Contenuti del libro
Informazioni
“Lezioni sull’analitica del sublime” di Jean-François Lyotard è un viaggio affascinante dentro la Critica della facoltà di giudizio di Kant, concentrandosi in particolare sul giudizio estetico. Lyotard non si limita a spiegare, ma scava a fondo nel modo in cui la riflessione estetica ci permette di esplorare non solo la bellezza, ma anche l’esperienza travolgente del sublime. Il libro analizza come le nostre facoltà – l’immaginazione, l’intelletto e la ragione – interagiscono nel percepire il bello, che è legato alla forma e all’armonia, e il sublime, che invece ci confronta con l’informe, l’illimitato, spingendoci verso idee di assoluto e soprasensibile. Viene esplorato il concetto di sensus communis, quella capacità soggettiva ma universale che rende i nostri giudizi di gusto condivisibili, e come il sublime si leghi, pur in modo complesso e non diretto, all’etica e al sentimento di rispetto. È un’indagine profonda su cosa significa giudicare esteticamente e su come queste esperienze rivelino aspetti fondamentali del pensiero umano e del suo rapporto con l’infinito.Riassunto Breve
Il pensiero critico cerca di unire le diverse parti della filosofia, superando le divisioni. Un modo per farlo è guardare alla natura come se avesse uno scopo, un ponte tra come pensiamo il mondo e come agiamo in esso. Il giudizio estetico, quello che usiamo per dire se qualcosa è bello, sembra all’inizio solo una preparazione a questo. Ma guardando meglio, il giudizio estetico non è solo uno strumento per conoscere, ma mostra come funziona il pensiero critico stesso. Quando giudichiamo qualcosa come bello senza volerlo conoscere o usarlo per uno scopo, ci basiamo su un sentimento di piacere o dispiacere. Questo sentimento non è solo una cosa personale, ma è come l’anima sente sé stessa e l’informazione su quello stato. Questo sentimento guida la riflessione critica, un po’ come il senso di destra e sinistra ci aiuta a orientarci nello spazio. È un principio soggettivo, ma serve per mettere da parte le idee già fatte e capire cose nuove. Il piacere estetico, anche se è un sentimento personale, vuole essere valido per tutti, basato su un “senso comune”. Questo non è solo mettersi d’accordo, ma una condizione che rende possibile il sentimento estetico: le nostre capacità di capire e immaginare lavorano insieme liberamente prima ancora di usare i concetti. Il giudizio di gusto, pur essendo legato all’esperienza singola, promette di poter essere condiviso da tutti perché è radicato nella struttura stessa del pensiero che giudica.Il sentimento del bello è come un momento in cui immaginazione e intelletto vanno d’accordo, suggerendo che sta nascendo un soggetto. Questo soggetto non c’è già, ma è una possibilità che si rinnova ogni volta che proviamo piacere estetico puro. Il gusto non viene da un soggetto già formato, ma dal movimento delle capacità di conoscere, annunciando un’unità del soggetto che verrà. Nell’estetica, il soggetto è visto come “in stato nascente”, diverso dal soggetto che si presuppone nella conoscenza per avere giudizi validi. La riflessione è fondamentale nel pensiero critico, aiuta a scoprire le condizioni che rendono possibili i concetti. Attraverso la riflessione, il pensiero distingue e organizza le sintesi spontanee, assegnandole alle capacità giuste. Questi “titoli della riflessione”, come identità/diversità, sono modi di confrontare le cose prima di definirle con concetti. La riflessione aiuta a usare bene le categorie del pensiero. Nell’estetica, la riflessione si concentra sul sentimento stesso come centro del giudizio. Il giudizio estetico puro è la sensazione che il pensiero ha di sé, un’esperienza che non porta a conoscere l’oggetto, ma rivela l’intimità della riflessione e il suo legame con le categorie.La riflessione si vede nei titoli soggettivi come identità/diversità, che vengono prima delle categorie dell’intelletto e guidano il pensiero. Questi titoli aiutano a “domiciliare” la sintesi nel posto giusto. La riflessione critica l’idea che le categorie bastino da sole, mostrando che hanno bisogno di un principio soggettivo per essere usate bene. Nel giudizio di gusto ci sono dei paradossi: è affermativo ma senza base oggettiva, singolo ma vuole essere universale, ha uno scopo ma lo scopo è sentito e non pensato, è necessario ma non si può dimostrare. Le categorie, applicate al sentimento estetico, si piegano, mostrando che il gusto sfugge alla logica delle categorie. Si scoprono così titoli riflessivi che riguardano gli stati del pensiero, non oggetti o azioni. Il sublime è come un’estetica diversa. Mentre il bello mostra una natura che ha uno scopo simile al pensiero, il sublime si presenta come una grandezza o forza che l’immaginazione non riesce a rappresentare. La natura non parla con forme, ma con quantità pure che mettono in crisi il pensiero. L’analisi del sublime esplora questo sentimento di fronte all’illimitato, rivelando un desiderio di andare oltre i limiti della ragione e dell’immaginazione. Il sentimento sublime non unisce la filosofia come il bello, ma mostra uno stato di tensione del pensiero critico quando incontra il proprio limite.Bello e sublime hanno punti in comune e differenze. Entrambi danno un piacere disinteressato e sono giudizi soggettivi che vogliono essere universali. Ma il bello è legato alla forma e al limite, vicino all’intelletto. Il sublime è legato all’informe, all’illimitato, più vicino alla ragione. Questa differenza è profonda: il bello attiva l’intelletto in un gioco armonioso, il sublime mette l’immaginazione di fronte a qualcosa di enorme che la ragione cerca di pensare. L’esperienza del bello è vivace, un gioco tra le capacità che genera piacere e invita a soffermarsi. L’immaginazione nel bello presenta “idee estetiche”, rappresentazioni che vanno oltre i concetti e aprono a pensieri analogici. Il sublime dà una soddisfazione indiretta, un’emozione forte che alterna blocco e slancio. Non è un gioco, ma un confronto serio con qualcosa che va oltre la forma naturale, qualcosa di “contro-finale”. Questo “qualcosa” rimanda alle idee della ragione, all’assoluto, e si manifesta quando la natura mostra grandezza e potenza pure, non forme armoniose. Il giudizio sul bello sembra necessario in modo esemplare, la necessità del sublime è diversa, legata all’emozione e al riferimento all’assoluto. Il sublime evoca l’idea dell’assoluto, sentita più che pensata, segnando un passaggio importante nell’esperienza estetica.La relazione tra bello e sublime mostra continuità e discontinuità. Entrambi nascono dalla tensione tra immaginazione e intelletto quando il rapporto tra presentare e concepire non segue regole fisse. Il piacere del bello nasce quando immaginazione e intelletto collaborano in modo equilibrato, cercando di afferrare l’oggetto con forme e concetti senza definirlo. Questa tensione è instabile, l’immaginazione può moltiplicare idee estetiche e rendere l’oggetto difficile da riconoscere, anticipando la “sregolazione” sublime, associata al genio come follia delle forme, diversa dalla sublimità che nasce dall’assenza di forma. Il sublime è un caso estremo del bello, dove la sregolazione colpisce la capacità di concepire. L’intelletto, cercando di superare le forme con concetti estremi, spinge la ragione verso idee impresentabili, come l’onnipotenza. L’immaginazione, non potendo rappresentarle, genera angoscia e serietà, tipiche del sublime, diverse dal gioco del bello. Nel sublime, il concetto va oltre ogni presentazione, l’immaginazione si ritira, l’oggetto scompare di fronte alle idee della ragione. Emergono due estetiche: una figurale (“troppo pieno” che sfida il concetto) e una astratta (“quasi nulla” che sfida la forma). Entrambe sono estetiche, non etica, anche se il sublime può richiamare il rispetto morale. La differenza sta nelle diverse tensioni tra le capacità, delineando due vie estetiche sempre possibili nell’arte.Il sublime si manifesta in due modi: matematico e dinamico. Questa distinzione non crea due tipi di sublime, ma due modi di vederlo in relazione alle categorie. La sintesi matematica unisce elementi simili, nel sublime si vede quando l’immaginazione affronta la grandezza e non riesce a rappresentare una totalità enorme. La difficoltà nel sublime matematico viene dall’incapacità dell’immaginazione di intuire l’infinito. La sintesi dinamica unisce elementi diversi in modo necessario. Nel sublime dinamico, c’è eterogeneità tra l’oggetto che supera l’immaginazione e l’Idea di infinito. La sintesi dinamica mette in relazione l’oggetto informe con l’Idea della ragione, trasformando l’impotenza dell’immaginazione in un segno della potenza della ragione. Questa sintesi è necessaria e si vede nell’emozione ambivalente del sublime, dove piacere e dispiacere coesistono. La qualità di questo sentimento è infinita, richiede entrambe le sintesi per essere capita.Il dramma del sublime nasce dal limite della capacità di presentare di fronte alla grandezza. L’immaginazione non riesce a capire l’immensità. L’intelletto può pensare l’infinito aggiungendo continuamente, ma l’immaginazione è legata alla comprensione immediata. Questa limitazione si vede nel sublime matematico, dove l’intuizione fa fatica a seguire il pensiero verso l’infinito. Il sentimento del sublime si attiva quando si chiede all’immaginazione di capire esteticamente una totalità che la supera. La ragione interviene, chiedendo l’impossibile: un’intuizione completa dell’infinito. Questa richiesta genera paura e inadeguatezza nell’immaginazione. Ma il sublime non è solo paura, include esaltazione. Mentre l’immaginazione vacilla, la ragione può concepire l’infinito come un intero. Questa capacità della ragione di pensare oltre i sensi rivela una potenza dello spirito che supera ogni grandezza misurabile. Il sentimento del sublime è quindi un misto di paura (fallimento dell’immaginazione) ed esaltazione (capacità della ragione di afferrare l’infinito). Questa esperienza mostra la tendenza del pensiero verso l’assoluto.Nel sentimento del sublime c’è una tensione tra ragione e immaginazione. La ragione, che aspira all’assoluto, sfida l’immaginazione a mostrare con forme ciò che è pensato come infinito. Ma la forma è limite, non può rappresentare l’assoluto. Questo crea un conflitto tra due “assoluti”: l’assoluto della ragione che pensa l’infinito e l’assoluto dell’immaginazione che presenta il finito. Questo conflitto non è una semplice lite, ma uno scontro tra due potenze del pensiero. Si cerca di risolverlo con una sintesi dinamica, che unisce elementi diversi sotto un’unità necessaria. Nel sublime, gli elementi diversi sono l’infinito della ragione e il finito dell’immaginazione. Questa sintesi dinamica è diversa da una sintesi dialettica. La sintesi dinamica si vede nella relazione causa-effetto. Un fenomeno può essere spiegato da cause fenomeniche, ma anche come effetto di una causa intelligibile, libera e incondizionata, che non appartiene al tempo ma alla ragione. Il sentimento sublime si lega all’esperienza della libertà e dell’obbligo morale. Il fenomeno sublime diventa un “segno sensibile” di una causa trascendentale, indicando la presenza della libertà nel mondo. La comprensione del sublime non avviene con concetti, ma “ascoltando” o “leggendo” questi segni, rivelando una dimensione trascendente nell’esperienza estetica.Nel sentimento sublime avviene una sintesi dinamica che unisce opposti. L’intuizione presenta qualcosa che è segno di un’Idea della ragione. Questa sintesi non riguarda l’oggetto esterno, ma lo stato interiore del pensiero, la sensazione. La sensazione sublime è duplice: terrore (legato a ciò che si può rappresentare) ed esaltazione (legata all’irrappresentabile). L’immaginazione si sforza di presentare l’assoluto, un concetto della ragione. Se non ci fosse questa tensione, il sublime non esisterebbe. Il sublime nasce dalla tensione tra la capacità di presentare dell’immaginazione e la capacità di concepire l’assoluto della ragione. Il sublime dinamico si concentra sulla forza. La natura potente genera timore, ma il pensiero scopre di poter resistere. Non è paura normale, ma la sensazione di paura, un giudizio che dice “questo è terribile”. La causalità assoluta nel sublime non spinge all’azione morale, ma è un sentimento estetico. L’idea di libertà non porta subito all’azione, ma si presenta come terrore ed esaltazione di fronte all’immensità di ciò che potrebbe essere rispetto alla piccolezza del fenomeno. Il sublime altera la percezione del tempo. L’immaginazione, cercando di capire l’immensità in un istante, va indietro, contro il flusso normale del tempo. Questa regressione minaccia il senso interno, che è il tempo come successione. Il sublime ha una doppia alterazione del tempo: regressione dell’immaginazione e atemporalità dell’Idea della ragione. Queste due sensazioni diverse coesistono nel sentimento sublime. Il sublime si distingue dal bello perché resiste all’interesse dei sensi. Mentre il bello piace senza interesse sensibile, il sublime piace proprio opponendosi a quell’interesse. Questa resistenza è fondamentale e si vede nella dualità paura/esaltazione, mostrando la tensione tra le diverse capacità del pensiero.Il sentimento del sublime nasce da una “presenza” particolare dell’assoluto, una “presentazione negativa”. Non è assenza o presentazione del nulla, ma un modo in cui l’immaginazione, di fronte all’assoluto, si sente limitata e illimitata allo stesso tempo. I sensi sono sopraffatti, l’immaginazione si espande oltre il solito, pur rimanendo una presentazione negativa rispetto al sensibile. Questo può portare a un entusiasmo temporaneo dove la presentazione va oltre i limiti. La presentazione negativa è un ritiro, una messa da parte della normale capacità immaginativa. È un modo di presentare che supera la norma, creando una separazione. Il conflitto tra pensiero finito e infinito si vede quando il pensiero cerca di misurare la forma con l’assoluto, fallendo. Resta un segno di ritrazione, una “presenza negativa” che indica l’assoluto sottraendosi alle forme. L’immaginazione segnala questa presenza nel vuoto che si apre oltre la comprensione. L’entusiasmo è diverso dal rispetto morale puro. Il rispetto è guidato dalla ragione e dalla legge morale, l’entusiasmo è “l’Idea del bene con affetto”. Questa parte affettiva lo allontana dall’etica. Non è l’affetto a rendere sublime, ma l’energia messa in gioco. Ogni emozione può diventare sublime se intensa e tesa, per la resistenza che l’idea soprasensibile oppone alla presentazione. Senza questa tensione verso l’assoluto, anche forti emozioni restano solo movimenti, senza sublimità. La semplicità è lo “stile della natura nel sublime” e della moralità. È uno “scopo senza arte”, opposto all’artificio. Il sublime si manifesta in questa semplicità, che è spontaneità e immediatezza. Anche la moralità è semplice nella sua essenza. L’arte sublime, cercando questa semplicità, vuole suscitare un sentimento puro e immediato come il rispetto, che è la “presentazione negativa” assoluta, dove la presentazione è assente. L’arte sublime, per essere semplice come il sublime naturale, dovrebbe essere “ingenua”, senza artifici.Il sentimento del bello è un giudizio riflessivo, immediato e disinteressato, diverso dal piacere che viene dall’inclinazione o dall’interesse. La soddisfazione estetica (favore) è diversa dalla soddisfazione del gradevole (inclinazione) e dall’apprezzamento del bene (rispetto). Il piacere estetico nasce inaspettato e senza desiderio, il bene morale implica interesse e volontà di agire. Nonostante la differenza, si cerca un collegamento tra bello e bene morale. Il bello può essere simbolo del bene, rendendo visibile l’invisibile. Ma questa analogia non deve portare a dire che il bene deriva dal bello o viceversa. L’etica e la politica che vogliono moralizzare con il bello sono illusioni. La confusione tra bello e bene si chiarisce pensando che le capacità dell’animo sono diverse. Il giudizio di gusto non è un giudizio confuso sulla perfezione, ma un’esperienza autonoma del sentimento. Ridurre etica e politica a valori estetici è una forzatura. L’analogia tra bello e bene, pur esistendo per alcune proprietà comuni ai giudizi estetici e morali, è debole e limitata. Il giudizio morale crea interesse per il bene, il piacere estetico è disinteressato. Questa differenza fondamentale sta nelle diverse capacità coinvolte: sentimento nel primo caso, volontà e ragione pratica nel secondo. Quindi, il passaggio dal bello al bene non è diretto, i domini restano distinti.L’argomento teleologico collega bello e bene. Lo spirito non ha interesse diretto per la legge o la bellezza. La legge chiede di agire moralmente, la bellezza offre al giudizio un piacere puro. La natura è un modello di questa espressione disinteressata, creando bellezza senza secondi fini. Questa capacità naturale mostra che è possibile un giudizio distaccato e aiuta la volontà razionale. La ragione pratica apprezza il piacere disinteressato della natura. L’interesse è necessario per trasformare le capacità in azioni. L’interesse è ciò che mette in moto ogni capacità. L’interesse della ragione pratica è unico: si realizza senza creare un interesse empirico per sé. La legge morale chiede di staccarsi dall’io empirico e dai desideri personali. Il sublime è un sentimento complesso, nasce da un incontro difficile tra Idea e forma. È legato al rispetto per la legge morale, ma forza l’immaginazione. Attraverso la sofferenza dell’immaginazione si sente la grandezza della legge. Il sublime rende quasi tangibile la superiorità della ragione sulla sensibilità, un piacere che nasce dal dispiacere. Il rispetto non si misura dai sacrifici, mentre il sublime ha bisogno di sofferenza e dispiacere per manifestarsi.Nell’estetica, si guarda allo scopo del bello e del sublime, notando che il sublime si avvicina di più al bene morale. Il sublime naturale non mostra uno scopo nella natura, ma come usiamo le intuizioni naturali per sentire uno scopo dentro di noi, indipendente dalla natura. L’interesse estetico, come quello etico, è disinteressato. Nel bello, la natura sembra parlarci, offrendo messaggi che alludono a una destinazione morale interiore. Questo rivolgersi all’interno è una “surrezione” estetica, un timido accenno alla legge morale. Il sublime interrompe questo accenno. Non è la natura a indicare il pensiero, ma il pensiero che “usa” la natura. L’oggetto sublime, informe e senza scopo suo, viene usato in modo soggettivo per scopi che vanno oltre la sua forma. È un “uso contingente” della natura, dove il pensiero impone il suo scopo a ciò che resta della natura senza forma artistica. Il sentimento del sublime, “sentimento dello spirito”, è diverso dal gusto. Non è lo scopo degli oggetti a guidare, ma uno scopo del soggetto verso gli oggetti, anche se informi, spinto dall’idea di libertà. Attraverso il sublime, la natura è soggetta a un pensiero legato alla legge morale, un pensiero che valuta lo stato interiore più della forma esterna. Questo “uso” della natura nel sublime è un sacrificio. L’immaginazione rinuncia alla sua libertà di creare forme, sottomettendosi a uno scopo esterno, quello della legge morale. Questo sacrificio della natura e dell’immaginazione serve a rendere sensibile la potenza della legge morale, anche se questo “uso” non porta a una vera soddisfazione etica. La legge morale chiede rispetto incondizionato, non sacrifici. Questa dinamica rischia di disorganizzare le capacità, configurandosi come un “sacrilegio”, dove una capacità si sottomette all’altra, compromettendo l’incondizionatezza della legge morale.Il giudizio di gusto vuole essere valido per tutti. Quando diciamo che qualcosa è bello, pensiamo che tutti dovrebbero essere d’accordo. Questa necessità non è logica o oggettiva, ma “esemplare”: si chiede un accordo universale, pur sapendo che non è certo. Questa esigenza di condivisione si basa su un “senso comune”, non il buon senso, ma una disposizione a sentire in modo simile. Si presuppone una capacità umana condivisa di percepire e valutare il bello, una condizione soggettiva universale che permette di comunicare i giudizi estetici. Il senso comune è una norma ideale, un modello per il giudizio di gusto. Non è una regola definita, ma un principio indeterminato che guida il sentimento. Ci si chiede se sia una capacità innata o un’idea da sviluppare. Si pensa che il senso comune non sia dato, ma un ideale regolativo della ragione. Il gusto sarebbe una manifestazione imperfetta di una capacità razionale superiore da coltivare. La condivisibilità del gusto non si basa su regole intellettuali, ma su una norma della ragione, implicando uno scopo che va oltre la conoscenza. Il gusto è legato a una dimensione razionale più profonda, suggerendo che apprezzare il bello è legato allo sviluppo della ragione.Il giudizio di gusto ha una contraddizione: è personale ma vuole valere per tutti. Questa difficoltà emerge quando si cerca di capire come si possa discutere di bello senza concetti oggettivi. Nelle discussioni razionali si usano concetti e prove, ma nel gusto questo non funziona perché manca un concetto definito di bellezza. La discussione estetica non è una disputa razionale, ma una ricerca continua di accordo che non si raggiunge mai del tutto. La soluzione sta in un concetto “indeterminato”, un’Idea. Anche se il gusto non si basa su regole definite, è guidato da un’Idea regolatrice, un concetto non conoscibile oggettivamente, ma che spinge a condividere il sentimento. Questa esigenza di condivisione è il segno di un’Idea che rende possibile il gusto come esperienza comunicabile. Questo concetto indeterminato è chiamato “soprasensibile”, qualcosa che va oltre i sensi. Il soprasensibile non si può dimostrare razionalmente, ma è presupposto come base del giudizio estetico. Permette di superare la contraddizione del gusto, indicando che il sentimento estetico, pur soggettivo, aspira a validità universale. Il soprasensibile è un “sostrato” che unifica le capacità umane – intelletto, giudizio, ragione – garantendo coerenza. Il gusto dà accesso a questo soprasensibile, rivelando uno scopo estetico che non dipende da regole, ma da un’armonia profonda del pensiero. Questa armonia si vede nel paradosso del gusto: un sentimento individuale che vuole essere universale, basato su un principio soprasensibile che permette l’accordo tra pensiero e mondo.Il “senso comune” estetico non viene dall’esperienza. Un’interpretazione sociologica della comunità estetica non basta. La critica parte dal dato estetico per trovare le sue condizioni, e la condivisibilità del bello si basa su un “senso comune” trascendentale, radicato in un principio soprasensibile di accordo. La validità universale di un giudizio di bellezza non viene dal contare le opinioni, ma è una qualità intrinseca che richiede una base trascendentale, l’Idea del soprasensibile. Il “senso comune” è l’idea di una capacità di giudizio che considera la prospettiva altrui a priori, cercando di collegare il proprio giudizio alla ragione umana universale, evitando i limiti personali. La comunità estetica non nasce dalla somma di opinioni, ma da un cambiamento interno al pensiero che si libera dai limiti soggettivi. La riflessione moltiplica le valutazioni per garantire l’universalità del giudizio iniziale. Il giudizio di gusto si libera dagli interessi materiali per aspirare alla condivisione universale. La condivisibilità è un criterio per riconoscere la purezza del gusto, e la purezza è condizione per la condivisibilità. Il piacere estetico autentico deve essere puro da elementi materiali ed emotivi per essere universale ed esemplare. Il sentimento del sublime, a differenza del gusto, vuole essere universale, ma lo ottiene tramite la legge morale. Il piacere sublime è un piacere della contemplazione razionale, legato all’Idea di assoluto, rappresentabile solo dalla ragione. La condivisibilità del sublime si basa sulla ragione come capacità universale, e la sua universalità è quella della legge morale. Il sentimento sublime presuppone un altro sentimento, il rispetto per la destinazione soprasensibile del pensiero, un sentimento oscuro ma morale. Il sublime si distingue dal gusto per una condivisione non immediata, ma mediata dalla ragione pratica e dal sentimento morale del rispetto.Il sublime, secondo la critica, sta solo nel pensiero, non in un oggetto. A differenza del bello, dove la natura si mostra con forme comprensibili, nel sublime la natura è messa da parte. Il pensiero si eleva non per l’oggetto, ma per la sua capacità di pensare un “oggetto” che va oltre la realtà sensibile. Non è solo pensiero razionale, estraneo all’estetica. Il sublime dà una soddisfazione estetica, legata alla presentazione di un oggetto, anche se informe e negativo, da parte dell’immaginazione. C’è un oggetto che è l’occasione per il sublime, anche se non è sublime in sé. La difficoltà di condividere il sublime viene proprio dalla natura indefinita di questo oggetto. L’oggetto sublime, pur essendo un fenomeno, indica qualcosa che va oltre la sua apparenza. Un fenomeno naturale, come una montagna, può suscitare in qualcuno un’emozione sublime, mostrando una “presenza” che va oltre l’oggetto. Questa presenza si manifesta quando l’immaginazione si ritira di fronte a ciò che non riesce a sintetizzare, segnalando un oggetto del pensiero diverso dall’oggetto dell’esperienza. Il sentimento sublime nasce dal conflitto tra ragione e immaginazione. La ragione pensa un oggetto “troppo grande” per il fenomeno, l’immaginazione lo percepisce “troppo grande” per essere rappresentato. Questo conflitto interiore è il cuore del sublime. La “grandezza bruta della natura” diventa un segno della ragione, pur restando un fenomeno. Il piacere esaltante del sublime non è come il rispetto per la legge morale, ma un suo eco estetico. Il giudizio morale puro dà una contentezza, un “amore” per la massima morale, dall’armonia delle capacità. Questa armonia ricorda l’esperienza del bello, garantita dall’idea di uno scopo soggettivo della natura per la conoscenza. Ma il sublime è molto diverso dal bello. Mentre il bello crea armonia, il sublime provoca una “sproporzione” violenta tra le capacità. L’oggetto sublime, pur essendo un segno, disarma la capacità di presentare e va oltre il fenomeno. Il sublime non cerca l’armonia o la condivisibilità universale di bello e moralità, ma si manifesta nella distruzione di queste universalità, nella violenza del loro conflitto.Riassunto Lungo
1. Riflessione Estetica e Sentimento
Unità della filosofia e critica del giudizio
La Critica della facoltà di giudizio vuole unire di nuovo la filosofia, superando la divisione creata dalle opere critiche precedenti. Si potrebbe pensare che questa unità si trovi nell’idea che la natura abbia uno scopo, un concetto che collega il mondo teorico e quello pratico. In questo modo di vedere le cose, il giudizio estetico, specialmente il gusto, sembra avere una funzione iniziale, quasi introduttiva.La profondità del giudizio estetico
Però, se si analizza meglio il giudizio estetico, si scopre che ha un significato più profondo. La riflessione estetica non serve solo per conoscere, ma mostra come funziona il pensiero critico stesso. Il giudizio estetico puro, che non ha lo scopo di conoscere, si basa sulla sensazione di piacere o dispiacere. Questa sensazione non è solo qualcosa di personale, ma è una “tautegoria”: allo stesso tempo è come si sente l’anima e l’informazione che l’anima riceve su come si sente.La sensazione come guida per la riflessione
La sensazione, quindi, diventa una guida per la riflessione critica. Proprio come la sensazione di destra e sinistra aiuta a orientarsi nello spazio, la sensazione di piacere e dispiacere guida il pensiero nel giudizio estetico. Questa guida è personale, ma fondamentale per la critica, perché permette di mettere da parte le idee fisse e di essere aperti a capire cose nuove.Il piacere estetico e il “senso comune”
Il piacere estetico, quindi, non è solo una questione di gusti personali. Vuole essere valido per tutti, basandosi su un “senso comune”. Questo senso comune non è un semplice accordo tra persone, ma è ciò che rende possibile il sentimento estetico: l’armonia tra le capacità di conoscere, cioè immaginazione e intelletto, in un “gioco libero” che viene prima dei concetti definiti. Il giudizio di gusto, anche se personale e legato all’esperienza singola, promette di essere condivisibile da tutti, perché si basa sul modo stesso in cui il pensiero giudica.Ma se il “senso comune” è la base del giudizio estetico universale, non rischiamo di cadere in un relativismo mascherato, dove ciò che è “comune” è in realtà solo ciò che è familiare e condiviso all’interno di un gruppo ristretto?
Il capitolo introduce il “senso comune” come fondamento per un giudizio estetico che ambisce all’universalità. Tuttavia, non chiarisce in modo esaustivo come questo “senso comune” si formi e se esso sia realmente universale o piuttosto il prodotto di un contesto culturale e sociale specifico. Approfondire le teorie sociologiche della conoscenza e del gusto, come quelle di Pierre Bourdieu, potrebbe aiutare a comprendere meglio i limiti di un “senso comune” dato per scontato e le dinamiche di potere che possono celarsi dietro pretese di universalità estetica.2. Il Soggetto Nascente del Sentimento Estetico
Il sentimento estetico come accordo tra immaginazione e intelletto
Il sentimento del bello si presenta come un momento di armonia tra la nostra immaginazione e la nostra capacità di ragionare. Questa unione suggerisce che sta nascendo un “soggetto”, cioè una persona cosciente. Questo soggetto non è qualcosa che esiste già, ma è una possibilità che emerge dal piacere che proviamo quando viviamo un’esperienza estetica. Il gusto, quindi, non dipende da una persona già formata e definita, ma nasce dall’interazione tra le nostre capacità mentali, preannunciando la possibilità di diventare un soggetto unificato in futuro. In questo senso, quando parliamo di estetica, il soggetto è considerato come “in stato nascente”, una condizione che si ripete ogni volta che proviamo la bellezza.Differenza con la conoscenza oggettiva e il ruolo del tempo
Questo modo di vedere il soggetto è molto diverso da come lo intendiamo nella conoscenza oggettiva, dove si presuppone che il soggetto sia già unitario e definito per poter dare giudizi validi. Anche le interpretazioni che considerano il tempo come l’elemento fondamentale per mettere insieme le nostre esperienze si concentrano sulla conoscenza teorica, trascurando le caratteristiche specifiche del tempo nell’esperienza estetica. Infatti, il giudizio di gusto non definisce l’oggetto che stiamo giudicando, ma è qualcosa di profondamente personale e soggettivo.La riflessione e la scoperta delle condizioni soggettive
La riflessione è molto importante nel pensiero critico. Ci guida a scoprire le condizioni soggettive, cioè personali, che rendono possibili i concetti che utilizziamo. Attraverso la riflessione, il pensiero riesce a distinguere e mettere in ordine le sintesi spontanee che facciamo, collegandole alle diverse capacità cognitive che abbiamo. Questi “titoli della riflessione”, come identità/diversità o accordo/opposizione, sono modi preliminari di confrontare le cose, che precedono la loro definizione concettuale precisa.La funzione euristica della riflessione nell’estetica
La riflessione ha una funzione euristica, cioè ci aiuta a trovare il modo giusto di usare le categorie e le forme trascendentali, che sono concetti fondamentali della filosofia. Nell’estetica, questa riflessione diventa più concentrata sulla sensazione stessa, considerata il punto centrale del giudizio estetico. Il giudizio estetico puro, quindi, si rivela come la sensazione che il pensiero ha di sé stesso. È un’esperienza di riflessione che, anche se non ci porta a una conoscenza oggettiva, ci fa scoprire l’intimità della riflessione stessa e il suo legame essenziale con le categorie dell’intelletto.Se il soggetto estetico è perennemente “nascente”, non rischiamo di perderci in una nebulosa di possibilità mai concretizzate, rendendo vago e sfuggente il concetto stesso di soggetto che dovrebbe emergere dall’esperienza estetica?
Il capitolo introduce la nozione di “soggetto nascente” senza però chiarire pienamente cosa significhi questa “nascita” continua e come si differenzi da un soggetto pienamente formato. Si potrebbe approfondire la filosofia della mente e l’estetica, studiando autori come Kant, per comprendere meglio le categorie trascendentali menzionate, e filosofi come Husserl e Merleau-Ponty per una comprensione più profonda della soggettività e della fenomenologia dell’esperienza estetica.3. Riflessione ai Confini dell’Estetico
La riflessione e le categorie dell’intelletto
La riflessione si manifesta attraverso dei concetti soggettivi, come “identità e diversità” e “accordo e opposizione”. Questi concetti vengono prima delle categorie dell’intelletto e le preparano. Servono a guidare il pensiero quando si fanno confronti e indirizzano il ragionamento verso un ambito specifico, un processo che viene chiamato “domiciliazione”. La riflessione critica il pensiero di Leibniz, che dava molta importanza all’intelletto. La riflessione mostra invece che le categorie, da sole, non bastano, ma hanno bisogno di un criterio soggettivo per essere usate correttamente.Il giudizio di gusto e i suoi paradossi
Quando si analizza il gusto usando le categorie, emergono delle contraddizioni. Infatti, il giudizio di gusto afferma qualcosa, ma non si basa su fatti oggettivi. È un giudizio personale, ma pretende di valere per tutti. Sembra avere uno scopo, ma questo scopo non è chiaro e definito concettualmente, è solo percepito. Infine, il giudizio di gusto si presenta come certo e indiscutibile, ma non si può dimostrare con ragionamenti logici. Quando le categorie vengono applicate al gusto, cambiano significato. Questo dimostra che il gusto non segue le regole logiche delle categorie. Si scoprono così dei concetti che riguardano il pensiero stesso, non oggetti esterni o azioni concrete.Il concetto di sublime
Il sublime è un tipo di esperienza estetica particolare, diversa dal bello. Mentre il bello ci fa capire che la natura ha uno scopo simile al nostro pensiero, il sublime ci mette di fronte a qualcosa di smisurato e potente, che va oltre quello che la nostra immaginazione può rappresentare. In questo caso, la natura non comunica più attraverso forme definite, ma attraverso quantità enormi che mettono in difficoltà il nostro pensiero. L’analisi del sublime esplora questa sensazione che proviamo di fronte a ciò che è illimitato. Questa esperienza rivela un desiderio profondo di andare oltre i limiti della ragione e dell’immaginazione. Quindi, il sentimento del sublime non aiuta a creare un’unità filosofica come fa il bello. Piuttosto, mostra uno stato di crisi del pensiero critico quando si confronta con i propri limiti.Ma è davvero possibile definire un “senso comune” del bello che trascenda l’esperienza individuale e culturale, o stiamo inseguendo un’utopia filosofica?
Il capitolo sembra presupporre l’esistenza di un “senso comune” estetico innato e universale, senza però affrontare le sfide poste dalla relatività culturale e storica del gusto. Per rispondere a questa domanda cruciale, sarebbe necessario esplorare più a fondo le teorie filosofiche sulla soggettività e oggettività del giudizio estetico, confrontandosi con autori come Kant, ma anche considerando le critiche mosse dalla sociologia dell’arte e dagli studi culturali, che evidenziano come il gusto sia profondamente influenzato dal contesto sociale e storico. Approfondire le ricerche sulla psicologia dell’estetica potrebbe inoltre fornire una prospettiva empirica sulla percezione della bellezza e sulla sua variabilità.24. L’Oggetto Ineffabile del Sublime
Il concetto di sublime
Il sublime, secondo la critica, non si trova in un oggetto specifico, ma esclusivamente nel pensiero. Questa idea è diversa da quella del bello. Infatti, nel bello la natura si mostra attraverso forme che possiamo capire. Invece, nel sublime, la natura non ha importanza. Il pensiero diventa elevato non per l’oggetto che osserva, ma per la sua capacità di immaginare qualcosa che va oltre ciò che possiamo percepire con i sensi.Il sublime come esperienza estetica
Il sublime non è solo una riflessione razionale senza legami con l’estetica. Al contrario, il sublime genera una soddisfazione di tipo estetico. Questa soddisfazione nasce dal fatto che l’immaginazione riesce a presentare un “oggetto”, anche se questo oggetto è indefinito e non ha una forma precisa. Quindi, esiste qualcosa che fa nascere in noi il sublime, anche se questo qualcosa non è sublime di per sé. Proprio perché l’oggetto del sublime è così indefinito, è difficile che tutti provino la stessa emozione di fronte a esso.L’oggetto sublime e la percezione
L’oggetto sublime è qualcosa che possiamo percepire, ma che allo stesso tempo ci indica qualcos’altro, qualcosa che va oltre l’apparenza. Ad esempio, una vetta alpina è un fenomeno naturale che vediamo comunemente. Però, in alcune persone, questa vetta può far nascere un’emozione sublime. Questo accade perché la vetta rivela una “presenza” che è più grande dell’oggetto fisico che vediamo. Questa presenza si manifesta quando la nostra immaginazione si ferma di fronte a qualcosa che non riesce a comprendere pienamente, segnalando così un oggetto del pensiero che è diverso dall’oggetto che sperimentiamo con i sensi.Il conflitto tra ragione e immaginazione
Il sentimento del sublime nasce proprio dal contrasto tra la ragione e l’immaginazione. La ragione immagina un oggetto che è “troppo grande” per essere contenuto in ciò che appare ai nostri sensi. Allo stesso tempo, l’immaginazione percepisce questo oggetto come “troppo grande” per essere rappresentato in modo completo. Questo conflitto interiore, questa differenza tra i modi di pensare, è l’essenza del sublime. In questo senso, la “grandezza imponente della natura” diventa un simbolo della ragione, pur rimanendo qualcosa che possiamo sperimentare concretamente.Sublime e legge morale
Il piacere intenso che proviamo con il sublime non è lo stesso tipo di rispetto che sentiamo per la legge morale. Però, il sublime è come un riflesso estetico di questo rispetto. Quando giudichiamo qualcosa in modo puramente morale, proviamo una contentezza interiore, un “amore” per il principio morale. Questo deriva dall’armonia che si crea tra le nostre capacità di conoscere. Questa armonia è simile all’esperienza del bello, che ci fa pensare che la natura abbia uno scopo soggettivo legato alla conoscenza.Differenze tra sublime e bello
Nonostante le somiglianze, il sublime è molto diverso dal bello. Il bello crea un equilibrio nel nostro pensiero. Invece, il sublime causa una “sproporzione” forte tra le nostre capacità mentali. L’oggetto sublime, anche se è un segno, mette in difficoltà la nostra capacità di rappresentazione e va oltre ciò che appare. Il sublime non cerca l’armonia o l’accordo universale che troviamo nel bello e nella moralità. Anzi, il sublime si manifesta proprio quando queste universalità vengono distrutte, nella forza del loro contrasto.Se il sublime è un’esperienza così soggettiva e dipendente dall’immaginazione individuale, come può essere considerato un concetto estetico universale e significativo per tutti?
Il capitolo presenta il sublime come un’esperienza profondamente personale, legata alla capacità individuale di immaginare e percepire oltre l’oggetto fisico. Tuttavia, se l’esperienza del sublime è così radicata nella soggettività, rimane poco chiaro come possa elevarsi a categoria estetica universale. Per comprendere meglio questa tensione, sarebbe utile esplorare le opere di filosofi come Kant, che ha ampiamente trattato il concetto di sublime, e confrontarle con prospettive più moderne che considerano il ruolo del contesto culturale e sociale nella formazione delle esperienze estetiche. Approfondire la storia della filosofia estetica potrebbe fornire strumenti utili per rispondere a questa domanda.Abbiamo riassunto il possibile
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