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Informazioni
“L’ombra della sovranità. Da Hobbes a Canetti e ritorno” di Luigi Alfieri è un libro che scava a fondo nel cuore del potere politico, partendo dalla drammatica esperienza della guerra civile inglese e dalla risposta radicale di Thomas Hobbes. L’autore ci mostra come Hobbes veda nello Stato e nella figura del sovrano l’unica via d’uscita dal caos, un’entità fondata sulla legge naturale e divina che unisce potere temporale e spirituale per garantire la pace. Non è solo una questione di forza, ma di legittimità che nasce dal patto sociale, anche se poi il potere sovrano diventa assoluto. Il percorso del libro si allarga, confrontando la visione hobbesiana con quella di Rousseau sulla sovranità popolare e addentrandosi nel pensiero di Carl Schmitt, che definisce il politico attraverso il conflitto e la distinzione amico/nemico, e di Elias Canetti, con la sua analisi della massa e della politica come “guerra senza morti”. È un viaggio che esplora le diverse facce della sovranità, del conflitto e della pace, mostrando come questi concetti fondamentali si siano evoluti e scontrati nel pensiero occidentale, arrivando a riflettere sul valore unico della democrazia, non come governo perfetto, ma come sistema che, riconoscendo l’imperfezione umana, offre un metodo pacifico per gestire il conflitto e affermare l’uguaglianza.Riassunto Breve
La guerra civile inglese distrugge un ordine esistente, non è un ritorno a uno stato primitivo, e nasce da vizi e da errori sulla sovranità e sulla verità religiosa. Chi nega il potere assoluto del re o afferma il diritto individuale di giudicare la fede dissolve l’ordine. La soluzione è che il sovrano abbia potere temporale e spirituale. Questo è uno Stato cristiano, dove lo Stato è la Chiesa e rende pubblica la verità. Il sistema politico ha base teologica, legato alla legge naturale, che è legge divina. Dio è il primo sovrano. Lo stato di natura è un modello per mostrare la necessità dello Stato. La legge naturale comanda di istituire lo Stato per cercare la pace e conservare la vita, trasferendo il diritto a tutto tramite un patto. La vita stabile si ha solo nella legge civile. Lo Stato è la condizione naturale per l’uomo, di diritto divino fondato sulla legge naturale. L’istituzione dello Stato è democratica: il popolo si unisce e decide la forma di governo, essendo il primo vicario di Dio nella scelta del sovrano. Qualsiasi governo deriva da questo potere popolare. Il sovrano incarna il popolo, esercita potere supremo per la sicurezza, obbligato dalla legge naturale e responsabile solo davanti a Dio, agendo come vicario divino. La legittimazione divina passa per legge naturale, patto del popolo e sovrano scelto. La pace è imposta dal sovrano, rappresentante di Dio. Questo ruolo è necessario perché la divisione tra potere spirituale e secolare crea conflitto sulla verità religiosa. Non c’è soluzione teologica o politica su chi decide la verità divina, ma si obbedisce al sovrano legittimo, istituito da Dio. Obbedire al sovrano è obbedire a Dio. Il patto sociale trasferisce i diritti spirituali al sovrano. I cittadini cedono il diritto di decidere come onorare Dio per evitare disordini da opinioni religiose diverse. L’interpretazione delle leggi divine e secolari spetta allo Stato. Ciò che il sovrano comanda in culto e affari secolari è comandato da Dio. Questa visione è teocratica, nega libertà di culto esterno per evitare conflitti. Stato e Chiesa sono la stessa cosa, composti dagli stessi cristiani. Il sovrano è capo della Chiesa nel suo Stato. Non esiste Chiesa universale superiore. Il potere assoluto del sovrano, secolare e spirituale, ha limite nel mantenimento della pace. Regola i rapporti esterni, non l’interiorità. Impone il culto pubblico, non la fede. La fede interiore è libera. Nessuna autorità obbliga a credere o impedisce la fede, né punisce spiritualmente. I ministri di Cristo non puniscono chi non crede. La sovranità non deriva da superiorità naturale, ma è costruzione dei sudditi. Gli uomini sono uguali per natura, vulnerabili, portando a conflitto. Lo Stato crea ordine artificiale per la pace. Il sovrano rappresenta la forza unificata dei sudditi, somma delle debolezze individuali. La forza del sovrano viene da consenso e obbedienza. Il potere sovrano è lo stesso, chiunque lo detenga. La democrazia non cambia la natura della sovranità. In Hobbes, il patto porta a essere rappresentati da un sovrano. In Rousseau, il patto porta a rappresentarsi come sovrano, creando il cittadino-suddito che comanda e obbedisce a sé. Il sovrano di Rousseau, come quello di Hobbes, non è vincolato da leggi o patto originario. Rousseau elimina la rappresentanza con l’autorappresentazione del popolo sovrano, portando a sovranità intermittente. Carl Schmitt definisce il politico con la distinzione amico/nemico, concreta ed esistenziale, legata alla possibilità di uccidere e alla guerra. Il politico precede e fonda lo Stato. Se lo Stato si occupa di tutto, può sembrare non politico nel senso di Schmitt. La guerra è possibilità sempre presente che determina l’azione politica, non il suo scopo. Nell’ambito internazionale, l’assenza di autorità superiore mantiene stato di natura hobbesiano, con conflitto possibile. Anche la volontà di pace è politica e può creare nemici. Internamente, la dimensione politica è la possibilità di rivoluzione e guerra civile. Un gruppo è politico se distingue amici/nemici e può partecipare a conflitto armato. La sovranità è la decisione sul caso estremo, chi la prende è sovrano, anche contro lo Stato esistente. Il sovrano è parte del conflitto. La pacificazione interna avviene quando lo Stato identifica un nemico interno e unifica le altre forze contro di esso. Questo è un atto di proscrizione, violenza asimmetrica dove il più forte criminalizza il più debole. Questo meccanismo di unificazione contro un nemico interno debole è la forma del Leviatano in Schmitt. La sua visione del politico, radicata nella guerra esterna e persecuzione interna, si allontana dal progetto hobbesiano di pacificazione e tende allo Stato totalitario. La massa è intensità di unione o separazione, fenomeno costante. Esiste massa aperta, spontanea, temporanea, dove differenze si annullano in fusione emotiva che genera uguaglianza e sicurezza. Questa condizione non dura, porta alla massa chiusa, istituzionale, con confine e ripetizione. Il confine regola accesso e durata, creando un “dentro” e un “fuori”. La massa chiusa affronta minacce esterne (nemico) e interne (individuo irriducibile). Cerca durata e stabilità, spesso come massa doppia, dove due gruppi si definiscono per opposizione (amico/nemico). La guerra è un caso di massa doppia, ma la guerra combattuta è uno “scoppio” della massa chiusa, ritorno a dimensione esistenziale e impolitica. Non è l’essenza del politico, ma confronto con la morte. In guerra, il potere è nella sopravvivenza. La politica interna, come il sistema parlamentare, è “guerra senza morti”. Conflitto continuo tra gruppi che si misurano senza uccidere. La votazione misura la forza, non stabilisce chi ha ragione. Il perdente accetta sconfitta numerica ma mantiene volontà e può lottare. Il sistema parlamentare funziona perché la morte è espulsa. Votare è un rito che allontana la morte come strumento decisionale. Il politico esiste finché il confine della massa chiusa regge e si evitano decisioni estreme con spargimento di sangue. La stabilità del governo si basa sulla certezza di chi ha il potere, non su legittimità o merito. La scelta del successore certo previene conflitti sulla titolarità. Questa certezza di fatto è principio di valore, giustificato anche come volontà divina, per assicurare pace interna e unità. Il valore reale è prevenire guerra civile. La democrazia è governo di tutti, non dei migliori, né etimologicamente né logicamente. L’idea che la totalità sia più saggia di una parte o di un singolo non trova riscontro. Se l’obiettivo fosse il sovrano migliore, l’aristocrazia sarebbe ideale. Il miglior governo non è il governo dei migliori. Nonostante non sia il governo dei migliori, la democrazia si presenta oggi come la migliore forma possibile, l’unica legittima. Questa pretesa di valore è costitutiva. La sua superiorità non deriva dalla qualità intrinseca del popolo sovrano. La somma di tutti non garantisce saggezza o competenza. Il valore fondamentale della democrazia non è primariamente nelle procedure, comuni anche allo Stato di diritto, ma nel concetto di “popolo” come “tutti” i cittadini che incidono sulla decisione politica. Questo “essere tutti” implica valori come uguaglianza (costruzione civile), libertà (nessuno padrone di un altro), riconoscimento morale dei diritti per tutti, solidarietà, responsabilità collettiva. Il governo di tutti, anche imperfetto o formato dai “peggiori”, ha senso in questa prospettiva valoriale ed è preferibile al governo dei “migliori” che negherebbe uguaglianza e libertà. Nella pratica, la democrazia non realizza pienamente questi ideali. Uguaglianza può essere finzione, libertà trascurata, solidarietà solo a parole. Ma rivendicare i principi democratici e votare evoca e riafferma questi valori come orizzonte. La democrazia è forma politica che non prescinde da riferimento etico, anche se non lo realizza. Offre metodo certo (elezioni) per risolvere pacificamente conflitto politico identificando il più forte, non il migliore. Permette cambiare governanti senza violenza. Se inadeguati, si smette di votarli. Obbedire al risultato democratico, anche se porta corrotti, non è solo per evitare disordini. Avviene perché la decisione è del sovrano legittimo, che è “noi”, “tutti”. Questo ribadisce libertà e uguaglianza. Principio etico supremo della democrazia: “tra noi nessuno deve essere il migliore”. Non esiste governo perfetto o buono; tutti sbagliano e meritano di essere cambiati. Il diritto di cambiare è il cuore della democrazia, ricerca continua del bene. La democrazia moderna opera riconoscendo imperfezione umana. Il potere fattuale (chi vince elezioni) non basta, invoca sempre principio superiore, la sovranità. La sovranità è lo spazio tra governante di fatto e principio ideale del popolo sovrano. Questo spazio, invisibile, si manifesta nell’incompiutezza del potere e nella sua necessità di legittimazione. I governanti sono obbediti finché rappresentano questa sovranità.Riassunto Lungo
1. Il Comandamento Divino della Pace e dello Stato
La guerra civile inglese non fu un ritorno a uno stato primitivo, ma la distruzione di un ordine politico e spirituale già esistente. Le sue cause non furono semplici passioni, ma vizi come l’ipocrisia e la presunzione, radicati nella vita civile e religiosa del tempo. Il conflitto nacque da idee sbagliate sulla natura del potere sovrano e sulla verità religiosa: alcuni giuristi negavano il potere assoluto del re, mentre alcuni teologi sostenevano il diritto di ogni individuo di giudicare la verità di fede. Queste pretese di libertà personale finirono per dissolvere l’ordine dello Stato e della fede, che si basava sulla legittimità della sovranità.La Soluzione di Hobbes: Sovranità e Legge Divina
Per rimediare a questa distruzione, Hobbes propone che il sovrano detenga tutto il potere, sia sugli affari terreni che su quelli spirituali. Hobbes si considera un pensatore cristiano, e la sua teoria è quella di uno Stato cristiano. In questo Stato, lo Stato stesso è la Chiesa, rendendo pubblica la verità religiosa per tutti. Il suo intero sistema politico ha una base religiosa, poiché la ragione che porta alla nascita dello Stato è legata alla legge naturale. Questa legge naturale è identica alla legge divina, una legge promulgata da Dio, il primo sovrano e legislatore.Perché Serve lo Stato: Lo Stato di Natura e il Patto
Lo “stato di natura” non è una condizione storica reale, ma un modello concettuale che dimostra chiaramente la necessità dello Stato. La legge naturale non è inefficace; il suo comando fondamentale è proprio quello di istituire lo Stato, e ogni Stato esistente realizza questa legge. La prima legge naturale impone di cercare la pace o i mezzi per la guerra per la conservazione della vita. Questo porta alla necessità di trasferire il diritto a tutto, implicando il patto tra le persone. Il diritto individuale alla vita si realizza stabilmente solo all’interno della legge civile, rendendo la vita nello Stato la condizione naturale per l’uomo.Come Nasce lo Stato Legittimo: Diritto Divino e Potere Popolare
Lo Stato è di diritto divino, fondato sulla legge naturale. Tuttavia, l’atto di istituire lo Stato è anche democratico: il popolo si unisce e decide la forma di governo. Il popolo è l’espressione immediata della sovranità e il primo vicario di Dio nello scegliere il sovrano; qualsiasi forma di governo deriva da questo potere popolare. Il sovrano, chiunque sia, incarna il popolo ed esercita il potere supremo. La sua funzione principale è garantire la sicurezza del popolo; è obbligato dalla legge naturale e responsabile solo davanti a Dio, agendo come suo vicario. La legittimazione divina del potere sovrano passa dunque attraverso la legge naturale, il patto del popolo e la figura del sovrano scelto.Se il popolo è il ‘primo vicario di Dio’ nello scegliere il sovrano, come può poi il sovrano essere il ‘vicario’ di Dio e responsabile solo davanti a Lui, quasi bypassando il popolo?
Il capitolo presenta una complessa relazione tra legittimità divina, legge naturale, volontà popolare e autorità sovrana, suggerendo una dualità nel fondamento dello Stato. Tuttavia, la coesistenza di un fondamento che sembra discendere da Dio (tramite legge naturale e il sovrano come Suo vicario) e un fondamento che ascende dal popolo (come primo vicario di Dio che sceglie il sovrano tramite patto) solleva interrogativi sulla natura ultima della legittimità hobbesiana. È il potere derivato in ultima analisi da Dio o dal consenso (seppur divinamente sanzionato) del popolo? Per esplorare questa apparente tensione, è utile approfondire gli studi sulla filosofia politica di Thomas Hobbes, in particolare le interpretazioni che analizzano il rapporto tra i fondamenti teologici e quelli contrattualisti del suo pensiero. Autori come Quentin Skinner o Norberto Bobbio offrono prospettive diverse su questi aspetti.2. Il Sovrano e la Pace Interiore ed Esteriore
La pace è stabilita dal sovrano, che agisce come rappresentante di Dio sulla terra. Questo ruolo è essenziale perché la separazione tra potere spirituale e potere terreno porta inevitabilmente a conflitti, specialmente quando si discute di quale sia la vera fede. Non esiste una soluzione che venga solo dalla teologia o solo dalla politica per decidere chi ha ragione sulle questioni divine. L’unica via è obbedire al sovrano legittimo, perché è Dio stesso ad averlo messo al suo posto. Quindi, obbedire al sovrano significa di fatto obbedire a Dio.Il Patto Sociale e i Diritti Spirituali Il patto con cui si forma lo Stato prevede che le persone cedano al sovrano anche i loro diritti in campo spirituale. I cittadini rinunciano al diritto di decidere da soli come onorare Dio. Questo passaggio di poteri è obbligatorio per evitare che le diverse idee sulla religione causino disordini e guerre civili all’interno dello Stato. Solo l’autorità statale ha il compito di interpretare sia le leggi divine che quelle umane. Ciò che il sovrano ordina riguardo al modo di praticare il culto e agli affari di tutti i giorni è considerato un comando che viene direttamente da Dio.
La Natura del Potere Sovrano Questa visione non è basata sull’idea di uno Stato laico, separato dalla religione, ma è piuttosto una teocrazia, dove il potere politico e quello religioso sono uniti. Questo implica che non c’è libertà di praticare la propria fede in modo diverso da quanto stabilito pubblicamente. Concedere la libertà di culto esterno porterebbe a permettere azioni che alcuni cittadini considerano sbagliate o offensive verso Dio, creando conflitti che non si potrebbero risolvere. Lo Stato e la Chiesa non sono due entità separate, ma sono la stessa cosa, formata dagli stessi cittadini cristiani. Il sovrano è quindi il capo della Chiesa all’interno del suo territorio e non esiste una Chiesa universale con un’autorità superiore alla sua.
Limiti del Potere: Pace Esterna e Fede Interiore Il potere del sovrano, pur essendo assoluto sia nelle questioni terrene che spirituali, ha un limite preciso: deve sempre garantire il mantenimento della pace. Questo potere controlla come i cittadini si comportano tra loro e come praticano pubblicamente la loro fede, ma non può in alcun modo toccare la loro vita interiore. Il sovrano stabilisce il culto pubblico che tutti devono seguire, ma non può obbligare nessuno a credere davvero nel proprio cuore. La fede intima di una persona è completamente libera e nessuna autorità al mondo può costringere qualcuno a credere o impedirgli di avere fede, né può infliggere punizioni che riguardino l’anima. Coloro che sono ministri di Cristo non hanno alcun potere di punire chi non crede.
L’Origine Artificiale della Sovranità La sovranità non nasce dal fatto che il sovrano sia per natura migliore o superiore agli altri, ma è una creazione voluta e costruita dai sudditi stessi. Gli esseri umani sono per natura uguali, soprattutto nella loro capacità di farsi del male a vicenda. Questa uguaglianza nel potersi danneggiare porta a una condizione in cui tutti vivono nella paura e nel conflitto. Lo Stato nasce proprio per creare un ordine artificiale che metta fine a questa situazione di guerra e garantisca a tutti di vivere in pace. Il sovrano rappresenta la forza unita di tutti i sudditi, che è la somma delle loro debolezze individuali messe insieme per un fine comune. La forza del sovrano deriva quindi dal consenso e dall’obbedienza che riceve dai suoi sudditi, e il potere di sovranità rimane lo stesso, non importa chi sia a esercitarlo.
È davvero possibile separare la fede interiore dal culto esteriore, e imporre quest’ultimo senza violare la libertà di coscienza?
Il capitolo afferma con decisione che il sovrano, pur avendo potere assoluto sul culto pubblico per garantire la pace, non può in alcun modo toccare la fede interiore dei sudditi. Questa distinzione netta tra sfera esterna (controllabile e imponibile) e sfera interna (assolutamente libera) è cruciale per l’argomentazione, ma solleva interrogativi fondamentali sulla natura della fede e della pratica religiosa. Come si concilia l’obbligo di conformarsi a un culto pubblico stabilito dall’autorità con la libertà assoluta di credere (o non credere) nel proprio cuore? La storia del pensiero politico e religioso è ricca di dibattiti su questo punto. Per approfondire la questione, è utile esplorare le teorie sulla tolleranza religiosa e sulla separazione tra potere spirituale e temporale, confrontando la visione presentata nel capitolo con autori come Thomas Hobbes, John Locke e Baruch Spinoza. È inoltre fondamentale considerare le prospettive teologiche sulla relazione tra fede, opere e autorità ecclesiastica o civile.3. Il Politico Radicato nel Conflitto
Il modo in cui la sovranità nasce da un patto sociale è visto diversamente da Hobbes e Rousseau. Per Hobbes, il patto porta a scegliere un sovrano che rappresenta il popolo. Per Rousseau, il popolo si rappresenta da solo come sovrano, creando un cittadino che è allo stesso tempo chi comanda e chi obbedisce. In entrambi i casi, il sovrano non è legato da leggi o dal patto stesso, perché il patto è l’atto che lo crea. Rousseau elimina l’idea di rappresentanza esterna, sostituendola con il popolo che si autogoverna, anche se questo porta a una sovranità che si manifesta a tratti, alternando momenti in cui i cittadini decidono e momenti in cui obbediscono come sudditi. Nonostante questa differenza fondamentale sulla rappresentanza, Rousseau considera comunque la divisione dei poteri e diverse forme di governo, avvicinandosi in parte a Hobbes, che vede il patto iniziale come un atto del popolo, anche se poi il potere viene dato a un rappresentante.Il Concetto di Politico in Carl Schmitt
Carl Schmitt definisce l’essenza del politico attraverso la distinzione fondamentale tra amico e nemico. Questa differenza non è teorica, ma molto concreta e legata alla possibilità reale di un conflitto armato e della guerra. Secondo Schmitt, l’aspetto politico della vita umana esiste prima dello Stato e ne costituisce il fondamento. Uno Stato che pretende di regolare ogni aspetto della vita, come uno Stato democratico o totalitario, potrebbe sembrare non politico nel senso stretto inteso da Schmitt, proprio perché supera la semplice contrapposizione amico/nemico. La guerra, per Schmitt, non è l’obiettivo della politica, ma una possibilità sempre presente che influenza profondamente il pensiero e le azioni politiche.
Politica e Conflitto Internazionale e Interno
Questa visione del politico si applica sia alle relazioni tra Stati che ai rapporti interni a uno Stato. Nel contesto internazionale, l’assenza di un’autorità che stia al di sopra dei singoli Stati mantiene una situazione simile allo stato di natura descritto da Hobbes, dove il conflitto è sempre una possibilità concreta. Anche la semplice ricerca della pace tra nazioni può essere vista come una posizione politica che, per affermarsi, potrebbe dover identificare e affrontare chi si oppone ad essa. All’interno di uno Stato, la dimensione politica emerge nella possibilità sempre presente di rivoluzione o guerra civile. Un gruppo diventa veramente politico quando è capace di distinguere chi è amico da chi è nemico e di agire di conseguenza, arrivando potenzialmente al conflitto armato. La sovranità, in questa prospettiva, non è un potere astratto, ma la capacità di decidere in situazioni estreme, come quella di vita o di morte; chiunque sia in grado di prendere questa decisione, anche contro il potere costituito, esercita la sovranità. Il sovrano, quindi, non è al di fuori o al di sopra del conflitto, ma ne è parte integrante.
Come Avviene la Pacificazione Interna
Secondo Schmitt, la pace all’interno di uno Stato si raggiunge spesso identificando un nemico interno e unendo tutte le altre forze contro di esso. Questo tipo di scontro non è uno scontro tra forze alla pari, ma piuttosto un atto di esclusione o ‘bando’, una forma di violenza non equilibrata in cui il potere dominante etichetta come criminale la parte più debole. Questo modo di creare unità interna, concentrandosi su un nemico interno percepito come debole, è ciò che Schmitt vede come la manifestazione del potere statale, una sorta di ‘Leviatano’ che si afferma attraverso l’esclusione. La sua idea del politico, che si basa sulla possibilità della guerra con l’esterno e sulla repressione interna, si discosta nettamente dall’obiettivo di pacificazione completa cercato da Hobbes e, secondo questa interpretazione, si avvicina pericolosamente all’idea di uno Stato totalitario.
Se la somma di tutti non garantisce saggezza, su cosa si fonda realmente la pretesa di superiorità e legittimità della democrazia oggi?
Il capitolo, nel criticare l’idea che la democrazia sia il governo dei migliori o intrinsecamente saggio, solleva un punto cruciale, ma non esplora a fondo su cosa si basi la sua legittimità e presunta superiorità nel mondo contemporaneo, se non sulla mera “pretesa di valore”. Ignorare o sminuire il potenziale della deliberazione pubblica, della formazione del consenso o della protezione dei diritti come fondamenti della legittimità democratica lascia l’argomentazione incompleta. Per approfondire questi aspetti, si possono esplorare le teorie della legittimità politica e della democrazia deliberativa. Autori come John Rawls, Jürgen Habermas o Norberto Bobbio offrono strumenti concettuali per analizzare le diverse giustificazioni della democrazia oltre la semplice stabilità o la saggezza del singolo governante.6. Il valore della sovranità popolare
Il valore più importante della democrazia non sta tanto nelle sue regole pratiche, anche se queste sono fondamentali per proteggere le minoranze o dividere i poteri. Molte di queste regole si trovano anche in uno Stato di diritto normale. Il vero valore della democrazia è l’idea di “popolo”, che significa “tutti” i cittadini che partecipano alle decisioni politiche.I valori di “essere tutti”
Quando diciamo “tutti”, intendiamo valori come l’uguaglianza, che non è un dato di fatto ma qualcosa che costruiamo insieme nella società. Significa anche libertà, perché nessuno deve essere il padrone di un altro. Implica il riconoscimento morale dei diritti per ogni persona, la solidarietà reciproca e la responsabilità che sentiamo tutti insieme verso il passato e il futuro. Solo con questi valori ha senso un governo fatto da “tutti”, anche se a volte sembra imperfetto o guidato da persone non ideali. Questo tipo di governo è comunque meglio di un governo fatto dai “migliori”, perché un governo di pochi negherebbe l’uguaglianza e la libertà, trattando gli altri come se fossero dei servi.Ideali e realtà della democrazia
Nella vita di tutti i giorni, sappiamo che la democrazia non riesce a realizzare perfettamente questi ideali. L’uguaglianza può sembrare solo un’idea, la libertà a volte viene messa da parte, e la solidarietà rimane solo una bella parola. Però, quando difendiamo i principi della democrazia e andiamo a votare, stiamo richiamando e confermando questi valori come qualcosa a cui puntare. La democrazia è un modo di organizzare la politica che non può fare a meno di avere un riferimento a principi morali, anche se poi nella pratica non li raggiunge del tutto.Le elezioni e il diritto di cambiare
La democrazia ci dà un modo sicuro, attraverso le elezioni, per risolvere i contrasti politici senza usare la violenza. Le elezioni individuano chi ha più consenso, non necessariamente chi è il migliore. Questo sistema permette di cambiare chi governa pacificamente, cosa che non accade in altri tipi di governo. Se chi è al potere non va bene, semplicemente non lo si vota più alla prossima occasione. Obbediamo ai risultati delle elezioni, anche quando portano al governo persone che non ci piacciono o che sembrano corrotte, non solo per evitare disordini. Lo facciamo perché la decisione viene da chi ha l’autorità legittima, che siamo “noi”, siamo “tutti”. Questo modo di fare ribadisce la nostra libertà e la nostra uguaglianza. Il principio morale più alto della democrazia è proprio questo: tra noi, nessuno deve sentirsi o essere considerato il migliore in assoluto, al punto da dover governare sugli altri senza possibilità di essere cambiato. Non esiste un governo perfetto o sempre giusto; tutti i governi commettono errori e meritano di poter essere sostituiti. Il diritto di cambiare chi governa è il cuore della democrazia, un impegno costante per cercare ciò che è meglio per tutti.La sovranità come principio
La democrazia come la conosciamo oggi funziona riconoscendo che gli esseri umani non sono perfetti. Il potere concreto di chi vince le elezioni non basta da solo; ha sempre bisogno di richiamarsi a un principio più alto: la sovranità. La sovranità è come uno spazio che esiste tra chi governa realmente e l’idea perfetta del popolo che ha il potere supremo. Anche se non si vede, questo spazio si manifesta nel fatto che il potere di chi governa non è mai completo e ha sempre bisogno di essere considerato legittimo. Chi governa viene obbedito finché rappresenta questa sovranità che appartiene a “tutti”.Davvero l’autorità di chi governa, anche se corrotta o distante dagli ideali, deriva sempre e solo dal fatto che ‘siamo noi’, ‘siamo tutti’?
Il capitolo pone l’accento sulla legittimità che deriva dalla fonte del potere (“il popolo”, “tutti”) e dal meccanismo elettorale, suggerendo che l’obbedienza sia dovuta anche a governi imperfetti o corrotti in virtù di questa origine. Tuttavia, non affronta a fondo la questione di cosa accade quando il governo eletto agisce in modo tale da minare attivamente i valori fondamentali (uguaglianza, libertà, diritti) che il capitolo stesso definisce come essenziali per l’idea di “popolo”. La legittimità può davvero prescindere dalla sostanza delle azioni di governo, basandosi unicamente sulla procedura elettorale e sull’origine popolare? Per esplorare questa tensione tra legittimità procedurale e legittimità sostanziale, e i limiti dell’obbedienza, può essere utile approfondire la filosofia politica, in particolare le teorie del contratto sociale e i dibattiti sulla tirannia della maggioranza. Autori come John Locke e Jean-Jacques Rousseau offrono prospettive fondamentali sulla fonte della legittimità e sui diritti inalienabili, mentre pensatori successivi hanno analizzato i rischi insiti nel potere popolare non bilanciato.Abbiamo riassunto il possibile
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