Letteratura

Nude le mie parole. Il romanzo della Divina Commedia

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1. Smarrimento e Guida nell’Oltretomba

Un’anima si sente persa in una foresta buia, senza trovare la strada. È un momento di grande paura, che arriva quando si perde il senso della vita. Quando il sole sorge, l’anima raggiunge una piccola collina, ma non riesce a salire. Tre animali le impediscono il passaggio: una lince veloce, un leone che fa paura e una lupa magra e affamata. La lupa spinge l’anima di nuovo indietro, verso la selva oscura.

L’aiuto dal cielo

In questo momento difficile, appare un’ombra: è il poeta Virgilio. Spiega di essere stato inviato per portare soccorso. La sua missione viene dal cielo: Beatrice, provando compassione, è scesa fino al Limbo per chiedergli aiuto. Beatrice è stata mossa a intervenire da Santa Lucia, e Santa Lucia a sua volta è stata sollecitata dalla Vergine Maria. Per questo, Virgilio offre un percorso diverso per superare le difficoltà incontrate: un viaggio che attraverserà l’Inferno e poi il Purgatorio. Solo dopo, per arrivare in Paradiso, sarà necessaria una guida diversa, più adatta a quel luogo.

La porta dell’Inferno

L’anima accetta subito Virgilio come suo maestro e compagno di viaggio. Insieme, iniziano il cammino che li porta davanti a una grande porta. Su questa porta c’è una scritta che avverte di entrare nella città dove c’è solo dolore per sempre, abitata dalle anime dannate. La scritta spiega che questa porta è stata fatta dalla giustizia di Dio, dalla sua potenza, dalla sua grande sapienza e dal suo amore infinito, ed è destinata a durare per sempre. Il messaggio finale sulla porta è un ordine chiaro: chi entra deve lasciare fuori ogni speranza.

Le anime senza scelta

Appena oltre la porta, si sentono subito un gran rumore, grida, pianti e lamenti. Sono le anime di persone che in vita non hanno mai preso una posizione, né nel bene né nel male. A loro si uniscono gli angeli che non si schierarono né con Dio né con Lucifero durante la ribellione. Queste anime, chiamate ignavi, sono rifiutate sia dal Paradiso che dall’Inferno. La loro punizione è correre senza sosta dietro a uno stendardo che non si vede, mentre vengono continuamente punte da mosconi e vespe. Il loro viso è coperto di sangue e lacrime, che cadono a terra mescolandosi ai vermi.

Il fiume e il traghettatore

Il cammino porta poi alla riva del fiume Acheronte. Qui si raccolgono le anime destinate all’Inferno, spinte dalla rabbia divina e impazienti di attraversare. Caronte, il vecchio barcaiolo con gli occhi rossi come il fuoco, le raccoglie sulla sua barca. Appena vede l’anima viva, si rifiuta di farla salire, ma Virgilio gli spiega che questo viaggio è voluto da un potere superiore. Le anime dannate, intanto, lanciano bestemmie e si gettano sulla barca, veloci come foglie che cadono in autunno. La barca attraversa l’acqua scura. Improvvisamente, un forte terremoto scuote la terra e l’anima sviene.

Se l’amore divino è infinito, come si concilia con la creazione di un luogo di eterno dolore?
Il capitolo, nel descrivere la porta dell’Inferno, afferma che essa è stata creata dalla giustizia, dalla potenza, dalla sapienza e dall’amore infinito di Dio. Questa asserzione presenta una notevole criticità logica: come può un attributo come l’amore infinito essere la causa o la co-causa di una realtà di sofferenza eterna e senza speranza? Il testo non offre elementi che permettano di sciogliere questa apparente contraddizione. Per approfondire questa complessa questione, è utile esplorare i campi della teologia e della filosofia della religione, confrontandosi con autori che hanno affrontato il problema del male e della giustizia divina, come Agostino o Tommaso d’Aquino, o pensatori moderni che hanno dibattuto la compatibilità degli attributi divini con l’esistenza del dolore nel mondo.


2. Anime senza speranza e peccatori puniti

Si incontra una valle profonda piena di lamenti. Qui, nel primo girone, si trovano moltissime anime che emettono solo sospiri. Queste anime non hanno commesso peccati, ma non sono state battezzate o hanno vissuto prima della venuta di Cristo senza poterlo conoscere e adorare. La loro sofferenza più grande è un desiderio incolmabile di Dio, senza alcuna speranza di poterlo mai raggiungere.

Il Limbo: Anime virtuose senza battesimo

Tra queste anime si distinguono uomini che furono onorati e stimati nel mondo per il loro valore. Si trovano grandi poeti e figure importanti della filosofia e della storia antica.
  • Poeti: Omero, Orazio, Ovidio, Lucano.
  • Filosofi: Aristotele, Socrate, Platone.
Queste anime illustri dimorano in un luogo a parte, un nobile castello circondato da mura e attraversato da un piccolo fiume, che rappresenta un’eccezione rispetto alla pena generale del girone.

I Lussuriosi: Travolti dalla bufera

Scendendo nel secondo girone, si odono urla fortissime. Qui Minosse, il giudice infernale, esamina le anime dannate e decide il loro destino avvolgendo la coda attorno al corpo tante volte quanti sono i gironi in cui devono scendere. In questo girone sono puniti coloro che in vita hanno ceduto alla passione carnale, sottomettendo la ragione ai desideri del corpo. La loro pena è essere perennemente sbattuti da una violenta bufera infernale che non si ferma mai.

Figure travolte dalla passione

Tra le anime trascinate dalla tempesta ci sono personaggi famosi, noti per la loro lussuria o per essere morti a causa dell’amore e della passione che li ha consumati.
  • Semiramide
  • Didone
  • Cleopatra
  • Elena
  • Achille
  • Paride
  • Tristano
Si incontrano anche due anime che volano insieme, Francesca da Rimini e Paolo Malatesta. Raccontano la loro tragica storia, spiegando come la lettura di un libro che narrava l’amore tra Lancillotto e Ginevra li abbia condotti a cedere alla passione e, infine, alla morte violenta per mano del marito di Francesca.

I Golosi: Immersi nel fango

Il terzo girone è destinato ai peccatori di gola. Su di loro cade incessantemente una pioggia gelida e sporca, mista a grandine e neve pesante, che trasforma la terra in un fango putrido e nauseabondo. A guardia di questo luogo si trova Cerbero, un mostro con tre teste di cane che abbaia furiosamente e tormenta le anime immerse nella melma.

Ciacco e la corruzione di Firenze

Tra i golosi si incontra un’anima fiorentina di nome Ciacco. Egli spiega che la sua pena è dovuta proprio al peccato di gola. Ciacco parla anche della città di Firenze, descrivendo la profonda discordia e la corruzione che la affliggono e preannunciando le future lotte sanguinose tra le diverse fazioni politiche. Afferma con amarezza che a Firenze esistono pochissime persone giuste, ma queste non vengono ascoltate a causa dei vizi dominanti come la superbia, l’invidia e l’avarizia.

La pena dopo il Giudizio Universale

Viene spiegato che le anime dannate, dopo essersi ricongiunte ai propri corpi nel giorno del Giudizio Universale, sentiranno la loro pena in modo ancora più intenso. Questo accade perché un essere completo, formato sia dall’anima che dal corpo, è in grado di percepire il bene e il male in maniera più acuta rispetto all’anima separata. La discesa attraverso i cerchi infernali prosegue, dirigendosi verso il luogo dove si trova Plutone.

Come si concilia l’idea di una giustizia divina con la punizione, seppur lieve, di anime virtuose la cui unica “colpa” è non essere state battezzate o essere vissute prima di Cristo?
Il capitolo descrive il Limbo come luogo di sofferenza per anime che non hanno commesso peccati ma non hanno conosciuto o adorato Cristo, a causa della mancanza di battesimo o della loro epoca storica. Questa rappresentazione solleva un evidente problema logico e teologico: è giusto che esseri virtuosi soffrano per circostanze al di fuori del loro controllo? Per comprendere meglio le implicazioni di tale concetto e le diverse posizioni in merito, è utile approfondire la teologia cristiana, la storia dei dogmi e la filosofia morale, esplorando le discussioni sulla salvezza dei non credenti e dei non battezzati. Autori come Agostino d’Ippona o Tommaso d’Aquino hanno affrontato queste complesse questioni nel corso della storia del pensiero occidentale.


3. La giustizia divina e le porte chiuse

Si arriva nel quarto cerchio, dove si incontrano le anime degli avari e dei prodighi. Queste anime sono divise in due gruppi e si scontrano continuamente, spingendo pesi enormi con il petto. Gridano ingiurie legate al denaro. Non è possibile riconoscerle perché la loro vita terrena è stata dedicata in modo eccessivo ai beni materiali. La loro pena eterna è questa lotta incessante. Gli avari risorgeranno con i pugni chiusi, mentre i prodighi avranno i capelli tagliati corti. Sia l’avarizia che la prodigalità impediscono di raggiungere il Paradiso. Tutta la ricchezza del mondo non basterebbe a salvare anche una sola di queste anime.

Il ruolo della Fortuna

Viene spiegato che Dio ha dato alla Fortuna il compito di distribuire i beni materiali tra i popoli e le diverse stirpi. Lei li sposta velocemente da un luogo all’altro. Il successo di un popolo o la rovina di un altro dipendono dal suo giudizio, non dalla saggezza umana. La Fortuna agisce in modo sereno, anche se spesso le persone la maledicono.

La palude dello Stige

Il cammino prosegue verso un luogo dove la sofferenza è maggiore. Si attraversa una fonte di acqua bollente che forma una palude chiamata Stige. Qui si trovano gli iracondi e gli accidiosi. Gli iracondi sono nudi e coperti di fango, si picchiano e si mordono tra loro. Gli accidiosi sono immersi sotto il fango e causano bolle sulla superficie. I loro sospiri rivelano il lamento per la tristezza e la pigrizia che li hanno caratterizzati in vita.

L’arrivo a Dite

Avvicinandosi a una torre, si vedono segnali di fuoco. Arriva velocemente una piccola nave guidata da Flegiàs. Flegiàs è il traghettatore e cerca di impedire il passaggio, ma viene respinto. Durante la traversata dello Stige, un’anima coperta di fango, Filippo Argenti, prova ad afferrare la barca. Viene respinto e poi fatto a pezzi dalle altre anime iraconde. Si giunge ai fossati che circondano la città di Dite. Le sue mura sembrano fatte di ferro. Alla porta ci sono più di mille diavoli che si oppongono all’ingresso. Permettono solo alla guida di entrare per parlare con loro. La guida viene respinta e i diavoli chiudono le porte. Questa resistenza non è una novità; hanno già provato a opporsi a Cristo.

L’intervento divino

Appaiono tre Furie infernali con serpenti al posto dei capelli. Minacciano di chiamare Medusa per trasformare in pietra chiunque tenti di entrare. Arriva un messo celeste, camminando sull’acqua senza bagnarsi. Con un semplice tocco, apre la porta di Dite senza alcuna difficoltà. Rimprovera i diavoli per la loro arroganza nel mettersi contro la volontà divina.

Il sesto cerchio: gli eretici

Si entra così nella città di Dite. Il sesto cerchio è un grande campo pieno di tombe infuocate. I coperchi sono aperti e da dentro si sentono lamenti. Queste tombe contengono gli eretici e i loro seguaci, divisi per gruppi in base alla loro dottrina. La temperatura del fuoco in ogni tomba dipende dalla gravità dell’eresia. Il cammino prosegue oltrepassando le mura di Dite.

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È davvero logico o giusto che la salvezza e la posizione nell’Empireo dipendano da fattori storici o riti esterni, come suggerito per i bambini non battezzati, piuttosto che dalla sola volontà divina o dai meriti individuali?
Il capitolo, nel descrivere la disposizione delle anime, introduce criteri che sembrano legare la beatitudine a circostanze storiche o a riti, come nel caso dei bambini. Questo solleva interrogativi sulla coerenza e l’equità di un sistema che non si basa unicamente sulla volontà divina o sui meriti individuali. Per approfondire tale complessa architettura teologica e comprendere le giustificazioni dietro questi criteri, è essenziale esplorare la teologia medievale. Autori come Tommaso d’Aquino offrono un quadro sistematico delle dottrine su grazia, predestinazione e sacramenti, che sono alla base di tali concezioni della salvezza. Approfondire la storia del dogma cristiano, in particolare le discussioni sul Limbo e il destino degli infanti, è altrettanto cruciale per contestualizzare queste argomentazioni.


34. La visione finale e l’unione con l’Amore divino

La Vergine Maria, madre e figlia del suo Figlio, è scelta dalla volontà eterna come punto fermo per la salvezza umana. La sua umiltà la rende superiore a ogni altra creatura. Nel suo grembo l’amore tra Dio e l’uomo si riaccende, permettendo alle anime beate di fiorire in Paradiso. In cielo è luce di carità, sulla terra fonte di speranza. La sua forza presso Dio è così grande che chi cerca grazia senza rivolgersi a lei non può ottenerla. La sua bontà non solo ascolta le preghiere, ma spesso agisce prima ancora di essere invocata. In lei si trovano misericordia, pietà e ogni virtù.

La preghiera per la visione divina

Si prega la Vergine per un uomo che ha visto le condizioni delle anime nell’aldilà, chiedendo che riceva la grazia di vedere Dio pienamente. Si desidera con grande intensità che lui possa avere questa visione beatifica. Solo le preghiere di Maria possono rimuovere gli ostacoli terreni che gli impediscono di vedere Dio. Si chiede anche che, dopo aver ricevuto la visione, mantenga pure le sue intenzioni e retti i suoi comportamenti, e che la protezione di Maria limiti le passioni umane. Beatrice e tutte le anime beate si uniscono a questa preghiera.

Avvicinarsi alla luce

Gli occhi di Maria, così graditi a Dio, si posano prima sul santo che prega, e poi si rivolgono verso la luce divina. Nessuna creatura umana può penetrare così profondamente in quella luce come lei. Ci si avvicina al momento in cui tutti i desideri saranno soddisfatti. Lo sguardo, diventando sempre più puro, riesce a penetrare sempre più a fondo nel raggio della luce altissima che racchiude in sé ogni Verità. Mantenere lo sguardo fisso in questa luce è fondamentale per non essere abbagliati e per riuscire a connettersi con l’essenza infinita di Dio, un dono reso possibile solo dalla sua grazia.

La visione che supera ogni parola

Ciò che si vede da questo momento in poi supera ogni possibilità di descrizione umana. Di fronte a una visione così immensa, le parole non bastano e la memoria non riesce a contenerla. È come chi si sveglia da un sogno e conserva l’emozione provata, ma non ricorda i dettagli. La visione svanisce, ma la dolcezza che ne deriva rimane nell’animo. Si invoca la luce divina perché possa aiutare a ricordare e a trasmettere anche solo una piccola parte della sua gloria. La parola umana è insufficiente rispetto a ciò che si vede e si ricorda, come il balbettio di un neonato.

L’unità e la natura di Dio

Nel profondo dell’essenza divina, tutto ciò che nell’universo appare separato e disperso è invece unito in un unico, potentissimo vincolo d’amore. Sostanze, qualità e relazioni sono legate tra loro in un modo così stretto e profondo che è difficile da spiegare a parole. Si vede la forma universale di questo legame che tiene insieme ogni cosa, e l’anima prova una grande gioia nel poterlo anche solo menzionare. Nella luce divina non c’è cambiamento o successione; essa appare sempre identica a sé stessa. Le variazioni che sembrano percepite sono solo apparenti, come se venissero dall’esterno, ma l’essenza di Dio rimane immutabile.

Il mistero della Trinità e dell’Incarnazione

Nella luminosa essenza di Dio, appaiono tre cerchi che hanno la stessa dimensione ma colori diversi. Uno di essi sembra riflettersi nell’altro, e il terzo appare come un fuoco che spira da entrambi. Le parole umane sono inadeguate per descrivere il mistero della Trinità. Si osserva con attenzione il secondo cerchio, quello generato per riflesso dal primo. Al suo interno, pur mantenendo lo stesso colore, appare un’immagine umana. Lo sguardo si concentra su questo volto. Non si riesce a capire come l’effigie umana possa adattarsi a una circonferenza, è un problema difficile come per un matematico cercare di trovare la quadratura del cerchio. Le forze della mente non sono sufficienti a comprenderlo pienamente.

La completa unione con l’Amore che tutto muove

Un nuovo lampo di luce divina permette alla mente di raggiungere ciò che desidera comprendere. L’immaginazione si eleva fino a Dio, dove le capacità umane vengono meno. Ma Dio stesso, quell’Amore che muove il sole e tutte le altre stelle, fa sì che il desiderio e la volontà della persona tornino a coincidere perfettamente, muovendosi all’unisono come una ruota che gira in modo uniforme. La mente è completamente assorta, fissa e attenta, sempre accesa dal desiderio di vedere. L’effetto di questa luce è tale che non è possibile distogliere lo sguardo; ogni bene possibile si trova raccolto in essa. Al di fuori di questa luce, nessun bene può essere completo.

Se la visione divina è per sua natura indescrivibile e incomprensibile alla ragione umana, su quali basi logiche si fonda l’affermazione che la grazia possa essere ottenuta solo tramite un’intercessione specifica?
Il capitolo descrive una visione del divino che trascende la comprensione razionale e la capacità descrittiva del linguaggio umano. Affermare, in questo contesto di ineffabilità, che l’accesso alla grazia divina sia condizionato e reso possibile unicamente dall’intercessione di una figura specifica (la Vergine Maria) solleva interrogativi sulla coerenza interna dell’argomentazione. Se la visione è al di là della logica e della parola, come può una regola così specifica e apparentemente “logistica” (rivolgersi a X per ottenere Y) governare l’accesso a tale realtà? Per esplorare queste tensioni, è utile approfondire la filosofia della religione, in particolare il rapporto tra fede e ragione, i limiti della conoscenza umana di fronte al trascendente e le diverse concezioni teologiche sull’intercessione e la grazia. Autori come Tommaso d’Aquino, Immanuel Kant o Søren Kierkegaard offrono prospettive diverse su questi temi.


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