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Informazioni
“Le relazioni preziose. Il Settecento al cinema rivoluzioni, desideri, libertà” di Chiara Tartagni è un libro che ti porta in un viaggio super interessante per capire come il cinema usa il Settecento, non solo per fare film in costume, ma per parlare di noi, della società e di cose che contano ancora oggi. È come se registi pazzeschi tipo Fellini, Kubrick, Coppola, Sokurov o Rohmer usassero quel secolo pieno di cambiamenti, rivoluzioni e desideri come uno specchio per riflettere sulla natura umana, sul potere, sulla libertà e su quanto siamo strani e affascinati dalle immagini. Vedremo come l’arte di quel tempo, dalla pittura di Hogarth e Goya ai primi “Mondi nuovi”, si lega al cinema, esplorando storie di personaggi iconici come Casanova, Maria Antonietta o figure meno note ma cruciali nelle rivoluzioni, ambientate in città europee piene di storia come Napoli, Roma, Parigi o Venezia. Il punto è che il Settecento, con le sue crisi e le sue utopie, è incredibilmente vicino a noi, e il cinema, mescolando arte e vita, ci aiuta a vederlo e a capire meglio il presente. È un modo per scoprire che le domande di allora sono ancora le nostre, e che l’arte, in tutte le sue forme, ha un potere unico per mostrarci la verità, anche quella più scomoda.Riassunto Breve
Il cinema usa spesso il Settecento non per fare una copia esatta del passato, ma per guardare meglio il presente e capire cose che non cambiano mai nelle persone e nella società. Si parte da invenzioni come il “Mondo nuovo”, una specie di scatola magica con immagini illuminate che faceva vedere cose finte, un po’ come il cinema di oggi che crea illusioni. Artisti come Tiepolo già allora mostravano la gente che si accalcava per guardare queste immagini, mettendo in scena la visione come un fatto sociale. Il Settecento è un secolo dove l’arte diventa più laica, guarda la vita di tutti i giorni e i suoi problemi. Registi come Ettore Scola, nel suo film “Il mondo nuovo”, usano una storia ambientata nel 1791 per parlare di oggi, mostrando che certi problemi tornano sempre. Scola vede il cinema come una forma di scrittura che usa il passato per capire il presente. Anche pittori come Hogarth nel Settecento raccontavano la società con ironia, creando storie visive piene di dettagli che spingono a “leggere” quello che si vede. Le sue opere hanno ispirato scrittori come Fielding e poi registi come Tony Richardson nel film “Tom Jones”, che ha saputo portare al cinema lo stesso spirito satirico, anche usando trucchi visivi che ricordano il cinema muto per far capire che è tutto costruito. Altri registi, come Robert Altman, riprendono immagini di Hogarth, tipo la scena del manicomio, per criticare la società di oggi, suggerendo che la follia non è poi così lontana dalla normalità. Il cinema si lega molto alla pittura del Settecento. Registi come Sokurov vedono i musei come “arche” che portano avanti la storia e l’arte come qualcosa che salva e aiuta a capire. I suoi film, come “Arca russa” o “Francofonia”, mostrano come epoche diverse convivono e come l’arte resiste al potere e alla guerra. I fratelli Taviani usano il Settecento napoletano per raccontare rivoluzioni interiori, come nel film “Il sole anche di notte”, dove un personaggio cerca la verità e cambia profondamente. Antonietta De Lillo, con “Il resto di niente”, racconta la Repubblica Napoletana del 1799 e il fallimento di un ideale, usando anche pitture per mostrare la storia e i pensieri della protagonista. Il Settecento è un secolo di grandi cambiamenti e speranze. Registi come Fellini guardano a figure come Casanova, vedendolo non come un personaggio storico preciso, ma come un tipo umano, vuoto e immaturo, che rappresenta una certa Italia. Fellini crea mondi artificiali ispirandosi a diverse epoche per mostrare la superficialità. Losey interpreta il Don Giovanni di Mozart come un’opera che parla di potere e classi sociali, usando l’architettura del Settecento per dare ritmo al film. Rohmer, nei suoi film ambientati nel Settecento, mostra come letteratura, pittura e cinema si influenzano, usando quadri famosi per far vedere le emozioni nascoste o l’ipocrisia. Ricrea il passato in modo artificiale, ma proprio questo aiuta a vederlo meglio. Film come “Marie Antoinette” di Sofia Coppola e “Barry Lyndon” di Kubrick mostrano due modi diversi di usare il Settecento. Coppola lo rende vicino a noi, quasi contemporaneo, concentrandosi sulle emozioni di una ragazza. Kubrick invece usa l’estetica del Settecento in modo distaccato, per mostrare che la storia si ripete e che le persone sono spesso in balia del destino. Greenaway, in “Il ventre dell’architetto”, usa la figura di un architetto del Settecento e la città di Roma per parlare della fragilità umana di fronte alla grandezza eterna. Forman, con film come “Amadeus”, “Valmont” e “L’ultimo inquisitore”, usa il Settecento per esplorare l’invidia, le relazioni sociali e la follia del potere, spesso attraverso gli occhi di un artista come Goya che testimonia la violenza. Godard, nel film “Passion”, ambientato negli anni ’80, usa citazioni da pittori settecenteschi come Goya e Watteau e musica di Mozart per parlare del rapporto tra amore e lavoro e della situazione politica, mostrando come l’arte del passato risuona nel presente. Il Settecento è importante perché è un secolo di grande accelerazione, che anticipa molti problemi di oggi e il desiderio di immagini in movimento che ha portato al cinema. Le figure e le opere di quel tempo ci sembrano ancora vicine. Il cinema, prendendo spunto dall’arte del Settecento, riflette il modo in cui le persone stanno al mondo, può far pensare e criticare chi comanda. L’arte, anche quella di secoli fa, ha una forza non per la violenza o il mistero, ma perché mette insieme le idee in modo giusto. Guardare la storia e l’arte non è mai una cosa neutra.Riassunto Lungo
1. L’Arte che Guarda il Mondo: Dal Settecento al Cinema
Lo sguardo del Settecento
Il “Mondo nuovo”, un dispositivo ottico del Settecento, può essere considerato un precursore del cinema. Permetteva di osservare immagini retroilluminate, offrendo a chi guardava un vero e proprio spettacolo di illusione. Giandomenico Tiepolo ha raffigurato questo dispositivo e la folla curiosa che vi si accalcava nelle sue opere. In queste scene, Tiepolo include spesso la figura di Pulcinella, che simboleggiava un certo disfacimento sociale dell’epoca. L’arte del Settecento, in generale, iniziava a rappresentare la visione non più solo come un atto privato, ma come un evento sociale. Diventava un’arte più laica e terrena, capace di riflettere la società e la sua crescente fascinazione per le immagini.Nello stesso periodo, l’artista inglese William Hogarth dipingeva la vita sociale con un intento sia morale che satirico. Creava sequenze narrative nei suoi dipinti che sembravano tratte direttamente dal teatro o dalla letteratura. Le sue opere erano ricche di dettagli, quasi spingendo lo spettatore a “leggere” la realtà che veniva rappresentata. Hogarth ha avuto una notevole influenza su scrittori come Henry Fielding. Fielding, autore del celebre romanzo “Tom Jones”, criticava l’ipocrisia della società inglese attraverso le avventure di un protagonista che, pur avendo debolezze, era fondamentalmente di buon cuore.
Il cinema che rilegge la storia e la società
L’interesse per il Settecento e il suo modo di guardare la società si ritrova anche nel cinema. Ettore Scola, nel suo film intitolato anch’esso “Il mondo nuovo”, sceglie di ambientare la storia nel 1791. Utilizza una carrozza come uno spazio chiuso, un microcosmo che raccoglie diversi punti di vista sui grandi eventi come la Rivoluzione Francese. La narrazione segue in particolare il personaggio di Restif de la Bretonne, scelto come una sorta di cronista che osserva e racconta la realtà del suo tempo. Scola considerava il cinema una vera e propria forma di scrittura e usava la storia per analizzare il presente, mostrando come molti problemi sociali e umani tendano a ripresentarsi nel corso del tempo.L’influenza del Settecento si vede anche nell’adattamento cinematografico di “Tom Jones” realizzato da Tony Richardson. Il film riesce a tradurre in immagini lo stile narrativo e satirico tipico di Fielding. Richardson utilizza diverse tecniche visive per farlo in modo efficace. Tra queste, ci sono riferimenti espliciti al cinema muto e un’interazione diretta con lo spettatore. Questi espedienti servono a sottolineare come l’opera sia una costruzione artificiale e a rinforzare il commento sociale che Richardson vuole fare.
Anche Robert Altman, in un episodio del film “Aria”, cita direttamente un’opera di Hogarth. Si concentra in particolare sulla famosa scena del manicomio tratta da “La carriera del libertino”. Altman usa questa immagine potente per fare una satira della società contemporanea. Confonde volutamente i nobili e i malati di mente attraverso l’uso del trucco e dei movimenti degli attori. In questo modo, suggerisce che la follia e la normalità sono in realtà molto vicine tra loro nella società. L’approccio visivo di Altman, che sembra seguire la “linea serpentina” teorizzata da Hogarth, riflette la sua analisi della “ordinaria follia” presente nella società.
Ma è davvero così lineare il percorso dall’occhio settecentesco alla macchina da presa?
Il capitolo traccia un legame tra la cultura visiva e letteraria del Settecento e lo sguardo del cinema moderno sulla società. Tuttavia, presentare questo percorso come lineare e diretto potrebbe semplificare eccessivamente la complessa evoluzione delle forme d’arte e dei media. La nozione di ‘precursore’ applicata a dispositivi ottici o a specifiche tendenze artistiche richiede un esame più critico, considerando le profonde trasformazioni tecnologiche, sociali ed estetiche che hanno caratterizzato il XIX secolo e portato alla nascita del cinema. Per approfondire la questione e valutare la reale portata di queste influenze, è consigliabile esplorare la storia del cinema, la storia della cultura visuale e gli studi sui media. Autori come Tom Gunning o Siegfried Kracauer offrono spunti fondamentali per comprendere la genesi e la natura del linguaggio cinematografico.2. L’Arca del Diciottesimo Secolo nell’Arte Cinematografica
Il cinema si lega profondamente all’arte figurativa e in particolare al diciottesimo secolo per esplorare temi come la storia, l’identità e il potere.Il cinema come Arca: Aleksandr Sokurov
Registi come Aleksandr Sokurov considerano il cinema non solo un’arte, ma un vero e proprio mestiere, privilegiando nel loro lavoro la pittura e la letteratura. Nei loro film, luoghi simbolo dell’arte come i musei Ermitage e Louvre si trasformano in “arche” capaci di navigare attraverso la storia. Questi spazi diventano luoghi dove il tempo sembra condensarsi e l’arte offre un rifugio, una via di salvezza e una chiave di comprensione del mondo. Nel film Arca russa, ad esempio, viene usato un unico lungo piano sequenza per mostrare come epoche diverse convivano all’interno dell’Ermitage, rendendolo un potente simbolo della storia russa. Francofonia, invece, mette a confronto la protezione del Louvre durante la guerra con la sofferenza vissuta dall’Ermitage, offrendo una critica al potere e analizzando il complesso rapporto tra Russia ed Europa. L’arte viene vista in questa prospettiva come qualcosa che ha il compito di ripetere concetti fondamentali, per evitare che vengano dimenticati.Rivoluzioni e Ricerca di Verità: Taviani e De Lillo a Napoli
I fratelli Taviani ambientano una parte significativa del loro cinema nel Settecento napoletano. Usano la storia di Sergio Giuramondo, nel film Il sole anche di notte, per analizzare una profonda rivoluzione interiore. La crisi personale del protagonista, scatenata dalla scoperta di una verità inattesa, lo spinge a cercare una verità più autentica, portandolo a voler diventare “nessuno” e superare l’orgoglio iniziale. Il film si serve di simbolismi cromatici e del paesaggio per raccontare questo percorso di trasformazione. Per i Taviani, il diciottesimo secolo diventa così un momento cruciale di grande cambiamento e di intenzione utopica.Antonietta De Lillo, con il film Il resto di niente, racconta la storia della Repubblica Napoletana del 1799 attraverso gli occhi di Eleonora Pimentel Fonseca. Il suo lavoro esplora il fallimento di una rivoluzione che appare “importata” e mette in luce il forte divario tra gli ideali elevati degli intellettuali e le necessità concrete del popolo. L’uso della pittura stilizzata creata da Oreste Zevola sostituisce le tradizionali vedute storiche, rappresentando così sia gli eventi storici che l’interiorità complessa della protagonista. La vicenda di Eleonora, descritta come una donna “acquatica” e progressista, simboleggia non solo un’occasione storica mancata ma anche il coraggio necessario per perseguire i propri ideali. La sua storia riflette temi ancora attuali, come lo scollamento sociale tra diverse parti della popolazione.Attraverso l’arte, specialmente la pittura e il cinema che ne trae ispirazione, il Settecento parla ancora all’oggi. Offre spunti fondamentali per comprendere la condizione umana, le dinamiche del potere e la costante ricerca di verità o felicità. Questi temi emergono potentemente dalla rappresentazione di crisi e rivoluzioni, siano esse grandi eventi storici o profonde trasformazioni personali.Davvero la Repubblica Napoletana fu solo una rivoluzione “importata” con un semplice scollamento tra élite e popolo, o il capitolo trascura le sfumature interne e le diverse forze in gioco?
Questa interpretazione, pur se presente in alcune letture storiografiche, rischia di appiattire una realtà storica ben più articolata. Ignora le specifiche condizioni del Regno di Napoli, le diverse fazioni all’interno del fronte rivoluzionario e controrivoluzionario, e le motivazioni non univoche dei vari strati sociali che parteciparono o si opposero agli eventi del 1799. Per una comprensione più completa, sarebbe utile approfondire la storia del Mezzogiorno d’Italia nel Settecento, l’impatto delle idee illuministe e rivoluzionarie in contesti locali, e le dinamiche sociali ed economiche dell’epoca. Discipline come la storia sociale e la storia politica comparata sono fondamentali. Autori come Benedetto Croce, Pasquale Villani, o Anna Maria Rao possono offrire prospettive più ricche e complesse sulla vicenda.3. Il Settecento tra tela e schermo: specchio dell’anima
Il cinema si avvicina al Settecento non per ricrearne fedelmente la storia, ma per usarlo come uno specchio in cui riflettere la natura umana e la società. È un secolo che diventa uno strumento per esplorare temi universali attraverso gli occhi di diversi registi.Federico Fellini e l’archetipo di Casanova
Federico Fellini guarda a Giacomo Casanova con uno sguardo distante. Lo vede come un simbolo di un certo tipo di italiano, vuoto dentro e incapace di provare emozioni profonde, quasi come un insetto o una figura meccanica. Nel suo film, Fellini punta tutto sull’impatto visivo, mescolando stili e immagini che non appartengono solo al Settecento, ma a diverse epoche artistiche. Crea così un mondo finto, artificiale, che serve a mostrare la superficialità non solo del personaggio di Casanova, ma anche della società che lo circonda. Casanova, in questa visione, è come un “Pinocchio” che però crede di essere lui a tirare i fili, intrappolato in un’eterna giovinezza e legato a figure femminili quasi materne. Rappresenta un’Italia fatta di teatro e ipocrisia.Joseph Losey e il Don Giovanni tra classi e potere
Joseph Losey, invece, interpreta il Don Giovanni di Mozart come un’opera che parla di politica, analizzando a fondo i rapporti tra le diverse classi sociali e il concetto di potere. Il suo film è ambientato tra Venezia e Vicenza, e usa l’architettura classica, in particolare quella di Andrea Palladio, per dare un ritmo preciso e una struttura solida alla narrazione. Allo stesso tempo, i personaggi femminili vengono mostrati in modo critico. Don Giovanni, nella visione di Losey, incarna un tipo di modernità che inquieta, riducendo i legami umani a semplici liste di conquiste. Questo comportamento trova sorprendenti somiglianze con certi atteggiamenti che si vedono nella politica di oggi. Anche Losey, come Fellini, vede il fare cinema come una specie di rituale, uno spazio che assume quasi un valore sacro.Éric Rohmer tra letteratura, pittura e cinema
Éric Rohmer, nei suoi film ambientati nel Settecento, come La marchesa von… e La nobildonna e il duca, esplora il legame profondo tra la letteratura, la pittura e l’arte del cinema. Usa riferimenti diretti a quadri famosi, come L’incubo di Füssli, per rappresentare quello che succede nella mente delle persone e le loro ambiguità morali. Quadri di pittori come David e Boilly gli servono invece per mostrare l’ipocrisia che si nasconde nella società dell’epoca e la difficile condizione in cui si trovavano le donne. Rohmer ricostruisce la città di Parigi usando sfondi dipinti e tecniche di montaggio speciali, mettendo in evidenza che quello che vediamo è una rappresentazione costruita, non la realtà pura. Nonostante questa artificialità, riesce a ottenere un effetto che lui chiama “più di realismo”, che permette allo spettatore di guardare il passato attraverso gli occhi di chi ci ha vissuto. Per Rohmer, il cinema è uno strumento capace di catturare piccoli pezzi di realtà e di svelarne la bellezza nascosta, agendo sia come custode della memoria storica sia come creatore di un passato che prende nuova vita sullo schermo.Ma è sufficiente mostrare alcuni film ambientati nel Settecento per sostenere che quell’epoca sia uno “specchio” privilegiato della condizione umana?
Il capitolo suggerisce che il diciottesimo secolo, attraverso il cinema, rifletta aspetti profondi e ricorrenti dell’umanità. Tuttavia, la tesi che questo periodo sia uno “specchio” particolarmente efficace non viene argomentata a sufficienza, né viene spiegato cosa renda il Settecento unico in questo senso rispetto ad altre epoche storiche. Per comprendere meglio questa affermazione e valutarne il fondamento, sarebbe utile approfondire la storia culturale e sociale del diciottesimo secolo, magari leggendo autori che analizzano il rapporto tra storia e rappresentazione artistica, o che si occupano specificamente della storiografia del cinema.6. L’eco del Settecento tra arte e vita nel cinema
Il Settecento è un secolo fondamentale per capire il nostro tempo. La sua rapida evoluzione ha anticipato molte delle sfide e delle soluzioni che affrontiamo oggi, generando un desiderio di vedere immagini in movimento che ha contribuito alla nascita del cinema. Figure e opere di quell’epoca, come Mozart o Le relazioni pericolose, continuano a influenzare la cultura contemporanea, dimostrando una sorprendente vicinanza temporale e concettuale. Il cinema, come forma d’arte con una funzione sociale, riflette il rapporto umano con il mondo e può informare gli spettatori e sfidare il potere. Registi che integrano diverse forme artistiche nel loro lavoro usano il cinema per esprimere la loro visione del mondo.
L’eco del Settecento nel cinema moderno
L’influenza del Settecento si manifesta nel cinema soprattutto nei momenti di grande cambiamento storico, come negli anni Settanta-Ottanta e dopo il 2001. In queste fasi, il cinema riprende temi e atmosfere settecentesche per esplorare l’ansia legata al cambiamento e le nuove prospettive emerse in quel secolo. Comprendere i legami tra il Settecento, il Novecento e l’epoca attuale attraverso l’arte offre una prospettiva preziosa. Le immagini artistiche hanno un potere che non deriva dalla brutalità o dal mistero, ma dalla giusta e distante solidarietà che creano tra le idee. Lo sguardo storico e quello artistico non sono mai neutrali.
Il film Passion di Godard: un esempio concreto
Un esempio significativo di questo legame tra il Settecento e il cinema è il film Passion di Jean-Luc Godard. Ambientato nel 1982, racconta la storia di Jerzy, un regista polacco in Francia che sta cercando di realizzare un film composto da tableaux vivants, scene viventi che ricreano famosi dipinti. Le difficoltà che Jerzy incontra nel completare il film si intrecciano con le sue relazioni personali e con la complessa situazione politica della Polonia nel 1981, rappresentata dal fatto che l’attore protagonista è un simbolo del movimento Solidarność. Godard usa nel film riferimenti a dipinti di Goya e Watteau e musiche di Mozart, in particolare il Requiem, per approfondire i temi trattati. La parola francese travail, che significa sia lavoro che fatica, suggerisce che tormento e piacere possono essere presenti negli stessi gesti. Jerzy, come Goya per la pittura, crede che non ci siano regole fisse nel cinema. Alla fine, Jerzy decide di lasciare tutto e tornare in Polonia. L’arte del Settecento, come l’Imbarco per Citera di Watteau, evoca l’amore e la sua natura spesso fugace.
Davvero il Settecento, con la sua ‘rapida evoluzione’, ha generato il desiderio che ha portato alla nascita del cinema, o si trascura un intero secolo di invenzioni e trasformazioni fondamentali?
Il capitolo, pur offrendo spunti interessanti sull’influenza tematica e stilistica, sembra stabilire un nesso causale diretto tra l’evoluzione settecentesca e la nascita del cinema che appare problematico. L’idea che un generico ‘desiderio di vedere immagini in movimento’ nato nel Settecento abbia ‘contribuito alla nascita del cinema’ nel tardo Ottocento ignora o minimizza il ruolo determinante delle specifiche invenzioni e dei contesti socio-economici del diciannovesimo secolo, che furono i veri catalizzatori della sua invenzione. Per colmare questa lacuna, sarebbe utile approfondire la storia della tecnologia, la storia della fotografia e la storia del cinema delle origini, consultando autori che hanno studiato i complessi percorsi che hanno portato all’invenzione del cinematografo.Abbiamo riassunto il possibile
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