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Contenuti del libro
Informazioni
“Ombre verdi. L’imbroglio del capitalismo green. Cambiare paradigma dopo la pandemia” di Paolo Cacciari è una lettura che ti apre gli occhi su un problema enorme. In pratica, il libro dice che tutta questa storia del capitalismo green e dello sviluppo sostenibile, così come ce la raccontano, è un po’ una presa in giro. L’autore argomenta che il vero responsabile della crisi ecologica e delle disuguaglianze sociali assurde che vediamo in giro è proprio il sistema economico basato sul profitto e sulla crescita illimitata. Non ci sono personaggi specifici o luoghi precisi, ma si parla di come questo sistema globale stia distruggendo la natura, causando danni come geocidio e biocidio, e colpendo soprattutto i poveri e i territori più vulnerabili. Il libro smonta l’idea che si possa risolvere tutto con soluzioni di mercato o tecnologie “verdi”, perché queste cose non fanno che mercificare la natura e non affrontano i limiti planetari. Invece di credere all’illusione della sostenibilità di mercato o al decoupling, serve un cambio radicale, una vera giustizia climatica e magari anche la decrescita, per andare oltre la logica del dominio e del denaro e pensare ai beni comuni. È un invito a capire che il sistema va cambiato alla radice per un futuro diverso.Riassunto Breve
Il sistema economico attuale provoca distruzione ambientale e disuguaglianza sociale. Molti obiettivi globali per lo sviluppo sostenibile non vengono raggiunti; aumentano fame, lavoro forzato, migrazioni e disuguaglianze di ricchezza. Sul piano ambientale, si osservano perdita di biodiversità, degrado dei suoli, acidificazione degli oceani e rarefazione dell’ozono. L’estrazione di materie prime è aumentata enormemente, con i paesi ricchi che consumano molto di più. Questa economia causa danni definiti geocidio, biocidio ed ecocidio, una guerra contro la natura radicata in un sistema che promuove avidità e arricchimento individuale. Nonostante la conoscenza dei problemi, cambiare abitudini è difficile. La crisi ambientale diventa un’opportunità di business, gestita dal capitale finanziario che investe sia in fonti fossili che rinnovabili. Beni comuni come l’atmosfera vengono privatizzati; sistemi come l’Emission Trading System trasformano il diritto di inquinare in titoli negoziabili, rivelandosi inefficaci nel limitare il riscaldamento globale e favorendo il neocolonialismo. La logica espansiva del capitalismo trasforma ogni risorsa e relazione in fattore produttivo per il profitto. Nella guerra contro la natura, i più colpiti sono i poveri, le donne e i bambini, che vivono nei territori più vulnerabili e sono meno responsabili delle emissioni. La ricchezza è estremamente concentrata; i ricchi pagano meno tasse. Esiste una forte correlazione tra disuguaglianza economica e di genere; le donne possiedono meno ricchezza e svolgono molto lavoro di cura non retribuito, ma sono spesso in prima linea nelle proteste ambientali. Il degrado ambientale, sociale e psichico sono aspetti interconnessi della perdita di senso causata dai rapporti sociali capitalistici. L’integrazione dei valori della natura nelle pianificazioni tende a ridurla a “capitale” con valore economico, misurando e monetizzando ecosistemi e servizi per creare mercati e promuovere una crescita definita “verde”. Questo approccio rischia di ignorare i valori intrinseci della natura. La transizione ecologica viene presentata come un processo che richiede ingenti finanziamenti privati, affidandosi alla finanza “sostenibile” (ESG, green bond) come opportunità di profitto. L’obiettivo primario rimane lo sviluppo economico e la crescita dei fatturati; la sostenibilità diventa uno strumento per rivitalizzare il mercato. L’economia “verde” integra la natura nella logica del valore monetario e della crescita continua, gestendo la natura in base al suo potenziale di generare valore di scambio. Le grandi aziende mostrano interesse per l’ambiente anche per integrare obiettivi sociali e ambientali nelle strategie, ma alcuni vedono questo come un tentativo del capitalismo di risolvere i problemi che ha creato senza cambiare il sistema. La filantropia dei ricchi è vista con scetticismo; si critica il capitalismo che produce “scarti” (povertà, danni ambientali) e poi cerca di curarli, invece di cambiare le regole per prevenire i danni. La “svolta etica” cerca nuovi mercati per affrontare la crisi strutturale del sistema, caratterizzata da rendimenti in calo. L’approccio tecnico alla sostenibilità suggerisce soluzioni senza cambiare stili di vita, ma i costi sociali e ambientali superano i benefici. Il concetto di “sviluppo sostenibile” è considerato ingannevole, suggerendo un equilibrio tra conservazione e profitto che non sempre è possibile. Non esiste compromesso tra il valore intrinseco degli esseri viventi e la loro valorizzazione economica. Il capitalismo è visto come un progetto di dominio globale sulla vita. La crisi ecologica è conseguenza dell’aumento degli impatti umani legati al potere tecnologico capitalistico. Le soluzioni proposte come l’economia verde o circolare non affrontano la crisi strutturale; “sostenibilità” diventa etichetta di marketing. L’era dei rendimenti decrescenti e del debito crescente limita le politiche sociali; il debito è uno strumento di controllo. I flussi di denaro arricchiscono pochi e impoveriscono molti. L’idea centrale dello sviluppo sostenibile è il “decoupling” (separare crescita economica da impatti ambientali), ma non ci sono prove che stia avvenendo alla scala necessaria. L’aumento di efficienza spesso porta a più produzione (effetto rimbalzo) o sposta i problemi. La green economy è definita una “chimera pericolosa”. Per invertire le crisi, è necessario ridurre produzione e consumo nei paesi ricchi, dando priorità alla sufficienza. La crisi climatica conferma il conflitto tra capitalismo e natura; nessuna rivoluzione verde è possibile senza cambiare la struttura basata sul profitto e l’accumulazione. Le risorse naturali si esauriscono rapidamente; l’uso globale di materiali primari è previsto raddoppiare. L’aumento di popolazione e consumi annulla i guadagni di efficienza. Attività estrattive e lavorazione materiali causano oltre metà delle emissioni. La scarsità alimenta conflitti. Le tecnologie “verdi” richiedono elementi rari la cui estrazione è distruttiva. Le risposte attuali si dimostrano inefficaci; l’idea di cicli a impatto zero o riciclo infinito non corrisponde alla realtà. Le tecnologie “verdi” hanno impatti significativi. L’obiettivo di “emissioni nette zero” si basa su scommesse tecnologiche rischiose (geoingegneria) viste come opportunità di profitto. Anche le tecnologie digitali hanno un’impronta ecologica crescente. L’approccio basato su tecnologia ed economia porta a credere che i problemi siano risolvibili senza cambiare stili di vita o modello economico. La logica finanziaria privilegia interventi ad alta intensità di capitale che generano profitto, ignorando soluzioni più semplici come il risparmio energetico. Il Prodotto Interno Lordo (PIL) misura la profittabilità del capitale, non il benessere o i costi ambientali. La “crescita verde” fallisce perché esiste una contraddizione strutturale tra economia di mercato e limiti naturali. Finanziare la cura della crisi ecologica attraverso la crescita significa aumentare lo sfruttamento. Il concetto di “consumatore sovrano” è un mito; il potere è nelle classi dominanti e nei consumatori ricchi. La maggioranza è costretta a scegliere merci economiche, spesso meno sostenibili. Il consumo diventa obbligatorio per la riproduzione sociale. Per superare questa logica, è necessario mettere in discussione il modello di crescita. La teoria della decrescita propone di limitare il consumo totale di risorse e impedire alle aziende di trarre profitto dalla distruzione. Un cambiamento profondo richiede una trasformazione sociopolitica che renda i beni comuni accessibili a tutti. Il cittadino “prosumer” e la riscoperta dei beni comuni offrono percorsi per riequilibrare il rapporto tra società, economia e ambiente, sottraendo risorse e decisioni alla logica del profitto. La crisi attuale deriva dal dominio del pensiero economico nella società moderna, che ha reso l’economia il fine e il mezzo della cooperazione sociale. Riformare l’economia non basta; è necessario metterne in discussione l’essenza. L’economia moderna ha creato l’*homo oeconomicus*, orientato al profitto e al potere, imponendo logiche utilitaristiche e produttivistiche, con conseguenze distruttive. Le proposte di rendere l’economia più “verde” o “sociale” non affrontano la radice perché mantengono la logica di crescita e massimizzazione del profitto, in conflitto con la sostenibilità. La dipendenza quasi totale dal denaro intrappola la società. Il mercato non è neutro, favorisce le classi dominanti. Per superare, è necessario cambiare l’idea di ricchezza, valorizzando occupazione dignitosa, rigenerazione naturale, coesione sociale, solidarietà. Anche iniziative importanti mostrano limiti nel non criticare a fondo l’antropocentrismo e l’idea di dominio umano sulla natura, cause profonde della crisi. Uscire dalla logica economica richiede di sostituire l’utilitarismo con valori come cooperazione, solidarietà, reciprocità e cura. Le attività per ridurre l’impatto ambientale, diminuire le disuguaglianze e curare le relazioni umane possono essere viste come forme di cura per sé, gli altri e il mondo. Il pianeta affronta una grave crisi ecologica che causa danni concreti e minaccia le generazioni future, colpendo duramente le popolazioni vulnerabili. Il sistema economico attuale, basato sulla crescita continua e sul consumo insostenibile, è la causa principale e non può risolvere la crisi perché non può rinunciare all’espansione. Le soluzioni di mercato o tecnologiche non affrontano la radice del problema. È necessario un cambiamento radicale. I principi di giustizia climatica e la visione ecosocialista propongono un’alternativa basata sul diritto delle comunità di essere libere dalla distruzione ecologica e sulla necessità di ridurre drasticamente le emissioni. Richiede responsabilità dei governi, ruolo guida delle comunità colpite, opposizione all’influenza delle multinazionali, riconoscimento del debito ecologico dei paesi ricchi. L’alternativa prevede la fine dei combustibili fossili e un passaggio a energie pulite e rinnovabili gestite localmente. L’obiettivo è superare la logica del profitto per dare priorità al benessere delle persone e dell’ambiente, garantendo un futuro sostenibile. Le azioni devono corrispondere alle parole per costruire un mondo migliore.Riassunto Lungo
1. La Guerra del Capitale contro la Terra e i Poveri
Il sistema economico attuale porta a una forte distruzione dell’ambiente e a una crescente disuguaglianza sociale. Molti degli obiettivi fissati dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile non vengono raggiunti, come documentato dall’osservatorio dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile. Si assiste a un aumento della fame nel mondo, del lavoro in condizioni di sfruttamento e schiavitù, delle migrazioni forzate e a una distribuzione della ricchezza sempre più diseguale.I danni all’ambiente
Sul piano ambientale, gli scienziati lanciano l’allarme: si sta perdendo la varietà di forme di vita (biodiversità), i terreni diventano meno fertili, gli oceani si acidificano e lo strato di ozono nell’atmosfera si assottiglia. La quantità di materie prime estratte dalla Terra è cresciuta enormemente, passando da 22 miliardi di tonnellate nel 1970 a 70 miliardi nel 2015. I Paesi più ricchi consumano una quantità di risorse molto maggiore rispetto ai Paesi più poveri. Questa economia causa danni così gravi da essere definiti come una vera e propria guerra contro la natura, che ha già portato all’estinzione di moltissime specie viventi.Le radici del problema
Questa situazione non è dovuta semplicemente a mancanza di conoscenza o a cattiveria, ma affonda le sue radici in un sistema economico e sociale che incoraggia l’avidità, la ricerca sfrenata del guadagno personale e l’egoismo. Questo modo di pensare e agire influenza profondamente i comportamenti delle persone e il loro rapporto con l’ambiente naturale. Si nota una strana contraddizione: pur essendo consapevoli dei problemi, le persone faticano enormemente a cambiare le proprie abitudini.La crisi come affare
In questo contesto, la crisi ambientale viene vista anche come un’occasione per fare affari. La transizione verso un’economia definita “verde” è guidata dal grande capitale finanziario, che investe contemporaneamente sia nelle fonti di energia inquinanti (fossili) sia nelle energie rinnovabili. Si verifica un fenomeno di appropriazione e privatizzazione di beni che appartengono a tutti, come l’aria che respiriamo. Il sistema di scambio di quote di emissione (Emission Trading System – ETS) trasforma l’aria e persino il diritto di inquinare in titoli che possono essere comprati e venduti sul mercato. Questo meccanismo permette alle aziende di comprare permessi per inquinare invece di essere obbligate a ridurre le emissioni direttamente dove vengono prodotte. Questo sistema si è dimostrato poco efficace nel limitare l’aumento della temperatura globale e favorisce una forma moderna di sfruttamento dei Paesi più poveri, permettendo ai Paesi ricchi di “compensare” le proprie emissioni altrove senza ridurle realmente in casa propria. La logica di espansione del capitalismo porta a considerare ogni risorsa e ogni rapporto umano o naturale come un semplice strumento per aumentare i profitti. L’aria, proprio come l’acqua o il patrimonio genetico, diventa una merce da vendere e comprare.Chi paga il prezzo più alto
Nella guerra contro la natura, le persone che subiscono le conseguenze peggiori sono i poveri, le donne e i bambini. Sono loro a vivere nei territori più esposti ai disastri ambientali e sono anche quelli che hanno contribuito di meno a causare le emissioni inquinanti. La disuguaglianza economica è estrema: nel 2018, solo 26 persone ricchissime possedevano una ricchezza pari a quella di 3,8 miliardi di persone, la metà più povera della popolazione mondiale. I ricchi pagano meno tasse rispetto al passato, aumentando ulteriormente il divario. Esiste una forte connessione tra la disuguaglianza economica e quella di genere: le donne possiedono meno ricchezza e svolgono un’enorme quantità di lavoro di cura non pagato. Le donne sono spesso in prima linea nei movimenti che lottano per proteggere l’ambiente e gli ecosistemi. Il peggioramento delle condizioni ambientali, sociali e psicologiche sono aspetti legati tra loro e riflettono la perdita di significato e valore causata dai rapporti sociali basati sul profitto tipici del capitalismo.È davvero sufficiente attribuire la radice di problemi così vasti e complessi unicamente a un sistema economico, o si rischia di trascurare altre dinamiche storiche, culturali e sociali?
Il capitolo pone l’accento, in modo molto netto, sul sistema economico attuale come unica e profonda radice dei problemi ambientali e sociali descritti. Questa prospettiva, pur potente, potrebbe beneficiare di un maggiore approfondimento su come fattori non strettamente economici – come specifici sviluppi tecnologici, dinamiche demografiche globali, o persino aspetti della natura umana e delle strutture sociali che precedono il capitalismo – possano aver contribuito o interagito con il sistema economico nel creare la situazione attuale. Per esplorare queste sfaccettature e comprendere la complessità del fenomeno da angolazioni diverse, può essere utile approfondire lo studio della storia globale, della sociologia e dell’antropologia, considerando autori che offrono visioni ampie sull’evoluzione delle società umane e il loro impatto sull’ambiente, come ad esempio Yuval Noah Harari.2. Conti con la Natura: Il Prezzo della Vita
Quando si parla di integrare i valori della natura nelle decisioni economiche, si possono seguire due strade principali: rispettare le leggi naturali che governano gli ecosistemi, oppure considerare la natura come un “capitale” a cui attribuire un valore economico misurabile. Nella pratica, si osserva una forte tendenza verso questa seconda opzione. Si utilizzano strumenti come la Contabilità del Capitale Naturale, che servono a misurare e poi a dare un valore in denaro a ecosistemi e ai servizi che essi offrono. L’obiettivo è far capire alle aziende quanto valgono i beni naturali che usano nella loro produzione e spingere verso una crescita economica che viene definita “verde”.Valutare la Natura in Denaro
Dare un valore monetario ai servizi che la natura ci fornisce gratuitamente, come l’aria pulita o l’acqua, è visto come un passo necessario per poter creare veri e propri mercati dove questi servizi possano essere comprati e venduti. Questo processo di trasformazione in valore monetario rende possibile considerare la natura quasi come un investimento finanziario, aprendo la porta alla sua mercificazione. Tuttavia, questo approccio rischia di non considerare affatto il valore profondo e non economico che la natura ha di per sé, riducendola a una semplice riserva di cose che si possono scambiare sul mercato. In questo modo, si perde di vista quanto l’esistenza umana dipenda in realtà dagli ecosistemi sani.La Finanza e la Transizione Ecologica
La transizione verso un’economia più rispettosa dell’ambiente viene spesso presentata come un cambiamento che richiede moltissimi soldi, e per questo ci si affida molto al mercato privato e a un tipo di finanza definita “sostenibile”. Si parla quasi di un cambiamento etico del capitalismo stesso, dove grandi imprese e istituzioni finanziarie promuovono investimenti che tengono conto di fattori ambientali, sociali e di buona gestione (i cosiddetti criteri ESG), come i “green bond” (obbligazioni verdi). Questa tendenza è vista non solo come un modo per finanziare progetti ambientali, ma anche come una grande opportunità per fare nuovi profitti e avere un vantaggio competitivo sul mercato.Crescita Economica Prima di Tutto
Nonostante si parli di sostenibilità, l’obiettivo principale di questo sistema rimane quasi sempre lo sviluppo economico e l’aumento dei guadagni. La sostenibilità, in questo contesto, tende a diventare una caratteristica secondaria, uno strumento utile per dare nuova vita al mercato e creare nuove aree dove investire. L’economia “verde” finisce così per integrare la natura nella logica del valore monetario e della necessità di crescere continuamente. Il rischio concreto è che la natura venga gestita non tanto per il suo valore fondamentale per la vita, ma piuttosto in base a quanto potenziale ha di generare valore economico e profitto.Davvero la finanza “verde” e la valutazione monetaria della natura sono la soluzione, o sono solo l’ennesimo tentativo di far quadrare il profitto con la crisi ecologica?
Il capitolo mette giustamente in luce la tendenza a ricondurre la natura a un “capitale” da misurare e valorizzare economicamente, e l’affidamento alla finanza privata per la transizione ecologica. Tuttavia, non esplora a fondo se questo approccio sia intrinsecamente capace di affrontare la crisi ecologica o se, al contrario, finisca per rafforzare la logica che l’ha generata. Per approfondire questa contraddizione, è utile studiare l’economia ecologica, la finanza critica e le teorie della decrescita. Autori come Herman Daly o Jason Hickel offrono strumenti concettuali per analizzare i limiti di un sistema basato sulla crescita infinita e per valutare criticamente le proposte di “capitalismo verde”.3. Illusioni verdi e la crisi del sistema
Le grandi aziende mostrano un interesse crescente per le questioni ambientali. Questo non è solo una strategia di marketing, ma un tentativo di integrare obiettivi sociali e ambientali nelle loro attività principali. Alcuni vedono in questo un modo per il capitalismo di risolvere i problemi che esso stesso ha creato, senza che lo stato debba intervenire. Tuttavia, la filantropia dei ricchi, come le donazioni per l’ambiente, viene guardata con molto scetticismo.La critica all’approccio capitalistico
Papa Bergoglio critica duramente questo modello, definendolo ipocrita. Sottolinea che il capitalismo produce gli “scarti”, come la povertà e i danni ambientali, e poi cerca di porvi rimedio. Afferma con forza che è necessario cambiare le regole fondamentali del sistema economico per evitare di creare vittime e danni in primo luogo, invece di limitarsi ad assisterle o curarle.Svolta etica e ricerca di nuovi mercati
Questa “svolta etica” del capitalismo è anche un modo per cercare nuovi mercati e affrontare una crisi strutturale più profonda. Questa crisi è caratterizzata da un calo dei rendimenti e da una generale stagnazione economica. L’approccio tecnico alla sostenibilità suggerisce che i problemi ambientali possano essere risolti semplicemente attraverso miglioramenti tecnologici, senza dover cambiare il nostro stile di vita. Tuttavia, i costi sociali e ambientali del modello economico attuale sono diventati insostenibili e superano di gran lunga i benefici che produce.L’illusione dello sviluppo sostenibile
Il concetto stesso di “sviluppo sostenibile”, nato negli anni ’70, è considerato ingannevole. Suggerisce che si possano trovare soluzioni ambientali senza dover rinunciare alle comodità e ai progressi tecnologici. Si basa sull’idea che la natura possa in qualche modo adattarsi alle esigenze della produzione economica. Non è sempre possibile trovare un vero equilibrio tra la conservazione della natura e la ricerca del profitto. La Laudato si’ mette in guardia, affermando che cercare compromessi su questi temi serve solo a ritardare un disastro inevitabile. Spesso, la cosiddetta “crescita sostenibile” finisce per assorbire le idee ecologiste all’interno della logica finanziaria dominante.Il conflitto tra valore e profitto
Non può esistere un vero compromesso tra il valore intrinseco che ogni essere vivente possiede e la sua semplice valutazione economica. Il capitalismo è visto come un progetto che mira a dominare ogni forma di vita a livello globale. La teoria dello sviluppo sostenibile non accetta l’idea che crescita economica e benessere possano essere separati, né ammette che potrebbe non esistere una soluzione “sostenibile” alla crescita continua. L’economia basata sul denaro e l’economia basata sulla natura seguono regole completamente diverse e spesso incompatibili. I diritti fondamentali della natura dovrebbero venire prima dei diritti di proprietà che gli esseri umani rivendicano su di essa.La crisi ecologica come conseguenza
La crisi ecologica che stiamo vivendo è una diretta conseguenza dell’aumento costante dell’impatto umano sugli ecosistemi del pianeta. Questo impatto è strettamente legato alla crescita del potere tecnologico guidato dal sistema capitalistico. Questo processo ha portato alla distruzione delle funzioni vitali del pianeta e a una drammatica perdita di biodiversità.Soluzioni superficiali e la crisi strutturale
Le soluzioni che vengono proposte oggi, come l’economia verde o l’economia circolare, non riescono ad affrontare la vera crisi strutturale del sistema. Termini come “sostenibilità” diventano spesso semplici etichette usate per il marketing. L’epoca attuale è caratterizzata da rendimenti economici in calo e da un debito crescente, il che riduce drasticamente lo spazio per attuare politiche sociali significative. Il debito stesso diventa uno strumento potente che il capitale usa per controllare le decisioni politiche. I flussi di denaro nel mondo aumentano, ma questo denaro non viene investito dove servirebbe per creare lavoro o migliorare le condizioni di vita; al contrario, arricchisce sempre di più i pochi e impoverisce la maggior parte delle persone.Il fallimento del “decoupling”
L’idea centrale su cui si basa lo sviluppo sostenibile è il “decoupling”, cioè la separazione tra la crescita economica e il suo impatto sull’ambiente. Un rapporto pubblicato dall’European Environmental Bureau (EEB) nel 2019 ha analizzato a fondo questa ipotesi. La conclusione è chiara: non esistono prove concrete e su larga scala che il decoupling stia avvenendo al ritmo necessario per fermare il degrado ambientale. Spesso, l’aumento dell’efficienza nell’uso delle risorse porta solo a produrre di più (un fenomeno noto come “effetto rimbalzo”) o semplicemente sposta i problemi ambientali in altre parti del mondo. Per questo motivo, l’economia verde viene definita una “chimera pericolosa”. Per riuscire a invertire le attuali crisi ambientali, è indispensabile ridurre in modo diretto la produzione e il consumo nei paesi più ricchi, mettendo la “sufficienza” (avere abbastanza) al primo posto rispetto alla semplice “efficienza” (usare meglio le risorse).Il conflitto inevitabile
La crisi climatica globale conferma in modo inequivocabile che esiste un conflitto fondamentale e irrisolvibile tra il sistema capitalistico e la natura. Non è possibile realizzare una vera rivoluzione ecologica o verde senza cambiare radicalmente la struttura socio-economica che si basa sulla ricerca del profitto e sull’accumulazione continua di ricchezza. Il capitalismo, nella sua essenza, è un progetto di dominio sulla vita e sul pianeta.Come si organizza concretamente una società che, rifiutando la logica economica, si basa esclusivamente sulla “cura”?
Il capitolo propone un superamento radicale dell’economia, ma non chiarisce i meccanismi pratici di funzionamento di un sistema alternativo. Come verrebbero prese le decisioni su produzione, distribuzione e allocazione delle risorse in assenza di concetti come utilità o calcolo economico? Per esplorare queste sfide e possibili modelli, è utile confrontarsi con discipline come l’antropologia economica (che studia sistemi economici non-occidentali e pre-capitalistici) e la teoria dei sistemi complessi. Autori come Karl Polanyi o Elinor Ostrom offrono spunti su come le società hanno organizzato e gestito risorse al di fuori delle logiche di mercato dominanti.7. Il Grido per la Giustizia Climatica e un Futuro Diverso
Il pianeta sta affrontando una crisi ecologica molto seria. Questa crisi si vede nel cambiamento del clima, nell’aria e nell’acqua sporche e nella scomparsa di tante specie di piante e animali. Questi problemi non sono teorici, ma causano danni reali, come il buco nell’ozono o i pesci malati nei nostri fiumi. La conseguenza più grave è che le generazioni che verranno potrebbero non trovare più ecosistemi sani. Le persone più colpite sono spesso quelle già fragili: i poveri e le comunità native, che purtroppo non vengono quasi mai ascoltati quando si prendono decisioni importanti a livello mondiale.La causa principale della crisi
La causa principale di questa distruzione dell’ambiente e delle ingiustizie sociali è il modo in cui funziona oggi la nostra economia. Si basa sull’idea che si debba sempre crescere e consumare di più, senza fermarsi mai. Questo sistema non può risolvere la crisi ecologica perché per sua natura non può rinunciare a espandersi continuamente. Le soluzioni che vengono proposte dal mercato o che si basano solo sulla tecnologia spesso non vanno alla radice del problema e, a volte, lo peggiorano.Un cambiamento necessario: giustizia climatica e futuro ecosocialista
Per cambiare davvero le cose, serve un cambiamento profondo. I principi della giustizia climatica e l’idea di un futuro ecosocialista offrono una strada diversa. Questa visione si basa sul diritto di ogni comunità a vivere senza subire la distruzione dell’ambiente e sulla necessità urgente di ridurre di molto le emissioni che alterano il clima. Chiede che i governi siano davvero responsabili verso i cittadini e che le comunità più colpite dai danni ambientali abbiano un ruolo centrale nelle decisioni. Si oppone al grande potere delle multinazionali e chiede ai paesi più ricchi, che hanno inquinato di più in passato, di riconoscere il loro “debito ecologico”. Questa alternativa prevede di smettere di usare i combustibili che inquinano (come petrolio e carbone) e passare a energie pulite e rinnovabili, gestite a livello locale. L’obiettivo finale è superare la logica del guadagno a tutti i costi per mettere al primo posto il benessere delle persone e la salute del pianeta, costruendo un futuro che possa durare nel tempo. Per riuscirci, le azioni concrete devono andare di pari passo con le parole.Affermare che l’attuale sistema economico sia l’unica causa della crisi e che le soluzioni di mercato siano inutili non è forse una semplificazione eccessiva?
Il capitolo identifica con forza il sistema economico basato sulla crescita continua come l’unica radice della crisi ecologica e sociale, liquidando le soluzioni proposte dal mercato o basate sulla tecnologia come inefficaci o dannose. Questa tesi, per quanto potente, potrebbe non considerare la complessa interazione di fattori (tecnologici, politici, culturali, comportamentali) che contribuiscono alla crisi. Per approfondire, è utile esplorare le diverse scuole di pensiero economico che affrontano la questione ambientale (dall’economia ambientale all’economia ecologica) e le analisi che esaminano il potenziale e i limiti delle innovazioni tecnologiche e delle politiche di mercato nel promuovere la sostenibilità.Abbiamo riassunto il possibile
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