Contenuti del libro
Informazioni
“Lo scatto umano. Viaggio nel fotogiornalismo da Budapest a New York” di Mario Dondero ci porta dentro un mondo dove la fotografia non è solo tecnica, ma un modo per connettersi con le persone e testimoniare la realtà . Il libro esplora il fotogiornalismo partendo dalle sue radici, dai luoghi di incontro come il Bar Jamaica di Milano, all’ammirazione per figure come Robert Capa. Si racconta la nascita delle prime agenzie fotografiche europee, come Dephot e Rapho, e la loro trasformazione nel tempo, fino all’era digitale che mette a rischio gli archivi fotografici. Un focus importante è sulla Guerra Civile Spagnola, vista come un momento chiave per il reportage e per figure come Capa e Gerda Taro. Ma il viaggio non si ferma ai conflitti; tocca i temi sociali negli Stati Uniti con la FSA e fotografi come Lewis Hine, e la documentazione della vita quotidiana. Il libro non nasconde le difficoltà del mestiere oggi, dalla crisi delle riviste alla sfida della digitalizzazione, ma sottolinea l’importanza di continuare a raccontare storie umane con lealtà e passione, mostrando l’eredità fragile ma vitale di queste immagini.Riassunto Breve
Il fotogiornalismo si basa sull’idea che la fotografia serve a connettere le persone e a mostrare la realtà , mettendo al centro gli esseri umani e le loro emozioni, più che la tecnica. Questa professione nasce spesso da esperienze forti, come la guerra o l’impegno civile, e si sviluppa in ambienti dove ci si confronta con altri fotografi e intellettuali. Richiede curiosità , cultura e la capacità di raccontare i fatti in modo sincero, senza manipolare le immagini. Non è solo un lavoro tecnico, ma un impegno civile e politico. Le agenzie fotografiche all’inizio erano luoghi di scambio e amicizia, importanti per lo sviluppo del reportage come storia raccontata per immagini. Col tempo, però, molte sono diventate grandi aziende commerciali, perdendo lo spirito iniziale e riducendo il controllo dei fotografi sul proprio lavoro. Per questo sono nate agenzie gestite dai fotografi stessi, come Magnum. Oggi il mercato è dominato da grandi archivi che trattano le immagini come prodotti commerciali, a volte perdendo l’aspetto umano. Il fotogiornalismo ha avuto un ruolo chiave nelle riviste illustrate, che per prime hanno dato spazio alle foto. Durante i regimi autoritari, la fotografia è stata usata per la propaganda, e molti fotografi sono stati perseguitati. Oggi la professione è in crisi a causa della velocità delle immagini digitali e dei problemi nella conservazione degli archivi su pellicola, che rischiano di andare persi. La guerra civile spagnola è stata un momento fondamentale per il fotogiornalismo, mostrando il potere delle immagini nel raccontare i conflitti. Figure come Robert Capa e Gerda Taro sono diventate simbolo di questo periodo, affrontando rischi enormi. Il fotogiornalismo non copre solo la guerra, ma anche disastri, problemi sociali, sport, cultura e la vita di tutti i giorni. Il mestiere richiede una solida preparazione e apertura verso il mondo, anche se a volte si lavora in gruppo. Negli Stati Uniti, il fotogiornalismo si è sviluppato con un focus sulla tecnica e l’impatto visivo, anche grazie a progetti come la Farm Security Administration che ha documentato la crisi agricola. Fotografi come Lewis Hine hanno usato le immagini per denunciare problemi sociali e contribuire a cambiare le leggi. La guerra è sempre stata un banco di prova, ma il rapporto con le autorità è cambiato, passando da una certa libertà a un controllo stretto, come nel caso dei reporter “embedded”. Le immagini, però, hanno dimostrato un potere enorme nel rivelare la verità , come nel caso della strage di My Lai durante la guerra del Vietnam. I fotogiornalisti affrontano questi rischi per testimoniare, non per soldi. Oggi il fotogiornalismo non è più l’unico modo per informare con le immagini, superato dalla televisione e dal digitale, e i giornali investono meno. Nonostante questo, la necessità di raccontare le storie umane attraverso le foto rimane. I fotografi continuano a lavorare, affrontando ostacoli e censure, cercando di documentare la realtà con rispetto per i soggetti. La storia del fotogiornalismo include anche fotografi importanti in altre parti del mondo, come l’Est Europa, le cui immagini sono state a lungo nascoste. Dietro ogni foto ci sono figure essenziali come i photoeditor e gli stampatori, il cui lavoro è cruciale. L’arrivo del digitale ha cambiato le tecniche, permettendo manipolazioni prima impossibili. In Italia, l’interesse per il fotogiornalismo è arrivato più tardi, con riviste che hanno dato spazio alle immagini, anche se il fotoreporter ha spesso avuto poca voce in capitolo sulla scelta dei soggetti. La professione implica viaggi e reportage in zone difficili, spinti dal desiderio di testimoniare il dolore e l’impatto degli eventi. Nonostante i cambiamenti nel mondo dei media, il fotogiornalismo mantiene il suo valore nel documentare la realtà e le condizioni sociali, guidato dalla passione e dall’impegno civile dei fotografi.Riassunto Lungo
1. L’umanità dietro l’obiettivo e le agenzie
La fotografia è importante perché crea legami tra le persone e racconta la realtà . Non conta tanto l’aspetto tecnico, ma mettere al centro gli esseri umani e i loro sentimenti. Le persone sono importanti perché esistono, non solo per essere fotografate. Questo modo di vedere la fotografia sposta l’attenzione dalla tecnica all’umanità . È un approccio che valorizza la presenza e le storie di chi viene ritratto.
Cosa significa fare fotogiornalismo
Fare fotogiornalismo richiede una grande curiosità e la capacità di raccontare i fatti in modo fedele alla realtà , senza alterazioni. Non basta avere buone capacità tecniche; serve un impegno civile e politico forte. Il fotogiornalista ideale è versatile, capace di documentare diverse situazioni e di cogliere l’essenza delle storie. Questo tipo di fotografia si concentra sulla realtà umana e sociale. Esistono però anche fotografi che scelgono di documentare aspetti più superficiali, come la vita mondana, invece di concentrarsi sulle difficoltà umane e sociali, mostrando un approccio diverso al mezzo fotografico.
L’esperienza della guerra e il periodo della Resistenza segnano profondamente chi le vive, spingendo verso il giornalismo come forma di partecipazione alla vita pubblica. La passione per la fotografia nasce collaborando con i giornali, imparando sul campo i primi rudimenti tecnici. Luoghi come il Bar Jamaica a Milano diventano importanti punti di ritrovo per fotografi e intellettuali. Qui si sviluppa l’ammirazione per il fotogiornalismo fatto a livello internazionale, prendendo come esempio figure come Capa, che incarnano l’ideale di un fotografo impegnato e coraggioso.
Il ruolo delle agenzie fotografiche
Le agenzie fotografiche nascono per fare da ponte tra chi scatta le foto e i giornali o le riviste. Molte delle prime agenzie importanti, come Dephot a Berlino o Rapho a Parigi, sono state fondate da persone di origine ungherese. All’inizio, queste agenzie erano luoghi dove si scambiavano idee, si creavano amicizie e si definiva l’idea del reportage, inteso come una serie di immagini che raccontano una storia in modo narrativo. Erano ambienti vivaci e creativi, dove la collaborazione era fondamentale e si puntava a diffondere un certo tipo di fotografia di qualità .
L’evoluzione del settore
Con il passare del tempo, il mondo delle agenzie si è profondamente trasformato. Da piccoli gruppi animati da passione e impegno, sono diventate grandi realtà commerciali. Questo cambiamento ha portato a perdere in parte lo spirito iniziale e ha ridotto il controllo che i fotografi avevano sulle proprie immagini e sulla loro diffusione. La nascita di agenzie gestite direttamente dai fotografi, come Magnum Photos, è stata una risposta a questa situazione, vista da molti come uno sfruttamento. Oggi, il settore è dominato da grandi agenzie che gestiscono archivi enormi e considerano l’immagine soprattutto come un prodotto da vendere, spesso come ‘stock photo’. Questo sviluppo fa rimpiangere la mancanza di quell’umanità e quella personalità che caratterizzavano le agenzie più piccole e legate ai singoli autori.
Ma questa contrapposizione tra l’umanità del passato e la mercificazione del presente non rischia di essere una semplificazione eccessiva?
Il capitolo disegna un quadro forse troppo netto, contrapponendo un passato idealizzato a un presente visto solo come mercificazione. La storia della fotografia, e in particolare quella del fotogiornalismo e delle agenzie, è in realtà molto più complessa, intessuta fin dalle origini di tensioni tra intento artistico, documentaristico e necessità economiche. Per approfondire questa complessità e capire meglio come si è evoluto il rapporto tra autore, opera, mercato e diffusione, sarebbe utile esplorare la storia economica della fotografia, la sociologia della produzione culturale e studiare l’opera di fotografi contemporanei che operano in contesti diversi.2. L’eredità fragile delle immagini
Il fotogiornalismo ha il compito di raccontare la vita con sincerità e lealtà , documentando i fatti. Questa pratica, chiamata “concerned photography”, spesso incontra resistenze. La sua nascita e la sua crescita sono strettamente legate alle riviste illustrate che per prime diedero grande spazio alla fotografia. Testate come la “Berliner Illustrierte Zeitung” in Germania, “Vu” e “Regards” in Francia, e “Picture Post” in Inghilterra furono fondamentali per lo sviluppo delle agenzie fotografiche. In questo contesto, Simon Guttmann fu una figura centrale, fondando l’agenzia “Dephot” a Berlino nel 1928 e riunendo diversi talenti.La fotografia sotto i regimi totalitari
Durante i regimi totalitari, come il nazismo e il fascismo, la fotografia fu usata come strumento di propaganda. Questo portò alla persecuzione di molti fotografi, alcuni dei quali furono costretti a emigrare. Un esempio tragico è quello di Erich Salomon, noto per i suoi scatti “rubati”, che trovò la morte ad Auschwitz. Questo periodo storico evidenzia il potere e il pericolo che l’immagine può rappresentare in contesti politici oppressivi.Le sfide del fotogiornalismo oggi
Oggi il fotogiornalismo affronta una crisi profonda. La velocità con cui le immagini vengono scattate e diffuse tramite i telefoni mette in seria difficoltà i professionisti del settore e le agenzie tradizionali. Il mercato è cambiato radicalmente, richiedendo nuove strategie per sopravvivere e mantenere la qualità dell’informazione visiva.La crisi della conservazione e degli archivi
Un problema grave e spesso sottovalutato è quello della conservazione della memoria storica legata al fotogiornalismo. La digitalizzazione degli archivi, iniziata in modo massiccio dal 1998, presenta enormi criticità . Milioni di scatti realizzati su pellicola, in particolare nel formato 24×36, rischiano di andare perduti. Mancano infatti attrezzature industriali efficienti per una digitalizzazione di alta qualità a costi sostenibili, un pericolo che riguarda soprattutto gli archivi dei fotografi meno celebri o delle agenzie più piccole.Complicazioni nell’archiviazione e nuove strategie
Le attuali pratiche di archiviazione complicano ulteriormente la situazione. L’esternalizzazione dei servizi e la progressiva perdita di archivisti esperti, figure fondamentali per la cura e la valorizzazione del patrimonio fotografico, contribuiscono al rischio di dispersione. Nonostante le difficoltà , alcune agenzie riescono a sopravvivere specializzandosi in nicchie specifiche, come le illustrazioni storiche. Agenzie come “Leemage” dimostrano l’importanza di investire nella ricerca e nella cura meticolosa delle didascalie per dare valore e contesto alle immagini, garantendo così la loro rilevanza e accessibilità nel tempo.Se la crisi della conservazione è così grave, perché il capitolo ignora le sfide intrinseche dell’archivio digitale, concentrandosi solo sulla pellicola?
Il capitolo evidenzia giustamente le difficoltà nel digitalizzare l’enorme patrimonio su pellicola, definendo la crisi della conservazione “grave e spesso sottovalutata”. Tuttavia, la trattazione si ferma qui, trascurando le sfide altrettanto complesse e urgenti legate alla conservazione del nuovo materiale nativo digitale. Formati in rapida evoluzione, metadati frammentati, la questione dell’autenticità e l’enorme volume di dati rappresentano ostacoli significativi che non vengono esplorati. Per comprendere appieno la crisi della memoria nel fotogiornalismo contemporaneo, sarebbe necessario approfondire le discipline della conservazione digitale e dell’archivistica contemporanea, magari confrontandosi con le riflessioni di esperti nel campo della gestione dei patrimoni digitali.3. L’occhio sulla storia e il mestiere di guardare
La guerra civile spagnola rappresenta un momento cruciale per il fotogiornalismo. Questo conflitto diventa un palcoscenico per molti reporter, spinti non solo dal lavoro ma anche da una forte passione civile. Segna la nascita della comunicazione visiva di massa degli eventi, un cambiamento significativo rispetto al ruolo marginale che la fotografia aveva avuto durante la Prima Guerra Mondiale. In Spagna, l’immagine inizia a raccontare la storia in tempo reale, raggiungendo un vasto pubblico e influenzando la percezione degli eventi.Il Mestiere del Fotogiornalista
Il lavoro del fotogiornalista richiede una solida cultura e una grande curiosità intellettuale. È fondamentale un’apertura onesta verso il mondo e le storie che si vogliono raccontare. Nonostante si possa pensare a una professione solitaria, spesso il lavoro si svolge in gruppo, con un dialogo e uno scambio costante tra colleghi. La versatilità è un punto di forza: un fotografo può anche scrivere, e un bravo scrittore può avere la capacità di scattare fotografie significative. In Italia, il riconoscimento di questa professione è arrivato più lentamente rispetto ad altri paesi.Figure Chiave nella Guerra Civile Spagnola
Tra i protagonisti del fotogiornalismo che hanno documentato la guerra civile spagnola spiccano Robert Capa e Gerda Taro. Gerda, il cui nome di nascita era Gerta Pohorylle, fu costretta a fuggire dalla Germania nazista e si rifugiò a Parigi. Qui incontrò Endre Friedmann, che sarebbe poi diventato noto come Robert Capa. Insieme, adottarono i nuovi nomi e iniziarono a lavorare nel campo della fotografia. Gerda sviluppò rapidamente un proprio stile distintivo.La Storia di Gerda Taro
Gerda Taro si affermò come fotografa con una visione unica, documentando gli orrori e la vita durante il conflitto. La sua carriera fu tragicamente interrotta in Spagna nel 1937, quando morì investita da un carro armato durante la ritirata delle forze repubblicane. Dopo la sua morte, molte delle sue foto furono erroneamente attribuite a Robert Capa, una questione che ha richiesto tempo per essere chiarita e per restituire a Gerda il giusto riconoscimento per il suo lavoro coraggioso e innovativo.Un’Immagine Iconica: Il Miliziano che Muore
La celebre foto di Capa intitolata “Morte di un miliziano lealista” è stata oggetto di lunghe e accese discussioni riguardo alla sua autenticità e alle circostanze dello scatto. Un’intervista radiofonica rilasciata da Capa nel 1947, insieme a ricerche successive e analisi approfondite, ha contribuito a fare luce sulla questione. Queste indagini hanno confermato che lo scatto fu effettivamente realizzato “alla cieca” durante un assalto a Cerro Muriano, avvenuto il 5 settembre 1936. Il soldato immortalato nell’immagine è stato identificato come Federico Borrell GarcÃa.Oltre il Conflitto: La Vastità del Fotogiornalismo
Il fotogiornalismo non si limita a documentare i conflitti bellici. Il suo campo d’azione è molto più vasto e abbraccia numerosi aspetti della realtà . Copre eventi drammatici come catastrofi naturali, indaga temi sociali complessi come il mondo del lavoro e la criminalità , segue gli eventi sportivi, cattura le tendenze del costume e documenta il dramma umano dei migranti. Anche la scena culturale, con il cinema, il teatro e la vita quotidiana nelle città , rappresenta un ambito fondamentale per il fotogiornalismo. Fotografi come Daniel Frasnay, ad esempio, hanno documentato la vita parigina, ritraendo sia personaggi famosi che la gente comune, mostrando con la stessa intensità sia il lato luminoso che quello oscuro della città . La figura di Robert Capa, con la sua visione della fotografia come strumento di verità , ha avuto una grande influenza, ispirando generazioni di fotoreporter a cercare e raccontare la realtà attraverso le immagini.Quanto l’essere “embedded” limita davvero la libertà del fotogiornalista, o esistono forme di controllo e pressione altrettanto insidiose?
Il capitolo tocca il tema del crescente controllo sulla fotografia di guerra, citando la pratica dell’essere “embedded” come limitazione alla libertà di scatto. Tuttavia, non analizza in profondità le molteplici pressioni che possono condizionare il lavoro del fotogiornalista in contesti bellici, dalle direttive militari alla pressione editoriale, fino all’auto-censura. Per una visione più completa, sarebbe utile approfondire studi sulla comunicazione in tempo di guerra, l’etica del fotogiornalismo e le esperienze dirette dei professionisti sul campo, magari leggendo autori come Susan Sontag o James Nachtwey.5. Obiettivo sul mondo: Percorsi nel fotogiornalismo
Il fotogiornalismo ha lo scopo di raccontare la realtà attraverso le immagini per i giornali, siano essi quotidiani o settimanali, e si distingue dalla fotografia intesa come forma d’arte. In Italia, l’interesse per questo tipo di fotografia è nato più tardi rispetto ad altri paesi. Figure come Leo Longanesi hanno contribuito a dare spazio alle immagini, e le riviste illustrate nate dopo la Seconda guerra mondiale hanno avuto un ruolo importante nel diffondere questa pratica. Nonostante l’importanza delle immagini, in Italia chi fa fotogiornalismo ha spesso avuto un’influenza limitata sulla scelta di cosa fotografare.L’evoluzione del fotogiornalismo
L’arrivo della televisione prima e lo sviluppo del digitale poi hanno cambiato profondamente il modo in cui riceviamo le notizie. Le fotografie statiche hanno perso la centralità che avevano un tempo, superate dalle immagini in movimento e dai contenuti multimediali che si trovano facilmente online. Nonostante questi cambiamenti, il fotogiornalismo mantiene un ruolo fondamentale. Resta uno strumento essenziale per documentare gli eventi importanti e le condizioni di vita delle persone in diverse parti del mondo.Il lavoro sul campo: rischi, motivazioni e reportage
Chi fa questo mestiere spesso deve viaggiare molto per realizzare reportage in aree diverse del pianeta. Questo include la copertura di conflitti e la documentazione di temi sociali complessi. Ad esempio, si possono affrontare esperienze dirette in zone di guerra, come è accaduto in Africa, a Cipro o in Irlanda del Nord, trovandosi ad affrontare rischi e situazioni pericolose. La spinta principale dietro questi viaggi non è la ricerca del pericolo, ma il desiderio profondo di testimoniare il dolore e le conseguenze dei conflitti sulle persone. Oltre alle guerre, si documentano anche aspetti sociali, come le condizioni della sanità in un paese come Cuba o il lavoro svolto dalle organizzazioni umanitarie in aree colpite da conflitti.Lo spirito del fotogiornalista
Nella storia di questa professione, diverse figure hanno lasciato un segno importante con il loro lavoro. Hanno documentato guerre, le condizioni sociali, la vita di tutti i giorni e hanno realizzato ritratti di persone note. Questi fotografi dimostrano che, al di là delle capacità tecniche necessarie, la passione per il proprio lavoro, l’impegno civile verso la realtà e una grande curiosità sono le qualità più importanti per fare fotogiornalismo. È un mestiere che richiede anche di sapersi confrontare con le esigenze e le decisioni delle redazioni, ma la sua vera essenza si trova nella volontà di raccontare la realtà così com’è attraverso la forza delle immagini.Ma è davvero possibile per il fotogiornalismo “raccontare la realtà così com’è”, come suggerisce il capitolo, o ogni immagine è inevitabilmente una costruzione parziale e mediata?
Il capitolo conclude affermando che l’essenza del fotogiornalismo risiede nella volontà di raccontare la realtà “così com’è”. Tuttavia, questa affermazione ignora la complessità intrinseca della rappresentazione visiva. Ogni fotografia è il risultato di scelte precise: cosa includere e cosa escludere dall’inquadratura, l’angolo, la luce, il momento dello scatto. A ciò si aggiungono le decisioni editoriali su quali immagini pubblicare, in che contesto, con quale didascalia. La “realtà ” presentata è quindi sempre una costruzione, mediata da molteplici filtri, non una riproduzione oggettiva. Per comprendere meglio questa tensione tra l’intento di testimonianza e la natura mediata dell’immagine, sarebbe utile approfondire la filosofia della fotografia, la semiotica dell’immagine e la sociologia dei media. Autori come Susan Sontag, Roland Barthes o John Berger offrono prospettive critiche fondamentali su come le immagini costruiscono il nostro rapporto con la realtà .Abbiamo riassunto il possibile
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