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Contenuti del libro
Informazioni
“L’errore. Storia anomala della normalità” di Fabrizio Acanfora è un libro che ti fa guardare in modo diverso a qualcosa che diamo per scontato: la normalità. Non è una storia con personaggi o luoghi precisi, ma un viaggio attraverso la storia delle idee che hanno plasmato la nostra società. L’autore scava a fondo per mostrare come il concetto di “normale” non sia una cosa naturale, ma uno strumento potente, nato soprattutto con l’avvento del capitalismo e l’uso della statistica, usato per il controllo sociale e l’esclusione. Pensa a come ha definito chi è “adatto” o chi no, marginalizzando persone con disabilità o appartenenti a minoranze. Il libro analizza come il neoliberismo abbia spinto questa logica all’estremo, trasformando tutto in competizione e mercificando persino i diritti. È un’analisi di come il potere usa la norma per creare divisioni e mantenere le disuguaglianze nella società. Ma non si ferma qui, suggerisce che l’alternativa a questa competizione esasperata sta nella cooperazione e nella convivenza, per costruire un futuro diverso. È una lettura che ti apre gli occhi su come le idee storiche continuino a influenzare la nostra vita e la lotta per i diritti oggi.Riassunto Breve
La normalità si definisce come uno strumento di esclusione, una costruzione sociale che genera una sensazione di paralisi e mancanza di prospettive future nella società contemporanea, alimentata da crisi continue che portano a rassegnazione. Queste crisi vengono sfruttate da élite e governi per imporre politiche estreme, creando uno stato di eccezione permanente e forme di controllo pervasivo come il capitalismo della sorveglianza. Si instaura una neonormalità che impone valori prescrittivi come patria, famiglia tradizionale e merito, diffusi attraverso narrazioni e istituzioni moralizzatrici. Storicamente, il concetto di disabilità emerge con il capitalismo, legato all’incapacità di lavorare e percepito come un peso. La statistica, con figure come Quetelet, contribuisce a definire scientificamente la normalità come media, trasformando uno strumento descrittivo in uno prescrittivo, dove la deviazione è vista come errore. Questo processo di normalizzazione, iniziato nell’Ottocento, diventa un potente meccanismo di controllo sociale che legittima l’esclusione di chi non si conforma a standard arbitrari, legati agli ideali di competizione e produttività del capitalismo industriale. L’idea di una lotta per la sopravvivenza tra individui nella società non nasce con Darwin, ma era già presente in pensatori come Hobbes, Smith (mano invisibile) e Malthus, che vedeva la povertà come colpa individuale e si opponeva all’aiuto statale. Queste idee alimentano una visione individualista dove successo e fallimento sono responsabilità personali, ignorando le disuguaglianze strutturali. Spencer applica concetti evolutivi alla società, opponendosi all’assistenza ai poveri, mentre Galton sviluppa l’eugenetica per “migliorare” la specie umana, portando a pratiche disumane. Il potere non è una struttura centrale, ma una rete diffusa che pervade la società attraverso pratiche discorsive e norme. Dopo l’Illuminismo, il potere sviluppa forme di controllo più sottili basate sulla scienza e la gestione delle popolazioni (biopolitica), usando la statistica per definire e controllare la normalità. L’eugenetica e il darwinismo sociale usano l’idea di “adatto” per giustificare gerarchie ed esclusione. La normalità è una costruzione storica per mettere ordine e rendere la società gestibile, dividendo la popolazione in categorie desiderabili e non, rendendo gli individui più docili e produttivi. La normalizzazione definisce ciò che è normale attribuendogli valore positivo ed escludendo il resto, creando un ideale che porta a esclusione e svalutazione. Si basa spesso sulla maggioranza di un campione specifico e non è naturale o universale. Questo processo, sviluppatosi con l’ascesa del capitalismo e della borghesia, rende la norma invisibile, mentre l’anormale viene marcato e patologizzato. Si estende anche a funzioni biologiche come il sonno, standardizzato dalle esigenze industriali, contribuendo alla disuguaglianza del sonno. L’idea moderna di individuo e libertà emerge con il pensiero liberale, inizialmente legata alla proprietà. Il concetto di libertà è conteso: per i gruppi marginalizzati significa autodeterminazione, per il neoliberismo è libertà di mercato, vista come ostacolo alla giustizia sociale. L’economia liberale emerge dalla competizione tra Stati, preceduta da mercantilismo e fisiocrazia. Crisi economiche portano all’intervento keynesiano, a cui si oppone il neoliberismo, che ritiene la competizione debba essere creata dalle istituzioni e che le disuguaglianze siano necessarie. La propaganda neoliberista normalizza concetti inizialmente impensabili (finestra di Overton), portando a privatizzazioni e smantellamento dello stato sociale. La narrazione neoliberista promuove un individualismo estremo dove la società non esiste, solo individui e famiglie, e la responsabilità ricade sull’individuo. Il lavoro diventa valore centrale, spingendo le persone disabili a “riabilitarsi” per il mercato, creando un’industria della disabilità. La solidarietà sociale viene svalutata. I governi intervengono attivamente per imporre le regole del mercato, trasformando minoranze e servizi in nicchie di mercato, creando l’illusione del capitalismo neoliberista come unica realtà. La normalità crea categorie minoritarie e allontana i non conformi, generando un surplus umano (disabili, immigrati, LGBTQ+) usato come avvertimento, nicchia di mercato, manodopera a basso costo o nemico pubblico. Il sistema si mantiene con la promessa di inclusione ai margini, presentata come concessione paternalistica che richiede normalizzazione, rendendo il desiderio di normalità un miraggio. Il neoliberismo risponde alle richieste di diritti immettendo identità e istanze nel mercato, trasformando diritti e libertà in merce. Le categorie marginalizzate diventano nicchie di mercato o riserva di lavoratori. La normalizzazione si evolve in postnormalità, mercificando la diversità e trasformando le rivendicazioni in beni di consumo individuali, aumentando il divario di classe. Questa mercificazione neutralizza le spinte al cambiamento. Il potere si manifesta come squilibrio, sottrazione di libertà, rafforzando il controllo di chi lo esercita. Chi detiene potere vede le richieste di libertà come minaccia. Il potere è consacrazione del privilegio, esercitato anche attraverso il linguaggio che ridefinisce concetti (precarietà in flessibilità). Le iniziative aziendali per la diversità sono concessioni strategiche che mantengono lo squilibrio. La libertà concessa è fragile, i diritti autentici derivano dalle lotte collettive. La sinistra ha abbandonato solidarietà e classe (Terza Via), spostando l’attenzione su questioni identitarie, indebolendo la coscienza collettiva. Il realismo capitalista presenta il capitalismo come unica realtà possibile (oikodicea). Il declino dei sindacati e la frammentazione indeboliscono la solidarietà. Le oppressioni sistemiche avvengono all’interno di un’oppressione di classe più ampia. La postnormalità lascia spazio a una neonormalità illiberale e autoritaria, che rivendica una “normalità solida” basata su controllo e restrizioni. Sfrutta la tolleranza per promuovere ideologie intolleranti, manifestandosi in una narrazione di competizione e responsabilità individuale estrema. La neonormalità è un ritorno a una normalità classica, prescrittiva, intollerante verso le differenze, che tende a eliminare ciò che esce dagli schemi. Usa “normale” come sinonimo di naturale e giusto per giustificare esclusione e discriminazione (minoranze etniche, LGBTQ+, neurodivergenti), operando come controllo sociale e indirettamente eugenetica. Movimenti ultraconservatori promuovono questa neonormalità basandosi su un presunto diritto naturale per contrastare i diritti umani, usando strategie come l’appropriazione del linguaggio dei diritti e la demonizzazione degli oppositori. Vedono l’estensione dei diritti alle minoranze come violazione del diritto dei gruppi intolleranti di discriminare. Questa virata illiberale mina democrazia e diritti fondamentali. La definizione di normale riflette gli interessi dei gruppi dominanti, perpetuando disuguaglianze. I movimenti ultraconservatori sfruttano il concetto di ordine naturale per alimentare paura e divisione, presentando le minoranze come nemici e distogliendo l’attenzione dalle responsabilità del sistema economico. Il sistema dominante crea categorie umane (alterizzazione) per dividere ed escludere, distogliendo l’attenzione dai veri detentori del potere e indebolendo l’unione contro di esso. Il potere circola nelle relazioni sociali ed è legato a stati e mercati. Le democrazie moderne favoriscono la classe capitalista, riducendo la partecipazione popolare a un voto simbolico. Il neoliberismo ha smantellato lo stato sociale, trasformando lo Stato in protettore dei mercati. La crisi del 2008 e l’austerità mostrano come lo Stato salvi la finanza a spese dei cittadini, usando l’austerità per controllare il dissenso e mantenere il dominio di classe. Diritti e libertà sono attaccati da un fronte che si oppone all’autodeterminazione. Le aspirazioni individuali, definite ‘libertà’, sono state cooptate e mercificate dal capitalismo. La narrazione dominante si basa sulla competizione, ignorando la cooperazione, che è un fattore evolutivo vantaggioso. Cooperare significa cedere privilegi per un bene comune, riducendo le disuguaglianze. La competizione porta a scontri per risorse scarse, mentre la cooperazione è vitale per la sopravvivenza futura. In un sistema competitivo, chi necessita aiuto è visto come debole. L’inclusione offerta è spesso paternalistica e aumenta la dipendenza. La ‘convivenza’, basata sulla cooperazione collettiva, è un concetto alternativo che promuove indipendenza e parità di opportunità, irraggiungibile nella competizione. Il sistema attuale basato sulla mercificazione della vita è fallito. L’idea che non ci siano alternative è una costruzione sociale. La lotta politica frammentata non funziona. È necessario che i gruppi contrari al sistema cooperino, integrando le istanze di libertà e autodeterminazione in un discorso più ampio di esclusione e oppressione di classe. La vera dissidenza risiede nella cooperazione e nella ricerca della convivenza.Riassunto Lungo
1. La norma come strumento di esclusione
Una sensazione di blocco si diffonde nella società di oggi, legata alla difficoltà di immaginare un futuro. Questa condizione nasce da una serie continua di crisi mondiali che creano incertezza e un senso di non poter agire. Questo stato d’animo si trasforma in una specie di accettazione passiva, dove le persone sentono che agire è inutile perché il futuro sembra negato.Le crisi recenti sono state usate da chi ha potere economico e dai governi per imporre decisioni forti. Questo ha creato una situazione di “stato di emergenza costante” e forme di controllo diffuse, come il “capitalismo della sorveglianza”. Si sta affermando una “nuova normalità” che impone certi valori come importanti: la patria, la famiglia tradizionale e l’idea di merito. Questi valori vengono diffusi attraverso storie e regole che cercano di definire cosa è giusto e sbagliato.La disabilità e il lavoro
Il concetto di disabilità come “qualcosa di sbagliato da correggere” nasce con la crescita del capitalismo. Prima, le differenze fisiche o mentali non erano viste come una categoria di persone separata e rigida. Con la diffusione del lavoro standardizzato e il bisogno di uno stipendio, chi non riusciva a lavorare veniva definito disabile, visto come un peso e un difetto. Leggi antiche, come quella inglese del Seicento, facevano una differenza tra i “poveri che meritano aiuto” (i disabili) e quelli “che non meritano”, dando ai primi la carità perché non erano in grado di produrre.La statistica e l’uomo medio
Nel 1800, la statistica, con studiosi come Adolphe Quetelet e la sua idea di “uomo medio”, ha contribuito a definire in modo scientifico cosa fosse normale. La curva di distribuzione normale, che all’inizio serviva solo a descrivere i dati, è diventata uno strumento per stabilire cosa è giusto: deviare dalla media è stato visto come un “errore”. Questo processo di rendere tutto “normale”, iniziato nell’Ottocento, ha stabilito cosa era considerato accettabile in molti aspetti della vita.È diventato un modo potente per controllare la società, giustificando l’esclusione di chi non rispettava standard decisi in modo arbitrario. La tendenza a scegliere le caratteristiche desiderate e a eliminare quelle considerate “sbagliate” continua ancora oggi, manifestandosi anche nel modo in cui la disabilità viene privata della sua dimensione sessuale. Questa normalizzazione, legata agli ideali di competizione e produttività del capitalismo industriale, mette ai margini chi non si adatta.Ma l’idea di “norma” e l’esclusione di chi devia non esistevano forse anche prima dell’Ottocento, e non solo in relazione al lavoro?
Il capitolo lega in modo stringente la nascita del concetto di disabilità come “difetto” e l’idea di “normalità” alla crescita del capitalismo industriale e all’avvento della statistica ottocentesca. Sebbene questi fattori siano indubbiamente cruciali per comprendere le forme moderne di esclusione, l’argomentazione potrebbe beneficiare di un maggiore contesto storico. L’idea di devianza, di ciò che è considerato “giusto” o “sbagliato” (fisicamente, mentalmente, socialmente), ha radici molto più antiche e si manifestava in diverse forme di organizzazione sociale, non esclusivamente legate alla capacità produttiva nel senso capitalistico. Per approfondire queste dinamiche storiche e filosofiche, potrebbe essere utile esplorare la storia sociale e la storia delle idee, magari confrontandosi con autori che hanno analizzato i meccanismi di potere e l’istituzionalizzazione della devianza in epoche pre-industriali, come Foucault.2. Dalla Lotta Naturale alla Competizione Sociale
L’idea che la società umana sia caratterizzata da una lotta per la sopravvivenza tra individui non nasce con Charles Darwin. La sua teoria dell’evoluzione per selezione naturale descrive processi biologici che avvengono in tempi molto lunghi, influenzati dall’ambiente, dalla disponibilità di risorse, dalla competizione tra specie, dalle mutazioni genetiche e dalla cooperazione. L’evoluzione biologica, per come la intendeva Darwin, non ha uno scopo predefinito e non implica un miglioramento in senso morale o sociale, ma semplicemente una trasformazione e un adattamento. Le idee di competizione sociale applicate alla vita umana erano già presenti molto prima di Darwin.Prime idee sulla società e sulla competizione
Già nel Seicento, Thomas Hobbes descriveva uno stato di natura umano come una “guerra di tutti contro tutti”, una condizione di conflitto costante tra individui. Secondo Hobbes, da questa condizione di caos si esce solo attraverso un contratto sociale che porta alla creazione di uno Stato centrale forte, capace di imporre l’ordine e garantire la sicurezza. Nel Settecento, Adam Smith teorizzava un concetto diverso ma ugualmente influente. Smith sosteneva che, in un mercato libero, il perseguimento dell’interesse personale, guidato da una “mano invisibile”, finisce per portare benefici all’intera società nel suo complesso. Per questo, promuoveva un minimo intervento dello Stato nell’economia (il cosiddetto laissez-faire), credendo che il mercato fosse capace di autoregolarsi. Verso la fine dello stesso secolo, Thomas Malthus osservava che la popolazione tende a crescere più velocemente delle risorse disponibili, come cibo e spazio. Questa crescita sproporzionata porta inevitabilmente a una costante lotta per la sopravvivenza e a una pressione sulle risorse. Malthus considerava la povertà non come un problema sociale o strutturale, ma come una colpa individuale, spesso dovuta a pigrizia o al fatto di avere troppi figli. Credeva che l’aiuto statale ai poveri fosse dannoso perché li scoraggiava dal cercare lavoro e li incentivava a riprodursi ulteriormente. Questa visione contribuiva in modo significativo a giustificare le profonde disuguaglianze sociali che stavano emergendo con l’industrializzazione.L’eredità di queste idee oggi
Queste idee, nate secoli fa, continuano ancora oggi a influenzare profondamente il nostro modo di pensare la società e le sue dinamiche. Alimentano una visione individualista, dove il successo è visto quasi esclusivamente come merito personale e la povertà come responsabilità del singolo individuo, frutto di scelte sbagliate o mancanza di impegno. Questa prospettiva tende a ignorare o minimizzare l’impatto delle disuguaglianze strutturali, cioè le differenze nelle opportunità e nelle condizioni di partenza che dipendono dalla posizione sociale, economica, dall’accesso all’istruzione o da altri fattori esterni al controllo individuale. Questa mentalità si riflette spesso nei dibattiti sul welfare, sull’assistenza pubblica e nella tendenza a criticare e biasimare chi si trova in difficoltà economica, come se la loro condizione fosse unicamente una conseguenza delle loro azioni.Sviluppi successivi: Spencer e l’eugenetica
Nel corso dell’Ottocento, Herbert Spencer applicò in modo più diretto concetti legati all’evoluzione (prendendo spunto da Lamarck e Malthus, oltre che da Darwin, sebbene in modo spesso distorto) allo studio della società umana. Spencer vedeva l’evoluzione sociale come un progresso naturale e inevitabile verso uno stato sempre più avanzato e complesso, che richiedeva un intervento minimo o nullo da parte dello Stato. Anche lui si opponeva fermamente all’assistenza ai poveri e ai deboli, convinto che ostacolasse questo “progresso” naturale, permettendo ai meno adatti di sopravvivere e riprodursi (il concetto spesso riassunto, sebbene in modo riduttivo, con la frase “sopravvivenza del più adatto”, che Spencer rese popolare). Un altro sviluppo importante e controverso fu quello di Francis Galton, cugino di Darwin, che fondò l’eugenetica. L’eugenetica era una disciplina che si proponeva di “migliorare” la specie umana attraverso la selezione, un po’ come si fa con l’allevamento degli animali. L’eugenetica positiva cercava di incoraggiare la riproduzione tra individui considerati portatori di tratti “desiderabili” o “superiori”, spesso legati a ideologie razziste e suprematiste; per esempio, l’eugenetica latina in Italia promuoveva la salute e l’educazione per migliorare la “razza” italiana. L’eugenetica negativa, invece, mirava a scoraggiare o impedire la trasmissione di tratti considerati “indesiderabili” o “inferiori”, portando a pratiche disumane e coercitive come la sterilizzazione forzata di persone con disabilità, malattie mentali o appartenenti a gruppi etnici minoritari. Le atrocità commesse dal regime nazista in nome dell’eugenetica negativa suscitarono orrore e condanna a livello mondiale, screditando in gran parte la disciplina nella sua forma più esplicita. Tuttavia, le idee di “miglioramento” genetico e selezione, soprattutto nelle loro forme più “positive” o legate al potenziamento umano e alla medicina predittiva, continuano a manifestarsi in vari modi nella cultura e nella società moderna, sollevando nuove questioni etiche e sociali.Ma siamo sicuri che l’individualismo e le disuguaglianze di oggi siano solo colpa di pensatori vissuti secoli fa?
Il capitolo suggerisce una discendenza diretta tra le idee di Hobbes, Smith, Malthus e Spencer e le attuali visioni individualiste che minimizzano le disuguaglianze strutturali. Questa connessione è plausibile, ma il capitolo non esplora a fondo i molteplici fattori storici, economici e culturali che hanno contribuito a plasmare la società moderna, né come queste idee siano state interpretate, modificate o strumentalizzate nel tempo. Per approfondire, sarebbe utile considerare la sociologia economica, la storia delle idee politiche e l’analisi delle strutture sociali contemporanee, magari leggendo autori come Karl Polanyi, che analizza la trasformazione della società con l’avvento del mercato, o autori che studiano le dinamiche del potere e delle classi sociali.3. La Normalità come Strumento di Controllo Sociale
Il potere come rete diffusa
Il potere non è una struttura centrale o un’istituzione isolata che sta “sopra” le persone, ma si diffonde come una rete complessa che attraversa ogni parte della società. Non si concentra in un unico punto, ma si manifesta continuamente nelle relazioni tra individui e gruppi. Questo potere agisce in modo sottile, soprattutto attraverso le pratiche discorsive. Queste pratiche sono l’insieme delle regole, del linguaggio e delle norme che stabiliscono cosa è considerato vero, accettabile o pensabile in un dato momento storico e sociale. In questo modo, le pratiche discorsive influenzano profondamente come percepiamo la realtà che ci circonda e orientano i nostri comportamenti quotidiani. Definendo i limiti di ciò che può essere detto o pensato, modellano la nostra comprensione del mondo e il nostro posto al suo interno.Dal controllo alla biopolitica
Dopo l’epoca dei grandi cambiamenti portati dall’Illuminismo, il potere ha iniziato a trasformare i suoi metodi di controllo. Non si basava più solo sulla repressione diretta o sulla legge, ma ha sviluppato forme più indirette e basate sulla conoscenza scientifica. Questo nuovo approccio è stato definito biopolitica. La biopolitica si concentra sulla gestione della vita delle popolazioni nel loro complesso, studiando e intervenendo su fenomeni come la salute, la natalità, la mortalità e le condizioni di vita. L’obiettivo è regolare e ottimizzare la vita della popolazione per renderla più utile e controllabile.La statistica e la definizione di normalità
In questo contesto, la statistica ha assunto un ruolo cruciale. Ha permesso di raccogliere e analizzare dati su larga scala riguardanti le caratteristiche e i comportamenti delle persone. Attraverso la statistica, è diventato possibile identificare modelli e definire cosa fosse considerato “normale” all’interno di un gruppo o dell’intera società. La normalità è stata spesso intesa come la media statistica di certi tratti o comportamenti. Questa definizione quantitativa della normalità si è trasformata in uno strumento potente. Permette di classificare gli individui, di stabilire delle categorie e di esercitare un controllo basato sul confronto con un modello ideale o medio.La normalità come strumento di esclusione
L’idea di normalità è stata usata per giustificare disuguaglianze sociali e pratiche di esclusione. Movimenti come l’eugenetica, che mirava a “migliorare” la razza umana selezionando i tratti desiderabili, e il darwinismo sociale, che applicava i principi della selezione naturale alle società umane, hanno sfruttato il concetto di “adatto” o “normale” per creare gerarchie e marginalizzare chi non rientrava nei canoni stabiliti. Esempi concreti di questo uso si vedono nelle statue chiamate Norma e Normman. Queste sculture sono state create basandosi sulle misure medie di giovani uomini e donne bianchi americani, rappresentando un ideale fisico “normale” imposto come modello. Questo mostra come la normalità sia stata utilizzata per definire ideali fisici e di comportamento, spingendo alla conformità e mettendo da parte chi era diverso o non conforme a questi modelli.Una costruzione storica e sociale
È fondamentale capire che la normalità non è un dato di fatto naturale o universale, ma è una costruzione storica e sociale. È stata creata nel tempo, in risposta a specifiche esigenze, per mettere ordine in un mondo che diventava sempre più complesso e per rendere la società più facile da gestire e controllare. La normalità serve a dividere la popolazione in diverse categorie, stabilendo in modo implicito o esplicito cosa è considerato positivo, desiderabile o accettabile e cosa no. Questo processo di normalizzazione ha l’effetto di rendere gli individui più prevedibili, più docili e più produttivi, rispondendo così non solo a logiche di controllo sociale ma anche alle necessità del sistema economico e produttivo.È sufficiente l’analisi del capitolo per dimostrare che la ‘neonormalità’ sia una forma di ‘eugenetica sociale’?
Il capitolo propone un nesso molto forte tra i meccanismi di esclusione della ‘neonormalità’ e il concetto di ‘eugenetica sociale’. Sebbene l’idea di un controllo sociale basato sulla normatività sia plausibile, l’uso di un termine così carico come ‘eugenetica’ richiede un’argomentazione particolarmente solida che dimostri un’intenzionalità o un effetto sistemico paragonabile alle pratiche storiche di eugenetica. Il riassunto non fornisce dettagli sufficienti su come questo meccanismo operi concretamente a un livello così estremo. Per approfondire questa complessa relazione e valutare la validità di tale affermazione, sarebbe utile esplorare la storia e la teoria dell’eugenetica, le analisi sociologiche sul controllo sociale e la devianza (si pensi agli studi di Foucault sulla normalizzazione), e le critiche contemporanee al capitalismo e al suo rapporto con le politiche identitarie (autori come Nancy Fraser o Mark Fisher possono offrire spunti).8. Convivenza: l’alternativa alla competizione
Il sistema che domina oggi ha un modo per dividere le persone, creando categorie diverse. Questo serve a distogliere l’attenzione da chi ha davvero il potere e rende più difficile unirsi contro di esso. Il potere non è solo nelle mani dello Stato o dei mercati, ma circola in ogni relazione sociale, e Stato e mercati sono strettamente legati tra loro. Nelle democrazie moderne, il potere politico favorisce soprattutto chi detiene il capitale, e la partecipazione della gente comune si riduce spesso a un semplice voto. Entrare attivamente in politica diventa difficile e costoso.Il ruolo dello Stato e dell’economia
Negli anni, le politiche neoliberiste hanno smantellato i servizi e le protezioni offerte dallo Stato, trasformandolo da difensore dei diritti dei cittadini a protettore degli interessi dei mercati. La crisi economica del 2008 e le misure di austerità che ne sono seguite hanno mostrato chiaramente come lo Stato sia intervenuto per salvare il sistema finanziario, spesso a spese della popolazione. L’austerità è stata usata anche per controllare il malcontento e mantenere le disuguaglianze sociali. Oggi, diritti e libertà sono sotto attacco da parte di chi si oppone all’idea che le persone possano decidere liberamente della propria vita.Competizione contro cooperazione
Le aspirazioni personali, quelle che chiamiamo “libertà”, sono diverse per ognuno. Purtroppo, il sistema economico attuale le ha spesso usate e trasformate in merce. La storia che ci viene raccontata mette al centro la competizione, ma ignora l’importanza fondamentale della cooperazione. La cooperazione è invece un elemento che ha aiutato l’evoluzione umana e continua a essere un vantaggio. Cooperare significa essere disposti a rinunciare a qualche privilegio personale per il bene di tutti, riducendo così le differenze tra le persone. La competizione porta a scontri per ottenere risorse limitate, mentre la capacità di collaborare è essenziale per la sopravvivenza nel futuro.Costruire un futuro diverso
In un sistema basato sulla competizione, chi ha bisogno di aiuto viene spesso visto come debole. L’inclusione che viene offerta in questo contesto è spesso un aiuto dall’alto che finisce per aumentare la dipendenza. L’idea di “convivenza”, invece, propone un modello basato sulla collaborazione di tutti. Questo modello punta a promuovere l’indipendenza e a dare a tutti le stesse opportunità, qualcosa che la competizione non può garantire. Il sistema attuale, che trasforma ogni aspetto della vita in un prodotto da vendere, si è dimostrato fallimentare. L’idea che non esistano alternative a questo sistema è solo una costruzione sociale. Le lotte politiche frammentate, ognuna isolata dalle altre, non riescono a ottenere risultati. È necessario che i gruppi che si oppongono al sistema imparino a collaborare. Devono unire le diverse richieste, comprese quelle legate all’identità personale, in un progetto più ampio che affronti le disuguaglianze sociali e lo sfruttamento. La vera forza per cambiare le cose sta nella cooperazione e nella ricerca di una convivenza basata sul rispetto reciproco.Se la ‘convivenza’ è l’alternativa, come si traduce in un sistema concreto che non ricada negli stessi meccanismi criticati?
Il capitolo delinea con forza i limiti del sistema basato sulla competizione e propone la “convivenza” come via d’uscita fondata sulla cooperazione. Tuttavia, la sfida cruciale, non pienamente affrontata, risiede nel tradurre questo principio in un modello sociale ed economico concreto. Come si organizzerebbe una società complessa su vasta scala basata unicamente sulla cooperazione? Quali meccanismi sostituirebbero quelli attuali per la produzione, distribuzione e gestione delle risorse? Approfondire le discipline della teoria sociale, dell’economia politica critica e le proposte di modelli alternativi al capitalismo, esplorando autori che hanno immaginato e studiato forme di organizzazione sociale non basate sulla competizione di mercato o sullo stato centralizzato, può aiutare a colmare questa lacuna e a comprendere le sfide pratiche di una “convivenza” su larga scala.Abbiamo riassunto il possibile
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