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Informazioni
“Le origini della civiltà” di James Scott è un libro che ti fa vedere la storia umana in modo completamente diverso. Dimentica quello che pensavi di sapere sul passaggio da cacciatori-raccoglitori all’agricoltura e poi agli stati antichi. Scott, basandosi su nuove ricerche, smonta l’idea che fosse un percorso naturale e positivo. Ci racconta che per la maggior parte del tempo, l’Homo sapiens viveva libero in piccole bande nomadi. L’agricoltura, iniziata circa 12.000 anni fa, non portò subito benessere, anzi, i primi agricoltori stavano peggio dei nomadi, con diete povere e più malattie. I primi stati, comparsi molto dopo, circa 6.000 anni fa, non erano potenti imperi, ma entità fragili e oppressive, basate sulla coltivazione intensiva di cereali come grano e orzo nelle pianure alluvionali, soprattutto in Mesopotamia. Questi stati antichi dipendevano dal lavoro forzato e dalla schiavitù, spesso ottenuta dai prigionieri di guerra. La maggior parte delle persone viveva fuori dal loro controllo, nelle zone “barbare” o popolazioni non statali, che Scott ci mostra non come primitive, ma spesso come rifugi per chi fuggiva dall’oppressione statale, dalle malattie o dalla fragilità statale causata anche da problemi ambientali come la salinizzazione e la deforestazione. La vita fuori dallo stato, nonostante le incursioni, poteva offrire più libertà e salute. È una storia affascinante che ribalta la visione comune del progresso, mostrando come la libertà e la resilienza si trovassero spesso ai margini della “civiltà” basata su cereali e coercizione.Riassunto Breve
La storia umana non segue un percorso unico e inevitabile che porta dai cacciatori-raccoglitori nomadi all’agricoltura stanziale e poi allo stato. Per la maggior parte della sua esistenza, l’uomo ha vissuto in piccoli gruppi mobili. L’agricoltura, apparsa molto più tardi, non sempre migliorò la vita; i primi agricoltori spesso stavano peggio dei cacciatori-raccoglitori per salute, dieta e tempo libero. La sedentarietà non dipendeva solo dalla coltivazione e molte popolazioni resistettero alla vita stanziale. I primi stati, comparsi millenni dopo l’agricoltura, erano piccoli e fragili, non potenti come spesso descritto, e controllavano aree limitate. La loro importanza è stata sovrastimata perché i loro resti (monumenti, testi) si conservano meglio. Per millenni, la maggior parte dell’umanità visse fuori dal controllo statale.La formazione dello stato richiede la concentrazione di persone e risorse, facilitata dalla domesticazione del fuoco, delle piante e degli animali. I cereali come grano e orzo sono fondamentali perché facili da tassare, immagazzinare e controllare. Gli stati antichi sorgono in aree favorevoli alla concentrazione, come le pianure alluvionali, e si basano quasi esclusivamente sui cereali. Il mantenimento dello stato richiede coercizione, lavoro forzato e schiavitù. Nonostante questo, gli stati sono fragili, vulnerabili a epidemie, problemi ecologici come la salinizzazione e pressioni esterne. Accanto agli stati vivono i “barbari”, popolazioni non soggette al controllo statale, spesso mobili e con sussistenza diversificata, difficili da tassare.Le prime comunità sedentarie si sviluppano spesso in zone umide ricche di risorse, non solo in aree aride con agricoltura irrigua. Questi ambienti offrono una sussistenza stabile e diversificata, richiedendo meno lavoro rispetto all’agricoltura iniziale. L’uomo ha modificato l’ambiente per millenni prima dell’agricoltura intensiva, usando fuoco e altre tecniche. La domesticazione non riguarda solo singole specie ma interi ambienti, e le distinzioni tra caccia, raccolta, pastorizia e coltivazione sono fluide.La domesticazione crea la “domus”, un ambiente condiviso di campi, scorte, persone e animali domestici. Questo porta a cambiamenti evolutivi nelle piante (semi che non si staccano) e negli animali (docilità, neotenia, riduzione del cervello). Anche l’uomo subisce cambiamenti fisici (problemi ossei, carenze nutrizionali) e comportamentali, adattandosi alla vita sedentaria e di gruppo. La vita nella domus favorisce la diffusione di malattie infettive (zoonosi) e la dieta basata sui cereali aumenta la vulnerabilità.Nonostante i costi in salute e lavoro, l’agricoltura stanziale aumenta i tassi di riproduzione, portando a una crescita demografica che supera le popolazioni nomadi. Lo stato emerge sfruttando queste concentrazioni di popolazione e cereali. Si basa su territorialità, esazione fiscale, funzionari e stratificazione sociale. Cambiamenti climatici e condizioni geografiche specifiche favoriscono la formazione statale. Gli stati antichi sono intrinsecamente fragili a causa di tasse elevate, guerre e vulnerabilità a carestie e malattie.I cereali sono ideali per lo stato perché visibili, misurabili e facili da raccogliere. La popolazione è vista come una risorsa da radunare e costringere a produrre surplus. Le mura cittadine servono anche a confinare la popolazione tassabile. La schiavitù è un pilastro dello stato antico, fornendo manodopera per agricoltura, costruzioni e guerra. Prigionieri di guerra, donne e bambini sono particolarmente ricercati come forza lavoro e per la riproduzione. La cattura di persone è un obiettivo primario delle campagne militari.Gli stati antichi sono fragili e di breve durata. La loro “caduta” non è sempre un disastro, ma spesso uno smantellamento del sistema centrale, con la popolazione che si disperde in insediamenti più piccoli e stabili. Questo può significare una riduzione dei pesi statali e un aumento della libertà. Le cause di fragilità includono problemi ambientali (deforestazione, salinizzazione), malattie epidemiche e conflitti interni o esterni. La fuga dallo stato è una forma di adattamento e liberazione.I popoli non statali, definiti “barbari”, non sono primitivi ma spesso ex sudditi fuggiti dall’oppressione statale. Vivono ai margini degli stati, sfruttando la loro debolezza con incursioni o commercio. La vita fuori dallo stato può offrire maggiore sicurezza, nutrizione e libertà. Gli stati e i barbari sono interconnessi: i barbari razziano, commerciano, offrono protezione (racket) e servono come mercenari o vendono schiavi agli stati, contribuendo alla loro esistenza. L’era della libertà nomade, durata millenni, termina con la crescita di stati più forti dotati di nuove tecnologie militari.Riassunto Lungo
1. La storia che non ci hanno raccontato
La narrazione comune sul progresso umano vede il passaggio da cacciatori-raccoglitori nomadi all’agricoltura stanziale e poi agli stati come un percorso naturale e positivo. Questa visione è messa in discussione dalle ricerche recenti. Per la maggior parte della sua esistenza, circa 200.000 anni, l’Homo sapiens ha vissuto in piccole bande nomadi di cacciatori-raccoglitori.Agricoltura e vita sedentaria: un quadro complesso
L’agricoltura e gli insediamenti permanenti compaiono circa 12.000 anni fa, mentre i primi stati sorgono molto più tardi, circa 6.000 anni fa. Questo ampio divario temporale non supporta l’idea che l’agricoltura porti inevitabilmente alla formazione statale. Le prove archeologiche indicano che i primi agricoltori spesso avevano salute, dieta e tempo libero peggiori rispetto ai cacciatori-raccoglitori. Il passaggio all’agricoltura fu un processo lento, incerto e non sempre vantaggioso. La sedentarietà non dipendeva solo dall’agricoltura; esisteva in ambienti ricchi di risorse prima della coltivazione. Molte popolazioni nomadi resistettero agli insediamenti stanziali, associandoli a malattie e controllo statale. L’addomesticazione di piante e animali fu un processo lungo e graduale, non un singolo evento, che implicò un crescente controllo umano sulla riproduzione.Gli stati antichi: fragili e non onnipresenti
I primi stati erano entità piccole e fragili, non i potenti organismi spesso descritti. Controllavano aree limitate ed erano circondati da popolazioni non statali. Gli stati antichi erano spesso instabili e soggetti a periodi di collasso. Per millenni, la maggior parte dell’umanità visse al di fuori del controllo statale. Il dominio degli stati sul pianeta è un fenomeno relativamente recente, risalente solo agli ultimi secoli. La documentazione storica e archeologica tende a sovrastimare l’importanza dello stato perché i monumenti e i testi scritti, spesso centrati sul potere statale, si conservano meglio rispetto alle tracce lasciate da popolazioni nomadi o da eventi come malattie e fughe. Una visione più equilibrata della storia umana riconosce il ruolo limitato e spesso precario dello stato per gran parte della nostra esistenza.Se gli stati antichi erano così fragili e spesso svantaggiosi, come si spiega la loro successiva e quasi totale diffusione globale?
Il capitolo demolisce efficacemente la narrazione lineare del progresso verso lo stato, evidenziando la sua fragilità iniziale e la resistenza incontrata. Tuttavia, lascia aperta la questione cruciale: quali meccanismi hanno permesso a questa forma di organizzazione, inizialmente precaria e spesso evitata, di affermarsi fino a dominare il pianeta negli ultimi secoli? Per comprendere appieno questo passaggio, è utile approfondire le dinamiche della formazione statale, i fattori di coercizione e consenso, e il ruolo di guerra, economia e tecnologia nella consolidazione del potere statale. Autori come Charles Tilly o Francis Fukuyama offrono prospettive diverse su questi processi.2. Dalla Fiamma al Grano: Nascita e Fragilità dello Stato Antico
La formazione di uno stato antico dipende in modo cruciale dalla capacità di concentrare persone e risorse in un unico luogo. Questo processo ha radici profonde nella storia umana, iniziando con la fondamentale pratica della domesticazione. L’uso del fuoco, padroneggiato dall’Homo erectus, ha permesso di trasformare l’ambiente, favorendo la crescita di piante commestibili e attirando animali da cacciare. La cottura dei cibi ha reso molti alimenti più digeribili e nutrienti, contribuendo significativamente allo sviluppo fisico e cognitivo degli esseri umani nel corso del tempo.Il ruolo centrale dei cereali
La domesticazione di piante come grano e orzo, insieme a quella di animali come pecore e capre, ha ulteriormente intensificato la concentrazione di cibo e popolazioni vicino agli insediamenti. Queste pratiche agricole hanno creato ecosistemi artificiali dove piante e animali sono diventati strettamente dipendenti dall’intervento umano per la loro sopravvivenza e riproduzione. Parallelamente, anche l’uomo è stato in un certo senso “addomesticato”, legandosi ai ritmi stagionali dell’agricoltura e adottando uno stile di vita stanziale. Questa esistenza sedentaria, basata sulla coltivazione intensiva, si è rivelata spesso più faticosa e meno varia dal punto di vista nutrizionale rispetto alla precedente vita di caccia e raccolta. Gli stati antichi hanno trovato terreno fertile per la loro nascita soprattutto nelle pianure alluvionali, aree naturalmente adatte all’agricoltura intensiva. Questi stati si sono quasi interamente basati sulla coltivazione dei cereali, una scelta strategica perché i cereali sono facili da tassare, immagazzinare e controllare, facilitando così il dominio sulla popolazione. A differenza di colture come la manioca, che cresce sottoterra e si conserva a lungo nel terreno rendendone difficile il controllo e la tassazione, i cereali offrivano la base ideale per l’economia e l’amministrazione statale. La dipendenza da diete incentrate sui cereali, senza alternative facilmente controllabili, è stata un fattore determinante nella formazione di queste prime strutture statali complesse.La gestione della popolazione e la coercizione
Il mantenimento degli stati antichi richiedeva un costante ricorso alla coercizione. Per costruire le imponenti infrastrutture necessarie (come canali di irrigazione o magazzini) e per coltivare i vasti campi che nutrivano la popolazione e sostenevano l’élite, era indispensabile disporre di un’enorme forza lavoro. Lavoro forzato, schiavitù e reclutamento obbligatorio erano strumenti comuni utilizzati per mobilitare le masse. La popolazione stessa veniva vista e gestita primariamente come una risorsa da sfruttare per il benessere e la stabilità dello stato. Questo controllo rigido e spesso brutale era considerato necessario per garantire la produzione agricola e la coesione sociale in società così dense e dipendenti da un’unica base produttiva.Le debolezze intrinseche
Nonostante l’apparato coercitivo, gli stati antichi erano intrinsecamente fragili e costantemente a rischio di crollo. La concentrazione di persone e animali in aree ristrette favoriva la rapida diffusione di epidemie, che potevano decimare la popolazione e indebolire lo stato. Problemi ecologici legati all’agricoltura intensiva, come la salinizzazione dei terreni dovuta all’irrigazione eccessiva, potevano compromettere la base produttiva e portare a carestie. Inoltre, gli stati erano vulnerabili alle pressioni esterne, sia sotto forma di invasioni che di interruzioni delle rotte commerciali. Questa combinazione di fattori interni ed esterni rendeva la loro esistenza precaria.I ‘barbari’ e l’interazione esterna
Al di fuori dei confini degli stati antichi esisteva un mondo popolato dai “barbari”, termine usato per indicare popolazioni non soggette al controllo statale centralizzato. Queste comunità vivevano spesso in territori con una sussistenza più diversificata e mobile, basata su pastorizia, caccia, raccolta o agricoltura su piccola scala in aree meno adatte al controllo statale. La loro mobilità e la varietà delle loro risorse li rendevano difficili da tassare e sottomettere. Se da un lato gli stati erano vulnerabili alle incursioni di questi gruppi esterni, dall’altro dipendevano anche dal commercio con loro per ottenere risorse essenziali (come metalli, legname o animali) non sempre disponibili nelle aree agricole statali. Questa complessa interazione includeva anche il commercio di schiavi, spesso provenienti dalle popolazioni “barbare” catturate in razzie o guerre, e l’uso di mercenari “barbari” negli eserciti statali. Queste dipendenze e interazioni contribuivano ulteriormente alla fragilità strutturale degli stati antichi.Se la vita nello stato antico era così faticosa, precaria e basata sulla coercizione, perché le popolazioni non fuggivano in massa verso i territori dei “barbari”?
Il capitolo descrive efficacemente le difficoltà e la coercizione nella vita statale antica, ma non spiega a sufficienza i meccanismi che impedivano la fuga di massa verso aree non controllate dallo stato, né perché, nonostante i lati negativi, le popolazioni rimanevano o affluivano verso i centri statali. Per comprendere meglio questa dinamica, è utile esplorare le ragioni della permanenza (benefici della vita statale, difficoltà della fuga, controllo statale sulla mobilità) e le interazioni complesse tra stati e popolazioni non statali. Approfondire gli studi di antropologia politica e storia comparata, leggendo autori come James C. Scott, può offrire prospettive diverse su come gli stati antichi gestivano (o non gestivano) la mobilità delle popolazioni e quali alternative esistevano al di fuori del loro controllo.3. La ricchezza delle zone umide
Le prime comunità che iniziano a vivere stabilmente in un luogo non nascono principalmente in zone secche grazie all’agricoltura che usa l’acqua, ma si sviluppano nelle terre piene d’acqua. Un esempio è la Mesopotamia meridionale tra il sesto e il settimo millennio avanti Cristo, che era una vasta zona paludosa, non un deserto. Questo ambiente, ricco di risorse come pesci, uccelli, tartarughe e piante acquatiche, permetteva a molte persone di vivere lì senza dover dipendere dall’irrigazione intensiva delle coltivazioni di cereali.Un ambiente ricco e fertile
La pianura alluvionale funziona come una spugna, assorbendo l’acqua delle inondazioni e rilasciandola piano piano. Le piene che arrivano ogni anno allagano naturalmente i terreni più bassi, rendendoli fertili per le coltivazioni. Le persone che ci abitano vivono su piccole zone più alte e sfruttano la grande varietà di risorse che si trovano nelle terre umide. La grande quantità e varietà di cibo proveniente da piante e piccoli animali acquatici aiuta le persone a fermarsi in un luogo fisso, più di quanto farebbe la caccia a grandi animali.Vivere al confine tra mondi diversi
Spesso i villaggi si trovano dove finisce una zona e ne inizia un’altra, ad esempio tra acqua dolce e salmastra, o tra zone che si allagano e zone asciutte. Questo permette di avere accesso a tante risorse diverse senza doversi spostare molto. Vivere in questo ambiente offre un modo di sostenersi più sicuro e richiede meno fatica rispetto all’agricoltura agli inizi. Il trasporto sull’acqua è un altro vantaggio fondamentale, molto utile per scambiare merci.La storia che non ha visto le zone umide
L’importanza di queste origini nelle terre umide è stata spesso dimenticata perché la storia tradizionale lega la nascita della civiltà all’agricoltura praticata nelle zone secche e ai cereali più conosciuti. Le zone umide sono state viste come aree selvagge da prosciugare per poterle “civilizzare”. Eppure, molte altre antiche comunità stabili in diverse parti del mondo mostrano di aver dipeso in modo simile dalle risorse che le zone umide offrivano.Popolazioni flessibili, non specializzate
Le popolazioni antiche dimostrano una grande capacità di adattarsi, mescolando caccia, raccolta, pesca, allevamento di animali e agricoltura a seconda di come era l’ambiente intorno a loro. Non iniziano subito a praticare un’agricoltura molto intensa, anche se hanno a disposizione piante e animali che potrebbero addomesticare. La sicurezza e il benessere derivano dalla capacità di usare una grande varietà di risorse, senza specializzarsi in una sola attività. La differenza tra chi caccia e raccoglie, chi alleva animali e chi coltiva è molto sfumata; questi termini descrivono diverse attività che le stesse comunità praticavano.Se le ‘fondamenta’ dello stato antico sono solo grano, malattie e schiavitù, non stiamo forse trascurando le complessità politiche e sociali?
Il capitolo presenta una visione focalizzata su fattori materiali ed economici, ma la nascita dello stato antico è un fenomeno più complesso. Concentrarsi solo su cereali, malattie e controllo della manodopera rischia di trascurare le dinamiche politiche, lo sviluppo di ideologie di potere, il ruolo della guerra come fattore organizzativo e le diverse vie alla statualità non legate ai cereali. Per approfondire, è utile considerare le prospettive dell’antropologia politica e dell’archeologia, e leggere autori che offrono visioni critiche o complementari, come James C. Scott.17. Stati e confini porosi
Gli stati antichi mostravano una debolezza di base nella loro struttura. Questa fragilità profonda era causata da diversi fattori interni che ne minavano la stabilità nel tempo. Problemi ambientali come il taglio massiccio delle foreste, l’erosione del terreno fertile e l’aumento del sale nei campi rendevano sempre più difficile produrre cibo sufficiente per la popolazione e mantenere le strutture statali necessarie. Allo stesso tempo, le malattie epidemiche si diffondevano facilmente, soprattutto nelle aree con molte persone e intensi scambi commerciali. Queste epidemie provocavano un forte calo della popolazione e disorganizzavano la società, indebolendo ulteriormente il potere centrale dello stato.Il rapporto con le popolazioni esterne
Un elemento cruciale della fragilità statale era il modo in cui gli stati interagivano con le popolazioni che vivevano al di fuori del loro controllo diretto o ai loro margini. Queste comunità, spesso chiamate “barbari” dagli stati stessi, rappresentavano sia una risorsa potenziale da sfruttare che una minaccia costante alla sicurezza e alla stabilità. Gli stati cercavano attivamente di sottometterle per ottenere tributi regolari, manodopera per i lavori pubblici o soldati da arruolare nei loro eserciti. Tuttavia, i tentativi di tassare o forzare queste popolazioni avevano spesso l’effetto opposto a quello desiderato. La pressione statale spingeva le persone a fuggire verso territori meno controllati, come zone montuose, foreste dense o aree di confine difficili da raggiungere, riducendo così la base di potere e le risorse disponibili per lo stato.La forza delle comunità non statali e le crisi statali
Le popolazioni non statali, come i pastori nomadi o i gruppi che abitavano regioni isolate e inaccessibili, possedevano una grande mobilità e una notevole capacità di adattarsi alle difficoltà e ai cambiamenti. Sapevano sfruttare i momenti di debolezza dello stato centrale per compiere incursioni e razzie, che potevano destabilizzare gravemente le società agricole sedentarie su cui si basavano gli stati e interrompere i commerci. Nonostante i conflitti, esisteva anche una complessa rete di scambi reciproci e interdipendenza, che includeva commerci di beni, pagamenti di tributi in entrambe le direzioni e l’integrazione di gruppi non statali all’interno delle strutture statali in determinate circostanze. I periodi in cui gli stati attraversavano crisi profonde diventavano spesso un momento favorevole per queste popolazioni esterne. La riduzione del controllo centrale e le nuove opportunità di razzia o commercio permettevano loro di prosperare e aumentare la propria influenza. La “caduta” di uno stato, quindi, poteva significare non solo la sua distruzione completa, ma anche una dispersione del potere su base locale o una fuga significativa dei suoi sudditi verso forme di vita meno rigidamente organizzate e controllate.Questo modello di ‘fragilità intrinseca’ e ‘confini porosi’ descrive veramente la realtà di tutti gli stati antichi, o rischia di essere una generalizzazione eccessiva che ignora le notevoli differenze tra le varie civiltà e periodi storici?
Il capitolo presenta un modello suggestivo, ma la sua applicazione universale potrebbe trascurare le significative variazioni storiche. Alcuni stati antichi dimostrarono notevole resilienza e capacità di gestire le relazioni esterne in modi complessi. Per approfondire, è utile studiare la storia comparata delle civiltà antiche, analizzando casi specifici e confrontandoli. Autori come Moses Finley o S.N. Eisenstadt offrono spunti critici sulla natura e la longevità degli stati antichi e i loro rapporti con le società non statali.Abbiamo riassunto il possibile
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