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Informazioni
“Lavori di merda. Una teoria” di David Graeber ti sbatte in faccia una realtà assurda: un sacco di gente ha lavori che, onestamente, pensa siano totalmente inutili. Non parliamo di lavori mal pagati o faticosi, ma di quelle occupazioni, spesso in uffici, nel settore finanziario o nella burocrazia aziendale, dove ti senti pagato per non fare nulla di valore e devi pure fingere che abbia un senso. Graeber chiama questi “lavori senza senso” o “bullshit jobs” e li classifica in tipi strani, come tirapiedi o barracaselle, mostrando come questa inutilità del lavoro non renda le persone felici, anzi, crei un’infelicità profonda perché ci toglie il senso del lavoro, la sensazione di avere un impatto reale sul mondo. L’autore scava nelle cause di questa diffusione, puntando il dito contro il managerialismo rampante e un certo tipo di settore finanziario che sembra creare solo burocrazia superflua, un sistema che assomiglia quasi a un nuovo feudalesimo. Questa situazione genera un sacco di risentimento sociale, perché chi fa lavori utili è spesso sottopagato mentre chi fa lavori inutili è benestante. Ma Graeber non si ferma alla critica, lancia l’idea che forse un reddito minimo universale potrebbe essere la chiave per liberarci da questa assurdità e permetterci di fare lavori che hanno davvero un senso.Riassunto Breve
Un lavoro senza senso è un’occupazione pagata che chi la svolge ritiene inutile, superflua o dannosa, sentendosi costretto a fingere che abbia uno scopo. Questa valutazione si basa sulla percezione soggettiva del lavoratore, considerata la misura più affidabile del valore sociale di un’attività. A differenza dei lavori necessari ma mal pagati, i lavori senza senso sono spesso ben retribuiti e offrono buone condizioni, ma generano profondo disagio per la loro inutilità percepita. Questi lavori non sono limitati al settore pubblico, ma sono diffusi anche nel privato, spesso creati da una burocrazia crescente e da strutture complesse di subappalto. Esistono diverse categorie di lavori senza senso, come i tirapiedi che esistono per far sentire importanti altri, gli sgherri che svolgono compiti aggressivi o manipolativi, i ricucitori che risolvono problemi evitabili, i barracaselle che creano l’illusione di attività, e i supervisori che generano compiti superflui. La percezione di inutilità è diffusa, specialmente tra i dipendenti, e si basa sulla mancanza di un contributo percepito al bene comune. L’infelicità in questi lavori deriva dalla mancanza di scopo e dalla sensazione di falsità; gli esseri umani non sono solo motivati dal guadagno, ma cercano un senso di utilità e un impatto sulla realtà. Essere pagati per non fare nulla di valore mina il senso di sé e genera confusione e depressione. La necessità di fingere di essere occupati e l’ambiguità delle regole creano ansia e incertezza. La consapevolezza di non produrre nulla di utile è devastante per l’identità personale e il senso di efficacia. Questo può portare a dinamiche di potere negative e conseguenze significative sulla salute mentale e fisica, inclusi stress, depressione e senso di colpa. L’aumento dei lavori senza senso non è un fenomeno marginale, ma una caratteristica crescente delle economie globali, alimentata dalla finanziarizzazione e dall’ascesa del managerialismo, che crea gerarchie complesse e posizioni superflue, una sorta di nuovo feudalesimo basato sulla rendita e sulla gestione piuttosto che sulla produzione. La società accetta paradossalmente queste occupazioni inutili, nonostante la sofferenza che causano, a causa di una visione moralistica del lavoro che lo considera un valore in sé, indipendentemente dal suo scopo. Questa mentalità, radicata in idee storiche sul lavoro come sacrificio e disciplina, porta a un’inversione per cui i lavori più utili alla società sono spesso i meno pagati. La diffusione dei lavori senza senso è vista anche come una conseguenza della paura delle élite verso le masse disoccupate, mantenendo il potere del capitale finanziario e generando risentimento tra le classi. L’automazione non ha liberato dal lavoro, ma ha contribuito alla creazione di questi lavori inutili. La vera ragione dell’organizzazione del lavoro è spesso politica, non economica. Una possibile soluzione è il reddito minimo universale, che separerebbe il lavoro dal sostentamento, ridurrebbe la burocrazia e darebbe alle persone la libertà di scegliere lavori significativi, portando a una distribuzione del lavoro più efficiente e a una società più libera.Riassunto Lungo
1. Definizione e Diffusione dei Lavori Senza Senso
Un lavoro senza senso è un’occupazione retribuita che chi la svolge considera inutile, superflua o dannosa, e per la quale si sente obbligato a fingere che abbia una ragione d’esistere. Questa definizione si basa sulla percezione soggettiva del lavoratore, ritenuta la più accurata valutazione disponibile. Il valore sociale di un lavoro, infatti, è determinato in gran parte da come le persone lo percepiscono.I lavori “di merda”
Molti lavori, pur essendo necessari, sono mal pagati e considerati “di merda”. Al contrario, i lavori senza senso sono spesso ben retribuiti e offrono buone condizioni. Tuttavia, lasciano chi li svolge con la consapevolezza della loro inutilità. Questa distinzione è importante perché i due tipi di lavoro, pur essendo entrambi opprimenti, generano forme diverse di disagio. Esistono anche lavori che sono in parte senza senso, ma questo testo si concentra su quelli totalmente inutili.Settore pubblico e privato
Contrariamente a quanto si crede, i lavori senza senso non sono confinati al settore pubblico, ma sono diffusi anche nel settore privato. Le riforme del mercato, lungi dal ridurre la burocrazia, spesso la aumentano, creando una rete di subappalti che rende difficile distinguere tra pubblico e privato.Pregiudizi sui lavori senza senso
L’idea che le donne siano più inclini a svolgere lavori senza senso è un pregiudizio sessista. Un altro stereotipo è l’opinione comune che i parrucchieri svolgano un lavoro inutile. La maggior parte dei parrucchieri crede nel valore del proprio lavoro, che fornisce un contributo tangibile alla società. L’idea che siano inutili nasce da un pregiudizio di classe e di genere.Conseguenze sociali
La crescente insensatezza nel mondo del lavoro è un problema sociale che colpisce soprattutto il ceto medio e il lavoro di cura, mentre i lavori manuali ne sono meno interessati. La diffusione dei lavori senza senso è tale che si stima che almeno la metà del lavoro svolto nella società potrebbe essere eliminato senza conseguenze negative. Questa situazione porta a una società in cui le persone sono costrette a svolgere compiti inutili, generando risentimento e disprezzo verso chi svolge lavori utili e chi non lavora.Se la percezione soggettiva del lavoratore è la “più accurata valutazione disponibile” per definire un lavoro come “senza senso”, come possiamo giustificare l’affermazione che “almeno la metà del lavoro svolto nella società potrebbe essere eliminato senza conseguenze negative”? Non è questa una contraddizione che mina l’intera premessa del capitolo?
Il capitolo si basa sulla percezione soggettiva del lavoratore per definire i “lavori senza senso”, il che è comprensibile data la difficoltà di una valutazione oggettiva. Tuttavia, questa definizione soggettiva viene poi utilizzata per fare un’affermazione oggettiva e quantitativa sull’inutilità di “almeno la metà” del lavoro svolto. Questo passaggio appare come un salto logico non giustificato. Per colmare questa lacuna, sarebbe utile approfondire discipline come la sociologia del lavoro, l’economia comportamentale e la psicologia sociale, che possono offrire strumenti per analizzare la discrepanza tra percezione individuale e realtà sociale. In particolare, si potrebbero approfondire autori che hanno studiato il fenomeno dell’alienazione nel lavoro e la costruzione sociale del valore.2. L’analisi dei lavori senza senso
I lavori senza senso si suddividono in cinque categorie principali: tirapiedi, sgherri, ricucitori, barracaselle e supervisori.Tirapiedi e sgherri
I tirapiedi esistono per far sentire importanti altre persone, svolgendo spesso compiti superflui e senza reale utilità. Gli sgherri, invece, svolgono lavori che hanno una natura aggressiva o manipolativa, come ad esempio quelli nel campo del marketing o del telemarketing. Molti lavoratori in queste posizioni considerano il proprio lavoro socialmente inutile o addirittura dannoso.Ricucitori e barracaselle
I ricucitori sono impiegati per risolvere problemi che, idealmente, non dovrebbero esistere. Questi problemi sono spesso causati da errori di sistema o dall’incompetenza dei superiori. I barracaselle hanno il compito di far sembrare che un’organizzazione stia svolgendo un’attività che, in realtà, non svolge. Questo può includere la compilazione di moduli inutili o la creazione di rapporti che nessuno leggerà mai.Supervisori e lavori di secondo livello
I supervisori si possono dividere in due tipi: quelli che assegnano compiti superflui e quelli che creano attivamente nuovi lavori senza senso per altri. Esistono, inoltre, lavori di secondo livello che, pur non essendo senza senso di per sé, lo diventano perché svolti a supporto di aziende che non hanno uno scopo reale o che si dedicano ad attività superflue.Categorie non nette e percezione soggettiva
Queste categorie non sono sempre nettamente distinte e un lavoro può rientrare in più di una di esse. Per esempio, un barracaselle può essere anche un tirapiedi, o un ricucitore può diventare un tirapiedi se i suoi compiti cambiano nel tempo. Alcuni lavori, come quelli definiti “paracolpi”, sono difficili da classificare perché, pur essendo sgradevoli, svolgono una funzione reale, come la gestione delle lamentele dei clienti. La percezione di un lavoro come “senza senso” è spesso soggettiva, ma si basa su criteri impliciti di valore sociale. Molti lavoratori ritengono che il loro lavoro non contribuisca al bene comune o che sia addirittura dannoso per la società.Il giudizio di chi svolge il lavoro
Questa sensazione di inutilità è più diffusa tra i dipendenti che tra i dirigenti, i quali spesso non riconoscono l’inutilità dei lavori che creano o supervisionano. La chiave per comprendere quali lavori siano realmente senza senso risiede nel giudizio di chi li svolge e nel valore che questi attribuiscono al proprio lavoro in relazione al contributo che esso apporta alla società.Se la percezione di un lavoro come “senza senso” è così soggettiva, come possiamo pretendere di classificare oggettivamente i lavori in queste categorie, e non stiamo forse correndo il rischio di sminuire il valore di lavori che, pur non piacendoci, apportano un contributo alla società, magari in modi che non comprendiamo appieno?
Il capitolo, pur offrendo una categorizzazione interessante dei “lavori senza senso”, si basa in modo preponderante sulla percezione soggettiva dei lavoratori. Questo approccio, se da un lato è comprensibile, dall’altro rischia di tralasciare la complessità del tessuto economico e sociale. Per colmare questa lacuna, sarebbe utile approfondire discipline come la sociologia del lavoro, l’economia comportamentale e la psicologia sociale, per comprendere meglio come il valore del lavoro venga percepito e negoziato all’interno di contesti specifici. Autori come Richard Sennett o Arlie Hochschild, che hanno indagato le trasformazioni del lavoro contemporaneo e l’impatto emotivo di queste sui lavoratori, potrebbero fornire spunti di riflessione interessanti. Inoltre, un’analisi più approfondita delle dinamiche organizzative, magari attraverso gli studi di autori come Henry Mintzberg, potrebbe aiutare a distinguere tra inefficienze reali e percezioni distorte, offrendo una visione più sfaccettata del problema.3. L’infelicità nei lavori senza scopo e la natura umana
L’esperienza di chi svolge lavori privi di significato rivela una profonda infelicità, nonostante la retribuzione. Questa condizione non deriva solo dalla mancanza di uno scopo, ma anche dalla percezione di falsità e inutilità. Molti si sentono intrappolati in una situazione in cui sono pagati per non fare nulla di valore, e questa mancanza di scopo genera confusione e depressione. La storia di Eric, un giovane assunto per un lavoro inutile, illustra bene questo punto. Nonostante fosse pagato bene e avesse molta libertà, Eric si sentiva distrutto dalla mancanza di scopo e dalla falsità della sua posizione. La sua esperienza evidenzia come la mancanza di un impatto significativo sulla realtà possa minare il senso di sé.La teoria economica classica e la ricerca di senso
La teoria economica classica presuppone che gli esseri umani siano motivati dal calcolo di costi e benefici, cercando di massimizzare il guadagno con il minimo sforzo. Tuttavia, questa visione non spiega perché le persone siano infelici in lavori senza senso, dove di fatto vengono pagate per non fare nulla. La realtà dimostra che gli esseri umani non sono semplici calcolatori egoisti, ma cercano un senso di utilità e di impatto sul mondo. La ricerca di Karl Groos sulla “soddisfazione di essere causa” dimostra che gli esseri umani provano gioia nel causare effetti prevedibili sulla realtà. Questa scoperta suggerisce che la motivazione umana va oltre la semplice ricerca di potere o di benefici materiali; le persone hanno bisogno di sentire di avere un impatto sul mondo.Il tempo come merce e la disciplina del lavoro
L’idea di “comprare il tempo” di una persona è una costruzione sociale relativamente recente, legata a una nuova concezione del tempo come risorsa misurabile e vendibile. Questa visione ha portato a una disciplina del lavoro che spesso si scontra con i naturali ritmi umani, generando frustrazione e risentimento. Anche gli studenti che svolgono lavori part-time spesso si trovano a dover fingere di essere occupati, imparando che non si viene pagati per fare cose utili o che piacciono, ma per compiti inutili e sgradevoli. Questa esperienza, lungi dall’essere formativa, prepara i giovani a un mondo del lavoro sempre più privo di significato.La violenza spirituale del lavoro moderno
La violenza spirituale del lavoro moderno nasce dallo scontro tra l’etica del datore di lavoro e il senso comune del dipendente. L’obbligo di fingere di lavorare e di svolgere compiti inutili è percepito come un mero esercizio di potere, che mina il senso di libertà e di utilità. La mancanza di scopo e la falsità del lavoro attaccano direttamente ciò che caratterizza gli esseri umani.Se la società moderna accetta il lavoro anche quando è inutile e fonte di sofferenza, non stiamo forse perpetuando un sistema che premia la sofferenza fine a sé stessa, invece di cercare soluzioni che massimizzino il benessere collettivo e individuale?
Il capitolo si addentra nell’analisi dell’assurdità del lavoro senza scopo, ma omette di esplorare le possibili alternative a questo paradigma. Per comprendere appieno le implicazioni di questa critica, sarebbe necessario approfondire le teorie economiche e sociali che propongono modelli alternativi di organizzazione del lavoro e della società. Si potrebbero esplorare le teorie di economisti come John Maynard Keynes, che ha proposto l’intervento dello stato per stimolare l’economia e ridurre la disoccupazione, o di filosofi come Bertrand Russell, che ha teorizzato la riduzione dell’orario di lavoro per favorire il tempo libero e lo sviluppo personale. Inoltre, sarebbe utile analizzare le esperienze concrete di modelli di lavoro alternativi, come le cooperative o le economie basate sulla condivisione.7. Lavoro, Risentimento e la Ricerca di una Società Libera
La diffusione di lavori privi di significato è una conseguenza diretta della paura che le élite nutrono nei confronti delle masse, percepite come una minaccia se non adeguatamente occupate. Questo sistema serve a preservare il potere del capitale finanziario, sfruttando i lavoratori produttivi e retribuendo altri per rimanere inattivi, alimentando così il risentimento tra le diverse classi sociali. L’economia si trasforma in una mera distribuzione di risorse, dove le inefficienze e le gerarchie superflue sono funzionali al mantenimento dello status quo. Il lavoro viene concepito come un sacrificio, svalutando ogni suo aspetto piacevole o utile.Il circolo vizioso del risentimento
Questa organizzazione del lavoro alimenta un profondo risentimento: i disoccupati sono risentiti nei confronti di chi ha un lavoro, chi svolge lavori inutili invidia coloro che svolgono lavori utili, e chi svolge lavori utili ma sottopagati nutre rancore verso l’élite liberale. Questo ciclo di odio è ulteriormente alimentato dall’invidia morale, ovvero il risentimento verso chi è percepito come moralmente superiore. La destra politica sfrutta questo sentimento, accusando la sinistra di ipocrisia. Paradossalmente, le società capitaliste, pur fondandosi sull’avidità, premiano segretamente l’altruismo come conseguenza del successo economico. I soldati rappresentano un’eccezione in questo schema, in quanto sono visti come individui altruisti e al di sopra di ogni critica, mentre l’élite liberale è percepita come una casta chiusa e privilegiata.Il consumismo come palliativo
Il consumismo compensativo si sviluppa come risposta al bisogno di trovare consolazione in una vita svuotata di significato, con attività che occupano il tempo tra un lavoro alienante e l’altro.L’illusione dell’automazione
Contrariamente alle aspettative, l’automazione non ha portato a una liberazione dal lavoro, ma ha favorito la proliferazione di occupazioni prive di senso. La paura dell’automazione si focalizza sulla perdita di posti di lavoro, trascurando il valore del lavoro di cura, che sfugge a una quantificazione oggettiva. Infatti, la quantificazione del lavoro di cura conduce inevitabilmente a un incremento della burocrazia e a una riduzione della sua efficacia.La politica dietro l’organizzazione del lavoro
La disoccupazione di massa è stata abilmente mascherata attraverso la creazione di impieghi inutili, per il timore che le masse, disponendo di troppo tempo libero, potessero organizzarsi e ribellarsi. L’organizzazione del lavoro attuale è dettata da motivazioni politiche, non economiche. La sfera del valore ha ormai invaso quella dei valori, generando una lotta tra sinistra e destra per il controllo della produzione, sia di beni materiali che di esseri umani. La finanza esercita un ruolo centrale in questo contesto, con i debiti per le spese mediche e i prestiti studenteschi che alimentano il sistema dei lavori senza senso.Il reddito di base universale come soluzione
Il reddito di base universale rappresenta una possibile soluzione per svincolare il sostentamento dal lavoro, riducendo la burocrazia e restituendo potere decisionale alle persone. Questo sistema permetterebbe di eliminare il sadismo gratuito presente in molti luoghi di lavoro, offrendo ai lavoratori la possibilità di opporsi ai propri superiori e di scegliere liberamente la propria occupazione. Il timore che le persone, con un reddito garantito, smettano di lavorare è infondato. La libertà di scegliere il proprio lavoro porterebbe a una distribuzione delle mansioni più efficiente di quella attuale. Il reddito di base universale costituisce un passo fondamentale verso la costruzione di una società autenticamente libera.Se il reddito di base universale è la soluzione a una società libera, come si concilia con l’evidente necessità di lavori “ingrati” che, presumibilmente, in pochi sceglierebbero di svolgere, anche con un reddito garantito?
Il capitolo presenta il reddito di base universale come una panacea, una soluzione semplice a problemi complessi come l’alienazione del lavoro e la disuguaglianza sociale. Tuttavia, l’argomentazione manca di una visione realistica su come una tale politica influenzerebbe la distribuzione dei lavori socialmente necessari ma sgradevoli. Si potrebbe obiettare che, senza un incentivo economico o una coercizione, molti settori essenziali come la pulizia, la manutenzione o l’assistenza di base potrebbero soffrire di una carenza di manodopera. Per approfondire la questione, sarebbe utile esplorare le discipline dell’economia comportamentale e della psicologia sociale, che analizzano le motivazioni umane al di là del mero guadagno economico. Inoltre, un’analisi delle teorie di organizzazione del lavoro, come quelle proposte da Frederick Herzberg o Douglas McGregor, potrebbe offrire spunti su come incentivare i lavoratori in assenza di una struttura salariale tradizionale. Infine, per una prospettiva più radicale, si potrebbe considerare l’opera di André Gorz, un teorico sociale che ha esplorato alternative al lavoro salariato tradizionale.Abbiamo riassunto il possibile
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