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Informazioni
“Macellerie. Guerre atroci e paci ambigue” di Siegmund Ginzberg non è il solito libro di storia militare; è un viaggio crudo e onesto attraverso la crudeltà umana in guerra, esplorando come la violenza, specialmente contro i civili in guerra, sia stata una costante dalle guerre antiche ai conflitti di oggi. L’autore ci porta tra gli Assiri con le loro descrizioni di torture, nella Roma che praticava spostamenti forzati e massacri, e nei testi biblici che non nascondono episodi brutali. Vediamo come la gestione di stranieri nell’antichità e la schiavitù antica fossero intrecciate con la forza degli imperi, ma anche con discriminazioni e rivolte. Il libro scava nel particolare orrore delle guerre civili romane e di altri scontri fratricidi, dove la lotta per il potere annienta ogni legame. Non dimentica temi come l’uso degli ostaggi o la guerra sotterranea nei tunnel, trovando paralleli sorprendenti tra passato e presente. Infine, ci fa riflettere sulla pace antica, spesso imposta dai vincitori, e sulla nostra perenne paura catastrofe, mostrando che la storia militare è piena di schemi ricorrenti che ci interrogano ancora oggi sulla natura della guerra e sulla possibilità di una pace vera.Riassunto Breve
La storia umana mostra una costante brutalità nella guerra, fin dai tempi antichi. Testi come la Bibbia raccontano di assedi con cannibalismo per fame, sacrifici di bambini, stermini di intere popolazioni e mutilazioni inflitte ai vinti, come tagliare pollici e alluci o accecare. Fonti cinesi documentano conquiste con numeri precisi di teste mozzate e sacrifici umani. Gli Assiri si distinguono per descrizioni e immagini di atrocità come impalamenti, scuoiamenti e sventramenti, usate per incutere terrore e mostrare il potere. Anche gli Egizi praticano mutilazioni. I Romani usano la violenza, anche contro i civili, per paura e controllo, con saccheggi e massacri descritti come “uso dei Romani”. La violenza contro i bambini è un tema ricorrente che evidenzia la crudeltà antica. Lo spostamento forzato di popolazioni è un’altra pratica antica per controllo e guerra. Gli Assiri deportano centinaia di migliaia, usandoli come forza lavoro o per ripopolare aree. I Romani praticano spostamenti di massa e massacri, come Servio Sulpicio Galba con i Lusitani o Giulio Cesare in Gallia, sterminando intere tribù, inclusi donne e bambini, a volte giustificando queste azioni con vendetta o deterrenza. Questi eventi mostrano l’uso della violenza estrema contro i civili e la difficoltà di gestire popolazioni divise. Gli ostaggi nell’antichità sono inizialmente garanzie di pace e alleanza, spesso di alto rango e trattati con riguardo. La situazione cambia con richieste di resa totale e spostamento, trasformando gli ostaggi in merce o strumenti di ricatto, con trattamenti peggiori. L’industria dei prigionieri come merce prospera per secoli. In epoche più recenti, gli ostaggi diventano leva politica in trattative complesse, come a Gaza. Parallelamente, la guerra si sposta nel sottosuolo. I tunnel, usati da millenni, diventano infrastrutture complesse, come la vasta rete a Gaza usata per scopi militari, che presenta enormi sfide per chi attacca. Le grandi civiltà antiche mostrano un rapporto complesso con stranieri e schiavi. A Roma, stranieri arrivano da ogni parte e alcuni raggiungono posizioni importanti, ma esistono anche odio e discriminazione. Espulsioni sono rare. Egitto e Cina accolgono stranieri in ruoli essenziali. Stereotipi sono comuni, ma convivenza e integrazione avvengono. La cittadinanza romana offre sicurezza ma è difficile da ottenere. Gli schiavi vivono in condizioni brutali, considerati proprietà. Le rivolte di schiavi mirano spesso alla fuga. La presenza di stranieri e schiavi è fondamentale per la crescita degli imperi, mostrando un equilibrio tra accettazione e ostilità. Le guerre tra persone che si somigliano, come le guerre civili, mostrano una crudeltà particolare, non guidata da differenze di classe o ideologie, ma dalla lotta per potere e ricchezza. Nelle guerre civili romane, figure come Mario e Silla o i triumviri combattono per il controllo, causando stragi che non risparmiano nessuno. La violenza si estende all’interno delle famiglie. La paura di essere uccisi è costante per chi detiene il potere. Nelle città antiche, dopo conflitti interni, si tenta di superare le divisioni con il perdono e l’oblio dei torti, come ad Atene, ma l’oblio ha limiti. A Roma, la lotta politica si mantiene nei limiti delle leggi per secoli, cambiando con le guerre civili che usano gli eserciti. La memoria dei conflitti interni è spesso scomoda. Le narrazioni religiose presentano visioni contraddittorie sulla guerra e sulla pace. La storia mostra che la convivenza è spesso un dato di fatto, anche durante e dopo i conflitti, dettata dall’interesse pratico. La pace assume significati diversi: patti di mutua difesa, alleanza, o sottomissione imposta come la Pax Romana. Accanto alla ricerca della pace, la storia è segnata da visioni ricorrenti di catastrofe e fine del mondo, presenti in molte culture antiche e manifestate oggi nel timore della guerra nucleare, crisi climatiche, pandemie e intelligenza artificiale. Queste paure riflettono ansie profonde e l’impreparazione umana di fronte ai pericoli.Riassunto Lungo
1. La Crudeltà Antica nei Testi e nelle Immagini
Testi molto antichi, provenienti da culture diverse, raccontano di violenze estreme durante guerre e assedi. La Bibbia, per esempio, descrive episodi terribili come il cannibalismo causato dalla fame durante l’assedio di Samaria, o il sacrificio di bambini. Si parla anche dello sterminio di intere popolazioni, come nel caso degli Amaleciti. Le mutilazioni inflitte ai vinti erano comuni, inclusi il taglio di pollici e alluci o l’accecamento di massa per impedire loro di combattere di nuovo. Anche fonti cinesi, come lo “Shifu”, documentano conquiste militari con numeri precisi di orecchie e teste mozzate, prigionieri presi e sacrifici umani, che potevano includere anche principini e intere famiglie. Questi racconti, a volte con dettagli contraddittori, dipingono una realtà brutale che perfino alcuni filosofi dell’epoca trovavano difficile accettare.La crudeltà mostrata nelle immagini
Gli Assiri si distinguono per il modo in cui descrivevano e mostravano visivamente le atrocità. Annali e bassorilievi raffigurano impalamenti, scuoiamenti, mutilazioni di varie parti del corpo e persino lo sventramento di donne incinte. Queste immagini e descrizioni servivano a incutere terrore nei nemici e ad affermare la potenza del sovrano. Anche gli Egizi praticavano mutilazioni sui corpi dei nemici e tenevano registri precisi di queste azioni.La violenza come strumento di potere
I Romani utilizzavano la distruzione e la violenza, spesso anche contro i civili, per diffondere paura e scoraggiare chi pensava di ribellarsi. Testi storici parlano di saccheggi, massacri e mutilazioni descrivendoli come il normale “uso dei Romani”. Queste azioni, a volte raccontate con una certa soddisfazione, avevano scopi precisi: fare propaganda, rafforzare il potere di Roma e controllare i popoli conquistati. La violenza contro i bambini è un tema che ricorre spesso in questi racconti, mettendo in luce la brutalità della guerra nelle società antiche.Davvero la crudeltà descritta nel capitolo è una peculiarità esclusiva delle società antiche, o è piuttosto una costante, seppur con forme diverse, della storia umana?
Il capitolo, pur documentando in modo efficace le atrocità nelle culture antiche, rischia di dare l’impressione che tale efferatezza sia stata un tratto distintivo e quasi unico di quel periodo. Questa prospettiva, pur fondata su prove documentali, potrebbe trascurare la natura pervasiva della violenza e della crudeltà in altre epoche storiche, così come le motivazioni profonde – psicologiche, sociali, politiche – che la sottendono. Per una comprensione più completa, sarebbe utile confrontare queste pratiche con quelle di periodi successivi e approfondire gli studi sulla violenza umana da una prospettiva antropologica e sociologica. Autori come Steven Pinker o Norbert Elias offrono spunti per contestualizzare la violenza nel lungo periodo e comprenderne le dinamiche sociali.2. Popoli Sballottati: Un Modello Storico di Guerra
Fin dai tempi antichi, lo spostamento forzato di intere popolazioni è stato uno strumento crudele impiegato in guerra e per mantenere il controllo sui territori conquistati. Questa pratica non era un evento casuale, ma una strategia deliberata per sradicare comunità dalle loro terre e trasferirle altrove con la forza. Molti esempi storici documentano come intere popolazioni venissero deportate, spesso con violenza brutale. Questo modello di guerra e dominio ha lasciato cicatrici profonde nella storia, mostrando la capacità umana di infliggere sofferenza su vasta scala. Analizzare questi eventi passati aiuta a comprendere le radici profonde di un problema che continua a manifestarsi nel mondo.I metodi degli Assiri
Tra gli esempi più noti di questa pratica vi sono gli Assiri, un impero celebre per la sua efficiente organizzazione militare e amministrativa. Essi deportavano sistematicamente centinaia di migliaia di persone dai territori conquistati. I loro bassorilievi raffigurano scene toccanti di lunghe file di uomini, donne e bambini civili, chiaramente distinguibili dai prigionieri di guerra per il loro aspetto. Le iscrizioni reali assire non solo confermano queste deportazioni, ma riportano anche numeri precisi di persone spostate e di beni requisiti, a dimostrazione della meticolosità con cui veniva gestita questa operazione. Queste popolazioni sradicate venivano poi utilizzate come forza lavoro coatta o trasferite per ripopolare aree strategiche dell’impero. Si stima che nel corso di circa tre secoli, l’Impero Neo-Assiro abbia spostato con la forza milioni di individui, un numero impressionante per l’epoca.Le pratiche dei Romani
Anche i Romani, sebbene con modalità diverse, non esitarono a praticare spostamenti di massa e veri e propri massacri di civili. In Spagna, ad esempio, Servio Sulpicio Galba attirò i Lusitani offrendo loro false promesse di terre; una volta che si fidarono, li divise e li fece massacrare senza pietà, vendendo poi donne e bambini come schiavi. Similmente, nelle Gallie, Giulio Cesare si rese responsabile dello sterminio di intere tribù, non risparmiando anziani, donne e bambini, come accadde nel caso degli Elvezi o durante l’assedio di Avarico. Nelle sue stesse cronache, Cesare descrive questi eventi brutali, a volte cercando di giustificarli come atti di vendetta o come deterrente per altre popolazioni ribelli, altre volte attribuendoli semplicemente all’eccitazione e alla furia delle sue truppe. I suoi scritti rivelano anche la sua abilità nello sfruttare le divisioni e i contrasti interni tra le diverse tribù galliche per indebolirle prima di attaccare.Schemi ricorrenti e fonti storiche
Questi esempi storici, dagli Assiri ai Romani, mettono in luce alcuni schemi ricorrenti nelle pratiche di guerra e controllo. Emerge chiaramente l’uso sistematico della violenza estrema diretta contro i civili, non solo contro i combattenti. Si osserva anche la frequente rottura di accordi e promesse fatte alle popolazioni, usate come inganno per sottometterle. Un altro elemento costante è la difficoltà intrinseca nel gestire popolazioni che sono già divise al loro interno, rendendole più vulnerabili ma anche più complesse da controllare nel lungo termine. È fondamentale ricordare, inoltre, che le fonti storiche che descrivono questi eventi, come le cronache di Giulio Cesare, sono quasi sempre scritte dalla parte dei vincitori e sono quindi intrinsecamente di parte, offrendo una visione che può giustificare o minimizzare le atrocità commesse.Un problema senza tempo
La questione degli esodi forzati e della violenza contro i civili non è rimasta confinata all’antichità, ma si è ripresentata e continua a manifestarsi in diverse epoche e regioni del mondo. Questo problema si dimostra spesso irrisolvibile, poiché è profondamente intrecciato con complesse dinamiche politiche e sociali. Le profonde divisioni interne all’interno delle popolazioni colpite rendono la situazione ancora più delicata e difficile da affrontare. Allo stesso tempo, la comunità internazionale o le potenze esterne incontrano spesso enormi difficoltà nell’intervenire in modo efficace per prevenire o fermare queste atrocità. La storia mostra che, nonostante i cambiamenti nei contesti e nelle tecnologie, le radici della violenza di massa e dello sradicamento forzato persistono, rappresentando una sfida continua per l’umanità.Come può un capitolo che si concentra quasi esclusivamente sull’antichità affermare che il problema degli esodi forzati sia “senza tempo” e “irrisolvibile” senza fornire alcun contesto storico successivo o moderno?
Il capitolo presenta in modo efficace esempi antichi di spostamenti forzati, ma la transizione a un problema “senza tempo” e la sua presunta “irrisolvibilità” mancano di un ponte argomentativo solido. Per sostenere tale affermazione, sarebbe necessario esplorare come queste pratiche si siano manifestate in epoche successive (medioevo, età moderna, colonialismo) e, soprattutto, nel XX e XXI secolo, dove gli esodi forzati, le pulizie etniche e i genocidi hanno assunto forme diverse ma ugualmente devastanti. Approfondire la storia moderna e contemporanea, la sociologia dei conflitti e il diritto internazionale (con autori come Hannah Arendt o Ryszard Kapuściński per la cronaca e l’analisi di eventi moderni, o studi sulla storia del colonialismo e dei conflitti post-coloniali) aiuterebbe a fornire il contesto necessario per comprendere la persistenza e la complessità del problema nel mondo attuale e a valutare se sia davvero “irrisolvibile” o se esistano, o siano esistiti, meccanismi di prevenzione o giustizia.3. Dagli Ospiti alle Tane Sotterranee
Nell’antichità, gli ostaggi servivano come strumenti di pace e garanzie di alleanze. Non erano considerati prigionieri nel senso moderno, ma venivano ceduti volontariamente tra le parti. Spesso si trattava di persone di alto rango, che venivano trattate con grande riguardo, a volte addirittura accolte come membri della famiglia da chi li ospitava. La loro presenza era un segno tangibile di fiducia e un impegno reciproco a mantenere gli accordi. Esempi storici dimostrano come tribù diverse inviassero ostaggi a Roma per confermare la loro lealtà, o come si scambiassero ostaggi tra loro per rafforzare le coalizioni militari o politiche. L’imperatore Augusto li descriveva efficacemente come “pignora”, sottolineando il loro ruolo di pegno o garanzia.L’evoluzione del ruolo degli ostaggi
Questa concezione cambia radicalmente quando le richieste vanno oltre la semplice alleanza e includono la resa totale, il disarmo completo e lo spostamento forzato delle popolazioni. In queste nuove circostanze, gli ostaggi perdono il loro status di “ospiti” e diventano merce di scambio o strumenti diretti di ricatto. Il loro trattamento peggiora drasticamente, con frequenti casi di maltrattamenti o persino uccisioni, anche se i Romani stessi definivano “barbari” coloro che si comportavano in questo modo. Parallelamente a questo cambiamento, fiorisce per secoli una vera e propria “industria” legata ai prigionieri, basata su riscatti e scambi. In questo sistema, i non combattenti e le persone più povere venivano spesso uccisi sul posto o ridotti in schiavitù, non avendo valore come merce di scambio.Ostaggi nei conflitti recenti
In epoche più vicine a noi, l’uso degli ostaggi assume nuove forme. Vengono impiegati per garantire salvacondotti a capi militari o politici, come accadde in contesti storici come quello nazista. Oggi, gli ostaggi sono diventati una leva fondamentale e una merce di scambio in trattative politiche estremamente complesse, come si osserva nella situazione attuale a Gaza. Qui, il numero esatto e la sorte delle persone tenute in ostaggio rimangono incerti, complicando enormemente i negoziati, spesso legati a richieste di cessate il fuoco e scambi di prigionieri.La guerra si sposta nel sottosuolo
Parallelamente all’evoluzione del concetto di ostaggio, si assiste a un’altra trasformazione nella condotta della guerra: lo spostamento nel sottosuolo. L’uso di tunnel per scopi militari o di contrabbando ha origini antichissime, risalendo a millenni fa. Tuttavia, in contesti moderni, queste strutture sotterranee si sono trasformate in infrastrutture estremamente complesse e sofisticate. A Gaza, ad esempio, esiste una vastissima rete di tunnel scavati nella sabbia e rinforzati con pareti in cemento, utilizzati principalmente da Hamas per spostamenti e operazioni militari.Le sfide dei labirinti sotterranei
Questi labirinti sotterranei pongono sfide enormi per le forze attaccanti. Individuarli, esplorarli e neutralizzarli richiede un impegno considerevole in termini di tempo, risorse e tecnologia avanzata. Nonostante la loro indubbia importanza tattica nel permettere movimenti protetti e attacchi a sorpresa, gli esperti militari concordano sul fatto che raramente i tunnel da soli riescono a decidere l’esito finale di una guerra. Rappresentano, tuttavia, un costo elevato per entrambe le parti coinvolte, sia in termini di costruzione e mantenimento per chi li usa, sia in termini di difficoltà e perdite per chi cerca di contrastarli. L’uso dei tunnel nella guerra moderna richiama anche temi universali legati alla paura, alla clandestinità e alla condizione umana, temi che ritroviamo spesso esplorati nella letteratura e nella cultura di diverse epoche.Davvero la soluzione alle divisioni post-belliche è “dimenticare”, o forse è solo un modo per chi vince di imporre la propria versione dei fatti?
Il capitolo accenna all’approccio ateniese del perdono e del non ricordare, ma anche ai suoi limiti e al successivo controllo della narrazione da parte del potere, come nel caso di Augusto. Questo solleva interrogativi cruciali su chi detiene il potere di definire cosa debba essere ricordato o dimenticato e su come la “memoria” stessa diventi uno strumento politico. Per approfondire queste dinamiche complesse, che vanno oltre la semplice amnistia, è utile esplorare la storia della memoria e le teorie sul rapporto tra potere e conoscenza. Autori come Pierre Nora o Michel Foucault offrono spunti fondamentali per comprendere come il passato venga costruito e gestito nel presente.7. Pace e Catastrofe: Significati Antichi e Nuovi Timori
La pace ha avuto significati molto diversi nel tempo e nelle culture. Non è sempre stata vista come una condizione ideale e incondizionata. In luoghi come l’antica Mesopotamia e la Cina, la pace spesso si basava su accordi di difesa reciproca o su alleanze.Pace nell’Antichità: Patti e Sottomissione
I trattati assiri, ad esempio quelli stipulati da Esarhaddon, imponevano la sottomissione dei popoli vinti e servivano a garantire la successione del re all’interno del proprio regno. Chi non rispettava questi patti era minacciato da terribili maledizioni divine, un aspetto che ritroviamo anche nelle profezie bibliche legate alla fedeltà verso Dio. La Bibbia, però, presenta anche immagini di pace ideale, come quella in cui le spade vengono trasformate in attrezzi agricoli (vomeri), visioni che a volte coincidono con periodi di dominio straniero percepito come positivo, come quello persiano.La Pace tra Greci e Romani
I greci intendevano la pace soprattutto come amicizia e alleanza tra città-stato (filia), anche se alcuni pensatori, come Eraclito, consideravano la guerra come l’origine di ogni cosa. Le loro opere letterarie mostrano sia gli orrori dei conflitti sia i tentativi di trovare la riconciliazione, ma indicano anche che la pace poteva seguire un atto di vendetta e richiedere incentivi materiali per essere mantenuta. La Pax Romana, invece, non era un accordo tra pari, ma la condizione imposta ai popoli sottomessi (“Parcere subiectis, et debellare superbos” – perdonare i sottomessi e sconfiggere i superbi). Era una pace basata sulla forza militare e sulla decisione arbitraria di Roma di mostrare giustizia o clemenza. I romani giustificavano le loro guerre come azioni difensive o per vendetta, finalizzate a imporre la loro versione di pace. Il termine “pacati” veniva usato per indicare i popoli che erano stati sottomessi. Le guerre contro nemici che non avevano uno Stato organizzato risultavano più difficili da gestire con i tradizionali trattati di pace.Catastrofe: Paure Antiche e Moderne
Accanto alla ricerca della pace, la storia umana è costellata da visioni ricorrenti di catastrofi e della fine del mondo. Queste profezie, presenti in molte culture antiche, dalle tradizioni bibliche a quelle greche e romane, descrivevano distruzioni su larga scala, a volte cosmiche, a volte legate a sconvolgimenti politici e sociali.Timori Moderni e la Voce dei Profeti
Oggi, queste antiche paure si manifestano in nuove forme, come il timore della guerra nucleare. Scenari ipotetici di conflitto atomico e la diffusione di armi nucleari, insieme al progressivo abbandono dei trattati per il loro controllo, alimentano queste ansie. Altri timori diffusi nel mondo moderno riguardano le crisi climatiche, la diffusione di pandemie globali e l’impatto ancora sconosciuto dell’intelligenza artificiale sulla società. Queste fantasie di catastrofe, anche se non sempre si realizzano nei modi previsti, sono lo specchio di ansie profonde e mostrano quanto l’umanità sia impreparata ad affrontare pericoli concreti. I profeti di sventura, spesso figure scomode e poco popolari, svolgono comunque un ruolo importante: quello di richiamare l’attenzione sui problemi esistenti e sulla necessità urgente di trovare soluzioni.Il capitolo accosta paure antiche e moderne di catastrofe. Ma sono davvero solo ‘nuove forme’ o qualcosa di radicalmente diverso, che rende l’umanità di oggi ‘impreparata’ in modi inediti?
Il capitolo, pur evidenziando la persistenza della paura della catastrofe, non esplora a fondo se la natura stessa di queste minacce (nucleare, climatica, pandemica, IA) sia qualitativamente diversa dalle visioni apocalittiche antiche, legate spesso a forze divine o naturali percepite. Questa differenza, che sposta l’origine della catastrofe dall’esterno (dei, natura) all’interno (l’azione umana stessa), potrebbe spiegare perché l’umanità, nonostante l’avanzamento tecnologico, si trovi ancora ‘impreparata’ ad affrontarle. Per approfondire questo divario tra paure antiche e sfide moderne, sarebbe utile esplorare la sociologia del rischio e la filosofia della tecnologia. Autori come Ulrich Beck o Paul Virilio offrono spunti cruciali su come le società contemporanee percepiscono e gestiscono (o non gestiscono) i rischi globali che esse stesse generano.Abbiamo riassunto il possibile
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