Scienza e tecnologia

L’uomo di Neanderthal. Alla ricerca dei genomi perduti

Per favore  Accedi  oppure  registrati  per farlo.



1. Svelare il passato con il DNA antico

La ricerca sul DNA antico è iniziata con un forte interesse per i resti egizi mummificati. Ci si chiedeva se il DNA potesse davvero sopravvivere nei tessuti per migliaia di anni, soprattutto in condizioni di forte essiccazione. I primi esperimenti condotti su fegato essiccato hanno mostrato che il DNA poteva resistere, anche se in frammenti. Analizzando le mummie egizie, si è poi scoperta la presenza di resti cellulari con DNA ancora conservato, visibile al microscopio e colorato con sostanze specifiche. La datazione al carbonio ha confermato l’età millenaria di questi campioni, aprendo la strada al loro studio genetico.

La svolta della PCR

L’introduzione della tecnica chiamata reazione a catena della polimerasi (PCR) ha rappresentato una svolta rivoluzionaria per lo studio del DNA antico. Questa tecnica permette di moltiplicare anche quantità minime di DNA, superando così le grandi difficoltà legate alla sua degradazione e frammentazione nel corso del tempo. Grazie alla PCR, è diventato possibile analizzare campioni molto antichi, come la pelle di un quagga estinto o tessuti prelevati da mummie. Si potevano così ottenere sequenze genetiche precise da confrontare con quelle di organismi moderni, aprendo nuove e importanti possibilità di ricerca.

Il DNA dei Neanderthal

L’applicazione di queste nuove tecniche a un frammento di osso di Neanderthal ha portato a un risultato di grande significato. È stato possibile estrarre e analizzare il DNA mitocondriale (mtDNA), che rappresenta una piccola parte del patrimonio genetico. La sequenza genetica ottenuta dal Neanderthal ha mostrato variazioni che non erano presenti nell’mtDNA di migliaia di esseri umani moderni studiati fino a quel momento. Confronti più approfonditi hanno dimostrato che l’mtDNA neanderthaliano è geneticamente distinto da quello umano attuale. Si stima che l’antenato comune di questi due gruppi risalga a circa 500.000 anni fa, un periodo molto precedente all’antenato comune di tutti gli esseri umani moderni, noto come Eva mitocondriale.

Cosa ci dice il DNA antico

Questi risultati, confermati da studi indipendenti e controlli molto rigorosi per evitare contaminazioni da DNA moderno, offrono un forte supporto a una delle teorie principali sull’evoluzione umana. Indicano che gli esseri umani moderni si sono sviluppati in Africa e, in seguito, si sono diffusi nel mondo, rimpiazzando altre popolazioni umane come i Neanderthal in Europa. Basandosi sull’analisi dell’mtDNA, sembra che ci siano stati pochi o nessun incrocio significativo tra queste popolazioni. Il DNA antico permette quindi di indagare in modo diretto e potente la storia complessa dell’evoluzione umana.

Se il DNA mitocondriale suggerisce poco o nessun incrocio, siamo sicuri che questa sia l’intera verità sull’evoluzione umana?
Questo capitolo, pur illustrando efficacemente i primi passi nello studio del DNA antico e la rivoluzione della PCR, basa le sue conclusioni sull’evoluzione umana principalmente sull’analisi del DNA mitocondriale. È fondamentale notare che il DNA mitocondriale rappresenta solo una piccola frazione del patrimonio genetico totale e viene ereditato esclusivamente per via materna. Ricerche successive, in particolare quelle basate sull’analisi del DNA nucleare, hanno rivelato un quadro molto più complesso, dimostrando che incroci significativi tra Homo sapiens e Neanderthal (e altre popolazioni arcaiche come i Denisovani) sono effettivamente avvenuti e hanno lasciato tracce nel genoma degli esseri umani moderni non africani. La conclusione di “pochi o nessun incrocio significativo” basata solo sull’mtDNA è quindi parziale e superata dalle scoperte più recenti. Per comprendere appieno la complessità dell’evoluzione umana e il ruolo degli incroci, è indispensabile approfondire la paleogenomica, consultando i lavori di pionieri come Svante Pääbo.


2. La sfida del DNA antico e la ricerca dei Neanderthal

Studiare il DNA antico è difficile, soprattutto perché si contamina facilmente con il DNA di oggi. La tecnica usata per copiare il DNA, chiamata PCR, è molto sensibile. Questo significa che può ingrandire anche tracce minime di DNA estraneo, come quello lasciato da chi lavora sui campioni. Questo problema si vede bene quando si studiano resti di animali: spesso si trova DNA umano, il che rende i risultati poco affidabili. È particolarmente difficile fidarsi dei risultati che parlano di DNA molto antico, di milioni di anni, perché il DNA si rovina velocemente con il tempo.

Come evitare la contaminazione

Per superare il problema della contaminazione, si seguono regole molto severe. Si crea un laboratorio speciale, quasi una “camera bianca”, completamente separato dagli altri esperimenti. Qui si usano solo materiali nuovi, si pulisce tutto con prodotti come la candeggina e si usano lampade speciali (UV) per distruggere il DNA che non serve. Solo poche persone possono entrare e devono seguire procedure precise per non portare dentro DNA moderno.

Risultati con il DNA di animali estinti

Grazie a queste attenzioni, si riescono a ottenere risultati sicuri con campioni di animali estinti che risalgono a decine di migliaia di anni fa. È stato messo a punto un buon sistema per tirare fuori il DNA dalle ossa usando piccole particelle chiamate silice. Questo ha permesso di studiare il codice genetico di animali come i mammut o i bradipi giganti. Si sono capite meglio le loro parentele nel tempo e si è visto che a volte specie diverse sviluppano caratteristiche simili (evoluzione convergente). Si è anche riusciti a prendere il DNA da cose inaspettate, come le feci di orso, per aiutare a proteggere le specie di oggi.

La difficoltà con il DNA umano antico

Nonostante i successi con gli animali, lavorare con i resti di esseri umani antichi resta molto complicato. Questo perché il DNA umano moderno è presente quasi ovunque. Anche campioni trovati in ottime condizioni, come quello di Ötzi, l’Uomo dei Ghiacci, mostrano segni di contaminazione. Per distinguere il DNA originale da quello moderno servono tecniche molto sofisticate e difficili. Questo rende lo studio della nostra storia antica attraverso il DNA un lavoro molto, molto complesso.

Perché studiare i Neanderthal

Per affrontare la sfida del DNA umano antico, si è scelto di concentrare gli studi sui Neanderthal. L’idea era che il loro DNA fosse abbastanza diverso da quello degli esseri umani di oggi. Essendo geneticamente più lontani rispetto ad altri umani antichi più recenti, si pensava che il loro DNA sarebbe stato più facile da distinguere dalla contaminazione moderna. Si sono cercati campioni ben conservati, trovati spesso in luoghi con rocce calcaree che aiutano a mantenere intatto il DNA. Un campione importante è stato preso dall’esemplare originale trovato nella valle di Neander. Le prime analisi del DNA mitocondriale, fatte su questo e altri individui Neanderthal, hanno mostrato che sono geneticamente diversi dagli esseri umani moderni. Hanno anche una varietà genetica interna non molto ampia, simile a quella che si vede oggi nella nostra specie.

Ma è davvero solo la distanza genetica a rendere lo studio dei Neanderthal meno problematico della contaminazione?
Il capitolo presenta la distanza genetica dei Neanderthal dagli esseri umani moderni come il motivo principale per cui concentrare gli studi su di loro aiuta a superare il problema della contaminazione. Tuttavia, non è del tutto chiaro se questa distanza sia di per sé sufficiente o l’unico fattore determinante. La difficoltà nel distinguere il DNA antico da quello moderno non dipende solo dalla differenza genetica, ma anche dalla quantità di DNA originale rimasto, dal suo stato di conservazione e dalla sensibilità delle tecniche di sequenziamento. Concentrarsi esclusivamente sulla distanza genetica come soluzione principale potrebbe trascurare altre sfide tecniche cruciali. Per comprendere meglio la complessità di questo campo, sarebbe utile approfondire le tecniche specifiche di laboratorio utilizzate per l’analisi del DNA antico e le sfide analitiche dei dati, magari leggendo il lavoro di pionieri della paleogenetica come Svante Pääbo.


3. Lipsia e la ricerca del DNA antico

La Max-Planck-Gesellschaft ha deciso di fondare un nuovo istituto nella Germania dell’Est. Lo scopo era rafforzare la ricerca nel campo dell’antropologia, una disciplina che era stata indebolita dalla sua storia legata al nazismo. L’istituto ha sede a Lipsia. Si concentra in particolare sull’antropologia evoluzionistica. Una domanda centrale che esplora è cosa renda unici gli esseri umani rispetto ad altre specie. L’istituto è organizzato in modo interdisciplinare. Recluta scienziati da tutto il mondo, provenienti da diversi campi di studio. Questi includono la genetica, la primatologia e la linguistica.

La ricerca sulle origini umane e i Neanderthal

La ricerca genetica affronta la questione fondamentale se i Neanderthal abbiano lasciato un segno nel patrimonio genetico degli esseri umani moderni. Gli scienziati hanno analizzato il DNA mitocondriale. Hanno studiato campioni di DNA mitocondriale sia dai Neanderthal che dai primi esseri umani moderni ritrovati in Europa. I risultati di queste analisi non hanno mostrato prove evidenti di un contributo genetico significativo da parte delle madri Neanderthal alla popolazione umana moderna. Questo dato supporta il modello chiamato “Out of Africa”. Questo modello suggerisce che gli esseri umani moderni si siano evoluti in Africa e poi si siano diffusi nel resto del mondo. Si contrappone all’ipotesi della “continuità multiregionale”, che proponeva un’evoluzione parallela in diverse aree geografiche.

Le sfide del recupero del DNA antico

Recuperare il DNA nucleare antico si è rivelato una sfida tecnica complessa. I primi tentativi sono stati fatti su ossa di orsi delle caverne, ma non hanno avuto successo. Questo insuccesso era dovuto alla presenza di sostanze nelle ossa che impedivano il processo di estrazione e analisi. Il successo è arrivato con lo studio di resti di mammut. Questi resti erano conservati nel permafrost, un ambiente che preserva molto bene il materiale organico. Questo ha dimostrato che il DNA nucleare può sopravvivere per decine di migliaia di anni. Ha anche provato che è possibile studiare le differenze genetiche in individui appartenuti a specie estinte da tempo. Tuttavia, la conservazione del DNA nucleare è molto più limitata in ossa trovate in ambienti meno ideali, come le grotte, dove le condizioni non sono favorevoli alla conservazione. Per comprendere appieno le possibili interazioni genetiche tra i Neanderthal e gli esseri umani moderni, è diventato chiaro che era necessario studiare il loro genoma nucleare completo.

Registrati gratis!

Senza carta di credito, basta solo un email.

Registrati ora

Già iscritto? Accedi


Se i Neanderthal si sono incrociati con gli esseri umani moderni, perché il capitolo suggerisce che siano stati semplicemente “soppiantati”?
Il capitolo presenta sia l’evidenza genetica di incroci significativi tra Sapiens e Neanderthal, sia l’idea che l’espansione degli esseri umani moderni, descritti come “soppiantatori”, abbia coinciso con la scomparsa dei Neanderthal. Questa coesistenza e interazione suggeriscono un processo più complesso del semplice “soppiantamento”. Per comprendere meglio la dinamica tra i due gruppi e le cause della scomparsa dei Neanderthal, è fondamentale approfondire le ricerche in paleoantropologia, archeologia e genetica delle popolazioni. Autori come Svante Pääbo o Chris Stringer offrono prospettive basate sulle ultime scoperte in questi campi.


8. I Denisovani: Parenti Nascosti e Incroci Antichi

Nella grotta di Denisova, in Siberia, il ritrovamento di un piccolo frammento di osso di dito e di un dente ha permesso di identificare un gruppo di ominini estinti prima sconosciuto, chiamato Denisovani. L’analisi genetica ha rivelato la loro esistenza, mostrando inizialmente, tramite il DNA mitocondriale (mtDNA), una separazione evolutiva molto antica rispetto a Neandertal e umani moderni. Approfondendo con il sequenziamento del DNA nucleare, è emerso che i Denisovani sono geneticamente più vicini ai Neandertal rispetto agli esseri umani moderni. Questo dato suggerisce che l’antenato comune a Denisovani e Neandertal si è separato dalla linea evolutiva umana moderna prima che i due gruppi si differenziassero tra loro. Il dente ritrovato, con una forma insolita e più antica rispetto a Neandertal e umani moderni, conferma ulteriormente l’unicità di questo gruppo.

Tracce nel DNA Umano Moderno

Attraverso studi genetici comparativi con le popolazioni umane di oggi, è stato dimostrato che i Denisovani si sono incrociati con gli antenati degli esseri umani moderni. Tracce del loro DNA sono state identificate nei genomi di diverse popolazioni attuali. Queste tracce sono stimate intorno al 4.8% nei genomi delle popolazioni della Melanesia, includendo aree come la Papua Nuova Guinea e Bougainville. Sono state trovate tracce anche in alcune regioni dell’Asia continentale. Questa evidenza di mescolamento genetico si aggiunge alla scoperta di incroci simili avvenuti tra i Neandertal e le popolazioni umane che si spostavano fuori dall’Africa, indicando che l’interazione tra diversi gruppi umani antichi e gli esseri umani moderni in espansione era un fenomeno frequente.

Datazione, Cultura e Ricerca Futura

La datazione dei reperti associati nella grotta di Denisova indica che i Denisovani erano presenti in quella regione prima di 50.000 anni fa. Nello stesso strato sono stati ritrovati manufatti che mostrano un certo grado di sofisticazione. La presenza di questi oggetti solleva interrogativi sulle capacità culturali dei Denisovani. La ricerca scientifica continua a lavorare per definire meglio l’estensione geografica in cui vivevano i Denisovani. Si cercano inoltre di identificare le varianti genetiche che distinguono gli esseri umani moderni dai loro parenti estinti. Infine, si stanno esplorando le possibili funzioni di queste varianti genetiche attraverso studi molecolari.

Davvero possiamo definire ‘sofisticati’ i manufatti associati ai Denisovani basandoci su reperti limitati?
Il capitolo accenna alla presenza di manufatti “sofisticati” nello stesso strato dei resti denisovani, ma non fornisce dettagli su cosa significhi esattamente questa “sofisticazione”. Questo lascia un vuoto argomentativo significativo. Il termine “sofisticato” applicato alla cultura materiale di ominini estinti è spesso oggetto di dibattito scientifico e richiede un’analisi comparativa rigorosa con i manufatti di altre specie contemporanee, come i Neandertal o i primi Homo sapiens. Senza specificare la natura di questi oggetti e il contesto archeologico preciso, è difficile valutare le reali capacità cognitive e culturali dei Denisovani. Per approfondire questa tematica e comprendere i criteri con cui si valuta la “sofisticazione” nel Paleolitico, è utile consultare studi di archeologia preistorica e paleoantropologia che si occupano dell’industria litica e della cultura materiale degli ominini. Autori come Francesco d’Errico o Nicholas Conard hanno lavorato sull’interpretazione di manufatti e simbolismo in questo periodo.


Abbiamo riassunto il possibile

Se vuoi saperne di più, devi leggere il libro originale

Compra il libro

[sc name=”1″][/sc] [sc name=”2″][/sc] [sc name=”3″][/sc] [sc name=”4″][/sc] [sc name=”5″][/sc] [sc name=”6″][/sc] [sc name=”7″][/sc] [sc name=”8″][/sc] [sc name=”9″][/sc] [sc name=”10″][/sc]
L'uomo nero e le stragi. Dall'eccidio di Bologna alla Trattativa con la mafia. Il mistero del neofascista Paolo Bellini
Logiche del desiderio in Dante