sebbene l’intento di dare voce ai giovani sia lodevole, sorge il dubbio se un ascolto puramente passivo sia sufficiente. Le esperienze dei bambini sono filtrate dalla loro età, dal loro ambiente sociale, dalle informazioni (spesso incomplete o distorte) che ricevono. Un approccio che si limita a registrare rischia di non cogliere le sfumature, le influenze esterne e la necessità di contestualizzare le loro parole. Per comprendere appieno il significato di queste testimonianze, potrebbe essere utile integrare l’ascolto con strumenti interpretativi. Approfondire discipline come la psicologia dello sviluppo, la sociologia dell’infanzia e l’ermeneutica può fornire chiavi di lettura fondamentali. Autori come Lev Vygotsky o Jerome Bruner, che hanno studiato come i bambini costruiscono il significato e le narrazioni, o Hans-Georg Gadamer, che si è occupato del processo interpretativo, potrebbero offrire spunti per andare oltre la semplice registrazione e comprendere più a fondo ciò che viene detto, e ciò che forse non può essere detto esplicitamente.2. L’argomento Proibito e i Ragazzi
La guerra rompe il senso di sicurezza dei ragazzi russi, toccandoli attraverso gli adulti e la famiglia. I giovani tra gli 11 e i 17 anni capiscono quali possono essere le conseguenze legali delle azioni, come condanne, multe o accuse penali. Nelle famiglie nascono divisioni di idee sulla situazione attuale. Alcuni ragazzi trovano il modo di parlare con genitori o nonni che hanno posizioni molto favorevoli al governo, cercando di mantenere un dialogo nonostante non siano d’accordo. Per molti, la guerra diventa “quell’argomento” di cui non si parla più apertamente in casa.Vedere la repressione
Assistere o vivere l’arresto di familiari perché hanno protestato contro la guerra diventa una cosa normale. I bambini raccontano con calma storie di madri o nonne portate via dalla polizia in furgoni, che chiamano “cellulari”. Questo mostra quanto velocemente certi eventi diventino parte della vita di tutti i giorni. I ragazzi provano ansia per possibili perquisizioni a casa o hanno paura di finire in orfanotrofio. Ma provano anche orgoglio per quello che fanno i genitori o si sentono tranquilli perché credono che “la verità vince sempre”. Si vedono agenti in tenuta anti-sommossa inseguire e arrestare persone che manifestano, anche giovani che hanno solo cartelli per la pace. Queste esperienze, a volte vissute con un senso di assurdità o persino con umorismo nero, fanno capire come la repressione sia entrata nella vita di ogni giorno.Le reazioni dei ragazzi e la società
Nella società c’è una profonda abitudine alla violenza. Questa abitudine esisteva già, ma la guerra l’ha peggiorata. Si vede nell’accettazione della sofferenza degli altri e nel silenzio generale. Alcuni adulti, anche se contrari alla guerra, sembrano valutare la sofferenza in base alla nazionalità delle persone, mostrando una specie di superiorità morale. I ragazzi si sentono confusi, ridono per nervosismo e non trovano una logica negli eventi di oggi. Questo è diverso dalle crudeltà del passato, che almeno avevano una ragione chiara. Si chiedono perché non ci siano piccoli gesti di opposizione dentro il sistema. Iniziano a vedere simboli di dissenso o la bandiera ucraina anche in cose normali, nella natura. Nonostante le difficoltà, questi ragazzi capiscono l’importanza storica di quello che stanno vivendo e vogliono che le loro esperienze vengano raccontate e ricordate.Se le crudeltà del passato avevano una ragione chiara, cosa rende quelle di oggi intrinsecamente illogiche o prive di senso?
Il capitolo introduce l’idea che i ragazzi trovino gli eventi attuali privi di una logica chiara, a differenza delle “crudeltà del passato” che, a loro dire, una ragione l’avevano. Questa distinzione merita un approfondimento critico. La violenza e la crudeltà, in qualsiasi epoca, sono fenomeni complessi le cui “ragioni” (politiche, ideologiche, economiche) non le rendono intrinsecamente logiche o razionali, né giustificabili. Affermare che le crudeltà passate avessero una “ragione chiara” rischia di semplificare eccessivamente la storia e la natura stessa della violenza. Per comprendere meglio questa apparente illogicità e la percezione dei ragazzi, sarebbe utile esplorare la filosofia della violenza, la sociologia dei conflitti e le analisi storiche che decostruiscono le motivazioni dietro le atrocità, magari leggendo autori come H. Arendt.3. Voci Nascoste e Segni Visibili
Parlare con i giovani in Russia presenta difficoltà significative. I genitori spesso esitano o rifiutano il permesso di farli parlare, preoccupati che i figli possano rivelare informazioni che portino a conseguenze negative, dato che in questa realtà le parole possono essere punite. Molti genitori sottovalutano la complessità della vita dei loro figli adolescenti, che spesso è molto diversa da quella che immaginano. La guerra in corso, anche se percepita come lontana, ha un impatto diretto sulle famiglie, mostrando la vulnerabilità degli adulti in modo inatteso. I bambini notano i cambiamenti nel comportamento dei genitori, come pianti o urla, e questo genera in loro una profonda paura e insicurezza. Sentono il peso della responsabilità per la sicurezza familiare e imparano molto presto a non parlare di certi argomenti, specialmente a scuola, per evitare di creare problemi.Il silenzio degli adolescenti
Gli adolescenti, pur essendo più difficili da controllare e limitare rispetto ai bambini più piccoli, imparano rapidamente a nascondere le loro azioni e i loro pensieri ai genitori. Questa necessità di segretezza nasce dalla paura delle reazioni o delle conseguenze negative che potrebbero derivare dalla condivisione aperta delle loro opinioni o esperienze. Spesso, quando si confidano con qualcuno al di fuori della famiglia, chiedono specificamente che quanto detto non venga riferito alla madre, indicando una particolare apprensione riguardo alla sua risposta o al suo giudizio. Questo comportamento di occultamento diventa una strategia per navigare un ambiente percepito come potenzialmente ostile o giudicante, permettendo loro di mantenere una sfera di autonomia e pensiero critico lontana dallo sguardo genitoriale. Imparano così a vivere una sorta di doppia vita, dove una parte significativa delle loro esperienze e opinioni rimane nascosta per preservare l’equilibrio familiare e personale.Osservare il mondo e cercare informazioni
I giovani osservano attentamente il loro ambiente quotidiano, notando i cambiamenti visibili che li circondano. Un segnale evidente e presente ovunque è l’aumento delle bandiere russe negli spazi pubblici, un segno tangibile del clima politico attuale. La guerra entra nella loro vita in modo prepotente anche attraverso i telefoni, che diventano strumenti cruciali per cercare di capire cosa sta succedendo nel mondo. Molti passano molto tempo a leggere informazioni online, consultando fonti diverse nel tentativo di farsi un’idea più completa, pur riconoscendo con lucidità che nessuna singola fonte offre la verità assoluta e completa. L’approccio a queste informazioni varia notevolmente tra i giovani: alcuni evitano immagini e video espliciti per paura dell’impatto emotivo che potrebbero avere, altri li schivano perché cercano di comprendere i meccanismi profondi degli eventi e le cause sottostanti piuttosto che le reazioni superficiali. Per altri ancora, guardare video e contenuti multimediali è più immediato, anche se provoca una forte reazione emotiva che poi cercano di nascondere agli altri per apparire forti o indifferenti.Ma è davvero così certo che la “battaglia per il cuore” dei giovani sia già persa?
Il capitolo conclude con un’affermazione molto forte: lo Stato avrebbe già perso la battaglia per ottenere il sostegno dei giovani. Questa conclusione, per quanto auspicabile, potrebbe apparire affrettata o eccessivamente ottimistica, data la pervasività della propaganda e la violenza del regime descritte in precedenza. Per valutare meglio la solidità di tale tesi, sarebbe utile approfondire lo studio dei meccanismi della propaganda e del controllo sociale, in particolare su popolazioni giovani e in contesti autoritari. Discipline come la sociologia politica, la psicologia sociale e gli studi sui media possono fornire strumenti critici. Autori che hanno analizzato i regimi totalitari o i processi di persuasione di massa, come Arendt o studiosi di propaganda contemporanea, potrebbero offrire spunti per comprendere quanto sia difficile resistere alla pressione di uno Stato che usa ogni mezzo per imporre la propria narrativa e ottenere conformismo.8. Voci dall’ombra della guerra
Nelle scuole, i regimi si servono della propaganda per influenzare le menti più giovani. In Russia, si vede come gli studenti reagiscano alla retorica ufficiale con ironia e scetticismo, un dissenso giovanile che non è un fenomeno nuovo. Questa resistenza si è manifestata anche in passato, come durante la Prima Guerra Mondiale in Italia. Un gruppo di bambini, tra gli 11 e i 14 anni, a San Benedetto Po, si è ribellato apertamente durante un discorso patriottico, gridando contro la guerra e contro i ricchi ritenuti responsabili. Questi giovani sono stati denunciati e processati, e alcuni hanno ricevuto pene detentive. La loro protesta nasceva dal profondo dolore per i familiari impegnati al fronte e dalla rabbia per i pericoli che la guerra imponeva alle classi più povere. Nello stesso periodo, altre giovani ragazze furono arrestate per aver diffuso visioni sulla fine del conflitto, dimostrando un altro modo di esprimere dissenso.Emozioni e modi per affrontare la guerra
I bambini e gli adolescenti che vivono in contesti di guerra, anche se lontani dalle prime linee, provano forti emozioni come rabbia, ansia e tristezza. I ricordi di infanzia legati alla Seconda Guerra Mondiale spesso riportano l’immagine di madri spaventate o arrabbiate, riflettendo la tensione diffusa. I giovani, a volte, reagiscono a questa realtà con scherno verso la retorica bellicista o attraverso giochi che imitano la guerra, un modo per elaborare ciò che vedono e sentono. La guerra entra nella vita dei giovani russi spesso attraverso i media, mentre le strade, a causa della repressione del dissenso, diventano luoghi potenzialmente pericolosi. In generale, si nota un aumento del controllo sull’infanzia nella società moderna e tecnologica. Nonostante le difficoltà, i bambini in zone di conflitto, come in Bosnia, sviluppano strategie per resistere all’angoscia, cercando conforto stringendosi ai genitori o trovando rifugio nel mondo del gioco.Il divario tra adulti e giovani e il trauma della testimonianza
Spesso si assiste a un rovesciamento dei ruoli tradizionali: i giovani sentono il bisogno di proteggere i genitori dalle loro paure o dalle loro reazioni, scegliendo frequentemente il silenzio per non peggiorare la situazione. Gli adulti, al contrario, tendono a minimizzare le preoccupazioni dei figli, attribuendole semplicemente alle normali difficoltà legate all’età. Questa prospettiva adulta che vede l’infanzia come intrinsecamente fragile o innocente ignora la complessità delle esperienze giovanili, specialmente in tempi di guerra. I giovani che vivono la guerra sperimentano quello che viene definito un “trauma di testimonianza”: vedono e sanno cose terribili, ma si sentono impotenti, incapaci di agire per cambiare la situazione. Alcuni di loro esprimono rabbia e persino odio, ma riescono a distinguere tra il sentimento interiore e l’azione violenta, dimostrando una notevole consapevolezza della natura del male. La tendenza degli adulti a concentrarsi unicamente sulle vittime, evitando di confrontarsi con le responsabilità o le origini profonde del conflitto, rappresenta un modo per non affrontare la propria parte all’interno del sistema. È fondamentale ascoltare le voci dei giovani, anche quando sono scomode, perché solo così si può comprendere appieno la realtà della guerra e le sue conseguenze più profonde.Ma non si rischia forse di appiattire la complessità delle “voci dall’ombra della guerra” accostando esperienze storiche e culturali così diverse senza le dovute distinzioni?
Il capitolo offre spunti preziosi sulle reazioni giovanili alla guerra, citando esempi che vanno dalla Russia contemporanea all’Italia della Prima Guerra Mondiale e alla Bosnia. Tuttavia, presentare queste esperienze in rapida successione, pur accomunate dal tema del dissenso o della sofferenza, potrebbe indurre a generalizzazioni eccessive. Ogni contesto bellico è intriso di specificità storiche, sociali e politiche che modellano in modo unico le vite dei giovani. Ignorare queste differenze rischia di non rendere giustizia alla profondità e alla varietà delle loro risposte. Per superare questa potenziale lacuna, sarebbe utile esplorare studi di storia comparata dei conflitti, analisi sociologiche delle diverse forme di resistenza (manifesta e sommersa) e lavori di psicologia dello sviluppo focalizzati sull’impatto di specifici tipi di trauma in contesti culturalmente definiti. Approfondire autori che trattano la storia dell’infanzia in guerra o la sociologia dei movimenti giovanili può fornire gli strumenti critici necessari per analizzare queste “voci” nella loro irripetibile singolarità.Abbiamo riassunto il possibile
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