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Informazioni
“Meglio soli. La secessione del Sud, stanco di essere colonia” di Pino Aprile ti sbatte in faccia una realtà scomoda: il divario Nord-Sud in Italia non è un caso, ma il risultato di politiche precise che vanno avanti dall’Unità. Il libro, basato su dati e fatti, spiega come il Mezzogiorno sia stato trattato per decenni quasi come una colonia interna, con risorse pubbliche, investimenti in infrastrutture (dalle ferrovie ai porti) e persino fondi europei e del PNRR che vengono sistematicamente dirottati o gestiti in modo da favorire il Nord. Si parla di meccanismi come la “spesa storica” o la mancata attuazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) che perpetuano disuguaglianze nella sanità, nella scuola e nei servizi, costringendo i meridionali a emigrare anche solo per curarsi. L’Autonomia Differenziata, chiamata “Spacca-Italia”, viene vista come l’ultimo passo per istituzionalizzare questa ingiustizia, permettendo alle regioni più ricche di trattenere ancora più risorse, a scapito di quelle del Sud, già penalizzate anche dallo sfruttamento delle proprie risorse naturali e ambientali. Il libro non risparmia critiche alla classe politica, anche meridionale, e arriva a esplorare l’idea provocatoria della secessione come estrema reazione a un sistema percepito come irrimediabilmente iniquo per il Sud.Riassunto Breve
Un divario tra Nord e Sud Italia esiste da tempo, non è naturale ma creato da scelte politiche ed economiche fin dall’Unità. Politiche come l’Autonomia Differenziata accelerano un drenaggio di risorse dal Sud al Nord, rendendo la disuguaglianza ufficiale. Questo sistema porta a meno diritti, infrastrutture e investimenti nel Sud. La distribuzione dei fondi pubblici, anche quelli europei destinati a ridurre le differenze, favorisce spesso il Nord. Criteri come la “spesa storica” o parametri per i Fabbisogni Standard indirizzano più risorse dove già ce n’erano di più o in aree con caratteristiche tipiche del Nord. La legge che prevede il 34% degli investimenti pubblici ordinari al Sud non viene rispettata, la quota reale è molto più bassa. I fondi europei e il PNRR, pur avendo quote teoriche per il Sud, vengono usati per sostituire fondi nazionali o distribuiti con meccanismi (come i bandi) che privilegiano le aree più ricche e meglio organizzate. Questo porta a un forte divario infrastrutturale, meno servizi essenziali come sanità e scuola, e contribuisce all’emigrazione. Altri meccanismi di trasferimento di ricchezza includono lo smantellamento del sistema bancario meridionale e lo sfruttamento delle risorse naturali con minimi benefici locali, oltre all’uso del Sud come discarica per rifiuti tossici. L’Autonomia Differenziata, permettendo alle regioni di trattenere parte delle tasse, aggrava il problema perché le sedi fiscali delle grandi aziende sono spesso al Nord, spostando lì il gettito generato anche al Sud. Questo modello duale è considerato ingiusto e inefficiente per l’Italia intera.Riassunto Lungo
1. La persistenza di un divario: l’Italia a due velocità
Il progetto dell’Autonomia differenziata, spesso definito “Spacca-Italia”, rischia di accentuare ulteriormente una disuguaglianza tra Nord e Sud che esiste fin dal 1861. Questa politica sembra istituzionalizzare un drenaggio di risorse dal Meridione verso il Settentrione, configurandosi quasi come una continuazione di dinamiche coloniali interne. Il risultato è che il Sud si trova penalizzato con minori diritti per i suoi cittadini, infrastrutture inadeguate e scarsi investimenti, un effetto diretto di leggi e criteri di ripartizione dei fondi che appaiono spesso orientati a favorire le regioni settentrionali.Come si crea il divario
Questo divario non è una condizione naturale, ma il prodotto di precise scelte politiche ed economiche maturate nel tempo. Uno dei meccanismi principali che lo mantengono è la cosiddetta “spesa storica”, un criterio che continua ad allocare le risorse pubbliche basandosi sulle spese effettuate in passato, perpetuando così il privilegio delle aree già più ricche. Questo sistema è talvolta sostenuto anche da parte della classe dirigente locale meridionale, che per propri interessi asseconda il potere centrale dominante. Per giustificare questa situazione, la storia del Sud precedente all’Unificazione viene spesso sminuita o persino cancellata dalla narrazione comune.Le conseguenze concrete
La disparità si manifesta in modo tangibile nella vita quotidiana dei cittadini. Le risorse destinate a servizi essenziali come ospedali e scuole sono distribuite in maniera fortemente squilibrata, con una netta concentrazione al Nord. Lo stesso vale per le infrastrutture fondamentali: treni, strade e aeroporti presentano divari significativi tra le diverse aree del Paese. Anche i fondi europei, pensati per riequilibrare le disuguaglianze interne, finiscono per essere spesi in misura maggiore nelle regioni più ricche. Inoltre, i centri decisionali e di potere a livello nazionale, incluse le sedi principali di molte aziende pubbliche e autorità cruciali, sono situati prevalentemente al Nord o nella capitale, Roma.Le radici storiche
La costruzione di questo modello duale affonda le sue radici nel processo di Unificazione e nelle politiche successive. Esempi storici chiariscono come le risorse generate al Sud siano state utilizzate per finanziare lo sviluppo industriale e infrastrutturale del Nord. Questo schema si è ripetuto in diverse fasi storiche, come dimostrano l’impiego dei fondi post-bellici del Piano Marshall o la gestione dei proventi derivanti dai giacimenti petroliferi lucani. Persino nella gestione delle emergenze, come i disastri naturali, si sono osservate differenze negli stanziamenti e nell’attenzione dedicata tra le regioni settentrionali e quelle meridionali.Questo modello, oltre a essere profondamente ingiusto per milioni di cittadini, si rivela inefficiente per l’intero sistema-Paese. Impedisce una crescita equilibrata e armoniosa che potrebbe portare benefici a tutti. La convinzione che concentrare risorse al Nord, visto come la “locomotiva” d’Italia, possa trainare l’intero Paese non ha trovato riscontro in una crescita complessiva significativa. Mantenere e accentuare questa disuguaglianza interna non solo limita il potenziale di sviluppo nazionale, ma crea anche le premesse per crescenti tensioni sociali.Il capitolo presenta il divario Nord-Sud come il prodotto esclusivo di scelte politiche ed economiche ‘esterne’ e di un drenaggio di risorse: ma questa narrazione è completa?
Il capitolo offre una prospettiva netta sulle cause del divario, concentrandosi sulle politiche centrali e sul trasferimento di risorse. Tuttavia, per cogliere la complessità della “Questione Meridionale”, è essenziale esplorare anche fattori interni al Meridione stesso. La struttura sociale, le dinamiche economiche locali, le istituzioni, la cultura imprenditoriale e l’influenza di fenomeni come la criminalità organizzata sono tutti elementi che hanno avuto e continuano ad avere un ruolo nel determinare le traiettorie di sviluppo regionale. Approfondire la storia economica, la sociologia e la scienza politica, leggendo autori che hanno analizzato il Sud da diverse angolazioni, come Rosario Romeo, Pasquale Saraceno, o studi sul capitale sociale come quelli di Robert Putnam, può arricchire la comprensione e fornire un quadro più articolato rispetto a quello delineato nel capitolo.2. I soldi che mancano al Sud
La gestione delle risorse pubbliche in Italia mostra una costante differenza tra Nord e Sud. Le decisioni prese a livello politico e tecnico spesso favoriscono le aree settentrionali, anche quando le leggi prevedono il contrario. Questo accade attraverso meccanismi complessi e non sempre chiari.Come si creano le differenze
Si notano tentativi di creare differenze nei salari su base regionale, come è successo nel settore scolastico. I fondi pensati per aiutare i giovani a trovare lavoro, come quelli per i Neet (giovani che non studiano, non lavorano e non fanno formazione), vengono distribuiti usando criteri che danno più soldi alle regioni dove è più facile assumere, che sono quelle del Nord. Questo penalizza il Sud, dove invece la disoccupazione giovanile è più alta e ci sarebbe più bisogno di quei fondi.I Fabbisogni Standard e i criteri di spesa
Anche la definizione dei Fabbisogni Standard, che stabiliscono quali servizi devono essere garantiti a livello locale e con quali risorse, usa parametri che portano più soldi ai territori più ricchi o montani del Nord. Vengono considerati, ad esempio, il costo del lavoro, il reddito o l’altitudine. Altri criteri, che sarebbero più importanti per il Sud, come il numero di reati o l’età dei mezzi di trasporto pubblici, non vengono considerati o hanno un peso minore nel calcolo.Gli investimenti pubblici non rispettati
La legge stabilisce che almeno il 34% degli investimenti pubblici normali deve andare al Mezzogiorno, in proporzione alla popolazione. Tuttavia, questa regola non viene rispettata. La percentuale reale di investimenti che arriva al Sud è molto più bassa, storicamente intorno al 23%. Diversi studi indipendenti hanno calcolato che centinaia di miliardi di euro non sono arrivati al Sud proprio perché questa legge non è stata applicata.I fondi europei e il PNRR
I fondi che arrivano dall’Europa, che servono a ridurre le differenze tra le regioni e che dovrebbero aggiungersi alle risorse nazionali, vengono spesso usati al Sud al posto dei soldi che dovrebbe mettere lo Stato italiano. In questo modo, le risorse nazionali che erano destinate al Sud vengono liberate e usate altrove, soprattutto al Nord. Anche i fondi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), pur prevedendo una parte per il Sud, subiscono tagli o vengono spostati verso altre aree.Le conseguenze sui servizi e i settori
La mancanza di risorse si vede in molti settori diversi. Dalla sanità ai trasporti, fino alla gestione di situazioni di emergenza, come il rischio terremoto nell’area dei Campi Flegrei, dove i soldi stanziati sembrano pochissimi rispetto alla gravità del pericolo. Anche nel settore dell’agricoltura, le regole e il modo in cui funziona il mercato sembrano svantaggiare i prodotti fatti al Sud a favore degli interessi del Nord. Nonostante ci siano dati chiari e denunce, spesso fatte da enti pubblici e politici del Sud, questa situazione di squilibrio continua. Questo alimenta la sensazione che l’Italia sia un Paese diviso, dove i diritti e le possibilità che una persona ha dipendono da dove vive.Ma questi “meccanismi complessi e non sempre chiari” sono davvero solo strumenti per penalizzare il Sud, o riflettono anche altre logiche o difficoltà nella gestione della spesa pubblica?
Il capitolo descrive in modo efficace le conseguenze della distribuzione delle risorse, ma l’analisi dei “meccanismi” che portano a tale squilibrio potrebbe beneficiare di un maggiore approfondimento sulle ragioni sottostanti la loro adozione. Comprendere se questi criteri e processi nascono da esigenze tecniche, compromessi politici o effettiva volontà discriminatoria è cruciale per un quadro completo. Per esplorare queste sfumature, è utile consultare studi di economia pubblica e scienza politica che analizzano i processi decisionali e l’implementazione delle politiche di coesione territoriale e di finanza locale in Italia. Approfondire il dibattito sui fabbisogni standard e sui criteri di riparto dei fondi pubblici, magari leggendo il lavoro di economisti specializzati in finanza pubblica e regionalismo, può aiutare a cogliere la complessità del quadro oltre la pur evidente disparità di esiti.3. L’Italia a pezzi e gli appetiti esterni
L’idea di dare più autonomia ai territori è presente nella Costituzione italiana fin dalla sua nascita, ma metterla in pratica ha richiesto molto tempo. Un cambiamento importante è avvenuto nel 2001 con una riforma che ha spostato molte decisioni dallo Stato centrale alle regioni. Questa riforma ha anche eliminato il riferimento al dovere dello Stato di aiutare le zone più in difficoltà, come il Sud Italia. Erano previste misure per garantire servizi essenziali uguali per tutti (Livelli Essenziali delle Prestazioni, LEP) e un fondo per riequilibrare le risorse, ma queste misure non sono mai state realizzate.La spinta per l’Autonomia Differenziata
Oggi, alcune delle regioni più ricche, come Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, chiedono maggiore autonomia. Vogliono poter trattenere una parte più grande delle tasse raccolte sul loro territorio. Questa richiesta si basa sul concetto di “residuo fiscale”. L’idea dietro il “residuo fiscale” è che le tasse pagate dai cittadini di una regione siano un credito di quella regione verso lo Stato. Tuttavia, le tasse sono pagate dai cittadini allo Stato in base al loro reddito, indipendentemente da dove vivono, proprio per garantire gli stessi diritti e servizi a tutti i cittadini in tutto il Paese.
Cosa comporta l’Autonomia Differenziata e i suoi rischi
Se fosse attuata pienamente, l’Autonomia Differenziata trasferirebbe alle regioni quasi 500 aree di competenza. Tra queste ci sono settori fondamentali per la vita dei cittadini, come la sanità, l’istruzione, i trasporti e persino il commercio con l’estero. Molti esperti e diverse istituzioni hanno lanciato allarmi su questa possibilità. Avvertono che un tale cambiamento aumenterebbe le differenze tra i cittadini che vivono in regioni diverse. Metterebbe a rischio la capacità dello Stato di gestire il bilancio nazionale in modo equilibrato. Inoltre, potrebbe violare principi importanti della Costituzione e accordi europei che puntano alla coesione e all’uguaglianza tra i territori. Il fatto che i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) non siano ancora stati definiti e finanziati rende questo rischio ancora più concreto e pericoloso.
Disparità già esistenti: l’esempio della sanità
Attualmente esistono già forti disuguaglianze nei servizi pubblici. La sanità è un esempio chiaro. Al Sud Italia, la spesa per la salute per ogni cittadino è inferiore rispetto al Centro-Nord. Questo porta molte persone dal Sud a doversi spostare nelle regioni settentrionali per potersi curare. Questo meccanismo finisce per favorire la sanità privata del Nord, a scapito della sanità pubblica del Sud, che si trova ulteriormente indebolita. Ci sono situazioni specifiche che mostrano come, in alcune aree, la salute dei cittadini del Sud sembri considerata meno importante, anche in zone colpite da grave inquinamento industriale.
Contesto storico e l’approvazione recente
Alcuni osservatori collegano la richiesta di maggiore autonomia a progetti storici che miravano a dividere l’Italia. Negli anni Novanta, queste idee di frammentazione coinvolsero diverse forze: gruppi politici del Nord, organizzazioni criminali e anche poteri esterni con propri interessi. L’obiettivo di allora sembrava essere quello di spezzare il Paese, lasciando il Sud sotto il controllo della criminalità organizzata per creare una zona con tasse molto basse. La legge sull’Autonomia Differenziata è stata recentemente approvata, prima al Senato a gennaio 2024 e poi alla Camera a giugno 2024. Questa approvazione è arrivata nonostante le molte critiche sollevate e senza che fossero state definite e finanziate le misure per garantire i servizi essenziali (LEP) in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.
Questo processo è visto come un passo che potrebbe portare allo smantellamento dello Stato unitario. Renderebbe l’Italia più debole e più esposta agli interessi economici globali, che spesso traggono vantaggio dalla frammentazione degli Stati nazionali. Una divisione interna rende il Paese un bersaglio più facile per chiunque voglia sfruttarne le risorse o influenzarne le decisioni.
Al netto della retorica sul “disinvestimento”, quali sono le analisi economiche e logistiche che giustificano (o meno) le attuali priorità infrastrutturali, e perché il capitolo le ignora?
Il capitolo presenta una tesi forte sulla presunta “strategia del disinvestimento meridionale”, ma non si confronta adeguatamente con le complesse analisi economiche, logistiche e politiche che guidano le decisioni sugli investimenti in infrastrutture. Per approfondire la questione e capire se le scelte attuali siano frutto di una strategia deliberata o di altre dinamiche (come analisi costi-benefici, previsioni di traffico, integrazione nelle reti europee, ecc.), è indispensabile studiare l’economia dei trasporti e la logistica, discipline che offrono strumenti per valutare l’efficacia e l’efficienza degli investimenti infrastrutturali. Utile sarebbe anche leggere autori che si sono occupati di economia regionale e della storia dello sviluppo del Mezzogiorno, per avere un quadro più completo delle sfide e delle opportunità.8. La Logica Coloniale nella Gestione del Patrimonio Culturale
Le politiche statali continuano ad alimentare il divario tra Nord e Sud Italia, una situazione che risale all’Unità. Un esempio recente è un decreto del 2021 destinato a finanziare le istituzioni culturali con 60 milioni di euro. I criteri scelti per distribuire questi fondi hanno favorito le realtà che possedevano già infrastrutture solide e collegamenti internazionali. Il risultato è stato che il 91% dei finanziamenti è andato al Centro-Nord, lasciando solo il 9% al Mezzogiorno, nonostante quest’ultimo rappresenti il 41% del territorio nazionale. Regioni come Calabria, Molise e Basilicata non hanno ricevuto alcuna risorsa da questo decreto. Questo schema di distribuzione sbilanciata si osserva anche in altri contesti, come i fondi destinati alle città d’arte colpite dal calo del turismo, dove criteri specifici hanno escluso importanti centri del Sud. Anche la ripartizione dei fondi derivanti dal “5 per mille alla cultura” e dall’Art Bonus mostra una netta prevalenza a favore del Centro-Nord.La Gestione Privata dei Servizi Culturali
Questa disparità non si limita solo ai finanziamenti pubblici diretti. La gestione dei servizi aggiuntivi all’interno dei siti culturali statali, come biglietterie, bookshop e punti di ristoro, è stata affidata a soggetti privati a partire dal 1993. Questo settore è dominato da poche grandi aziende, la maggior parte delle quali ha la propria sede legale nel Nord Italia. Queste società gestiscono i servizi in numerosi siti di grande importanza nel Mezzogiorno, come Pompei o la Valle dei Templi, generando incassi che possono ammontare a milioni di euro per singolo sito. Tuttavia, solo una quota minima o nulla di questi profitti ritorna alle soprintendenze locali. Poiché il domicilio fiscale di queste aziende è situato al Nord, le tasse sui profitti generati nei siti del Sud vengono versate alle regioni settentrionali, non a quelle in cui la ricchezza è effettivamente prodotta.Una Logica Sistemica e l’Autonomia Differenziata
Questo sistema di gestione e distribuzione delle risorse viene paragonato a una logica coloniale interna, dove la ricchezza prodotta in una parte del paese viene sistematicamente trasferita altrove. La situazione rischia di peggiorare ulteriormente con l’introduzione dell’Autonomia Differenziata. Questo progetto prevede che le regioni possano trattenere una porzione maggiore delle tasse statali basandosi sul proprio gettito fiscale. Dato che gran parte del gettito generato dalle attività economiche nel Sud viene fiscalmente attribuito al Nord tramite le sedi legali delle aziende, le regioni meridionali si troverebbero ulteriormente svantaggiate. Avrebbero diritto a una percentuale minore delle risorse nazionali complessive, aggravando la loro condizione di impoverimento.Il Ruolo della Classe Politica Meridionale
Questa persistente condizione di disparità e sottrazione di risorse è resa possibile anche dal comportamento di una parte della classe politica meridionale. Questa parte viene descritta metaforicamente come “pecore bianche”, caratterizzate da una visione ristretta e da una tendenza a sottomettersi agli interessi del potere centrale e settentrionale, rappresentato come il “pastore”. Questo atteggiamento si contrappone a quello della “pecora nera”, che mantiene la propria indipendenza di pensiero e azione. Questa dinamica politica contribuisce a perpetuare un sistema che continua a discriminare il Sud. La sottrazione continua di risorse e la percezione di essere una colonia interna portano alcuni a considerare la separazione del Sud dall’Italia come l’unica via d’uscita possibile da un sistema considerato ingiusto e dannoso.È sufficiente parlare di “logica coloniale” per spiegare le complesse dinamiche economiche tra Nord e Sud Italia?
Il capitolo offre un quadro efficace delle disparità nella distribuzione delle risorse e dei profitti legati al patrimonio culturale, etichettando il fenomeno come “logica coloniale”. Sebbene questa etichetta sia potente e suggestiva, il capitolo potrebbe guadagnare in profondità esplorando ulteriormente le cause strutturali e storiche che hanno contribuito a creare e mantenere queste disparità nel tempo, oltre alla sola interpretazione in termini di “sottrazione”. Un’analisi più sfaccettata potrebbe considerare il ruolo delle diverse fasi dello sviluppo economico italiano post-unitario, le specificità delle politiche industriali e agricole, e l’evoluzione del sistema fiscale e amministrativo. Per arricchire la comprensione di queste dinamiche, sarebbe utile approfondire studi di storia economica del Mezzogiorno, analisi delle politiche di coesione territoriale e testi che esaminano il dibattito sul divario Nord-Sud da prospettive socio-economiche più ampie. Autori come Vera Zamagni, Gianfranco Viesti o Francesco Saverio Nitti potrebbero offrire spunti preziosi per contestualizzare e comprendere meglio la complessità del divario.Abbiamo riassunto il possibile
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