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Contenuti del libro
Informazioni
“L’idolo del capitalismo” di Carlo Freccero ci catapulta nell’analisi della nostra società, segnata dal dominio del neoliberismo che ha messo da parte il Welfare State. Il libro esplora come l’economia sia diventata quasi un “idolo del mercato”, vista come una forza naturale intoccabile, governata da leggi proprie, in un mondo sempre più complesso e difficile da afferrare. Questa complessità si riflette anche nel ruolo del lavoratore, ora anche consumatore e investitore, creando identità frammentate. La politica fatica a gestire questa realtà, mentre la comunicazione si rivolge all’individuo, non alla collettività. Ma il libro si concentra anche sul cambiamento radicale nel “consumo culturale”: non compriamo più solo beni materiali, ma soprattutto l’immaginario, la cultura trasformata in merce. Viviamo nella “società dello spettacolo”, dove la dimensione virtuale e mediatica domina, e lo spettacolo stesso, il capitale che si fa immagine, sembra aver preso il posto della realtà e di ogni spinta al cambiamento. È un’immersione per capire come funziona questo sistema basato sull’economia complessa e lo spettacolo onnipresente.Riassunto Breve
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, le economie capitaliste in Europa usano un modello con l’intervento dello Stato, chiamato Welfare State keynesiano. Questo porta a un periodo di crescita e aumento dei salari fino agli anni Settanta. Oggi, invece, domina il neoliberismo, che pensa che lo Stato non debba intervenire nell’economia. L’economia viene vista come qualcosa di naturale, con leggi proprie, come una forza della natura a cui non ci si può opporre. Anche i rapporti tra le persone vengono studiati in modo scientifico, come fenomeni naturali. Questo modo di pensare si basa su una specie di fede nel mercato. Il mondo di oggi è molto complesso, fatto di tante cose legate tra loro che si influenzano a vicenda, non è come un problema complicato che si può dividere in pezzi semplici. Questa complessità rende difficile capire bene come funzionano le cose e trovare un modo per agire insieme. Nel capitalismo, le persone non sono solo lavoratori, ma anche compratori e, a volte, anche proprietari delle aziende per cui lavorano, comprando azioni. Avere tutti questi ruoli diversi crea confusione e rende difficile capire qual è il proprio posto nella società. La politica, specialmente quella che una volta si chiamava sinistra, fa fatica a parlare di questa complessità. La destra, invece, usa messaggi semplici, parla alle persone nei loro diversi ruoli (come compratori o lavoratori) e trova sempre qualcuno da incolpare per la rabbia e la frustrazione. I messaggi semplici che dividono le persone funzionano meglio. La comunicazione di oggi parla al singolo, non a gruppi di persone, e questo rende le persone più passive e il dibattito pubblico meno importante. È difficile costruire discorsi che spieghino tutto in un mondo che sembra non voler essere spiegato in modo semplice. Prima, in Europa, la cultura e i soldi erano cose separate. La posizione sociale dipendeva dallo studio e dalla cultura, non da quello che si comprava. Chi aveva cultura non mostrava i suoi soldi. Negli Stati Uniti, invece, i soldi si mostravano comprando tante cose. Dagli anni Ottanta, con la televisione e la pubblicità, anche in Europa i soldi sono diventati più importanti della cultura. Ma oggi è cambiato di nuovo. Comprare tante cose materiali non è più così importante. Quello che si compra è soprattutto la cultura, l’immaginario: serie TV, film, quello che si vede online. Le cose materiali che si comprano, come telefoni o computer, servono spesso per entrare in questo mondo virtuale. Le persone comprano meno elettrodomestici o macchine, ma spendono per il virtuale e l’immaginario. Questo ha a che fare con l’idea di “industria culturale”, dove la cultura diventa un prodotto fatto in serie, e con la “società dello spettacolo”, dove tutto è diventato merce e immagine. Lo spettacolo non è solo quello che si vede in TV, ma è il capitale stesso che si mostra come immagine. È la cosa più importante che viene prodotta oggi. Le cose che compriamo non le compriamo solo perché ci servono, ma per quello che rappresentano, per il loro valore simbolico. Oggi, i prodotti culturali sono i prodotti più importanti sul mercato. L’industria ci offre un immaginario già pronto. Tutto quello che viviamo è filtrato e fa parte dello spettacolo. Vivere esperienze virtuali è visto come una cosa positiva. Lo spettacolo non è visto solo come qualcosa che ci rende schiavi, ma come una forma di libertà. Sembra che le persone preferiscano la vita finta dello spettacolo alla realtà. Lo spettacolo ha preso il posto delle idee di cambiamento radicale e ha occupato le vite delle persone.Riassunto Lungo
1. La complessità negata e l’idolo del mercato
Dopo il 1945, molte economie capitaliste adottarono il modello del Welfare State keynesiano. Fino agli anni Settanta, ci fu una crescita generale dei salari, un periodo spesso chiamato “età dell’oro”, nonostante le lotte operaie e le contestazioni sociali che lo attraversarono. Oggi, il neoliberismo domina e considera il keynesismo una forma di statalismo inaccettabile. L’epoca attuale è segnata da una profonda crisi economica e da una crescente proiezione verso la povertà di massa. Manca una critica efficace a questo sistema.La visione neoliberista dell’economia
La teoria neoliberista vede l’economia come un fenomeno naturale, intoccabile e governato da leggi proprie. Si parla di una “mano invisibile” o di algoritmi che guidano il mercato. Per questa teoria, lo Stato non deve intervenire. Gli eventi economici sembrano catastrofi naturali a cui l’individuo non può opporsi. Anche i rapporti sociali vengono studiati con metodi scientifici, quasi fossero fenomeni naturali. Questo approccio, basato sulla fede in queste leggi, è il fondamento del neoliberismo.La complessità del mondo di oggi
Il mondo attuale è profondamente complesso. Molte parti sono interrelate e si influenzano a vicenda in modi imprevedibili, a differenza dei problemi solo “complicati”, che si possono scomporre e risolvere analizzando le singole parti. Questa complessità rende difficile elaborare teorie che spieghino i fenomeni economici e sociali in modo esaustivo. È difficile capire i processi in atto e, di conseguenza, recuperare un senso di coscienza collettiva che permetta di agire insieme.Il ruolo cambiato dell’individuo
Nel capitalismo di oggi, il ruolo del lavoratore è cambiato molto. Non è più solo chi produce beni o servizi. È anche un consumatore essenziale per il funzionamento del mercato. Inoltre, comprando azioni, può diventare proprietario delle stesse aziende che lo impiegano. Questa molteplicità di identità crea conflitti interni e rende difficile definire in modo semplice il suo ruolo nella società, complicando anche la possibilità di un’azione collettiva basata su un’unica identità di classe.La politica e la complessità
La politica, soprattutto la sinistra, fatica ad affrontare questa complessità e a parlare a individui con ruoli sociali così sfaccettati. Trova difficile costruire discorsi che parlino a tutti e che spieghino i problemi in modo articolato. La destra, al contrario, usa messaggi molto semplici e diretti. Si rivolge alle diverse identità delle persone, spesso mettendole in contrasto (come consumatore contro lavoratore), e crea nemici fittizi. Su questi nemici si scaricano rabbia e frustrazione, e così il messaggio semplice e divisivo ha spesso la meglio nel dibattito pubblico.Comunicazione e individuo
La comunicazione di oggi si rivolge quasi sempre all’individuo singolo, non parla alla collettività. Questo contribuisce alla passività dei cittadini e rende difficile un dibattito pubblico serio e costruttivo. La sinistra, in particolare, trova difficile costruire discorsi generali e complessi in un mondo che sembra resistere a spiegazioni articolate e privilegiare messaggi rapidi e personalizzati.Affermare che il neoliberismo riduca l’economia a un fenomeno naturale retto dalla fede non rischia di semplificare eccessivamente un sistema complesso?
Il capitolo descrive la visione neoliberista come basata sulla fede in leggi naturali immutabili. Tuttavia, questa caratterizzazione, pur cogliendo un aspetto ideologico, potrebbe non rendere giustizia alla complessità delle teorie economiche e delle strategie politiche che hanno portato all’affermazione del neoliberismo. Per comprendere meglio questo sistema, è fondamentale approfondire la storia del pensiero economico liberale e neoliberale, studiando autori come Hayek o Friedman, e analizzare le politiche concrete attuate in contesti specifici, piuttosto che limitarsi a una critica della sua presunta base “naturale” o “di fede”. Approfondire la storia della politica economica e le diverse scuole di pensiero può fornire gli strumenti per una critica più articolata.2. Dalla Merce allo Spettacolo: L’Evoluzione del Consumo Culturale
Differenze storiche nel consumo
In passato, in Europa, l’idea di “consumo culturale” suonava piuttosto strana. Questo perché si faceva una distinzione molto netta tra la ricchezza economica e il valore della cultura. In Europa, la posizione sociale di una persona dipendeva molto di più dallo studio e dalla cultura che dall’acquisto di beni materiali. Chi possedeva cultura tendeva a non ostentare la propria ricchezza. Negli Stati Uniti, invece, la situazione era diversa. La ricchezza veniva mostrata apertamente attraverso i beni comprati, un fenomeno descritto bene da Veblen. Questo modo di fare era considerato normale e accettato.Il cambiamento degli anni Ottanta
La visione europea che teneva separati cultura e denaro ha cominciato a cambiare negli anni Ottanta. L’arrivo della televisione commerciale e una forte crescita della pubblicità hanno giocato un ruolo fondamentale. Anche in Europa, il capitale economico ha iniziato a diventare sempre più importante. Tuttavia, la situazione attuale è di nuovo cambiata rispetto a quel periodo. Oggi, mostrare la ricchezza comprando oggetti materiali è meno rilevante di prima. La cultura è diventata la spinta principale che porta le persone a consumare. Per questo motivo, l’espressione “consumo culturale” non è più insolita, ma descrive perfettamente la realtà di oggi.Oggi: il dominio dell’immaginario
Ai giorni nostri, ciò che si consuma è soprattutto l’immaginario. Questo include prodotti come serie TV, film e ogni forma di comunicazione digitale. I pochi beni materiali che le persone comprano servono spesso solo per poter accedere a questo mondo virtuale. Pensiamo a telefoni, computer o altri dispositivi tecnologici. Le persone tendono a non acquistare più grandi elettrodomestici o automobili come si faceva un tempo. L’investimento maggiore si sposta verso il mondo virtuale e i contenuti immateriali che offre.Le teorie che spiegano il cambiamento
Questo profondo cambiamento nel modo in cui le persone consumano è strettamente legato ad alcuni concetti importanti. Già a metà del Novecento, pensatori come Horkheimer e Adorno parlavano di “industria culturale”. Vedevano la cultura trasformarsi in qualcosa prodotto in serie come una merce qualsiasi, perdendo così la sua capacità di critica. Più tardi, Guy Debord ha descritto la “società dello spettacolo”. In questa società, la merce ha finito per occupare ogni spazio della vita sociale. Lo spettacolo, secondo Debord, non è solo l’insieme dei media. È il capitale stesso che si trasforma in immagine. È diventato la produzione principale delle società più avanzate.Il valore simbolico della merce
Questa idea si collega anche all’analisi di Marx sul “carattere di feticcio della merce”. Marx spiegava che una merce, oltre al suo uso pratico, acquisisce un valore simbolico e astratto. Nella società descritta da Debord, questo valore simbolico diventa completamente dominante. Le persone comprano una merce non tanto per usarla nel modo tradizionale. La comprano soprattutto per quello che rappresenta, per il suo significato simbolico all’interno dello spettacolo che li circonda.Lo spettacolo oggi e il suo impatto
Oggi, il prodotto culturale è diventato il prodotto più importante sul mercato. Le industrie offrono un immaginario già pronto per essere consumato. Ormai tutto ciò che viviamo è mediato e appartiene alla dimensione dello spettacolo. Vivere esperienze virtuali, attraverso schermi e piattaforme digitali, è visto in modo positivo. Lo spettacolo non è più considerato solo qualcosa che ci allontana dalla realtà, come una forma di alienazione. Viene percepito, al contrario, quasi come una forma di libertà o un’alternativa desiderabile alla vita di tutti i giorni. Le persone sembrano preferire la vita fittizia che lo spettacolo offre rispetto alla realtà concreta. Lo spettacolo ha preso il posto di concetti come la rivoluzione come simbolo di cambiamento o evasione. Ha finito per impadronirsi completamente delle vite delle persone. La distinzione tra ciò che è reale e ciò che è rappresentato diventa sempre più sfumata e meno rilevante per chi consuma quotidianamente questo immaginario.Ma siamo sicuri che oggi il consumo materiale sia davvero così marginale e che l’immaginario si riduca solo al digitale?
Il capitolo, pur cogliendo l’importanza crescente del digitale e dell’immaginario, rischia di semplificare eccessivamente la realtà del consumo contemporaneo. L’idea che i beni materiali siano diventati quasi irrilevanti o che le persone non acquistino più beni durevoli come un tempo non trova pieno riscontro nella complessità delle pratiche di consumo attuali, dove lusso, status e identità passano ancora significativamente attraverso oggetti fisici, spesso intrecciati con la loro dimensione simbolica e digitale. Per approfondire questa complessità, si possono esplorare gli studi sulla cultura materiale, la sociologia dei consumi avanzata e le analisi critiche del capitalismo digitale che vanno oltre le categorie classiche, magari leggendo autori come Jean Baudrillard o Pierre Bourdieu, o sociologi contemporanei che studiano le intersezioni tra online e offline.Abbiamo riassunto il possibile
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