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RISPOSTA: “Oltre le colonne d’Ercole” di Franco Bruni ci porta in un viaggio affascinante attraverso le sfide economiche e monetarie che hanno plasmato l’Europa e il mondo negli ultimi anni, partendo dalle crisi finanziarie post-2008, che hanno messo a nudo le fragilità strutturali dell’Eurozona, con un focus particolare su paesi come Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia, evidenziando come problemi apparentemente tecnici nascondessero debolezze profonde. Il libro esplora poi la crisi dell’Euro e le riforme necessarie, analizzando come l’Italia abbia sofferto per la bassa produttività e la perdita di competitività, e come la risposta europea, inclusa la gestione della crisi cipriota e l’introduzione del “bail-in”, abbia cercato di creare un sistema finanziario più stabile, il tutto sotto l’ombra del cruciale “whatever it takes” di Mario Draghi. Successivamente, ci immergiamo nell’era del Quantitative Easing, analizzando come le banche centrali, di fronte a tassi d’interesse vicini allo zero, abbiano adottato misure non convenzionali come il QE, con esperienze diverse tra la Fed e la BCE, e le critiche che ne sono scaturite. Il percorso prosegue esaminando il mondo prima e dopo il “Cigno Nero” della pandemia di COVID-19, con eventi come la Brexit e l’elezione di Trump che avevano già creato instabilità, e come la pandemia abbia esacerbato queste tensioni, portando a risposte straordinarie come il Next Generation EU e l’aumento dell’inflazione. Infine, il libro affronta le promesse di stabilità in un mondo incerto, sottolineando l’importanza della trasparenza delle banche centrali, del coordinamento tra politiche monetarie e fiscali, e della cooperazione internazionale per gestire l’inflazione e garantire la stabilità finanziaria, in un’analisi che ci porta “oltre le colonne d’Ercole” delle convenzioni economiche tradizionali.Riassunto Breve
Le crisi finanziarie che hanno colpito l’Europa, iniziate dopo il 2008 e proseguite con la crisi dell’Euro, hanno messo in luce debolezze strutturali profonde, paragonabili a problemi tecnici apparentemente minori che nascondono fragilità ben più ampie. Queste crisi, come quella greca, irlandese, portoghese e spagnola, non sono state incidenti isolati, ma il risultato di politiche monetarie espansive, con tassi bassi e abbondante liquidità, che hanno incoraggiato un’eccessiva assunzione di rischio e una “caccia al rendimento”. L’Italia, pur avendo una gestione delle finanze pubbliche più disciplinata, ha sofferto a causa dell’elevato debito pubblico detenuto dalle banche, creando un circolo vizioso tra debito e crisi bancaria. La crisi dell’Eurozona, in particolare, ha evidenziato la bassa produttività e la perdita di competitività di alcuni paesi, rendendo più difficile il sostegno del debito pubblico.In risposta a queste sfide, sono state introdotte riforme significative nell’Eurozona, come la centralizzazione della vigilanza bancaria nella BCE e nuove procedure per la gestione delle crisi bancarie, inclusa l’introduzione del “bail-in” a Cipro, che scarica i costi dell’insolvenza su azionisti e creditori. Il Patto di Stabilità e Crescita è stato riformato con il Semestre Europeo e il Fiscal Compact per rafforzare la disciplina fiscale, sebbene la sua efficacia nel prevenire squilibri sia stata messa in discussione. L’intervento di Mario Draghi con la promessa di fare “tutto il necessario” per preservare l’euro è stato fondamentale per calmare i mercati, sottolineando come la stabilità della moneta unica sia legata a un impegno politico e a una maggiore integrazione europea, suggerendo la necessità di un’unione economica e fiscale più profonda.Dopo la crisi finanziaria, le banche centrali hanno adottato misure non convenzionali come il Quantitative Easing (QE), acquistando titoli per immettere liquidità nel sistema, ampliando significativamente i propri bilanci. La Federal Reserve e la Banca Centrale Europea hanno utilizzato il QE per stimolare l’economia e contrastare la bassa inflazione, ma queste politiche hanno sollevato preoccupazioni riguardo al rischio di “azzardo morale” nei governi e alla potenziale violazione dei trattati europei. La persistente bassa inflazione, nonostante le iniezioni di liquidità, ha messo in dubbio l’efficacia di tali misure.Il periodo precedente alla pandemia di COVID-19 era già caratterizzato da instabilità, come dimostrato dalla Brexit e dall’elezione di Donald Trump, che hanno alimentato tensioni sociali e movimenti populisti. La pandemia ha esacerbato queste fragilità, portando a risposte politiche straordinarie come il Next Generation EU, un piano di indebitamento comune per sostenere i paesi più colpiti, con un focus su investimenti verdi e digitali. Parallelamente, le politiche monetarie e fiscali espansive per contrastare gli effetti della pandemia hanno contribuito all’aumento dell’inflazione, creando una sfida complessa per le banche centrali, che devono bilanciare il contenimento dell’inflazione con il rischio di soffocare la crescita economica.L’inflazione, che erode il valore del denaro e crea confusione nei prezzi, richiede un’attenta gestione da parte delle banche centrali, che mirano a mantenerla intorno al 2%. Tuttavia, ritardi nella reazione o una sottovalutazione dell’impatto di eventi imprevisti e delle aspettative inflazionistiche hanno complicato la situazione. L’inflazione può derivare non solo da un eccesso di domanda, ma anche dalla scarsità di offerta, rendendo difficile per le banche centrali trovare un equilibrio tra l’aumento dei tassi per frenare l’inflazione e il rischio di causare una recessione. Maggiore trasparenza, l’adesione a regole chiare come la “regola di Taylor”, e un’attenzione congiunta alla stabilità dei prezzi e a quella finanziaria sono fondamentali. Anni di denaro facile hanno reso i mercati finanziari più fragili, e un aumento dei tassi potrebbe innescare crisi. È necessario un maggiore coordinamento tra banche centrali e governi, con i governi che rispettano regole di bilancio più stringenti e le banche centrali che si auto-impongono limiti nella gestione del proprio bilancio e nell’acquisto di titoli. La cooperazione internazionale è essenziale per affrontare problemi globali come l’inflazione e la stabilità finanziaria, richiedendo un impegno a lungo termine e una visione condivisa, nonostante le attuali complessità politiche.Riassunto Lungo
1. Il Cinema Europeo e le Crisi Finanziarie: Due Facce della Stessa Medaglia?
La metafora del cinema: un riflesso delle fragilità europee
Il film “Lo stato delle cose” di Wim Wenders, ambientato in Portogallo, utilizza un apparente problema tecnico, la mancanza di pellicola, per riflettere una crisi più profonda del cinema europeo. Questa situazione viene interpretata come una metafora delle minacce che il cinema europeo affronta, in particolare a causa della predominanza del cinema americano, percepito come più commerciale e superficiale. In modo simile, le crisi finanziarie che hanno colpito l’Europa dopo il 2008, come quelle che hanno riguardato Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna, non sono state semplici coincidenze, ma piuttosto il risultato di problemi strutturali radicati nel sistema.Le cause sottostanti delle crisi finanziarie
Le politiche monetarie espansive, caratterizzate da tassi di interesse bassi e un’elevata disponibilità di liquidità, hanno favorito un’eccessiva assunzione di rischio da parte del sistema finanziario. Questa abbondanza di denaro ha reso gli investitori meno attenti ai rischi, alimentando una ricerca di rendimenti sempre più elevati. Tale dinamica ha contribuito in modo significativo alla crisi finanziaria globale (GFC) del 2007-2008. Sebbene le risposte iniziali, come quelle del G20, si siano concentrate sulla regolamentazione finanziaria, è emerso che queste misure non hanno affrontato adeguatamente le politiche monetarie espansive come una delle cause scatenanti principali.Le crisi dell’Eurozona: un’analisi per paese
Le crisi che hanno interessato l’Eurozona hanno messo in luce le debolezze strutturali di diverse nazioni. La Grecia, ad esempio, ha affrontato problemi legati a deficit pubblici insostenibili e squilibri nella bilancia dei pagamenti, oltre a difficoltà di competitività e una gestione problematica dei flussi di capitale. L’Irlanda, pur mostrando una finanza pubblica più solida, ha risentito dell’eccessiva esposizione del suo sistema bancario al settore immobiliare. Il Portogallo ha registrato una crescita debole nonostante gli afflussi di capitali, a causa di investimenti che non si sono rivelati produttivi. La Spagna ha dovuto affrontare una crisi bancaria connessa alle “cajas de ahorro”, istituzioni con legami politici e una vigilanza inadeguata. L’Italia, sebbene avesse una gestione più prudente delle finanze pubbliche, ha sofferto a causa dell’alto debito pubblico, la cui detenzione da parte delle banche ha creato un circolo vizioso tra debito pubblico e crisi bancaria.Lezioni apprese e sfide future
Le crisi finanziarie europee, proprio come il “film” di Wenders, hanno rivelato come problemi apparentemente circoscritti nascondano debolezze strutturali profonde. Affrontare queste problematiche richiede riforme radicali e non semplici soluzioni superficiali. La gestione di queste crisi ha portato alla creazione di nuovi meccanismi di solidarietà finanziaria all’interno dell’Europa. Tuttavia, la stabilità economica duratura e la prosperità dipendono dalla capacità di affrontare le cause profonde e di evitare il ripetersi di politiche monetarie eccessivamente espansive.Se le politiche monetarie espansive sono la causa principale delle crisi finanziarie europee, perché il capitolo non analizza in modo più approfondito il ruolo delle politiche fiscali e della governance europea nella genesi di tali squilibri, limitandosi a una visione quasi esclusivamente monetarista?
Il capitolo, pur collegando efficacemente la metafora cinematografica alle crisi finanziarie, sembra focalizzarsi prevalentemente sulle politiche monetarie come fattore scatenante, trascurando potenzialmente altre cause strutturali e contestuali. Per una comprensione più completa, sarebbe utile approfondire il dibattito sulle cause delle crisi finanziarie, esplorando prospettive che includano le politiche fiscali divergenti all’interno dell’Eurozona, le carenze nella supervisione bancaria e la governance economica europea. Autori come Dani Rodrik, che analizza le interdipendenze tra globalizzazione e politiche nazionali, o economisti che si sono occupati di crisi del debito sovrano e di unione monetaria, potrebbero offrire spunti preziosi per colmare queste lacune argomentative.La Crisi dell’Eurozona e le Sue Conseguenze
Le origini della crisi italiana
La crisi finanziaria che ha colpito l’Eurozona tra il 2011 e il 2012 ha messo in luce le debolezze strutturali dell’unione monetaria. L’Italia, in particolare, ha risentito di una bassa produttività e di una perdita di competitività, con un aumento del costo del lavoro per unità di prodotto superiore a quello di altri paesi europei. Questo ha reso più difficile la gestione del debito pubblico, anche se la situazione delle finanze pubbliche non era insostenibile. La crisi è stata innescata da fattori politici, come l’instabilità del governo italiano e la sua credibilità sui mercati. La lettera inviata dalla Banca Centrale Europea al governo Berlusconi, con richieste di riforme urgenti, ha sottolineato la gravità della situazione. Nonostante le riforme attuate dal governo Monti abbiano migliorato la sostenibilità finanziaria, la crescita è rimasta debole a causa di riforme strutturali insufficienti.Le riforme per la stabilità finanziaria
La crisi ha portato a importanti riforme nell’Eurozona, con l’obiettivo di creare un sistema finanziario più integrato e stabile. È stato istituito il Sistema Europeo di Vigilanza Finanziaria e la vigilanza bancaria è stata centralizzata nella Banca Centrale Europea, introducendo procedure per gestire le crisi bancarie. Tuttavia, rimangono delle sfide, come la mancanza di un’assicurazione europea sui depositi e il problema del legame tra banche e debito sovrano. La crisi cipriota ha introdotto il concetto di “bail-in”, ovvero il coinvolgimento di azionisti e creditori nei costi di un’insolvenza bancaria, evidenziando anche i rischi di misure come la tassa sui depositi. La gestione di questa crisi ha mostrato quanto sia importante distinguere tra depositi assicurati e non, e i pericoli dei controlli sui movimenti di capitale.Rafforzare la disciplina fiscale e il coordinamento
Il Patto di Stabilità e Crescita è stato riformato con l’introduzione del Semestre Europeo e del Fiscal Compact. Queste misure mirano a rafforzare la disciplina fiscale e a migliorare il coordinamento delle politiche economiche tra i paesi membri. Nonostante ciò, il Patto è stato criticato per non essere stato efficace nel prevenire gli squilibri economici e per aver avuto un effetto pro-ciclico, cioè per aver aggravato le fasi negative dell’economia.L’impegno per salvare l’Euro
L’intervento di Mario Draghi con la frase “whatever it takes” (“qualunque cosa sia necessaria”) è stato fondamentale per stabilizzare i mercati. La sua promessa di fare tutto il necessario per preservare l’euro ha dimostrato che la stabilità della moneta unica dipendeva da un forte impegno politico e da una maggiore integrazione europea. La crisi ha rafforzato l’idea che l’unione monetaria ha bisogno di un’unione economica e fiscale più solida per essere veramente sostenibile nel tempo.Se la crisi dell’Eurozona è stata innescata da fattori politici e ha evidenziato debolezze strutturali, come si può affermare che le riforme per la stabilità finanziaria e il rafforzamento della disciplina fiscale abbiano realmente affrontato le cause profonde, anziché limitarsi a gestire le conseguenze immediate?
Il capitolo descrive le riforme attuate nell’Eurozona e le critiche mosse al Patto di Stabilità e Crescita, ma non approfondisce in modo esaustivo il nesso causale tra le riforme proposte e la risoluzione delle debolezze strutturali italiane, come la bassa produttività e la perdita di competitività. Per una comprensione più completa, sarebbe utile approfondire gli studi di economisti che hanno analizzato l’impatto delle politiche di austerità e delle riforme strutturali sulla crescita economica nei paesi dell’Eurozona, come ad esempio le opere di Thomas Piketty, che analizza le disuguaglianze e le politiche fiscali, o le ricerche sull’efficacia delle riforme del mercato del lavoro e della produttività.2. Oltre l’Ortodossia Monetaria: L’Era del Quantitative Easing
Le Nuove Sfide Post-Crisi
Dopo la crisi finanziaria del 2007-2009, le banche centrali si sono trovate di fronte a una situazione economica inedita. L’abbassamento dei tassi di interesse fino a livelli vicini allo zero ha reso inefficaci gli strumenti di politica monetaria tradizionali. Per questo motivo, si è reso necessario l’adozione di misure non convenzionali, tra cui il Quantitative Easing (QE).Il Quantitative Easing: Cos’è e Come Funziona
Il QE è una politica monetaria in cui le banche centrali acquistano titoli per immettere liquidità nel sistema economico. Questo strumento è stato utilizzato per la prima volta dal Giappone e successivamente adottato da paesi come il Regno Unito e gli Stati Uniti. L’effetto immediato è stato un significativo ampliamento dei bilanci delle principali banche centrali, come la Federal Reserve (Fed) americana e la Banca Centrale Europea (BCE).L’Esperienza della Federal Reserve
La Fed, sotto la guida di Ben Bernanke, ha iniziato ad applicare il QE con l’obiettivo di stabilizzare il mercato immobiliare. Successivamente, ha esteso l’acquisto di titoli del Tesoro per sostenere l’economia.L’Adozione del QE da Parte della Banca Centrale Europea
La Banca Centrale Europea, inizialmente più restia, ha poi implementato programmi simili. Tra questi spicca l’Expanded Asset Purchase Programme (APP), introdotto sotto la presidenza di Mario Draghi. Lo scopo era stimolare l’economia e contrastare la tendenza alla bassa inflazione.Critiche e Dibattiti sul QE
Queste politiche monetarie non convenzionali hanno generato un acceso dibattito tra gli economisti. Alcuni hanno espresso preoccupazione per il rischio di incoraggiare un “azzardo morale” nei governi che ricevono sostegno, potenzialmente disincentivandoli a intraprendere riforme necessarie. Altri hanno sollevato dubbi sulla conformità di tali acquisti di titoli di Stato con i trattati europei, dato il rischio di favorire alcuni paesi a discapito di altri. Inoltre, la persistente bassa inflazione, nonostante le ingenti immissioni di liquidità, ha messo in discussione l’effettiva efficacia di queste misure nel raggiungere gli obiettivi prefissati.Differenze nell’Approccio e Prospettive Future
Le esperienze della Fed e della BCE hanno evidenziato approcci differenti. La Fed ha gradualmente ridotto il suo programma di QE e ha iniziato ad aumentare i tassi di interesse. Al contrario, la BCE ha mantenuto una politica monetaria espansiva più a lungo, arrivando anche a introdurre tassi negativi. Entrambe le istituzioni hanno dovuto affrontare la sfida di comunicare efficacemente le proprie strategie ai mercati e di gestire le aspettative, cercando un delicato equilibrio tra la necessità di stimolare l’economia e il mantenimento della stabilità finanziaria. La definizione di un livello “normale” per la liquidità e i tassi di interesse rimane una questione aperta, suggerendo che gli strumenti non convenzionali potrebbero diventare una componente stabile della futura politica monetaria.Se l’espansione monetaria e fiscale ha inevitabilmente generato inflazione, non è forse un’ammissione implicita di fallimento nella gestione delle politiche economiche, soprattutto considerando la presunta “ambiguità” comunicativa delle banche centrali?
Il capitolo descrive un’interdipendenza tra politiche espansive e inflazione, suggerendo una difficoltà nel bilanciare stimolo economico e stabilità dei prezzi. Per comprendere meglio le dinamiche che portano a tali esiti e le strategie alternative, sarebbe utile approfondire la teoria economica, in particolare quella monetaria e fiscale. Autori come Milton Friedman hanno offerto prospettive critiche sulle politiche monetarie espansive e il loro impatto sull’inflazione. Inoltre, un’analisi comparativa delle risposte delle diverse banche centrali e delle loro strategie di comunicazione potrebbe fornire un quadro più completo delle sfide affrontate.4. Stabilità Monetaria in un Mondo Incerto
L’Inflazione: Un Problema da Gestire
L’inflazione è un fenomeno che riduce il potere d’acquisto del denaro e crea incertezza sui prezzi. Il compito principale delle banche centrali è quello di controllarla, mirando a un tasso del 2%. Tuttavia, in passato, alcune banche centrali hanno mostrato una certa lentezza nel reagire all’aumento dell’inflazione, o hanno sottovalutato la sua gravità. Questo è accaduto per diverse ragioni, tra cui la difficoltà nel valutare l’impatto di eventi inaspettati, come la pandemia o conflitti internazionali, e una minore attenzione alle aspettative di aumento dei prezzi da parte delle persone.Cause dell’Inflazione e Dilemmi delle Banche Centrali
È importante ricordare che l’inflazione non è causata unicamente da un’eccessiva domanda di beni. Anche quando l’offerta di prodotti diminuisce, i prezzi tendono a salire. Di fronte a questa situazione, le banche centrali si trovano di fronte a un difficile equilibrio: se aumentano troppo i tassi di interesse per contrastare l’inflazione, rischiano di rallentare eccessivamente l’economia, portando a una recessione. Al contrario, se non intervengono in modo sufficiente, l’inflazione può peggiorare.Trasparenza e Regole per le Banche Centrali
Per affrontare meglio questi problemi, sarebbe opportuno che le banche centrali operassero con maggiore trasparenza e seguissero regole precise. Un esempio è la “regola di Taylor”, che collega i tassi di interesse all’andamento dell’inflazione e alla crescita economica. L’adozione di tali regole aiuterebbe le banche centrali a essere più credibili e a evitare decisioni affrettate o poco ponderate.Stabilità Finanziaria e Coordinamento delle Politiche
Oltre alla stabilità dei prezzi, è essenziale che le banche centrali si occupino anche della stabilità del sistema finanziario. Anni di politiche monetarie accomodanti, con tassi d’interesse bassi, hanno reso i mercati finanziari più vulnerabili, tanto che un aumento dei tassi potrebbe innescare crisi. Per questo motivo, sono necessarie regole più chiare e una migliore collaborazione tra le banche centrali e i governi.Cooperazione Internazionale e Visione a Lungo Termine
Le politiche economiche, sia monetarie che fiscali, devono agire in modo coordinato. I governi dovrebbero rispettare regole di bilancio più rigorose, mentre le banche centrali dovrebbero porsi dei limiti, ad esempio nella gestione dei propri bilanci e nell’acquisto di titoli. Questo approccio congiunto favorirebbe un sistema economico più stabile e prevedibile, riducendo l’incertezza generata da decisioni politiche e monetarie poco chiare. Infine, la collaborazione tra le nazioni è fondamentale. Le decisioni di un singolo paese possono avere ripercussioni globali, rendendo indispensabile un’intesa tra gli stati per affrontare sfide comuni come l’inflazione e la stabilità finanziaria. Questo richiede un impegno duraturo e una visione condivisa, nonostante le attuali complessità politiche.Se l’obiettivo è la stabilità monetaria, perché il capitolo suggerisce che le banche centrali dovrebbero limitare l’acquisto di titoli, anziché usarlo come strumento per stabilizzare i mercati finanziari in un contesto di tassi d’interesse in aumento?
Il capitolo presenta un’apparente contraddizione: da un lato riconosce che anni di tassi bassi hanno reso i mercati finanziari vulnerabili a un aumento dei tassi, suggerendo la necessità di un coordinamento tra politiche monetarie e fiscali e limiti nella gestione dei bilanci delle banche centrali. Dall’altro, tuttavia, non chiarisce se e come l’acquisto di titoli da parte delle banche centrali possa essere uno strumento di stabilizzazione in un momento di potenziale crisi finanziaria innescata proprio dall’aumento dei tassi. Per approfondire questo aspetto, sarebbe utile esplorare le teorie monetarie più recenti e le esperienze pratiche di “quantitative easing” e “quantitative tightening”, valutando le diverse prospettive accademiche sull’efficacia e i rischi di tali interventi. Autori come Ben Bernanke hanno ampiamente discusso questi strumenti, offrendo spunti di riflessione cruciali per comprendere la complessità della gestione della stabilità finanziaria in scenari economici incerti.Abbiamo riassunto il possibile
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