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Contenuti del libro
Informazioni
“Liberi di crederci. Informazione, internet e post-verità” di Walter Quattrociocchi ti porta dentro il caos dell’era digitale, partendo dall’idea che internet ci avrebbe unito in un “villaggio globale”, ma che invece ci ha chiusi in “bolle” e “echo chamber”, dove parliamo solo con chi la pensa come noi. Il libro esplora come la rete, pur essendo uno strumento potente, amplifichi i nostri limiti umani, come la ricerca di conferme e il narcisismo, resi facili dai social media. Vediamo come la `disintermediazione` abbia messo in crisi la figura dell’esperto, aprendo la porta a `fake news` e `disinformazione` che si diffondono a velocità pazzesca, influenzando tutto, dalla politica alla nostra salute. Ma non è solo colpa della rete; il libro scava a fondo nei nostri `bias cognitivi`, come il `confirmation bias`, che ci spinge a credere a ciò che conferma le nostre idee, anche se è falso. Questa `polarizzazione` non è nuova, ma l’ambiente online la rende più forte, creando un circolo vizioso dove la sfiducia aumenta e trovare la verità diventa sempre più difficile. È un viaggio per capire perché, nell’era dell’`informazione online` infinita, siamo sempre più `liberi di crederci`, anche quando è una bugia.Riassunto Breve
Internet all’inizio sembrava unire tutti, promettendo un mondo senza barriere, ma ha finito per creare gruppi chiusi dove le persone interagiscono soprattutto con chi ha idee simili, formando delle “bolle”. Questo succede perché la rete amplifica i limiti umani, come il bisogno di cercare conferme esterne. Con l’arrivo dei social media, è diventato ancora più facile per chiunque condividere contenuti, anche senza avere competenze specifiche. Questo processo, chiamato disintermediazione, ha ridotto il ruolo degli esperti tradizionali e ha permesso a chiunque di diffondere informazioni, facilitando la circolazione di notizie non corrette o false su larga scala. La disinformazione è diventata un problema globale, diffondendosi velocemente sui social e influenzando l’opinione pubblica. Questo fenomeno è legato alla “post-verità”, dove le emozioni e le convinzioni personali contano più dei fatti oggettivi. Le notizie false si comportano come “meme”, replicandosi e diffondendosi in modo virale, spesso superando la capacità di svelarle. Gli esseri umani non sono puramente razionali; il pensiero è guidato anche da meccanismi non logici e da bias cognitivi, che sono scorciatoie mentali che portano a distorsioni della realtà. Questi bias influenzano i giudizi e le decisioni, spingendo a credere a informazioni false o a stereotipare. Un altro aspetto umano amplificato dalla rete è il narcisismo, la ricerca di ammirazione e l’interesse per sé stessi, che sui social trova terreno fertile per l’autopromozione. Le dinamiche online privilegiano l’autoesibizione e la ricerca di approvazione, rendendo il confronto reale secondario rispetto alla conferma delle proprie idee. La comunicazione digitale appiattisce la complessità per raggiungere più persone e gratificare chi pubblica. Tentare di correggere le false informazioni con dati razionali è spesso inutile perché le persone tendono a cercare e credere solo a ciò che conferma le loro convinzioni (confirmation bias). Studi mostrano che le correzioni possono persino rafforzare le credenze sbagliate (backfire effect). Le piattaforme digitali favoriscono la formazione di “echo chamber”, ambienti dove gli utenti si confrontano solo con chi la pensa come loro, ignorando le informazioni diverse. Questa auto-segregazione porta alla polarizzazione, dove le posizioni diventano più estreme. La sfiducia verso i media tradizionali spinge molti a cercare informazioni online in modo “fai-da-te”, in un contesto dove la velocità è più importante della verifica. Di fronte alla complessità, si cerca semplificazione e sicurezza, e la segregazione nei gruppi chiusi, alimentata dalla polarizzazione e dai bias cognitivi, offre questa sicurezza, anche a costo di accettare informazioni non vere.Riassunto Lungo
1. Bolle, Esperti e Bugie Digitali
La nascita di internet nel 1991 e la sua successiva diffusione, insieme a tecnologie come smartphone e connessioni flat, hanno promesso un “villaggio globale” e un nuovo Rinascimento digitale. Questa visione di abbattimento delle barriere fisiche e di comunicazione totale non si è realizzata. La rete ha invece favorito la formazione di gruppi chiusi, dove le persone interagiscono principalmente con chi ha idee simili, creando “bolle” che limitano il confronto esterno. Internet, pur essendo neutrale, amplifica limiti umani come la ricerca di conferma esterna. Invece di unire il mondo, la rete ha spesso spinto le persone a chiudersi in comunità dove trovano solo chi la pensa come loro.L’evoluzione delle piattaforme e le dinamiche di gruppo
Piattaforme come i blog, nate come diari personali, si sono evolute in spazi per opinion leader, creando comunità basate su interessi comuni e definendo l’identità dei partecipanti anche attraverso la contrapposizione con l’esterno. L’arrivo dei social media, come Facebook, ha semplificato ulteriormente l’accesso alla condivisione online, permettendo anche a chi aveva poca familiarità con la tecnologia di partecipare attivamente. Questo ha abbassato notevolmente il livello di specializzazione richiesto per interagire sulla rete. Entrare in questi gruppi e cercare attenzione è diventato più facile che mai. Le piattaforme digitali hanno così amplificato la tendenza umana a cercare conferma esterna e a rinforzare le proprie convinzioni all’interno di gruppi ristretti.Le conseguenze dell’accesso facilitato
Questa facilità d’uso, pur democratizzando l’accesso, ha avuto anche conseguenze negative, contribuendo alla diffusione di fenomeni come il cyberbullismo. Ha mostrato come l’omologazione all’interno di un gruppo possa influenzare i comportamenti individuali e come la pressione sociale online possa portare a esprimere opinioni aggressive o offensive. L’esperienza di un’utente non esperta, che si è trovata a pubblicare commenti offensivi, è un esempio di come la semplicità delle piattaforme possa portare a situazioni difficili e inattese per chi non è pienamente consapevole delle dinamiche online. La mancanza di filtri tradizionali e la ricerca di accettazione nel gruppo possono spingere a azioni che nel mondo fisico sarebbero meno probabili. Questo ambiente digitale, apparentemente aperto, può così favorire l’emergere di comportamenti dannosi.La disintermediazione e il ruolo dell’esperto
Un aspetto centrale della rete è la disintermediazione, ovvero l’eliminazione degli intermediari tradizionali in molti settori. Questo fenomeno permette di fare sempre più cose in autonomia, dalla prenotazione di un viaggio alla pubblicazione di contenuti online. La disintermediazione ha però anche indebolito il ruolo dell’esperto, alimentando la convinzione che chiunque possa produrre e diffondere informazioni, a prescindere dalla propria competenza o preparazione. Questo modello, reso evidente da piattaforme collaborative come Wikipedia, facilita purtroppo la diffusione rapida di informazioni non corrette o addirittura false su scala globale. La mancanza di filtri professionali e la fiducia nel “fai-da-te” informativo contribuiscono a creare un ambiente dove la verità è più difficile da verificare.La minaccia globale della disinformazione
La disinformazione è emersa come una minaccia significativa a livello globale, un problema riconosciuto anche da organismi come il World Economic Forum. Le false notizie, o “fake news”, si propagano con estrema rapidità, in particolare attraverso i social media. Questa diffusione veloce può influenzare profondamente l’opinione pubblica e persino condizionare gli esiti di eventi politici o sociali. Il fenomeno si lega strettamente al concetto di “post-verità”, un contesto in cui le emozioni e le convinzioni personali tendono ad avere un peso maggiore rispetto ai fatti oggettivi nel plasmare l’opinione. In questo scenario, distinguere il vero dal falso diventa una sfida costante per gli utenti della rete.La diffusione virale delle bugie
Le false notizie e le leggende metropolitane mostrano una capacità di replicarsi e diffondersi online paragonabile a quella dei “meme”. Storie, a volte basate su un piccolo elemento di verità, vengono rapidamente amplificate e distorte, alimentando ansie e paure collettive, come i vecchi racconti sulle caramelle drogate o sui francobolli all’LSD. La velocità intrinseca di internet rende questa diffusione esponenziale, spesso superando la capacità di verificare e svelare la falsità delle informazioni. La natura virale di queste narrazioni, unita alla disinformazione intenzionale o involontaria, definisce in larga parte il panorama comunicativo digitale odierno. Questo ambiente rende la verifica dei fatti sempre più ardua e la distinzione tra realtà e finzione sempre più sfumata.Davvero la rete è solo un amplificatore di vizi umani e un terreno fertile per le bugie, o il capitolo trascura il suo potenziale trasformativo e positivo?
Il capitolo offre un quadro piuttosto cupo dell’impatto di internet, concentrandosi giustamente sui problemi delle bolle, della disinformazione e dell’indebolimento del ruolo dell’esperto. Tuttavia, questa prospettiva rischia di essere parziale, non esplorando a sufficienza gli aspetti positivi e le opportunità che la rete ha comunque generato: l’accesso democratizzato all’informazione (non solo quella falsa), la possibilità di organizzazione sociale e politica dal basso, la creazione di nuove forme di collaborazione e conoscenza collettiva, e la riduzione di barriere geografiche e sociali per molti aspetti. Per ottenere una visione più equilibrata, sarebbe utile approfondire la sociologia della rete e gli studi sulla cultura digitale, esplorando autori come Manuel Castells, che ha analizzato la società in rete, o Yochai Benkler, che ha studiato le dinamiche della produzione collaborativa online.2. L’Illusione della Ragione
Spinti più dall’ansia che dal desiderio, gli esseri umani cercano costantemente di controllare il presente e il futuro, il che si manifesta nel bisogno di sistemi di riferimento per orientarsi in una realtà complessa. Questa complessità è accentuata dalla rete di informazioni e dalla crescente sfiducia verso istituzioni ed esperti. La sfiducia, in particolare, rende più difficile trovare punti fermi affidabili. Per questo motivo, si sente sempre più la necessità di trovare un codice personale per interpretare il mondo e le molte informazioni disponibili. Questo bisogno di orientamento è una spinta fondamentale nel comportamento umano.Oltre la pura razionalità: i bias cognitivi
Contrariamente all’idea illuminista, l’uomo non è un essere puramente razionale. Il pensiero e il comportamento sono guidati da meccanismi non logici, come il pensiero magico infantile che cerca di influenzare la realtà, e i bias cognitivi negli adulti. I bias sono inclinazioni o pregiudizi, scorciatoie mentali sviluppate per processare informazioni in modo efficiente e ridurre lo sforzo. Anche se utili in certi contesti, portano a distorsioni sistematiche della realtà. Questi bias influenzano profondamente giudizi, decisioni e la formazione dell’opinione, portando ad esempio a credere a informazioni false o a stereotipare le persone.Narcisismo nell’era digitale
Un’altra tendenza umana rilevante è il narcisismo, che si manifesta come un forte interesse per sé stessi e una costante ricerca di ammirazione. Spesso è legato a una carenza di empatia verso gli altri. La ricerca indica che il narcisismo è in aumento nelle nuove generazioni, e questo fenomeno esisteva già prima dell’era digitale. Tuttavia, piattaforme come Instagram offrono un terreno fertile che amplifica questa tendenza, facilitando la promozione personale e la manipolazione dell’immagine pubblica. Nonostante queste inclinazioni, è importante notare che l’empatia può essere stimolata anche nei narcisisti, incoraggiando attivamente l’adozione della prospettiva altrui.Se la ragione è un’illusione a causa dei bias, come può un “codice personale” forgiato da una mente distorta offrire un orientamento affidabile?
Il capitolo evidenzia correttamente i limiti della razionalità umana, sottolineando come i bias cognitivi distorcano sistematicamente la nostra percezione e i nostri giudizi. Tuttavia, nel proporre la ricerca di un “codice personale” come soluzione alla complessità e alla sfiducia, non affronta a sufficienza la questione cruciale: se la nostra stessa cognizione è fallace, come può un sistema di riferimento puramente soggettivo e interno rappresentare una base solida per comprendere il mondo esterno? Per esplorare questa tensione e le possibili vie d’uscita, sarebbe fondamentale approfondire gli studi sulla razionalità limitata, le ricerche in psicologia cognitiva sui meccanismi decisionali e gli approcci filosofici che indagano il rapporto tra soggettività, oggettività e i limiti della conoscenza.3. Eco nella Caverna Digitale
La ricerca della verità da parte dell’uomo incontra limiti dovuti alle nostre capacità di comprensione. Questo ci porta a cercare legami semplici di causa-effetto in una realtà che invece è molto complessa. Per questo motivo, creiamo spiegazioni semplificate, come i miti o il pensiero magico. Questa tendenza ad adattare la verità, che oggi chiamiamo post-verità, non è un meccanismo nuovo della mente umana. Tuttavia, è molto amplificata dalla comunicazione politica e dagli eventi recenti, che ci spingono a cercare conferme per le idee che già abbiamo.Le dinamiche dei social network
I social network mostrano chiaramente la tendenza a mettersi in mostra e a cercare l’approvazione degli altri, come si vede dai “mi piace” e dai commenti positivi. L’obiettivo di un vero confronto diventa meno importante rispetto alla ricerca di conferme rassicuranti per le proprie idee. Questo comportamento è legato al narcisismo, che porta a una mancanza di empatia e a un disinteresse verso chi ci parla. Il filosofo Byung-Chul Han descrive il mondo digitale come uno “sciame” di individui isolati, dove il narcisismo domina e distrugge lo spazio pubblico, impedendo la formazione di un senso di comunità, di un “noi”. La comunicazione digitale favorisce l’esibizione della vita privata, spesso guidata da un vuoto interiore e dal bisogno di essere approvati dagli altri.Le piattaforme digitali danno più importanza al piacere e alla promozione personale che ai contenuti veri e propri o ai fatti. La complessità viene semplificata per raggiungere un pubblico più vasto e per gratificare chi pubblica. Questo crea difficoltà per gli esperti, portando a eccessive semplificazioni, posizioni estreme e all’auto-proclamazione di autorevolezza, senza considerare che la fiducia viene costruita con chi ascolta. La comunicazione digitale è spesso caratterizzata da “shitstorm”, cioè ondate di rabbia e commenti offensivi. Queste attirano l’attenzione, ma non aiutano a costruire un dibattito pubblico, essendo difficili da controllare e di breve durata. Esempi come lo scandalo Weinstein o il caso Charlie Gard mostrano come temi complessi si trasformino in scontri polarizzati, perdendo di vista le implicazioni più profonde.I meccanismi della mente: bias e camere dell’eco
Cercare di correggere informazioni false con dati o argomenti razionali è spesso inutile. Le persone tendono a cercare informazioni che confermano le loro convinzioni, un fenomeno chiamato “confirmation bias”. Alcuni studi dimostrano che le correzioni possono addirittura rafforzare le credenze sbagliate, un effetto noto come “backfire effect”. Sui social network, è molto facile trovare conferme per qualsiasi punto di vista, anche se è sbagliato.Le piattaforme digitali favoriscono la creazione di “echo chamber”, o camere dell’eco, ambienti dove gli utenti si confrontano solo con chi la pensa come loro, ignorando le informazioni che vanno contro le loro idee. Questa polarizzazione si vede nell’attività degli utenti, che interagiscono soprattutto all’interno del proprio gruppo e mostrano sentimenti negativi verso gli altri gruppi. Il confirmation bias è un meccanismo della mente che ci porta a scegliere e interpretare i fatti in modo che siano coerenti con le nostre credenze. È un processo che ci rassicura e rafforza le opinioni che già avevamo. Alcuni psicologi suggeriscono che la ragione si sia sviluppata non per cercare la verità oggettiva, ma come strumento sociale per giustificare le proprie idee e influenzare gli altri, un bias chiamato “myside bias”. Tendiamo a essere più obiettivi quando valutiamo le ragioni degli altri piuttosto che le nostre. Questo meccanismo di difesa delle proprie credenze non è una novità, era già stato osservato da pensatori antichi e moderni.Il capitolo descrive le “camere dell’eco” come un fenomeno “naturale” delle discussioni online, ma quanto di questa “naturalità” è in realtà una conseguenza diretta del design delle piattaforme e degli algoritmi che le governano?
Il capitolo, pur offrendo una solida analisi dei meccanismi psicologici e sociali che portano alla formazione delle “camere dell’eco”, potrebbe beneficiare di un’esplorazione più approfondita del ruolo attivo giocato dal design delle piattaforme digitali e dagli algoritmi che ne regolano il funzionamento. L’ambiente online non è uno spazio neutro; le scelte di design e gli algoritmi di raccomandazione possono influenzare significativamente quali contenuti vediamo e con chi interagiamo, potenzialmente amplificando i fenomeni di polarizzazione e contagio sociale oltre quanto accadrebbe in interazioni “naturali”. Per comprendere meglio questa dimensione, è utile approfondire gli studi nel campo della sociologia digitale e degli studi sui media algoritmici. Un’autrice da considerare è Zeynep Tufekci.6. Disintermediazione e la ricerca della verità
La polarizzazione e l’idea di “post-verità” alimentano le preoccupazioni per una possibile crisi della democrazia. I social media giocano un ruolo ambivalente in questo scenario: se da un lato possono essere uno strumento utile per la democrazia, dall’altro rischiano di minacciarla diffondendo informazioni non vere. La diffusione della disinformazione non è un fenomeno nuovo, ma oggi la sua velocità e la sua portata sono senza precedenti.La disintermediazione e le nuove fonti di informazione
Una caratteristica fondamentale della rete è la disintermediazione, che permette a chiunque di esprimersi e diffondere contenuti senza la necessità di avere meriti riconosciuti o conoscenze specifiche. Questo mette in discussione l’autorità delle fonti di informazione tradizionali e delle figure considerate esperte. Strumenti digitali come i cookie e gli algoritmi influenzano profondamente la selezione delle notizie che vediamo, personalizzando l’esperienza di ogni utente. Oggi, circa il 63% delle persone che usano internet riceve notizie attraverso i social media, affidandosi spesso a fonti che cambiano rapidamente e che sono meno controllate rispetto ai mezzi di informazione classici.L’eco delle proprie idee: esposizione selettiva e camere di risonanza
Questa modalità di accesso alle informazioni porta all’esposizione selettiva: le persone tendono a cercare e consumare contenuti che confermano le loro opinioni e i loro interessi, creando così delle “zone di comfort” informative. La scelta delle notizie è spesso guidata più dalle emozioni e dalla risonanza personale che dalla verifica dei fatti. Internet offre la possibilità di costruire realtà virtuali quasi su misura, condivise con gruppi di persone che la pensano allo stesso modo. All’interno di questi gruppi, le informazioni non sempre veritiere vengono rafforzate dal supporto reciproco, e l’adesione alle idee condivise diventa più importante della loro effettiva fondatezza. Prevalgono così l’autoreferenzialità e la tendenza a considerare chiunque come un “esperto” nel proprio campo.La ricerca della verità e il dibattito sulle fake news
Molti sembrano cercare una “Verità” assoluta e definitiva, un approccio che si scontra con il metodo scientifico. Quest’ultimo si basa sulla scepsi, ovvero sul dubbio critico costante e sull’assenza di conclusioni considerate perfette o immutabili. Sia chi difende la scienza in modo rigido e dogmatico, sia chi aderisce senza riserve alle teorie del complotto, rischia di allontanarsi da questo principio fondamentale di dubbio e verifica. Il dibattito pubblico sulle cosiddette “fake news” diventa spesso confuso e viene usato per scopi diversi, trasformandosi esso stesso in una forma di disinformazione. La comunicazione, anziché favorire il dialogo e il confronto, si trasforma sempre più in uno scontro.Polarizzazione, bias e la ricerca di semplificazione
L’espressione “fake news” ha perso chiarezza e non definisce più in modo preciso il fenomeno a cui si riferisce. Le ricerche mostrano che maggiore è la polarizzazione nella società, maggiore è la tendenza a consumare informazioni che servono a rafforzare la propria posizione, piuttosto che a informarsi in modo equilibrato. Di fronte alla complessità del mondo, molte persone cercano risposte semplici e un senso di sicurezza. Questa ricerca di semplificazione alimenta la segregazione in gruppi chiusi, un fenomeno che i social media tendono a premiare e che è ulteriormente rafforzato dalla sfiducia verso le fonti esterne. I bias cognitivi, come il bias di conferma (la tendenza a dare credito solo a ciò che conferma le proprie idee), amplificano questi effetti negativi. La post-verità potrebbe essere vista come l’espressione del desiderio umano di liberarsi dagli intermediari e di scegliere in autonomia, ma senza accettare i limiti della conoscenza umana, questo desiderio rischia di portare alla creazione di nuove false credenze.Il capitolo non rischia di attribuire ai social media e alla disintermediazione una colpa eccessiva, ignorando le radici più profonde della polarizzazione e della sfiducia?
Il capitolo si concentra molto sugli strumenti digitali e sulla disintermediazione come motori principali della crisi della verità e della polarizzazione. Tuttavia, questo approccio rischia di trascurare i fattori sociali, economici e politici preesistenti che hanno contribuito a creare il terreno fertile per questi fenomeni digitali. Per ottenere una comprensione più completa, sarebbe utile approfondire la sociologia dei media, la scienza politica (in particolare lo studio della polarizzazione) e la psicologia sociale. Autori come Manuel Castells o Cass Sunstein offrono prospettive che considerano il contesto più ampio in cui operano le tecnologie digitali.Abbiamo riassunto il possibile
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