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Contenuti del libro
Informazioni
“L’impero del male minore. Saggio sulla civiltà liberale” di Jean-Claude Michéa è un libro che ti fa riflettere un sacco su come è nata e come funziona la nostra società moderna. Non ci sono personaggi nel senso classico, ma i veri protagonisti sono le idee e i sistemi che ci governano, come il liberalismo e il capitalismo. L’autore scava nelle origini di questa civiltà liberale, partendo dalla paura delle guerre di religione che ha spinto a cercare la pace a ogni costo, portando a una visione dell’uomo più concentrata sull’egoismo e l’interesse personale. Da qui nascono i pilastri: il Diritto, visto come una regola neutra per far convivere le libertà individuali, e soprattutto il Mercato, con la sua famosa mano invisibile, che diventa il motore e quasi la morale della società, promettendo ordine e prosperità basandosi proprio sull’interesse di ognuno. Michéa critica questa impostazione, mostrando come questa tolleranza sia spesso solo una fredda coesistenza e come basare tutto sul calcolo e sull’interesse, mettendo da parte valori condivisi e la common decency, porti a una società sempre più tecnica e di controllo, che rischia di smantellare i legami umani autentici e magari puntare a creare un uomo nuovo più funzionale al sistema globale. È un’analisi profonda e un po’ inquietante su come siamo arrivati a vivere in questo “impero del male minore”, dove l’egoismo è accettato come base, sperando che non succeda il peggio.Riassunto Breve
Il liberalismo moderno nasce dal trauma delle guerre civili religiose del Seicento, mosso dalla paura della morte violenta e dal rifiuto del fanatismo. L’obiettivo principale diventa la pace, vista come sicurezza nei godimenti privati e una vita tranquilla. Questo porta a una nuova idea di uomo, dove l’autoconservazione è la preoccupazione principale. Per ottenere la pace, si cercano meccanismi impersonali che creino ordine senza fare affidamento sulla virtù delle persone. Il liberalismo politico propone il Diritto come strumento neutro, che garantisce le libertà individuali senza imporre idee di vita buona; lo Stato deve solo essere giusto, non pensare. Tuttavia, il Diritto basato solo sul non nuocere fatica a risolvere i conflitti e porta a una “guerra nei tribunali”. Per superare queste difficoltà, il liberalismo si affida al Mercato, visto come capace di generare armonia e prosperità attraverso l’interesse egoistico, diventando una nuova guida morale. Questo sistema non è un risultato inevitabile dello sviluppo economico, ma un progetto consapevole, simile ai regimi totalitari nella sua base ideologica moderna. La tolleranza liberale non nasce dall’amore o dall’umanesimo, ma dalla necessità pratica di convivenza per evitare la guerra, una “strategia del male minore” basata su una visione pessimista dell’uomo. Questa politica della necessità si riduce a una gestione tecnica, dove il linguaggio politico si concentra su equilibri e bilanciamenti. Il compromesso moderno è un’accettazione tecnica dell’esistenza altrui, privatizzando le convinzioni profonde; la tolleranza diventa una coesistenza minima dove i legami affettivi sono recisi. La società moderna si fonda su una profonda diffidenza verso la natura umana, considerata egoista e incapace di bene. L’ordine sociale si basa su meccanismi impersonali come Mercato e Diritto, che funzionano meglio quando gli individui perseguono i propri interessi senza considerazioni morali. Il Diritto è neutrale, calcolatore e tende a eliminare i presupposti morali. Il Mercato si basa sulla Crescita, vista come necessaria e neutrale, ignorando gli effetti negativi. Diritto e Mercato condividono la logica di eliminare l’etica e accelerare continuamente i processi sociali. La scommessa liberale è che i vizi privati portino al bene pubblico, escludendo i valori morali tradizionali dallo spazio pubblico. Tuttavia, Mercato e Diritto sono forme di socializzazione secondarie che richiedono condizioni antropologiche preesistenti come la fiducia e la lealtà, che nascono dalla socialità primaria (il dare, ricevere, ricambiare) e dalla “common decency”. Il progetto di modernizzazione integrale, estendendo la logica dello scambio a tutto, smantella queste condizioni, bloccando la civiltà e reintroducendo il conflitto. Il liberalismo tende a divinizzare Crescita, Mercato e Diritto, creando nuovi imperativi normativi insufficienti che causano sofferenza psicologica. Il desiderio di potere, radicato nell’egoismo infantile, è un ostacolo a una società decente. L’educazione dovrebbe aiutare a superare l’egocentrismo. La logica liberale, smantellando le norme basate sulla legge simbolica, favorisce meccanismi di controllo basati sull’immaginario e sull’inconscio, portando a società di controllo caratterizzate da autocensura e colpa diffusa, base della civiltà del narcisismo. Il liberalismo contemporaneo, partito come “impero del male minore”, aspira a essere “il migliore dei mondi”, spinto dall’ottimismo tecnico e dalla necessità di cambiare gli individui per adattarli al sistema. Questo riattiva il progetto utopistico di creare un “uomo nuovo” funzionale, usando potenzialmente le biotecnologie per modificare la natura umana stessa. La diffusione globale del liberalismo e del capitalismo rischia di rendere l’egoismo il comportamento abituale, portando alla possibilità che l’umanità perda la sua essenza, anche se l’armonia con sé stessi rimane la ricchezza più grande.Riassunto Lungo
1. Dalla Paura alla Mano Invisibile
Il movimento che trasforma le società moderne rappresenta la realizzazione logica del progetto filosofico liberale nato dal XVII secolo. Questo progetto, il liberalismo realmente esistente, si manifesta nel capitalismo contemporaneo sia nella sua forma economica che in quella politico-culturale. Per comprendere appieno la logica che guida questo processo, è fondamentale distinguere con attenzione le intenzioni originali di chi ha formulato queste idee dagli effetti concreti che esse hanno prodotto nel tempo. È un percorso complesso che ha plasmato il mondo in cui viviamo.Le origini nella paura
L’origine profonda del liberalismo moderno è strettamente legata al trauma vissuto durante le sanguinose guerre civili a sfondo ideologico e religioso che hanno segnato i secoli XVI e XVII. La paura diffusa della morte violenta e il netto rifiuto del fanatismo hanno spinto a cercare la pace come obiettivo primario e irrinunciabile. Questo contesto storico ha portato alla nascita di una nuova visione dell’uomo, una nuova antropologia, che pone l’autoconservazione e la sicurezza personale come la preoccupazione principale di ogni individuo. La libertà, in questa prospettiva moderna, non è più vista come la virtù di sacrificarsi per il bene della comunità, ma piuttosto come la garanzia di sicurezza nei godimenti privati e la possibilità di condurre una vita tranquilla, al riparo dai conflitti.Lo Stato neutrale e il Diritto
Per raggiungere questa condizione di pace e sicurezza, si è cercato di creare meccanismi impersonali capaci di generare ordine nella società senza dover fare affidamento sulla virtù o sulla moralità dei singoli individui. Il liberalismo politico propone il Diritto come l’istanza neutrale per eccellenza, basata sul principio fondamentale del primato del Giusto sul Bene. Questo significa che lo Stato deve limitarsi a garantire la giustizia, assicurando la compatibilità delle libertà individuali di ciascuno, senza però imporre alcuna specifica concezione di vita buona o di valore morale. La giustizia, in questo senso, diventa una vera e propria teoria dell’aggiustamento, un calcolo continuo di equilibri mirato a ridurre al minimo le possibilità di scontro tra gli individui. Lo Stato ideale, secondo questa visione, è uno Stato che non “pensa”, privo di idee o valori propri al di là della pura tecnica giuridica necessaria a regolare la convivenza.Le difficoltà e la critica
Tuttavia, la logica intrinseca del liberalismo politico incontra presto delle notevoli difficoltà nella sua applicazione pratica. Basandosi quasi esclusivamente sul criterio di non nuocere al prossimo, questo approccio fatica a definire in modo chiaro cosa costituisca effettivamente un danno e, soprattutto, come arbitrare in modo efficace tra le innumerevoli pretese individuali che inevitabilmente entrano in conflitto tra loro. Questa difficoltà porta a una progressiva e quasi illimitata legalizzazione di ogni tipo di comportamento, trasformando di fatto la società in una sorta di “guerra di tutti contro tutti” combattuta principalmente nelle aule dei tribunali. Qui, la neutralità dello Stato, che dovrebbe essere un punto di forza, si rivela un limite, rendendolo incapace di prendere decisioni sostanziali se non registrando e formalizzando i rapporti di forza già esistenti tra le parti in causa. A questa situazione si aggiunge la critica proveniente dal pensiero socialista, che mette in luce l’enorme distanza tra la giustizia puramente formale garantita dal Diritto e la necessità, sentita da molti, di una società realmente decente, fondata su valori condivisi e su un forte senso di solidarietà reciproca.Il Mercato come soluzione
Per cercare di rispondere a queste critiche e superare le proprie intrinseche contraddizioni e aporie, il liberalismo politico delega al Mercato il compito di risolvere i problemi sociali e i conflitti che esso stesso non riesce a gestire. Il liberalismo economico, con la sua enfasi sulla libertà assoluta degli scambi e sull’idea della “mano invisibile” capace di autoregolare l’economia, viene così proposto come il meccanismo universale in grado di generare armonia sociale, prosperità diffusa e persino una forma di moralità spontanea. La crescita economica, alimentata e guidata dall’interesse egoistico dei singoli individui, viene elevata al rango di nuova Provvidenza, vista come la forza capace di migliorare progressivamente sia la condizione materiale che quella morale delle persone. In questo modo, il Mercato finisce per assumere un ruolo che va ben oltre la semplice sfera economica: diventa l’entità che definisce la via da seguire per la società e che, in un certo senso, si incarica di “fare la morale” agli uomini, riempiendo il vuoto lasciato intenzionalmente dallo Stato liberale nella sua ricerca di neutralità assoluta.Dopo aver evidenziato le profonde difficoltà dello Stato liberale nel gestire i conflitti e definire il danno, non è forse un salto logico eccessivo presentare il Mercato come la “soluzione” capace di generare armonia sociale e persino una “moralità spontanea”?
Il capitolo descrive efficacemente le aporie dello Stato liberale basato sulla neutralità e sul primato del Giusto sul Bene, ma la successiva delega al Mercato come meccanismo risolutore appare quasi teleologica e poco problematica. Questa visione rischia di trascurare le intrinseche contraddizioni e i fallimenti del Mercato stesso nel generare equità e benessere diffuso, nonché le critiche che gli sono state mosse fin dalla sua nascita. Per comprendere meglio le complessità di questo passaggio e le reali capacità (e limiti) del Mercato come regolatore sociale, è fondamentale approfondire la critica dell’economia politica, la storia del pensiero economico non ortodosso e la sociologia delle istituzioni economiche. Autori come Karl Marx, John Maynard Keynes o i teorici della decrescita offrono prospettive radicalmente diverse sul ruolo e sugli effetti del Mercato nella società.2. L’illusione dell’Economia e il Progetto Moderno
Un modo diffuso di guardare alla storia, chiamato “materialismo storico”, vede l’economia e la tecnica come le forze principali che guidano ogni cosa. Secondo questa idea, il liberalismo sarebbe solo un riflesso degli interessi economici della borghesia, e la sua crescita nella storia dipenderebbe dallo sviluppo inevitabile delle “forze produttive” che rompono le vecchie regole feudali. Questa visione, però, è un modo di pensare tipico dell’epoca moderna e non descrive bene il passato prima di essa. In quei tempi, le attività di mercato esistevano, anche in forme complesse, ma non portavano automaticamente alla creazione di sistemi capitalisti. Questo accadeva perché erano sempre inserite e limitate da regole politiche, religiose e culturali. L’idea che l’economia sia un ambito separato dal resto della società è una costruzione nata solo di recente. Il sistema capitalista stesso è nato in Europa grazie a una serie di situazioni storiche precise e non previste, come la rottura dei legami tradizionali che univano le persone alla terra e agli strumenti di lavoro. Solo dopo essersi formato in questo modo particolare, ha potuto svilupparsi seguendo le sue regole interne.Il ruolo della Scienza e la politica come progetto
Un elemento cruciale in questa situazione storica unica è stato l’ideale della Scienza. Questo ideale ha dato un ruolo speciale all’ideologia, soprattutto a partire dal Seicento, nel definire e realizzare le politiche moderne in Occidente. La politica moderna, infatti, viene prima pensata e voluta, e solo dopo messa in pratica. Questo suggerisce che il liberalismo non è un risultato spontaneo, ma piuttosto un progetto consapevole e costruito.Liberalismo e altri progetti ideologici
Questo modo di vedere la politica come un progetto basato sull’ideologia aiuta a capire anche fenomeni come i regimi totalitari, ad esempio quelli chiamati “comunisti”. Questi regimi non sono stati un risultato inevitabile dello sviluppo economico, come a volte si pensa, ma piuttosto l’effetto concreto di un progetto ideologico moderno. Questo progetto era spesso portato avanti da gruppi di intellettuali e mirava a organizzare l’intera società in modo che sembrasse “scientifico”. Allo stesso modo, l’ideologia liberale, che le classi dirigenti occidentali mettono in pratica in vari modi da oltre due secoli, funziona secondo lo stesso schema. Si basa sullo stesso tipo di progetto ideologico moderno, pianificato e realizzato con intenzionalità.Se il liberalismo è solo un “progetto ideologico” come i totalitarismi, quali sono le differenze sostanziali che il capitolo sembra trascurare?
Il capitolo propone una visione della politica moderna come “progetto” basato sull’ideologia, accomunando in questa definizione sia il liberalismo che i regimi totalitari. Questa prospettiva, pur evidenziando l’intenzionalità alla base di questi sistemi, rischia di appiattire le profonde distinzioni nella loro natura, nei loro obiettivi e nei loro effetti sulla società e sull’individuo. Per cogliere appieno le specificità di ciascun “progetto”, è fondamentale analizzare le diverse concezioni di libertà, potere e organizzazione sociale che li animano. Approfondire la storia del pensiero politico, studiando autori che hanno analizzato le diverse forme di governo e le ideologie moderne, come Isaiah Berlin sulle due libertà o Hannah Arendt sulle origini del totalitarismo, può fornire gli strumenti per distinguere criticamente tra progetti che affermano l’individuo e quelli che lo annullano.3. La Tolleranza Nata dalla Necessità, Non dall’Amore
Il liberalismo si configura come un progetto di società essenziale, dove il Diritto stabilisce la forma e l’Economia il contenuto. Questa visione, che prevede una comunità funzionante senza valori morali o culturali condivisi, appare insolita rispetto alla storia umana. Per questo, i suoi sostenitori propongono la “tolleranza” e il “rifiuto dell’altrui rifiuto” come un’etica sostitutiva o una conseguenza del sistema.Due idee di tolleranza a confronto
La tolleranza intesa come capacità di estendere rispetto ed empatia a tutti gli esseri umani rappresenta un alto grado di perfezionamento morale, un lavoro costante per sviluppare l’umanità. Questo ideale di universalizzazione delle virtù ha avuto progressi nel Rinascimento, segnando un passo importante verso una maggiore comprensione reciproca. Tuttavia, i principi della soluzione politica moderna, e quindi del liberalismo, non derivano da questo Umanesimo. La tolleranza liberale ha radici diverse, legate a esigenze pratiche piuttosto che a ideali morali elevati.La tolleranza come necessità politica
Il punto di partenza della pacificazione moderna in Europa, nel XVI secolo, si trova nell’azione dei “Politici”. Costoro, a differenza degli umanisti, credevano che l’unico modo per porre fine alle guerre di religione e garantire stabilità fosse aderire al “realismo politico”. Questa posizione implicava che le parti in conflitto dovessero mettere da parte le proprie certezze su religione e “vita retta”. La tolleranza delle pratiche religiose diverse non nasceva da motivi ecumenici o umanistici, ma dalla constatazione che ogni altra via portava a guerre civili infinite e distruzione.La politica basata sulla necessità
L’esigenza di un compromesso era vista come una “strategia del male minore”, imposta dalla realtà e dalla condizione umana considerata miserevole e incapace di vero e bene, dominata dalle passioni distruttive. Da questa visione disillusa deriva il ricorso all’idea di “necessità” come base della politica moderna. La necessità prevale su ogni altra ragione, specialmente quando la violenza mimetica mette a rischio la sopravvivenza collettiva. L’obiettivo diventa neutralizzare l’azione di morali e religioni che prima davano senso alla vita e alla morte, considerandole potenziali fonti di conflitto.Dalla saggezza alla gestione tecnica
Questa politica della necessità, paradossalmente, si presenta come saggezza politica ma si riduce a una gestione tecnica dei problemi sociali. Il linguaggio politico si riempie di termini come “bilanciamento delle forze” ed “equilibrio”, sostituendo le retoriche morali e valoriali. Questa rivoluzione linguistica riflette la trasformazione della filosofia politica in un’arte di gestione strumentale dei problemi, focalizzata sull’efficienza e sulla stabilità. Questo nuovo approccio è una fonte diretta della risposta liberale, sia nella politica, attraverso il diritto e l’equilibrio dei poteri, sia nell’economia, con il concetto di mercato autoregolato.La coesistenza minima della società liberale
Il compromesso moderno non si fonda sul riconoscimento reciproco o sull’interesse autentico per l’altro. Si basa invece sull’accettazione dell’esistenza altrui all’interno di un quadro tecnico di convivenza pratica, mettendo tra parentesi le ideologie e privatizzando le convinzioni personali. La “tolleranza” della società aperta non corrisponde all’impegno personale per superare l’egoismo e comprendere veramente l’altro. Spesso indica solo una coesistenza minima, che si manifesta con maggiore evidenza quando i legami affettivi e comunitari sono stati indeboliti o recisi. Il mercato, come osservato da Milton Friedman, riesce a unire milioni di persone senza che queste debbano amarsi o nemmeno parlarsi, esemplificando perfettamente questa forma di tolleranza liberale. Il “meticciato” moderno può così ridursi a una semplice unificazione legale e commerciale, dove l’altro è visto principalmente come un oggetto di consumo o strumentalizzazione, piuttosto che come un partner per un incontro umano autentico.È davvero la tolleranza liberale solo una fredda necessità, priva di qualsiasi radice morale o umanistica?
Il capitolo presenta una netta dicotomia tra una tolleranza ideale, basata sull’empatia e l’umanesimo, e quella liberale, descritta come mera conseguenza di una necessità politica e di una gestione tecnica. Questa distinzione, per quanto utile all’argomentazione, rischia di semplificare eccessivamente la complessità storica e filosofica del concetto. Per approfondire questa tematica e verificare se il liberalismo non contenga anche elementi morali o ideali nella sua concezione di tolleranza, è utile esplorare la storia del pensiero politico e le diverse giustificazioni filosofiche del liberalismo. Autori come John Locke, John Stuart Mill e Pierre Bayle offrono prospettive fondamentali sull’evoluzione e sulle basi della tolleranza, che potrebbero rivelare sfumature non pienamente colte dalla narrazione incentrata unicamente sulla ‘necessità’.Capitolo 4: Ordine dal sospetto e dai meccanismi
La società di oggi si basa su una profonda mancanza di fiducia nella bontà delle persone. Non si crede che gli esseri umani siano naturalmente buoni o che cerchino spontaneamente di non farsi del male a vicenda. Questa idea non viene da una visione positiva dell’uomo, ma piuttosto da una visione che cerca di creare la “meno peggiore delle società possibili”. Secondo questo modo di pensare, è meglio accettare i difetti e i vizi delle persone e provare a usarli per far funzionare la società, piuttosto che sperare nella loro virtù.Come funziona l’ordine sociale
L’ordine nella società non dipende dalla moralità o dalla virtù dei singoli individui. Si basa invece su sistemi che funzionano in modo automatico e che sono considerati neutrali, cioè non influenzati da giudizi personali o morali. I due sistemi fondamentali su cui si regge la società sono il Mercato e il Diritto, cioè le leggi. La libertà, in questa visione moderna, significa poter fare tutto ciò che non è proibito dalle leggi e che non va contro le regole del mercato.Il ruolo dello Stato
Perché questi sistemi funzionino al meglio, chi governa (lo Stato) deve tenere separate le decisioni politiche da questioni morali o religiose. Queste ultime sono viste come scelte private e non universali. Lo Stato interviene per garantire che il mercato e le leggi funzionino liberamente, anche se questo significa andare contro tradizioni culturali o diritti sociali conquistati in passato. La società funziona meglio quando le persone pensano ai propri interessi e desideri, senza farsi guidare da considerazioni morali.Il Diritto: regole neutrali
Le leggi servono a far sì che le libertà individuali, che per loro natura possono entrare in conflitto tra loro, possano convivere pacificamente. La caratteristica più importante delle leggi è la loro neutralità: evitano di dire cosa è “giusto” o “sbagliato” in senso morale. La logica dietro le leggi è pratica e basata su procedure precise, con l’unico scopo di mantenere la pace tra i cittadini. Questo porta a leggi sempre più tecniche e complesse. Man mano che i modi di vivere e i rapporti sociali cambiano, le leggi tendono a eliminare idee morali nascoste che prima erano considerate ovvie, come il concetto di dignità umana, che viene visto come un’idea soggettiva. Questo processo di “pulizia” dalle idee morali non ha mai fine.Il Mercato: crescita continua
Il Mercato, invece, si basa sull’idea di Crescita come elemento che tiene insieme la società. Richiede che ci sia libera concorrenza e che le persone e le aziende cerchino di ottenere il massimo vantaggio per sé. Questo significa ignorare le conseguenze negative che non si possono misurare in denaro (come l’inquinamento o i danni alle persone), che vengono considerate non importanti o “ideologiche”. La Crescita, misurata ad esempio con il PIL (Prodotto Interno Lordo), include anche attività che sono dannose, ma l’idea è che la Crescita sia comunque neutrale e necessaria per evitare problemi ancora maggiori.La logica comune: senza etica e senza fine
Le leggi e il Mercato si sviluppano insieme perché seguono la stessa logica: eliminare l’etica e smettere di pensare alla vita umana in termini di bene o di scopo finale. Questo modo di procedere, non avendo un obiettivo definito o un soggetto che lo guidi, non ha neanche una fine. L’idea stessa di mettere un limite diventa impossibile da considerare. Per questo motivo, la società è costretta a cambiare continuamente i rapporti tra le persone e ad accelerare ogni processo.Quanto sono solide le basi psicologiche che legano l’egoismo infantile al desiderio di potere adulto, e quanto è condivisa questa lettura della società contemporanea?
Il capitolo fonda gran parte della sua argomentazione su una specifica interpretazione psicologica dell’origine del desiderio di potere e su una diagnosi altrettanto specifica della società attuale, vista come dominata da forme di controllo inconscio e narcisismo. Per valutare la solidità di queste affermazioni, sarebbe utile approfondire le teorie psicologiche sullo sviluppo infantile e sulla formazione della personalità, così come le diverse analisi sociologiche e politiche sulle forme di potere e controllo nella contemporaneità. Approfondire autori che si sono occupati di psicoanalisi applicata alla società (come Lacan) o di critica della cultura contemporanea (come Lasch) potrebbe offrire prospettive utili a contestualizzare e valutare le tesi del capitolo.6. Dall’Egoismo all’Uomo Nuovo Tecnologico
La modernità si basa sull’idea che la natura umana sia egoista e non capace di vera generosità. Per gestire questa visione, il liberalismo è nato come sistema politico che considera l’interesse personale l’unico principio su cui contare per evitare conflitti diffusi. All’inizio, il liberalismo si presentava come un approccio concreto e bilanciato, con l’obiettivo di costruire la società “meno peggiore” possibile, una sorta di “impero del male minore”. Questo sistema doveva proteggere le persone dalle idee estremiste e permettere a ciascuno di perseguire i propri obiettivi in modo pacifico. Tuttavia, il liberalismo di oggi ha cambiato rotta, puntando a essere considerato “il migliore dei mondi” possibili.L’obiettivo dell’uomo nuovo
Questo cambiamento deriva da due motivi principali. Il primo è l’ottimismo che il liberalismo ha sempre avuto sulla capacità umana di controllare la natura usando la tecnologia e il lavoro, giustificando così l’importanza data al progresso materiale e alla crescita economica. Il secondo motivo è una profonda contraddizione: pur dicendo che l’uomo è per natura egoista, la politica liberale chiede continuamente alle persone di cambiare abitudini e modo di pensare per adattarsi alle regole del mercato e della legge. Questa contraddizione spinge il liberalismo a cercare, a volte senza rendersene conto, di creare un “uomo nuovo”. Questo nuovo tipo di persona dovrebbe essere perfettamente adatto al sistema globale: un lavoratore che compete, un consumatore che vuole sempre di più, un cittadino che obbedisce e non è davvero generoso.La tecnologia per cambiare l’uomo
Mentre i tentativi passati di cambiare la società con la forza da parte dei regimi totalitari sono visti come falliti perché usavano mezzi “grezzi”, il liberalismo moderno vede le biotecnologie come strumenti efficaci per raggiungere lo stesso scopo di creare un uomo diverso. Alcune visioni, come quella di Francis Fukuyama, suggeriscono che il progresso scientifico, specialmente nelle biotecnologie, porterà a superare l’umanità come la conosciamo. Questo segnerebbe la fine della storia umana e l’inizio di un’epoca post-umana. Questa visione, molto legata alla materia, cambia completamente il problema: non si tratta più di gestire gli uomini “così come sono”, ma di modificarli nella loro natura più profonda.Il rischio dell’egoismo e il valore dell’armonia interiore
La diffusione globale del liberalismo e del capitalismo crea un ambiente culturale dove l’egoismo, anche se non è l’unica caratteristica umana, rischia di diventare il comportamento più comune. È un’ipotesi concreta la possibilità che l’umanità perda le sue qualità essenziali e che l’egoismo prenda il sopravvento. Nonostante questo scenario, l’armonia con se stessi rimane la ricchezza più grande che una persona possa avere. Questa pace interiore è un bene prezioso, quasi impossibile da raggiungere per chi dedica la propria vita a dominare e sfruttare gli altri.Ma se il liberalismo si basa sull’accettazione dell’uomo “così com’è”, come si concilia l’idea di volerlo plasmare tecnologicamente in un “uomo nuovo”, e chi sono i teorici che propongono concretamente questo passaggio?
Il capitolo presenta una tensione interessante tra la premessa liberale dell’uomo egoista e l’obiettivo, presunto o implicito, di creare un “uomo nuovo” perfettamente adattato al sistema. Questa tensione solleva interrogativi sulla coerenza interna dell’argomentazione. Inoltre, l’idea che le biotecnologie siano viste dal liberalismo moderno come strumenti per raggiungere questo scopo, paragonando implicitamente questo approccio a quello dei regimi totalitari, è una tesi forte che richiederebbe maggiore contestualizzazione e l’identificazione di chi, all’interno del pensiero liberale, sostiene attivamente e concretamente un tale programma di modificazione umana. Per approfondire questi aspetti, sarebbe utile esplorare la filosofia politica contemporanea, le critiche al liberalismo e al capitalismo, e le discussioni in bioetica e filosofia della tecnologia, magari leggendo autori che si sono occupati del rapporto tra potere, controllo sociale e progresso scientifico.Abbiamo riassunto il possibile
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