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“Le illusioni dell’Occidente. Alle origini della crisi del mondo moderno” di Pankaj Mishra non è il solito libro che parla della crisi Occidente come se fosse spuntata fuori dal nulla. Mishra scava a fondo, mostrando come i problemi di oggi, dal nazionalismo che riemerge alla disuguaglianza globale, siano legati a doppio filo con la storia dell’imperialismo e del razzismo che hanno plasmato il mondo moderno. Mette in discussione le idee di liberalismo e libero mercato che l’Occidente ha promosso, spesso con la forza, evidenziando come abbiano fallito nel creare una società giusta e abbiano anzi aumentato la disuguaglianza. Parla di come eventi come la Brexit o l’elezione di Trump, o anche la gestione della pandemia, mostrino le fragilità di sistemi come quello angloamericano, confrontandoli con approcci diversi visti in Asia. Tocca temi come la “crisi dell’uomo” in un mondo globalizzato dominato dalla logica economica e la disconnessione delle élite. È un libro che ti fa guardare la geopolitica e le relazioni internazionali da una prospettiva diversa, meno centrata sull’Occidente e più consapevole delle origini storiche e delle “illusioni” che ancora ci portiamo dietro, offrendo una lettura essenziale per capire la storia moderna e le sue conseguenze attuali.Riassunto Breve
Le preoccupazioni attuali sul declino occidentale e le paure verso altre culture, come l’Islam, riprendono vecchie idee di superiorità razziale. Autori promuovono visioni neo-imperialiste che esaltano il passato coloniale, ignorando la violenza e lo sfruttamento. La paura dell’immigrazione, specialmente quella musulmana, viene presentata come una minaccia demografica e culturale, riattivando temi di esclusione razziale già usati in passato. La Prima Guerra Mondiale non fu solo una tragedia europea, ma l’esito di un ordine globale basato sulla gerarchia razziale e sulla violenza coloniale, una brutalità che poi tornò in Europa. L’idea di “essere bianchi” divenne un’identità forte, e oggi, con il cambiamento del dominio occidentale, riemergono visioni suprematiste e nazionalismi xenofobi. La violenza imperialista ha corrotto la morale e si manifesta ancora oggi.L’espressione individuale, come nel caso del romanzo *I versi satanici*, può avere conseguenze politiche globali in un mondo connesso. La reazione occidentale spesso vede uno scontro tra laicità e religione, mentre le comunità musulmane percepiscono un attacco alla loro identità nel contesto del potere occidentale. L’internazionalismo liberale di Wilson, basato sull’autodeterminazione, deluse le nazioni colonizzate perché influenzato da pregiudizi razziali e compromessi imperiali. Questo fallimento spinse molti leader anticoloniali a cercare alternative al liberalismo, visto come uno strumento ipocrita del dominio. Il liberalismo occidentale, legato a colonialismo e capitalismo, incontrò resistenza in Asia, dove concetti come individualismo furono adattati o rifiutati in favore di modelli che privilegiavano la forza nazionale e l’intervento statale per garantire sovranità e benessere collettivo.L’epoca moderna, con il capitalismo globale e la perdita di riferimenti, crea una crisi per l’individuo. Negli Stati Uniti, la discussione sulla “crisi dell’uomo” portò a una visione dell’individuo come *homo oeconomicus*. Questa visione si traduce in disuguaglianze estreme e una lotta per la sopravvivenza, dove la speranza diventa privata e la mancanza di solidarietà crea una “zona grigia”. Corruzione e indifferenza istituzionale rafforzano questo darwinismo sociale. Di fronte alla perdita di significato, alcuni propongono un ritorno a una “saggezza antica” basata su miti e gerarchie, spesso legate a tradizioni illiberali che promuovono dominio e disprezzo per la compassione. La ricerca di risposte semplici contribuisce a una “devastazione morale” e all’ascesa di ideologie pericolose. La crisi dell’uomo è una lotta per l’esistenza in un mondo dominato dalla logica economica e dalla mancanza di valori condivisi.La reazione di molti commentatori liberali angloamericani a Brexit e Trump mostra timore per il declino occidentale. Queste élite tendono a incolpare le politiche identitarie o il multiculturalismo, ignorando le disuguaglianze economiche create dalle politiche neoliberiste che hanno sostenuto. La paura della diversità culturale riflette ansie di élite, non nuove, dato che il liberalismo storico ha spesso convissuto con nazionalismo e razzismo. L’analisi di Ta-Nehisi Coates sull’eredità della supremazia bianca è accolta, ma vista come limitata perché non collega sufficientemente la giustizia razziale interna all’imperialismo e alla disuguaglianza economica globale. Il movimento per i diritti umani, nella sua forma occidentale post-Guerra Fredda, è criticato per essere diventato uno strumento che giustifica l’intervento e ignora la disuguaglianza economica globale. La crisi attuale del liberalismo crea spazio per riconsiderare ideali di uguaglianza economica e redistribuzione.Una critica si concentra su una forma di liberalismo guidata dall’interesse personale e dalla proprietà, vista come una “ultima religione”. Questa visione, basata sul dispotismo della proprietà, è imposta anche con la forza statale e promossa da élite. Le azioni di queste élite mostrano mancanza di preparazione e focus sui propri vantaggi, come nella partizione dell’India o nella Brexit, causando sofferenze e instabilità. Pubblicazioni influenti hanno sostenuto questo liberalismo, promuovendo il libero mercato e l’espansione globale, spesso giustificando l’intervento militare. Questa prospettiva ha resistito alle richieste di giustizia sociale e democrazia. Questa ideologia, legata al potere economico e politico, ha plasmato il mondo ma è vista come responsabile di disuguaglianze e instabilità. La crisi non è un fallimento dell’idea di libertà, ma dei suoi sostenitori che, agendo per tornaconto, hanno perso legittimazione.Il sistema inglese è caratterizzato da privilegio e disuguaglianze radicate, con una classe dirigente incapace e un’economia basata sul profitto, come già notato da Orwell. L’identità inglese è legata all’impero e alla superiorità razziale, sfruttata da figure come Enoch Powell per un nazionalismo ostile agli immigrati, culminato nella Brexit. Gran Bretagna e Stati Uniti, modelli di progresso e libero mercato, hanno mostrato fragilità durante la pandemia di Covid-19. Leader come Johnson e Trump hanno minimizzato il virus, dimostrando incompetenza e disprezzo per gli esperti, causando molte morti e mettendo a nudo sistemi sanitari e sociali indeboliti da decenni di politiche di stato minimo. Altri paesi, come Corea del Sud, Taiwan, Cina e Germania, hanno gestito meglio la crisi grazie a un ruolo più forte dello Stato nella sanità pubblica e nell’economia. Questi paesi hanno riconosciuto la necessità di uno Stato che garantisca protezione sociale e coesione nazionale, un concetto trascurato nell’Angloamerica a favore dell’individualismo e del mercato. La pandemia ha rivelato il fallimento del modello angloamericano nel proteggere i cittadini e ridurre le disuguaglianze, imponendo una revisione e un riconoscimento della necessità di uno Stato che agisca per l’interesse collettivo.Riassunto Lungo
1. Il peso della storia razziale sull’Occidente
Le preoccupazioni attuali riguardo a un presunto declino della civiltà occidentale e la percezione di una minaccia proveniente da altre culture, in particolare l’Islam, affondano le loro radici in antiche concezioni di superiorità basate sulla razza. Alcuni autori, come Niall Ferguson, propongono una visione che richiama il passato imperialista, esaltando i presunti benefici dell’impero britannico e suggerendo un ruolo simile per gli Stati Uniti nel mondo di oggi. Questa prospettiva, tuttavia, tende a trascurare la violenza diffusa e lo sfruttamento brutale che hanno caratterizzato l’era coloniale, sminuendo al contempo i contributi fondamentali che altre civiltà hanno apportato alla storia umana.Le paure legate all’immigrazione
Una manifestazione concreta di queste ansie contemporanee si osserva nella paura dell’immigrazione, specialmente quella proveniente da paesi a maggioranza musulmana. Questa paura viene spesso presentata come una minaccia incombente per l’equilibrio demografico e l’identità culturale dell’Europa. Tale narrazione, tuttavia, tende a semplificare eccessivamente la realtà complessa e variegata delle comunità musulmane presenti in Europa e rievoca pericolosamente temi di esclusione basati sulla razza che si sono manifestati in passato contro altri gruppi, come ad esempio la comunità ebraica.Radici storiche e violenza imperialista
La Prima Guerra Mondiale, sebbene spesso studiata come un conflitto circoscritto all’Europa, fu in realtà profondamente influenzata dall’imperialismo razzista che aveva dominato il secolo precedente. Le grandi potenze europee e gli Stati Uniti condividevano una visione del mondo basata su una rigida gerarchia razziale, che giustificava la violenza e il dominio nei territori coloniali. La brutalità sistematica e disumanizzante sperimentata per decenni nelle colonie in Asia e Africa finì per ripercuotersi e manifestarsi anche sul suolo europeo durante il conflitto.L’identità razziale e il suo lascito
Verso la fine del XIX secolo, l’idea di “essere bianchi” assunse una rilevanza quasi religiosa, offrendo un senso di identità e una posizione di potere in un mondo che cambiava rapidamente. Oggi, con l’indebolimento del dominio occidentale a livello globale, assistiamo a una preoccupante riemersione di visioni suprematiste e a un aumento dei nazionalismi xenofobi. La logica di dominio e la violenza intrinseca all’imperialismo hanno lasciato un segno profondo, corrompendo sia la morale pubblica che quella privata. Questa eredità si manifesta ancora oggi in conflitti come la cosiddetta “guerra al terrore” e nelle crescenti tensioni politiche che caratterizzano il nostro tempo. Comprendere la storia dell’imperialismo basato sulla razza è essenziale per analizzare le crisi attuali e riconoscere il pericolo di un ritorno a forme estreme di esclusione e conflitto.Il capitolo lega strettamente le ansie occidentali contemporanee e le paure legate all’immigrazione a radici storiche razziali e all’eredità imperialista; ma questa prospettiva non rischia di semplificare eccessivamente un quadro ben più complesso?
Il capitolo, pur evidenziando giustamente il peso cruciale della storia razziale, potrebbe beneficiare di un’analisi più sfaccettata delle cause delle ansie contemporanee. Non considerare appieno fattori socio-economici, politici e culturali non direttamente riconducibili alla sola matrice razziale rischia di offrire una visione parziale. Per approfondire, sarebbe utile esplorare la sociologia delle migrazioni, gli studi sulla globalizzazione e le analisi geopolitiche contemporanee. Autori che trattano la complessità delle identità nel mondo globalizzato o le molteplici fonti di insicurezza sociale potrebbero offrire prospettive integrative.2. Ideali e realtà: il confronto globale
L’espressione individuale, come quella che si trova nei libri, può avere conseguenze politiche inaspettate nel mondo. Un esempio forte è il romanzo I versi satanici di Salman Rushdie. Anche se l’autore aveva intenzioni artistiche, il libro ha scatenato proteste in tutto il mondo e una condanna a morte. Questo dimostra che la letteratura può creare problemi politici imprevedibili, soprattutto in un mondo dove tutto è collegato. Spesso, in Occidente, questo tipo di scontro viene visto come una lotta tra chi usa la ragione e chi segue il fanatismo religioso. Invece, molte comunità musulmane hanno sentito il libro come un attacco alla loro storia e alla loro identità, considerando anche il potere che l’Occidente ha nel mondo.Ideali liberali e delusioni coloniali
Dopo la Prima Guerra Mondiale, il presidente americano Woodrow Wilson propose l’idea di un mondo basato sulla libertà dei popoli di scegliere il proprio destino. Questa proposta fece nascere speranza nelle nazioni che erano sotto il dominio di altri paesi. Tuttavia, quando si arrivò alla Conferenza di Pace a Parigi, le azioni di Wilson non furono coerenti con le sue parole. Influenzato da idee sbagliate sulle razze e dai compromessi con le grandi potenze europee che avevano colonie, Wilson deluse le aspettative di molti. Non sostenne davvero la libertà per i popoli non europei. Questo fallimento spinse molti leader delle nazioni oppresse a cercare strade diverse dal modello occidentale. Si orientarono verso l’idea di uno Stato nazionale forte o altre visioni politiche, perché sentivano che gli ideali di libertà occidentali erano usati in modo falso per mantenere il dominio coloniale.L’Asia risponde al liberalismo occidentale
Le idee occidentali sulla libertà, che sono state a lungo legate al colonialismo e al modo di fare economia basato sul profitto, hanno trovato resistenza in Asia. Concetti come l’importanza del singolo individuo o il mercato libero senza regole sono stati cambiati o rifiutati. Molti hanno preferito modelli che davano più importanza alla forza della nazione e all’intervento dello Stato nell’economia. Pensatori in paesi come l’India, la Cina e il Giappone hanno preso alcune idee occidentali, ma le hanno adattate alle loro tradizioni e ai loro bisogni. Volevano modernizzare il paese e difendersi dall’invasione straniera. La cosa più importante per loro era costruire uno Stato solido, capace di proteggere il paese e garantire il benessere di tutti, piuttosto che concentrarsi solo sui diritti del singolo cittadino. Questo mostra che le idee occidentali sulla libertà, nate in luoghi e momenti specifici, non funzionano allo stesso modo ovunque. La loro accettazione nel mondo non occidentale è stata molto influenzata dalla storia del dominio e dello sfruttamento da parte delle potenze europee.Ma siamo certi che il rifiuto o l’adattamento delle idee liberali occidentali nel mondo non-occidentale sia stato solo una reazione al colonialismo?
Il capitolo lega in modo stringente l’accoglienza delle idee liberali occidentali nel mondo non-occidentale alla storia del colonialismo e alla percezione dell’ipocrisia delle potenze europee e americane. Sebbene questo legame sia innegabilmente fondamentale, l’argomentazione potrebbe risultare più completa esplorando le molteplici ragioni che hanno guidato le scelte politiche e ideologiche in Asia e in altre aree. Le tradizioni filosofiche e politiche autoctone, le specifiche condizioni sociali ed economiche interne a ciascun contesto, e l’influenza di correnti di pensiero diverse dal liberalismo classico hanno contribuito in maniera significativa. Per approfondire questa complessità, è consigliabile studiare la storia intellettuale e politica dei movimenti anti-coloniali e post-coloniali. Utile sarebbe leggere autori che hanno analizzato il nazionalismo, il socialismo e altre forme di pensiero politico nel contesto non-occidentale, come Frantz Fanon o Edward Said, o figure chiave dei movimenti di indipendenza nelle diverse regioni. Discipline come la storia globale, gli studi post-coloniali e la storia comparata delle idee politiche offrono prospettive essenziali.3. La Crisi dell’Uomo nell’Era Globale
L’epoca moderna, segnata dal diffondersi del capitalismo globale e dalla perdita dei punti di riferimento tradizionali, porta con sé una profonda crisi che riguarda sia l’individuo che l’intera società. A metà del Novecento, negli Stati Uniti, gli intellettuali discutono intensamente questa “crisi dell’uomo”. Le loro riflessioni sono influenzate dalle drammatiche esperienze europee di guerra e totalitarismo. In America, però, questa discussione si intreccia con la forte crescita economica e con i principi del liberalismo, portando a definire l’uomo principalmente come un homo oeconomicus, una figura mossa soprattutto da interessi economici.Le conseguenze della logica economica
Questa visione centrata sull’economia ha conseguenze evidenti e spesso brutali. Si manifesta in disuguaglianze sociali molto marcate e in una lotta quasi selvaggia per la sopravvivenza, come si può osservare in luoghi di estrema povertà come uno slum di Mumbai. In questi contesti difficili, la speranza diventa un fatto privato e isolato, e la mancanza di solidarietà tra le persone crea una sorta di “zona grigia” dove i più poveri finiscono per competere tra loro per le scarse risorse disponibili. La diffusa corruzione e l’indifferenza mostrata dalle istituzioni verso queste condizioni non fanno altro che rafforzare questo spietato darwinismo sociale, dove solo i più forti o i più astuti sembrano avere una possibilità.Le risposte alla crisi
Di fronte a questa perdita di significato e ai problemi creati dalla logica economica, emergono alcune figure che propongono di tornare a una “saggezza antica”. Queste idee si basano spesso su miti e sull’idea di gerarchie rigide, e sono legate a tradizioni che rifiutano i principi liberali e tendono verso l’autoritarismo. Chi le propone promuove una visione del mondo fondata sul dominio e sul disprezzo per la compassione e la solidarietà. La ricerca di risposte facili e immediate e il rifiuto di affrontare la complessità del mondo contribuiscono a una vera e propria “devastazione morale”. Questo terreno fertile favorisce la crescita e l’ascesa di ideologie pericolose che minacciano i valori democratici e umani. La crisi dell’uomo, quindi, si manifesta su scala globale come una difficile lotta per l’esistenza in un mondo dominato dalla pura logica economica e dalla mancanza di valori condivisi che possano unire le persone.Ma esiste davvero un unico, monolitico “liberalismo” guidato da un’unica “élite” che agisce solo per tornaconto?
Il capitolo presenta una critica forte e mirata a una specifica visione del liberalismo e alle azioni di quelle che definisce “élite”. Tuttavia, l’argomentazione potrebbe beneficiare di una maggiore distinzione tra le diverse correnti del pensiero liberale e un’analisi più sfumata della composizione e delle motivazioni delle “élite”. Per approfondire queste tematiche e comprendere la complessità del pensiero liberale e delle dinamiche di potere, potrebbe essere utile esplorare la filosofia politica, leggendo autori come John Stuart Mill o John Rawls, e la sociologia del potere, con riferimenti a Gaetano Mosca o Vilfredo Pareto.6. La Fragilità Angloamericana e la Forza dello Stato
Il sistema inglese si distingue per un radicato privilegio e forti disuguaglianze. Già nel 1941, George Orwell criticava una classe dirigente che riteneva incapace e un’economia concentrata unicamente sul profitto. Questa analisi mantiene la sua validità ancora oggi, con strutture politiche e sociali antiche che favoriscono i più ricchi. L’identità inglese appare costruita come una rappresentazione teatrale legata all’idea di impero e a una presunta superiorità razziale, un aspetto evidenziato anche da V.S. Naipaul. Figure come Enoch Powell hanno saputo sfruttare questo passato imperiale per costruire un nazionalismo fondato sull’ostilità verso gli immigrati, un sentimento che ha trovato espressione nella Brexit.La risposta alla pandemia tra fragilità e negazione
Gran Bretagna e Stati Uniti, spesso presentati come modelli di progresso e libero mercato, hanno mostrato inaspettata fragilità durante la pandemia di Covid-19. Nonostante gli avvisi, i leader di allora, Boris Johnson e Donald Trump, hanno minimizzato la minaccia del virus, dimostrando incompetenza e disprezzo per le opinioni degli esperti. Questo atteggiamento ha contribuito a un elevato numero di morti che avrebbero potuto essere evitate. La crisi ha messo a nudo la debolezza dei sistemi sanitari e sociali, indeboliti da decenni di politiche ispirate al concetto di “stato minimo” e deregolamentazione, promosse da figure come Ronald Reagan e Margaret Thatcher.Modelli alternativi: la forza dello Stato in altri paesi
Altri paesi hanno gestito la crisi sanitaria in modo più efficace. In particolare, nazioni dell’Estremo Oriente come Corea del Sud, Taiwan e Cina, ma anche la Germania, hanno dimostrato maggiore resilienza. Il loro successo è legato a un ruolo più incisivo e attivo dello Stato sia nella sanità pubblica sia nell’economia. Questi paesi, considerati “tardi modernizzatori”, hanno saputo imparare dalla storia, riconoscendo l’importanza di uno Stato capace di garantire protezione sociale e coesione nazionale, un principio che nell’Angloamerica è stato storicamente messo in secondo piano a favore dell’individualismo e delle logiche di mercato.Il fallimento di un modello e la necessità di cambiare
Il modello angloamericano, basato sulla convinzione che il mercato possa risolvere ogni problema e che la democrazia sia garanzia di buon governo, non è riuscito a proteggere adeguatamente i cittadini e a ridurre le disuguaglianze durante la pandemia. La sua promozione a livello globale, talvolta imposta con la forza, ha spesso generato caos e instabilità. La crisi attuale rende evidente la necessità di superare queste narrazioni e riconoscere il ruolo fondamentale di uno Stato che agisca per l’interesse di tutta la collettività.È davvero sufficiente contrapporre un generico “stato forte” a un altrettanto generico “stato minimo” per spiegare le diverse risposte alla pandemia?
Il capitolo presenta una dicotomia netta tra il modello angloamericano e quello di altri paesi, attribuendo il successo o il fallimento nella gestione della crisi sanitaria quasi esclusivamente al grado di interventismo statale. Tuttavia, la realtà delle risposte alla pandemia è stata influenzata da una pluralità di fattori che vanno ben oltre la semplice dimensione dello Stato, includendo specifici sistemi sanitari, fiducia nelle istituzioni, cultura civica, preparazione preesistente, e persino fattori geografici e demografici. Ridurre tutto a un confronto tra “stato minimo” e “stato forte” rischia di ignorare queste complessità. Per approfondire, sarebbe utile esplorare studi di politica comparata che analizzano le diverse “varietà di capitalismo” e i loro impatti sociali, ricerche specifiche sulla governance sanitaria globale, e analisi economiche che considerino l’interazione tra mercato, Stato e società in contesti diversi.Abbiamo riassunto il possibile
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