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RISPOSTA: “Nella fine è l’inizio. In che mondo vivremo” di Chiara Magatti è un libro che ci porta a riflettere profondamente su come la pandemia di Covid-19 abbia scosso le fondamenta della nostra società, rivelando fragilità e aprendo scenari inediti. Non è un libro che si svolge in luoghi specifici, ma piuttosto nel contesto globale della nostra esistenza, mettendo a nudo le dinamiche che ci legano, spesso in modi che prima ignoravamo. Magatti analizza come la crisi abbia fatto emergere l’interdipendenza tra le nostre vite, sfidando l’individualismo che ci aveva caratterizzato. Ci parla di rischio, di come le società moderne siano esposte a pericoli sistemici che vanno oltre le singole scelte, e di come l’emergenza ci costringa a ripensare la resilienza, non come un semplice ritorno al passato, ma come un’opportunità di trasformazione. Il libro esplora anche il concetto di libertà, mettendolo in relazione con la responsabilità e la crescente sorveglianza digitale, e ci invita a considerare la fragilità umana non come un difetto, ma come una condizione da cui partire per costruire con cura. Infine, affronta la precarietà e il trauma collettivo, proponendo la “protensione” come via per guardare avanti, un movimento di fiducia e costruzione di un futuro condiviso. È un invito a costruire quel “ponte che non c’è”, un’espressione potente che racchiude la necessità di unire le forze per creare un nuovo orizzonte, un mondo in cui la speranza guida il cammino verso forme di vita più giuste.Riassunto Breve
La pandemia di Covid-19 è un evento che sconvolge la vita, mostrando quanto siamo fragili e dipendenti gli uni dagli altri. Questa crisi ci costringe a confrontarci con la morte e a ripensare il modo in cui viviamo. Non è solo un problema temporaneo, ma una rottura che rivela i limiti e le possibilità della nostra società. L’interconnessione globale, che sembrava solo un vantaggio, si rivela anche una via per la diffusione dei virus, mostrando il lato oscuro del legame. L’idea che ognuno pensi per sé si dimostra sbagliata; capiamo invece quanto le nostre vite siano legate e come le nostre azioni influenzino gli altri. È necessario pensare in termini di “noi” e sentire la responsabilità verso la comunità. La crisi evidenzia che vita e morte sono inseparabili; ignorare la morte rende la vita meno significativa. La nostra fragilità ci spinge a cercare un modo per rinnovarci. Il crollo delle vecchie abitudini ci fa riflettere su cosa significhi stare insieme. Questa esperienza può davvero cambiarci se lascia un segno profondo, non solo un ricordo passeggero. Una vera esperienza ci mette di fronte a qualcosa di diverso da noi, facendoci capire che siamo sempre in relazione.La società è un equilibrio instabile, pieno di tensioni. La pandemia ha rotto questo equilibrio, facendoci sentire meno sicuri e mostrando i problemi nascosti della società prima della crisi, come i rischi che non vediamo, la connessione usata male, un’idea di libertà sbagliata, l’eccessiva fiducia nella tecnica e un senso di insicurezza diffuso. Questo periodo è un momento di passaggio tra un passato pieno di contraddizioni, un presente che ci destabilizza e un futuro che non conosciamo. La crisi rende più forti i problemi che non abbiamo risolto, ma fa anche emergere nuove possibilità. Non si tratta di tornare indietro o semplicemente ripartire, ma di creare qualcosa di nuovo, una risposta creativa che usa le potenzialità che già esistono. Per affrontare le difficoltà di questo tempo, servono concetti come la capacità di adattarsi e cambiare (resilienza), la consapevolezza che dipendiamo gli uni dagli altri (interindipendenza), la capacità di rispondere ai bisogni comuni (responsività), l’attenzione verso sé stessi e gli altri (cura) e uno slancio in avanti (protensione). Queste non sono soluzioni facili, ma percorsi che nascono dalla crisi e richiedono lo sforzo di tutti per dare una nuova direzione alla storia.Le società moderne non erano pronte per la pandemia, anche se c’erano segnali. Questo ritardo nel capire la gravità mostra che facciamo fatica a vedere la realtà e spesso preferiamo negare i problemi per non cambiare le cose. La società attuale è esposta a rischi che non dipendono solo dalle scelte individuali, ma da come è organizzata nel complesso. Questi rischi riguardano l’economia, l’ambiente, le relazioni tra paesi, la società e la tecnologia. Sono difficili da capire perché li vediamo in modo diverso e ci sono interessi contrastanti. Il rischio è qualcosa di astratto proiettato nel futuro, diverso dal pericolo immediato, e per questo è difficile agire in tempo. Quando un rischio si manifesta, diventa un’emergenza. L’emergenza è uno stato di shock: ci sentiamo minacciati, abbiamo poco tempo per reagire, pensiamo di non avere gli strumenti giusti e proviamo emozioni forti che possono portare a confusione o, all’inizio, a solidarietà, seguita poi da rabbia. L’emergenza rompe la normalità, mette in discussione le strutture sociali e le idee che avevamo, creando disordine ma anche l’opportunità di cambiare e innovare.Per affrontare gli shock futuri, dobbiamo sviluppare la resilienza. Resilienza non significa solo resistere o tornare come prima, ma imparare dall’esperienza per assorbire i colpi, adattarsi e, soprattutto, trasformare il sistema. Questo richiede di cambiare l’idea di crescita, passando da un aumento individuale a una gestione collettiva dei rischi, creando valore per tutti. È fondamentale pensare al futuro a lungo termine, investendo per le prossime generazioni invece di cercare solo il guadagno immediato. Affrontare i rischi conosciuti con prudenza è una scelta intelligente per evitare problemi maggiori in futuro. La resilienza è la capacità di affrontare il rischio, non di negarlo, e usarlo come un’occasione per ricominciare.La modernità ha allentato i legami sociali tradizionali, spinta dalla tecnologia e dal mercato. Questo ha favorito l’idea di individui autonomi che si connettono in modo leggero e temporaneo, creando un mondo senza confini dove l’individuo si sente libero di muoversi. Negli ultimi anni, i problemi di questo modello, come le disuguaglianze, hanno portato a reazioni di chiusura e nazionalismo. La pandemia ha bloccato bruscamente questa tendenza, imponendo un confinamento globale. Questo blocco forzato ha mostrato che la connessione non è solo una scelta, ma una condizione fondamentale della vita sociale. Nessuno è isolato; siamo tutti collegati e dipendenti. Il confinamento ha mostrato un doppio aspetto: l’altro può essere un pericolo, ma la sua assenza rivela quanto ne abbiamo bisogno. Il limite fisico imposto è diventato necessario per proteggere noi stessi e gli altri. La pandemia mette in crisi sia l’idea di un mondo senza limiti sia quella di chiudersi in sé stessi. Emerge la necessità di riconoscere l’interindipendenza: una condizione in cui siamo autonomi ma anche legati agli altri. I confini non sono solo barriere, ma anche luoghi di incontro. Affrontare le sfide globali richiede un modo di pensare che sappia gestire la complessità e favorire il dialogo, superando le divisioni semplici. La realtà è un insieme di elementi diversi ma collegati. La connessione deve essere vista come una struttura permanente di legami reciproci, dove il benessere di ognuno è legato a quello di tutti.La modernità ha messo al centro l’idea di un individuo autonomo e razionale, separato dalle emozioni. Questo ha portato a un “io” isolato e fragile. È necessario riconoscere che l’essere umano è fatto per stare in relazione con gli altri. La società recente, influenzata da certe idee economiche, ha esaltato l’individuo, creando una società di individui isolati. Questo ha reso le persone più deboli, diminuendo la loro sensibilità verso gli altri e il senso di responsabilità. La crisi di questo modello ha aumentato la richiesta di sicurezza, portando a vedere la libertà individuale come causa di disordine. Per controllare i comportamenti, la modernità ha usato la burocrazia e, nell’era digitale, la sorveglianza. Questa sorveglianza è ovunque, spesso accettata volontariamente usando la tecnologia, e serve a raccogliere dati per soldi e controllo. Il sistema economico attuale usa questi dati per prevedere i nostri comportamenti. La pandemia ha accelerato l’uso della sorveglianza, giustificandola per la salute pubblica. La paura ci spinge ad accettare limiti alla libertà, rischiando di rendere normale una sorveglianza tecnologica che promette efficienza e sicurezza, riducendo la vita alla semplice sopravvivenza. Questa fiducia cieca nella tecnica evita di affrontare i veri problemi sociali. Un’alternativa è riscoprire il legame tra libertà e responsabilità. La libertà non è l’assenza di regole, ma una relazione. Siamo liberi gli uni rispetto agli altri. La responsabilità è la capacità di rispondere al legame che ci unisce, agendo per il bene comune oltre l’interesse personale o le regole. Questa capacità di rispondere è fondamentale per una democrazia sana e per evitare che la società diventi un sistema di controllo totale basato sulla sorveglianza. La libertà richiede attenzione, consapevolezza e la capacità di fare sacrifici per gli altri.La società di oggi si basa sulla potenza della tecnica e sulla ricerca di una crescita senza fine. Questo modello premia l’efficienza e la performance, spingendo le persone a essere sempre al massimo. Chi non ce la fa viene messo da parte. Questa logica della potenza ha preso il posto di altre guide, come la religione o la politica, affidando alla scienza e alla tecnica le speranze di cambiare il mondo. Il risultato è un ritmo di vita accelerato che porta a un eccesso e a una ricerca continua di novità. Nonostante i progressi materiali e l’aumento della vita media, questo modello crea un problema: più aumenta la potenza tecnica, più aumentano le persone vulnerabili. La pandemia ha reso evidente questa fragilità, colpendo di più gli anziani, i malati e i gruppi svantaggiati. Ha mostrato che l’idea di essere invulnerabili grazie alla tecnica è falsa e che i confini non possono fermare i problemi globali. La logica basata solo sull’efficienza economica non funziona di fronte a crisi sanitarie e sociali, portando a considerare la vita umana in termini di costi. La fragilità non è un difetto da eliminare, ma una condizione fondamentale dell’essere umano. La società della potenza tende a nasconderla o disprezzarla. L’indifferenza verso la fragilità degli altri e del mondo è un tratto di questo modello, che porta a disuguaglianze. Per superare questo schema, dobbiamo riconoscere e accettare la fragilità come punto di partenza per un approccio basato sulla cura. La cura è un modo diverso di relazionarsi con la realtà, non basato sul controllo o sul contratto, ma sull’impegno e l’attenzione verso sé stessi, gli altri e il mondo. Implica un coinvolgimento che contrasta la superficialità. La cura è essenziale perché le persone diventino sé stesse in relazione con gli altri e contribuiscano al bene comune. Richiede di ripensare sistemi come la sanità, valorizzando le reti sociali e promuovendo nuove forme di solidarietà. La sfida è unire potenza e fragilità, usando la cura per uno sviluppo che valorizzi la qualità delle persone e dei legami, superando la logica puramente quantitativa e individualistica.L’esistenza umana è segnata dalla precarietà e dalla consapevolezza che le cose finiscono. Le società hanno cercato modi collettivi per gestire questa incertezza, come la magia, la religione, le istituzioni e, nella modernità, la scienza e la tecnica. Quest’ultima, pur avendo successo, non riesce a eliminare l’incertezza fondamentale sulla condizione umana. Le società contemporanee mostrano un paradosso: nonostante una grande sicurezza materiale, il senso di insicurezza aumenta. Questo è legato al fatto che i rischi sono visti come problemi individuali e la morte è nascosta, lasciando all’individuo il peso degli eventi difficili. L’incapacità di affrontare insieme questa insicurezza nascosta genera rabbia che può portare a conflitti e alla ricerca di colpevoli. La pandemia è stata un trauma collettivo, riportando la morte e l’incertezza al centro dell’esperienza di tutti nel mondo. Questo ha trasformato la paura, di solito legata a cose precise, in angoscia, uno stato di disorientamento senza un oggetto definito che può bloccare. La pandemia ha anche messo in crisi la fiducia nelle istituzioni tradizionali (scienza, politica, religione) che non riescono a dare certezze assolute. L’angoscia collettiva può portare a conseguenze negative, come l’aumento dei conflitti, la ricerca di colpevoli e forme di controllo autoritario basate sulla sorveglianza. Tuttavia, il trauma può anche aprire nuove possibilità. Se viene elaborato, permette di riconoscere i limiti e di trovare nuove energie creative. La via d’uscita dall’angoscia dopo un trauma è la “protensione”, un movimento in avanti che nasce dalla fiducia. Questo richiede di ricostruire la fiducia nella realtà e negli altri, non come una certezza assoluta, ma come capacità di fare passi anche se non sono garantiti. Le condizioni per questo slancio in avanti includono trovare un nuovo senso e una nuova visione per il futuro, rafforzare la solidarietà concreta e sviluppare nuove forme di autorità che siano autorevoli. Si tratta di imparare a convivere con l’angoscia, trasformando l’esperienza della precarietà in uno slancio verso un futuro condiviso e significativo.La società attuale è caratterizzata da rischio, connessioni, libertà, potenza e insicurezza. L’esperienza dell’emergenza ha mostrato che i rischi sono reali e che spesso sottovalutiamo gli avvisi. Per costruire una società capace di adattarsi, dobbiamo imparare dalla realtà e riconoscere che non abbiamo tutto sotto controllo. Questo significa cambiare il modo in cui pensiamo alla crescita, misuriamo i risultati e prendiamo decisioni. La società è connessa, ma mancano strutture per gestire gli scambi e gli spostamenti in modo efficace. L’idea di individui senza limiti è irrealistica. Servono nuove istituzioni e la ricostruzione di un tessuto sociale basato su luoghi e relazioni, creando aree con un’identità condivisa. Il futuro richiede interdipendenza e dialogo. La libertà è minacciata dalla sorveglianza, alimentata dalla paura, dal controllo politico e dall’uso del digitale. Dopo anni di individualismo, il rapporto tra individuo e società rischia di ribaltarsi. È essenziale investire nella formazione delle persone e nelle relazioni. La libertà va ripensata come capacità di rispondere alla realtà, agli altri e al legame comune. La potenza dei sistemi sociali ha aiutato a gestire l’emergenza, ma il 2020 ha rivelato l’inevitabile fragilità umana. Non si può lasciare che la potenza schiacci la fragilità né rassegnarsi ad essa. Serve un equilibrio e una nuova solidarietà basata sulla cura, che deve avere un valore pubblico da scoprire. L’insicurezza è profonda, legata alla consapevolezza della vulnerabilità e della mortalità. Tecnica e crescita non eliminano la morte. La precarietà è inevitabile ma stimola la ricerca e il desiderio. Dare senso alla precarietà è fondamentale. Nessuna risposta unica risolve la vulnerabilità. Questo può portare a maggiore insicurezza o a una nuova saggezza basata sull’intuizione e sulla fiducia reciproca, un affidarsi che permette di immaginare un futuro non dominabile, superando i limiti individuali. L’era della modernità liquida è finita con la pandemia, lasciando un periodo di transizione in cui il vecchio non c’è più e il nuovo non è ancora nato. La situazione dopo l’emergenza è di divisione. Serve agire con fatti concreti e simboli per un modo di vivere che vada oltre l’interesse immediato. Il corpo sociale ha bisogno di rigenerarsi. Il futuro è una trasformazione delle potenzialità inespresse. È necessario costruire un ponte che non c’è, uno sforzo comune come a Genova dopo il crollo del ponte Morandi. Il ponte simboleggia la capacità umana di superare gli ostacoli e unire, trasformando la distanza in vicinanza. Non è solo un mezzo, ma un cammino che si costruisce nel presente, creando uno spazio comune condiviso. Per superare la pandemia, si deve costruire questo ponte inesistente. La speranza è fondamentale, non come semplice ottimismo, ma come certezza che qualcosa ha senso. La speranza è una promessa basata sulla capacità umana di creare valore, una visione di desiderio che genera, una virtù che richiede coraggio e resistenza, e una costruzione che implica saper fare, vivere e pensare, gestendo i conflitti e contribuendo a un orizzonte comune. La ricompensa non è nell’arrivare, ma nel processo e nel cammino che si apre, cercando forme di vita più giuste.Riassunto Lungo
1. La Catastrofe Rivelatrice e il Tempo del Passaggio
La pandemia di Covid-19 è un evento traumatico che stravolge la vita di tutti. Questo sconvolgimento mette in luce quanto l’esistenza sia per sua natura incerta e fragile. Impedisce di ignorare la presenza della morte e obbliga a rivedere profondamente il modo in cui si vive e si pensa alla vita.La Rivelazione della Vulnerabilità e dell’Interdipendenza
La crisi non è solo un’interruzione temporanea, ma una vera e propria rottura che svela limiti e possibilità prima nascosti, aprendo la strada a un futuro diverso. L’interconnessione globale, che permette la diffusione rapida dei virus, mostra il lato problematico di essere tutti collegati. In questo contesto, l’idea che ognuno basti a sé stesso si rivela falsa. Diventa evidente quanto le vite siano legate l’una all’altra e come le azioni di ciascuno abbiano un impatto sugli altri. Si sperimenta così la necessità di pensare in termini di “noi” e di capire che la responsabilità individuale è fondamentale per il benessere collettivo.La Crisi come Esperienza Trasformativa
Questa catastrofe mette in risalto il legame indissolubile tra vita e morte; cercare di rimuovere la morte dalla consapevolezza finisce per svuotare la vita stessa di significato. La vulnerabilità impone di trasformare questa tensione in una forza per rinnovarsi. Il crollo delle abitudini quotidiane consolidate offre l’opportunità di riflettere sul senso dello stare insieme. L’esperienza della pandemia può davvero cambiare le persone (diventare Erfahrung) se lascia un segno duraturo e porta a un cambiamento profondo, non restando un semplice evento passeggero (Erlebnis). Un’esperienza autentica implica spesso una perdita di controllo e un confronto con qualcosa di esterno che spinge a superare i propri confini e a riconoscere quanto si sia sempre in relazione con gli altri.Un Tempo di Passaggio e Trasformazione
La società può essere vista come un equilibrio delicato, un insieme di tensioni e relazioni che si reggono in modo provvisorio e che sono sempre aperte al cambiamento. La pandemia ha spezzato questo equilibrio, facendo crollare il senso di sicurezza fondamentale e rivelando le fragilità nascoste della società prima della crisi, come la gestione del rischio, la natura della connessione, l’idea di libertà, la fiducia eccessiva nella tecnica e un senso generale di insicurezza. Questo momento storico è un tempo di passaggio, un confine tra un passato pieno di contraddizioni, un presente che destabilizza e un futuro ancora sconosciuto. La crisi acuisce le tensioni che non erano state risolte, ma al tempo stesso porta alla luce potenzialità latenti. Non si tratta di tornare semplicemente a come si era prima o di ripartire da zero, ma di una trasformazione profonda e creativa (“trasduttiva”), una risposta nuova che si basa sulle possibilità già presenti.Percorsi per un Nuovo Ciclo
Le strade percorribili per affrontare le difficoltà di questo tempo si manifestano attraverso concetti legati alla relazione, come la capacità di riprendersi dalle avversità (resilienza), il riconoscimento dell’interdipendenza reciproca, la capacità di rispondere in modo adeguato (responsività), l’importanza della cura verso sé stessi e gli altri, e la capacità di proiettarsi in avanti (pro-tensione). Questi non sono soluzioni facili o immediate, ma percorsi che emergono dalla crisi stessa e che richiedono lo sforzo e il contributo di tutti per dare una direzione a questa nuova fase storica.Se la pandemia ha rivelato la fragilità dell’interconnessione globale, perché il capitolo non approfondisce le criticità intrinseche di tale sistema, né propone soluzioni concrete per mitigarle, limitandosi a un generico appello alla “responsabilità individuale” e al “pensare in termini di noi”?
Il capitolo descrive la pandemia come un evento rivelatore della vulnerabilità e dell’interdipendenza umana, ma l’argomentazione appare incompleta nel delineare le cause profonde di questa fragilità sistemica e nel proporre strategie attuabili. Si evince una certa superficialità nel passaggio dalla constatazione del problema alla sua risoluzione, con un’enfasi quasi moralistica sulla responsabilità individuale senza un’analisi critica delle strutture che generano e amplificano le vulnerabilità. Per colmare queste lacune, sarebbe utile approfondire le dinamiche socio-economiche globali che hanno portato all’attuale livello di interconnessione, magari consultando autori che analizzano le criticità del capitalismo globale o le teorie sulla complessità sistemica. Inoltre, un’esplorazione delle scienze politiche e sociali potrebbe offrire spunti su modelli di governance più efficaci e sulla costruzione di un senso di comunità autentico, superando la mera retorica dell’interdipendenza. La riflessione dovrebbe anche considerare autori che hanno studiato la gestione delle crisi e la resilienza delle società, come Nassim Nicholas Taleb, per comprendere meglio come affrontare le inevitabili incertezze future.2. Navigare la Tempesta: Rischio, Emergenza e la Via della Resilienza
Le società avanzate non erano pronte ad affrontare la pandemia, anche se c’erano stati segnali che la annunciavano. Non aver riconosciuto subito quanto fosse grave la situazione mostra che c’è stata una difficoltà a capire la realtà e una tendenza a non voler vedere i problemi per non cambiare le cose come stanno.Cos’è il Rischio Sistemico?
La società di oggi è costruita in modo da essere esposta a rischi che non dipendono solo dalle scelte dei singoli. Questi rischi nascono da come è organizzata la società nel suo complesso e riguardano l’economia, l’ambiente, i rapporti tra i paesi, la vita sociale e la tecnologia. È difficile valutarli bene perché ci sono modi diversi di vedere le cose, pregiudizi e interessi che non sempre coincidono. A differenza di un pericolo che si vede subito, il rischio è un’idea astratta che riguarda il futuro, per questo è complicato agire in tempo per affrontarlo.Quando il Rischio Diventa Emergenza
Quando un rischio si manifesta, si trasforma in un’emergenza. L’emergenza è un momento di grande tensione: si sente una minaccia vicina, il tempo sembra accorciarsi e bisogna rispondere in fretta, si ha la sensazione di non avere gli strumenti giusti. Si provano emozioni forti, che all’inizio possono portare confusione o spingere alla solidarietà, ma poi anche alla rabbia. L’emergenza rompe la normalità di tutti i giorni, mette in discussione le regole sociali e le idee a cui si credeva, creando disordine ma aprendo anche la possibilità di cambiare e trovare soluzioni nuove.Costruire la Resilienza per il Futuro
Per affrontare i momenti difficili che verranno, è importante sviluppare la resilienza. Essere resilienti non significa solo resistere o tornare esattamente come si era prima. Vuol dire imparare da quello che è successo per riuscire ad assorbire i colpi, adattarsi e, soprattutto, cambiare il sistema in meglio. Questo richiede di pensare alla crescita in modo diverso: non più solo come un aumento di qualcosa per il singolo, ma come una gestione dei rischi fatta insieme, creando valore per tutti. È fondamentale guardare lontano, investendo per chi verrà dopo di noi (come un patrimonio) invece di pensare solo al guadagno immediato. Affrontare i rischi che si conoscono, usando il principio di precauzione, è una scelta ragionevole per evitare di pagare costi molto più alti in futuro. La resilienza è la capacità di affrontare il rischio, senza negarlo, e di usarlo come un’occasione per ricominciare in modo nuovo.Se la società avanzata, pur avendo avuto segnali premonitori, non era pronta ad affrontare la pandemia, non è forse un’ammissione implicita di un fallimento sistemico nella gestione del rischio, piuttosto che una semplice “difficoltà a capire la realtà” o una “tendenza a non voler vedere i problemi”?
Il capitolo descrive la difficoltà nel riconoscere la gravità della situazione pandemica come una tendenza a non voler cambiare lo status quo. Tuttavia, questa interpretazione potrebbe essere troppo semplicistica e non considerare adeguatamente le complessità intrinseche nella valutazione e gestione dei rischi sistemici, soprattutto quando questi si manifestano in forme inedite o con una velocità inaspettata. Per comprendere meglio questo aspetto, sarebbe utile approfondire discipline come la teoria della complessità e la psicologia della decisione in condizioni di incertezza. Autori come Nassim Nicholas Taleb, con le sue riflessioni sul “cigno nero” e sulla fragilità dei sistemi, potrebbero offrire prospettive illuminanti per colmare questa lacuna argomentativa.3. L’Interindipendenza Rivelata dal Limite
La modernità ha progressivamente allentato i legami sociali e i confini tradizionali, spinta dalla tecnologia e dal mercato. Questo modo di vivere, definito “modernità liquida”, promuove l’idea che le relazioni siano semplici connessioni, facili da creare e da sciogliere, tra persone che si considerano autonome. L’obiettivo sembra essere un mondo senza più limiti, dove ognuno è libero di muoversi e scegliere senza vincoli pesanti. Tuttavia, nel tempo sono emerse le difficoltà di questo modello, come l’aumento delle disuguaglianze e le crisi legate all’identità. Queste problematiche hanno provocato reazioni opposte, portando a chiusure, nazionalismi e alla costruzione di nuove barriere, quasi un desiderio di tornare a una maggiore solidità.Il Limite Improvviso della Pandemia
La pandemia di Covid-19 ha interrotto bruscamente questa tendenza, imponendo un confinamento a livello globale. Questo blocco inaspettato ha mostrato in modo evidente che la nostra vita sociale si basa su un’infrastruttura di relazioni che non è solo tecnologica, ma profondamente biologica e umana. Ha rivelato che la connessione non è semplicemente una scelta che possiamo revocare a piacere, ma una condizione fondamentale della nostra esistenza. Nessuno può considerarsi completamente isolato; siamo tutti profondamente legati e dipendenti gli uni dagli altri in modi essenziali.Scoprire l’Interdipendenza
L’esperienza del confinamento ha messo in luce un aspetto complesso: l’altro, la persona diversa da noi, può apparire come un potenziale pericolo in certe situazioni, ma al tempo stesso la sua assenza ci fa capire quanto sia un bisogno fondamentale per noi. Accettare un limite fisico, come l’auto-confinamento, si è rivelato necessario non solo per proteggere noi stessi, ma anche per tutelare gli altri. La pandemia ha messo in crisi sia l’idea di un globalismo senza freni sia quella di un localismo chiuso in sé stesso. Da questa esperienza emerge con forza la necessità di riconoscere l’interdipendenza: una condizione in cui l’autonomia personale e il legame con gli altri possono e devono coesistere.Una Nuova Comprensione della Connessione
In questa visione, i confini non sono visti solo come barriere che separano (i “limes”), ma anche come soglie, luoghi di incontro e passaggio (i “limen”). Per affrontare le grandi sfide globali e ripensare l’organizzazione della società, è fondamentale sviluppare un modo di pensare capace di gestire la complessità e favorire il dialogo costruttivo, superando le divisioni semplici e rigide. La realtà, infatti, è un insieme complesso di elementi diversi ma inseparabili, legati tra loro. La connessione, quindi, deve essere ripensata non come un semplice optional, ma come una struttura permanente di interdipendenze, dove il benessere di ciascuno è strettamente legato al benessere di tutti.Se la fragilità è una condizione universale e costitutiva dell’essere umano, come mai la società della potenza ha potuto prosperare per così lungo tempo, ignorandola o relegandola?
Il capitolo presenta una dicotomia netta tra la società della potenza e la necessità di accettare la fragilità, suggerendo che la prima sia un modello dominante e incontrastato. Tuttavia, non viene esplicitato il contesto storico-filosofico che ha portato a questa egemonia e quali forze o correnti di pensiero abbiano potuto contrastarla o coesistervi. Per comprendere appieno la transizione verso un modello basato sulla cura, sarebbe utile approfondire autori che hanno analizzato criticamente il progresso tecnologico e la razionalità strumentale, come ad esempio pensatori legati alla Scuola di Francoforte o filosofi che hanno indagato la condizione umana in relazione alla modernità. Un’analisi più dettagliata delle critiche al modello della potenza, magari attraverso la lettura di opere di Hannah Arendt sulla banalità del male e sulla fragilità della condizione umana, o di pensatori come Michel Foucault sul potere e la governamentalità, potrebbe fornire un quadro più completo e permettere di rispondere alla domanda su come la fragilità sia stata storicamente gestita o ignorata.6. Precarietà, Trauma e la Via della Protensione
L’esistenza umana è segnata dalla precarietà e dalla consapevolezza che tutto è destinato a finire. Per gestire questa incertezza, le società hanno creato strumenti collettivi come la magia, la religione, le istituzioni politiche e, in tempi moderni, la scienza e la tecnica. Nonostante i grandi successi scientifici e tecnologici, l’incertezza fondamentale sulla nostra condizione rimane. Nelle società di oggi si osserva un contrasto: pur avendo un alto livello di sicurezza materiale, il senso di insicurezza generale aumenta. Questo accade perché il rischio viene spesso considerato un problema individuale e la morte viene allontanata dalla vita pubblica, lasciando la persona sola di fronte agli eventi difficili. Non riuscire a gestire insieme questa insicurezza nascosta genera risentimento e rabbia, che possono portare a conflitti tra gruppi e alla ricerca di qualcuno da incolpare.Il Trauma della Pandemia e le sue Conseguenze
La pandemia di Covid-19 è stata un evento traumatico per tutti, riportando la morte e l’incertezza al centro della nostra esperienza globale. Questo ha trasformato la paura, che di solito ha un oggetto preciso, in angoscia, uno stato di confusione senza una causa definita che può bloccare le persone. La pandemia ha anche messo in discussione la fiducia nelle istituzioni considerate punti fermi, come la scienza, la politica e la religione, perché non sono riuscite a offrire certezze assolute. L’angoscia diffusa può portare a conseguenze negative, aumentando i conflitti sociali, spingendo a cercare colpevoli e favorendo forme di controllo autoritario basate sulla sorveglianza. Tuttavia, un trauma può anche aprire nuove strade; se viene affrontato e superato, permette di riconoscere i propri limiti e di liberare energie creative.La Via della Protensione
La strada per uscire dall’angoscia dopo un trauma è la “protensione”, un movimento in avanti che si basa sulla fiducia. Questo significa ricostruire la fiducia nella realtà e negli altri, non cercando certezze assolute, ma accettando di fare passi avanti anche se non sono garantiti. Per riuscire in questa protensione, è necessario trovare un nuovo significato e una nuova visione per il futuro, rafforzare i legami di solidarietà concreta e sviluppare nuove forme di autorità che siano autorevoli. Si tratta, in fondo, di imparare a vivere insieme all’angoscia, trasformando l’esperienza della precarietà in uno slancio verso un futuro condiviso e pieno di significato.Se la “protensione” è la via d’uscita dall’angoscia post-traumatica, come si concilia questa fiducia nel futuro con la constatazione che “tutto è destinato a finire”?
Il capitolo suggerisce che la precarietà sia una condizione intrinseca dell’esistenza umana, gestita attraverso strumenti collettivi e, in tempi moderni, scienza e tecnica. Tuttavia, nonostante i progressi, l’incertezza fondamentale permane, acuita da un senso di insicurezza materiale diffuso. La pandemia di Covid-19 ha esacerbato questa condizione, trasformando la paura in angoscia e minando la fiducia nelle istituzioni. La soluzione proposta, la “protensione”, si basa sulla fiducia e sull’accettazione di passi non garantiti verso un futuro condiviso.Per approfondire la comprensione di questa apparente contraddizione e la validità della “protensione” come risposta alla precarietà esistenziale, sarebbe utile esplorare ulteriormente le implicazioni filosofiche della temporalità e della mortalità umana. Discipline come la filosofia esistenzialista, con particolare riferimento a pensatori come Martin Heidegger e la sua analisi dell’essere-per-la-morte, potrebbero offrire spunti significativi. Inoltre, l’analisi delle dinamiche psicologiche legate all’accettazione dell’incertezza e alla costruzione di significato in contesti di precarietà, come studiato dalla psicologia positiva e dalla terapia esistenziale, potrebbe fornire un quadro più completo. La lettura di testi che affrontano il concetto di resilienza di fronte all’avversità, senza però negare la natura transitoria di ogni cosa, potrebbe aiutare a colmare questa lacuna.Capitolo 7: Costruire il ponte che non c’è
La società di oggi è segnata da rischio, connessioni, libertà, potenza e insicurezza. L’esperienza recente di un’emergenza ha reso chiaro che i rischi sono concreti e che spesso l’intelligenza collettiva tende a non dare il giusto peso agli allerta. Per costruire una società capace di affrontare le difficoltà, è fondamentale imparare dalla realtà e accettare che non possiamo controllare tutto. Questo richiede un cambiamento profondo nel modo in cui pensiamo alla crescita, misuriamo i risultati e prendiamo decisioni importanti.Le sfide delle connessioni e della libertà
Sebbene la società sia molto connessa, mancano strutture solide per gestire scambi e spostamenti in modo efficace. L’idea che gli individui non abbiano limiti si dimostra irrealistica. C’è bisogno di rinnovare le istituzioni e ricostruire un tessuto sociale che si basi sui luoghi e sulle relazioni, creando aree con un’identità condivisa. Il futuro chiede a tutti noi di essere più interdipendenti e aperti al dialogo. La libertà, d’altra parte, è minacciata dalla sorveglianza, alimentata dalle paure, dal controllo politico e dall’uso sempre maggiore degli strumenti digitali. Dopo decenni in cui si è data molta importanza all’individuo, il rapporto tra la persona e la società rischia di alterarsi. È essenziale investire nella formazione delle persone e nel rafforzare le relazioni umane. La libertà va ripensata come la capacità di rispondere alla realtà, agli altri e al legame che ci unisce.Potenza, fragilità e insicurezza
La potenza dei sistemi sociali ha aiutato a gestire l’emergenza, ma il 2020 ha anche mostrato quanto sia inevitabile la fragilità umana. Non possiamo permettere che la potenza schiacci la fragilità, né rassegnarci ad essa. Serve trovare un equilibrio e costruire una nuova forma di solidarietà basata sulla cura reciproca, scoprendo il suo valore per l’intera comunità. L’insicurezza che proviamo è profonda, legata alla consapevolezza della nostra vulnerabilità e del fatto che siamo mortali. La tecnica e la crescita economica non possono eliminare la morte. La precarietà è una condizione che non scompare, ma che può stimolare la ricerca e il desiderio di migliorare. Dare un senso a questa precarietà è fondamentale per andare avanti. Non esiste un’unica soluzione per superare la vulnerabilità. Questa condizione può portare a maggiore insicurezza o a una nuova forma di saggezza basata su una comprensione completa della realtà e sulla fiducia reciproca, un affidarsi che ci permette di immaginare un futuro che non possiamo dominare completamente, superando i limiti individuali.Un tempo di transizione e la necessità di agire
L’epoca definita “modernità liquida” è finita con la pandemia, lasciando un periodo di “interregno” in cui ciò che era vecchio non esiste più e ciò che è nuovo non è ancora nato. La situazione dopo l’emergenza è caratterizzata da forti divisioni, con persone che vivono condizioni molto diverse tra loro. È necessario agire con fatti concreti e con simboli che promuovano uno spirito di superamento e di elevazione. Il corpo sociale, cioè l’intera comunità, ha bisogno di rigenerarsi. Il futuro nasce dal potenziale che ancora non abbiamo espresso.Costruire il ponte che non c’è
Per affrontare tutto questo, dobbiamo costruire un ponte che ancora non esiste, uno sforzo comune simile a quello fatto a Genova dopo il crollo del ponte Morandi. Il ponte simboleggia la capacità umana di superare gli ostacoli e di creare legami, trasformando la distanza in vicinanza. Non è solo un mezzo per arrivare da qualche parte, ma un cammino che si costruisce nel presente, creando qualcosa che condividiamo tutti insieme.Il valore fondamentale della speranza
Per superare le difficoltà, è indispensabile costruire questo ponte inesistente. La speranza è fondamentale. Non va intesa come semplice ottimismo, ma come la certezza profonda che qualcosa ha un senso. La speranza è una promessa che si basa sulla capacità umana di creare valore, una visione di desiderio che genera nuove possibilità, una virtù che richiede coraggio e resistenza. È anche una costruzione pratica che implica saper fare, saper vivere e saper pensare, gestendo i conflitti e contribuendo a definire un orizzonte comune per tutti. La ricompensa non sta nel raggiungere la meta finale, ma nel processo stesso e nel cammino che si apre mentre cerchiamo forme di vita più giuste.Se la speranza è una “certezza profonda che qualcosa ha un senso” e una “promessa”, come può essere una costruzione pratica che implica “saper fare, saper vivere e saper pensare” in un’epoca definita “interregno” dove “ciò che è vecchio non esiste più e ciò che è nuovo non è ancora nato”?
Il capitolo presenta una visione della speranza che sembra oscillare tra una dimensione quasi mistica e un’applicazione pragmatica, senza però chiarire come queste due sfaccettature possano coesistere e guidare l’azione concreta in un contesto di profonda incertezza e transizione. La definizione di “interregno” suggerisce una mancanza di punti di riferimento solidi, rendendo arduo il fondamento di una “certezza profonda”. Per approfondire questa apparente contraddizione, sarebbe utile esplorare le filosofie esistenzialiste, in particolare il pensiero di Albert Camus, per comprendere come affrontare l’assurdità e costruire significato in assenza di certezze predefinite. Inoltre, lo studio della psicologia positiva e delle teorie sulla resilienza potrebbe offrire strumenti per comprendere come sviluppare la capacità di “saper fare, saper vivere e saper pensare” in contesti di precarietà e rischio. Infine, un’analisi delle dinamiche sociali e politiche durante periodi di transizione storica, come quelle descritte da pensatori come Antonio Gramsci, potrebbe fornire un quadro più completo delle sfide e delle opportunità insite in un “interregno”.Abbiamo riassunto il possibile
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