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Contenuti del libro
Informazioni
“Nel bosco di Psiche. Filosofie della natura umana” di Giacomo Scarpelli ti porta in un viaggio affascinante attraverso la storia del pensiero per capire cosa significa essere umani. Si parte dall’antica Grecia, esplorando come concetti come psyché, pneûma e thumós definivano l’anima e la vitalità, e come queste idee abbiano persino ispirato la creazione di automi antichi e macchine sorprendenti, mostrando il legame precoce tra filosofia, corpo e tecnologia. Ma il libro non si ferma qui: affronta la doppia natura umana, quella fatta di istinto e quella che ci rende consapevoli e un po’ spaesati nel mondo, parlando dell’incertezza che accompagna la nostra ricerca di conoscenza e la comprensione di noi stessi. Arriva fino ai giorni nostri, mostrando come la tecnologia e i fenomeni globali, come gli iperoggetti che non riusciamo a percepire del tutto, stiano ridefinendo la nostra identità in un’era di iper-identità digitale. È un percorso che lega filosofia, corpo, anima e macchine, dimostrando quanto siano intrecciati questi aspetti nella storia della natura umana.Riassunto Breve
Si considera la natura umana partendo dai concetti antichi. I Greci distinguevano il soffio vitale (*pneûma*) che permette l’esistenza presente, l’energia passionale (*thumós*) legata al corpo, e la *psyché* come soffio che lascia il corpo dopo la morte. L’idea del *pneûma* come principio di movimento sembra aver ispirato la creazione di macchine e automi antichi, animati da aria o acqua per generare meraviglia. La nozione di *psyché* immortale si lega a culti come quello di Dioniso, suggerendo un’unione con il divino. Nel tempo, l’idea di anima si evolve, come nel trascendentalismo dove l’anima è vista come parte di uno Spirito universale e simbolo di sviluppo. L’antropologia moderna rifiuta il dualismo mente-corpo, considerando l’uomo un organismo “eccentrico” in cui la “psichicità” emerge dalla capacità di trascendersi pur restando nel corpo. I sensi sono fondamentali per questa “incorporazione”. L’esistenza umana ha una doppia natura: una “centrica” legata all’instinto e una “eccentrica” che porta all’autocoscienza e alla cultura. Questa eccentricità causa spaesamento e una costante ricerca, un processo di auto-formazione che rivela una frattura tra impulsi e risultati. La conoscenza umana non è solo una rappresentazione fedele della realtà, ma un “fare” che include la soggettività di chi conosce. L’incertezza è maggiore nella conoscenza degli esseri umani rispetto alla natura, perché l’oggetto è complesso e attivo. Figure come Freud hanno esplorato le dimensioni profonde e irrazionali della psiche. Le sfide contemporanee, come le catastrofi globali (“iperoggetti”) e l’interazione con le macchine che creano “iper-identità”, mostrano i limiti della percezione e comprensione umana di fronte a fenomeni vasti e complessi. Questo richiede di riconoscere l’immersione umana in sistemi interconnessi, mettendo in discussione le idee tradizionali di identità e rapporto con il mondo. La *psyché* nel pensiero platonico non è un’anima personale fissa, ma un principio vitale in movimento eterno, parte del ciclo cosmico. La parola filosofica, come quella di Socrate, non nasce solo da sé ma è ispirata dall’ambiente, diventando una cassa di risonanza.Riassunto Lungo
1. Soffio Vitale e Macchine Antiche: Percorsi dell’Anima e del Corpo
Nell’antica Grecia, la comprensione della vita e della coscienza umana si articolava attraverso la distinzione di diversi aspetti legati alla sostanza spirituale o vitale. La psyché era intesa principalmente come il soffio che abbandona il corpo al momento della morte, destinato a un’esistenza sbiadita nell’oltromba, un’ombra del sé terreno. Accanto a questa, il thumós rappresentava l’energia legata alle passioni, ai sentimenti forti e al coraggio, strettamente connesso al corpo fisico e al sangue che vi scorre, la sede dell’impeto e dell’emozione. Infine, il pneûma, letteralmente “respiro” o “soffio”, era considerato l’essenza vitale che anima l’individuo, un principio di movimento e percezione che permette l’esistenza attiva nel mondo presente. Queste distinzioni offrivano una mappa complessa dell’interiorità e della vitalità umana.L’Anima nelle Macchine Antiche
Questa differenziazione concettuale, in particolare l’idea del pneûma come principio di movimento e animazione, sembra aver avuto un ruolo nell’ispirare la creazione di macchine e automi nell’antichità. Questi congegni, pur essendo ovviamente privi di una psyché o di un thumós nel senso umano, erano concepiti come se fossero animati da un soffio, sfruttando la pressione dell’aria o dell’acqua per muoversi. Inventori ingegnosi come il mitologico Dedalo, Archita di Taranto, Ctesibio di Alessandria, Filone di Bisanzio ed Erone di Alessandria realizzarono dispositivi sorprendenti, dalla colomba volante agli organi idraulici, fino a sistemi automatici per aprire porte di templi e complessi planetari come il meccanismo di Anticitera. Queste creazioni dimostrano che i Greci non si limitavano alla speculazione teorica, ma erano spinti anche dalla pratica e dal piacere della conoscenza applicata, con la chiara volontà di creare meraviglia e stupore (thaûma) attraverso la tecnica. Queste macchine erano concrete manifestazioni di un pensiero che vedeva il movimento e la vitalità legati a principi fisici che richiamavano il concetto di pneûma.L’Idea di Immortalità e la Teurgia
Nel contesto religioso e mistico, la nozione di anima immortale (psyché) trovò terreno fertile, in particolare nelle dottrine legate al culto di Dioniso. Questo culto era caratterizzato da pratiche estatiche e dall’idea di un’unione dell’anima individuale con il divino, suggerendo un destino oltre la morte terrena. La credenza in un’anima capace di sopravvivere al corpo e in un aldilà divenne così una componente significativa di certe correnti culturali antiche, offrendo speranza o timore riguardo al destino post-mortem. In questo scenario, le macchine automatiche non erano solo dimostrazioni di ingegno tecnico, ma potevano anche essere impiegate in pratiche come la teurgia, rituali volti a evocare o interagire con divinità. Questi congegni meccanici, sfruttando principi fisici e ottici, venivano usati per creare effetti sorprendenti e suggestivi, capaci di simulare manifestazioni divine e rafforzare la fede o l’esperienza mistica attraverso lo stupore e la meraviglia generati.Evoluzioni Successive del Concetto di Anima
Il cammino del concetto di anima prosegue attraverso i secoli, arricchendosi di nuove prospettive filosofiche e culturali che si discostano dalle visioni antiche. Nel diciannovesimo secolo, ad esempio, il trascendentalismo americano offre una visione rinnovata, con Ralph Waldo Emerson che interpreta l’anima (soul) non solo come entità individuale ma come espressione di uno Spirito universale che permea ogni cosa, una scintilla divina presente in ogni essere. Questa visione è influenzata da idee come l’entelechia di Aristotele, il principio di auto-sviluppo e realizzazione intrinseca, riletta attraverso la mediazione di pensatori come Goethe. Emerson utilizza potenti immagini simboliche, come quella della psyché raffigurata come una farfalla, per illustrare la trasformazione e la crescita continua dell’anima individuale nel suo percorso esistenziale. In questa prospettiva, lo sviluppo etico e la conoscenza profonda non derivano solo dallo studio, ma sono strettamente legati all’osservazione della natura e alla percezione sensoriale, vie attraverso cui l’anima si manifesta, si nutre e si realizza pienamente.L’Anima nell’Antropologia Moderna
Nel panorama dell’antropologia filosofica moderna, pensatori come Helmuth Plessner propongono una visione che supera la tradizionale separazione cartesiana tra mente e corpo, offrendo un’interpretazione unitaria dell’essere umano. L’essere umano è descritto come un “organismo eccentrico”, capace di vivere la propria esistenza non solo dall’interno (come gli animali) ma anche da un punto di vista esterno a sé, riflettendo sulla propria posizione nel mondo e su se stesso. La “psichicità” non è vista come un’entità separata o disincarnata, ma emerge proprio da questa capacità di trascendenza riflessiva che avviene pur restando saldamente radicati nella propria corporeità e nel mondo fisico. I sensi giocano un ruolo cruciale in questo processo, poiché attraverso l’esperienza sensoriale si realizza l'”incorporazione”, la piena consapevolezza del sé nel corpo e nel mondo circostante, fondamentale per la costruzione dell’identità. Questa condizione umana è paradossale, una sorta di “artificialità naturale”, dove la dimensione spirituale, culturale e la capacità di auto-plasmarsi e creare il proprio mondo sono intrinsecamente legate e inseparabili dal vincolo corporeo e dalle leggi naturali. La storia di Psiche narrata da Apuleio simboleggia efficacemente questa duplicità e vulnerabilità umana, mostrando la necessità di un percorso di auto-creazione che passa necessariamente attraverso l’esperienza corporea e sensibile. L’intera storia del concetto di anima, dal pneûma che animava le prime macchine alla psyché come simbolo di sviluppo e all'”incorporazione” nell’antropologia moderna, dimostra questa costante e profonda interconnessione tra le dimensioni spirituali, corporee e persino tecnologiche dell’esistenza umana, evidenziando come queste sfere siano da sempre intrecciate nel tentativo umano di comprendere sé stesso e il mondo.Come si può tracciare una “storia del concetto di anima” che salta a piè pari secoli cruciali di pensiero, dalla filosofia medievale all’Illuminismo, per collegare macchine antiche e antropologia moderna?
Il capitolo presenta un percorso interessante ma frammentato, creando un vuoto argomentativo significativo tra l’antichità e le epoche successive. Per comprendere appieno l’evoluzione del concetto di anima e il suo rapporto con il corpo e la tecnologia, è indispensabile esplorare le trasformazioni avvenute in periodi storici fondamentali. Approfondire la storia della filosofia, la storia della scienza e la storia delle religioni è cruciale. Autori come Cartesio, che ha definito in modo netto la separazione tra mente e corpo, o pensatori medievali come Tommaso d’Aquino, che hanno sintetizzato la filosofia greca con la teologia cristiana, offrono prospettive essenziali che non possono essere ignorate in una trattazione completa.2. La doppia natura umana e l’eco del mondo
La natura umana ha una doppia faccia fondamentale. C’è un lato legato all’istinto e al momento presente, simile a quello degli animali, che possiamo chiamare “centrico”. Accanto a questo, esiste un lato “eccentrico” che ci porta a essere consapevoli di noi stessi, a sviluppare un senso morale e a creare cultura. Questo aspetto eccentrico dipende da quello istintivo, ma allo stesso tempo ci fa perdere l’immediatezza tipica degli animali. Diventiamo così consapevoli di una sorta di “nudità” originale, una mancanza che genera sofferenza. Questa dualità si vede sia dentro di noi, come individui, sia nelle nostre relazioni con gli altri e nelle cose che creiamo.Le Sfide dell’Esistenza Umana
Vivere da esseri umani significa affrontare continue sfide e sentire il bisogno di guardare sempre avanti, verso il futuro. Questo è il destino di chi ha una natura “eccentrica”. L’incontro con il mondo esterno è una prova continua, dove non sappiamo mai del tutto cosa aspettarci e dobbiamo confrontarci con l’ignoto. Questo confronto è fondamentale per poter creare qualcosa di nuovo e per lo sviluppo della cultura. L’uomo si sente spesso spaesato, come fuori posto, ed è una condizione che fa parte della sua natura più profonda. L’idea di un paradiso perduto o di un’età dell’oro felice nasce proprio da questa sensazione di mancanza e ci distingue dagli animali. Vivere richiede di dare forma a noi stessi, un percorso di crescita che però mostra una distanza tra quello che sentiamo di voler fare e quello che riusciamo davvero a realizzare. Questa sensazione di non essere adeguati è normale nel rapporto tra noi e il mondo. La nostra ricerca è sempre un tentativo di trovare un equilibrio tra chi potremmo essere idealmente e chi riusciamo a essere nella realtà. Essere consapevoli di tutto questo ci fa perdere le certezze e ci porta a sentirci inquieti, come se fossimo sempre in viaggio senza una meta precisa. Sentendosi “messi nel nulla”, gli esseri umani cercano un punto fermo, a volte nella fede, anche se questa può non dare risposte definitive. L’unica cosa che sembra durare per sempre, per l’uomo, è la sua continua ricerca.L’Eco del Mondo e la Parola nel Fedro
Questa profonda connessione tra l’essere umano, il mondo e l’origine del suo pensiero e della sua parola si ritrova nel dialogo Fedro di Platone. L’ambientazione scelta, fuori dalla città, lontano dal caos, mette in risalto quanto l’ambiente che ci circonda influenzi quello che diciamo e pensiamo. Temi importanti di questo dialogo sono l’ispirazione, vista come un soffio che arriva dal mondo esterno, la natura particolare del discorso filosofico che nasce da questa ispirazione e l’idea che le nostre parole non nascano solo da noi stessi, in modo completamente autonomo. In questo dialogo, Platone descrive la psyche, che potremmo tradurre come principio vitale, non come un’anima individuale e immutabile, ma come qualcosa che è sempre in movimento e trasformazione, parte di un ciclo più grande che riguarda tutto l’universo. L’immortalità di questo principio vitale sta proprio nel suo movimento eterno, non nel fatto che la singola persona duri per sempre.Socrate, nel Fedro, esprime una critica verso la scrittura, ritenendola dannosa per la memoria e meno efficace del dialogo diretto, che è vivo e in continuo scambio. La scrittura di chi cerca solo di persuadere, come quella del sofista Lisia, è vista come uno strumento nelle mani di chi si sente distaccato e padrone di sé, capace di manipolare le parole senza lasciarsi toccare dalla realtà o dagli altri. La pratica filosofica di Socrate è l’opposto: è aperta al mondo e alle influenze esterne, permeabile a ciò che lo circonda. Le sue parole non vengono fuori solo dalla sua testa, ma sono ispirate da qualcosa che viene da fuori, da forze che possono sembrare divine o naturali. Socrate diventa come una cassa di risonanza per voci diverse, un luogo dove le idee passano e si trasformano. La sua critica alla scrittura non è solo un’idea teorica, ma si manifesta nel suo modo di essere, nella sua capacità di accogliere e nella sua apertura verso il mondo. Questo modo di fare filosofia, che potremmo chiamare “teatro socratico” o vocalità ispirata, è una forma di “scrittura” che esisteva prima ancora che Platone mettesse per iscritto i suoi dialoghi, mostrando quanto sia complessa e non sempre definita l’espressione del pensiero filosofico.Se il pensiero filosofico è un’eco del mondo, come può la scrittura, criticata dal capitolo, essere il suo veicolo principale?
Il capitolo sottolinea l’origine “esterna” e ispirata del pensiero socratico e la sua critica alla scrittura, vista come dannosa o inferiore al dialogo vivo. Questo crea una tensione logica con il fatto che gran parte della filosofia, compresa quella platonica che ci tramanda Socrate, si sia sviluppata e trasmessa proprio attraverso la scrittura. Per esplorare questa apparente contraddizione e comprendere meglio il rapporto tra oralità, scrittura e la natura del pensiero filosofico, è utile approfondire le opere di Platone, studiare la filosofia del linguaggio e la teoria dell’interpretazione (ermeneutica), oltre a considerare la storia della filosofia e le diverse forme che il pensiero ha assunto nel tempo.3. Il fare, l’abisso e l’incertezza umana
La conoscenza non è semplicemente come avere una mappa perfetta e fedele della realtà. I modelli che si basano solo sulla rappresentazione hanno difficoltà a spiegare perché commettiamo errori o perché le cose sono incerte, soprattutto quando cerchiamo di capire la mente umana o altre realtà che riguardano le persone.La conoscenza come azione e costruzione
Esiste un modo diverso di vedere la conoscenza, che la considera un’attività, un “fare” (facere). Questo approccio si vede bene nelle scienze che studiano l’uomo, dove comprendere qualcosa significa in parte “rivivere” un’esperienza o costruire delle storie. In questo processo, chi cerca di conoscere aggiunge sempre il proprio punto di vista e la propria esperienza personale.La sfida di conoscere gli esseri umani
Quando si tratta di capire altri esseri umani, l’incertezza è molto più grande rispetto a quando studiamo la natura. La natura non cerca di ingannarci, mentre un’altra persona può farlo. Inoltre, la “materia” che studiamo nelle scienze umane è complessa, cambia continuamente ed è attiva; non si presta a essere descritta in modo semplice e oggettivo come si farebbe con una mappa.Esplorare le profondità e l’irrazionale
Pensatori come Frazer, Freud e Nietzsche si sono addentrati nelle dimensioni più irrazionali e nascoste della mente umana. Il personaggio di Kurtz nel romanzo Cuore di tenebra rappresenta in modo potente questa discesa nelle profondità dell’irrazionalità e mette in crisi le nostre certezze tradizionali, sia quelle morali che quelle legate a ciò che pensiamo di sapere.La conoscenza che nasce dalla relazione
Capire gli esseri umani è un tipo di conoscenza che si crea nel rapporto e nell’interazione tra le persone. Questo modo di conoscere accetta l’incertezza e le cose che non rientrano negli schemi come parti normali del processo. Non le vede solo come difetti rispetto a un’idea di conoscenza perfetta che combacia esattamente con la realtà.[/membership]Se la conoscenza umana si fonda sul ‘fare’ e sulla ‘relazione’, accettando l’incertezza e l’irrazionale, quali criteri ci restano per distinguere una comprensione valida da una mera proiezione soggettiva o un’interpretazione arbitraria?
Il capitolo descrive un approccio alla conoscenza umana che si allontana dal modello rappresentazionale, abbracciando il ‘fare’ e la ‘relazione’ e accettando l’incertezza e l’irrazionale. Tuttavia, non chiarisce sufficientemente come, in questo quadro, sia possibile stabilire la validità di una comprensione o evitare il rischio di una pura soggettività o di interpretazioni non verificabili. Per esplorare queste sfide, sarebbe utile approfondire le discipline che si occupano della natura dell’interpretazione e della comprensione nelle scienze umane, come l’ermeneutica e la fenomenologia. Autori come Gadamer, Ricoeur, Husserl e Merleau-Ponty hanno affrontato in modo approfondito i temi della soggettività, dell’intersoggettività e dei criteri di validazione nel processo conoscitivo umano.4. L’Umano tra Iperoggetti e Iper-identità
Le catastrofi di oggi, come quelle legate all’ambiente o all’energia nucleare, non sono semplici eventi naturali o causati solo dall’uomo. Sono fenomeni enormi e complessi, così vasti da superare la nostra capacità di capirli e sentirli completamente. Günther Anders parla di un limite: l’uomo crea cose che non riesce poi a comprendere o percepire del tutto. Chiama ‘sovraliminale’ tutto ciò che è troppo grande per essere afferrato dalla nostra mente o dai nostri sensi. Timothy Morton usa il termine ‘iperoggetto’ per descrivere queste realtà, diffuse nello spazio e nel tempo, come il riscaldamento del pianeta o le radiazioni. Non possiamo percepirle nella loro interezza con i nostri sensi. Gli iperoggetti ci fanno capire che l’idea di un mondo ‘esterno’ separato da noi forse non è più valida.L’Uomo e le Macchine
Le macchine, nel frattempo, possono imitare alcune funzioni umane, come fare calcoli, con una potenza che va oltre le nostre capacità biologiche. Questa capacità superiore delle macchine solleva domande profonde. Il Test di Turing, ad esempio, esplora se una macchina possa arrivare a imitare il pensiero umano in modo indistinguibile. L’interazione continua e quotidiana che abbiamo con i dispositivi tecnologici sta creando qualcosa di nuovo: una forma di identità che non risiede solo dentro di noi, ma è esterna, gestita e influenzata dalle macchine stesse. Questa nuova forma di sé è stata chiamata ‘iper-identità’.Nuove Sfide per la Comprensione Umana
Sia le catastrofi globali, percepite come iperoggetti, sia il rapporto con le macchine e la nascita dell’iper-identità, mostrano chiaramente i limiti della nostra capacità di capire e percepire fenomeni molto grandi e complessi. Ci troviamo di fronte a realtà che non riusciamo ad afferrare completamente con gli strumenti tradizionali della nostra mente e dei nostri sensi. Questa situazione ci spinge a cambiare il nostro modo di pensare. Dobbiamo riconoscere che siamo profondamente immersi in sistemi interconnessi, che siano naturali (come l’ambiente globale) o tecnologici (come le reti digitali). Questo mette in discussione le vecchie idee su chi siamo (la nostra identità) e su come ci relazioniamo con il mondo che ci circonda.Ma questi ‘iperoggetti’ e ‘iper-identità’ sono descrizioni oggettive della realtà o costrutti teorici che rischiano di confondere la percezione con la natura stessa delle cose (e di noi)?
Il capitolo presenta concetti come ‘iperoggetto’ e ‘iper-identità’ come chiavi di lettura fondamentali per comprendere le sfide contemporanee. Tuttavia, è cruciale riconoscere che si tratta di frameworks interpretativi specifici, radicati in determinate correnti filosofiche e teoriche. Affermare che la nostra identità sia ‘esterna’ o che l’idea di un mondo ‘esterno’ non sia più valida sono posizioni forti che meritano un’analisi più approfondita e contestualizzata. Per esplorare queste problematiche in modo critico, è utile confrontarsi con la filosofia della tecnologia, la sociologia della conoscenza e gli studi critici sull’impatto delle macchine e dei sistemi complessi sull’esperienza umana. Autori come Sherry Turkle o Bernard Stiegler offrono prospettive diverse e complementari sull’interazione uomo-macchina e sulla costruzione dell’identità nell’era digitale, mentre la filosofia della scienza può aiutare a valutare la natura e i limiti dei concetti usati per descrivere fenomeni vasti come il cambiamento climatico.Abbiamo riassunto il possibile
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