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Informazioni
“La voragine la folle scommessa dei derivati di Stato, i contratti segreti con le banche, il buco nei conti pubblici di cui nessuno parla” di Luca Piana è un libro che ti porta dietro le quinte della finanza pubblica italiana, svelando una storia incredibile di miliardi di euro persi in operazioni finanziarie super complesse. Immagina il Tesoro italiano, quello che gestisce i nostri soldi, che fa scommesse sui tassi d’interesse con banche potentissime come Morgan Stanley, usando strumenti chiamati derivati. Il libro inizia con un evento pazzesco: l’Italia che paga 3,4 miliardi di dollari a Morgan Stanley quasi in segreto. Da lì, scopri perché lo Stato e anche tanti enti locali, dai Comuni alle Regioni, hanno iniziato a usare questi contratti, spesso per ottenere soldi subito ma caricando rischi enormi sul futuro. È una storia di mancanza di trasparenza, con contratti tenuti nascosti anche al Parlamento, di clausole sbilanciate a favore delle banche e di perdite che si accumulano, arrivando a decine di miliardi di euro. Attraverso indagini, battaglie legali e l’analisi di documenti (quando disponibili), il libro mostra come queste operazioni abbiano creato un vero e proprio buco nei conti pubblici, annullando risparmi che avremmo potuto usare per cose concrete, e solleva domande scomode su chi ha deciso e perché. È un viaggio nel cuore oscuro del debito pubblico italiano e nei suoi contratti segreti.Riassunto Breve
Lo Stato italiano e gli enti locali usano contratti finanziari complessi chiamati derivati, come swap e swaption, che sono accordi per scambiare pagamenti futuri legati all’andamento dei tassi d’interesse o dei cambi. Questi strumenti, che non richiedono un investimento iniziale sul valore di riferimento (nozionale), permettono di gestire il rischio del debito pubblico o di ottenere liquidità immediata tramite pagamenti anticipati (upfront). Inizialmente usati per coprire il rischio di cambio sui prestiti in valuta estera negli anni Ottanta, il loro uso si è esteso alla ristrutturazione del debito e alla protezione dall’aumento dei tassi. Tuttavia, la gestione di questi contratti presenta problemi significativi. Molti derivati sottoscritti, specialmente dal 2006 in poi, hanno generato perdite effettive per lo Stato, ammontando a miliardi di euro ogni anno. Tra il 2011 e il 2015, il costo totale è stato di 23,5 miliardi, e le proiezioni indicano perdite future per decine di miliardi. Queste perdite superano i risparmi ottenuti grazie ai bassi tassi d’interesse dovuti alle politiche della Banca Centrale Europea. Un caso emblematico è il pagamento di 3,4 miliardi di dollari a Morgan Stanley nel 2012 per la chiusura anticipata di contratti, attivata da una clausola unilaterale che permetteva alla banca di chiudere se il valore di mercato dei derivati superava una soglia bassa a sfavore dell’Italia. Questa clausola, non reciproca, evidenzia una posizione di debolezza dello Stato. La trasparenza sui contratti derivati è molto limitata; i dettagli rimangono segreti, negando l’accesso anche ai parlamentari che chiedono di vederli per esercitare il controllo. Questa segretezza contrasta con l’obbligo di trasparenza sui conti pubblici. L’uso di derivati da parte degli enti locali, spesso spinto dalla possibilità di ottenere upfront e aggirare i limiti di indebitamento, ha causato perdite enormi e portato a indagini giudiziarie, evidenziando contratti sbilanciati e mancanza di competenze tecniche. Le indagini della Corte dei Conti sulla gestione dei derivati da parte del Tesoro hanno riscontrato inefficienze, mancanza di personale preparato, sistemi di rischio inadeguati e contratti che sembrano speculativi piuttosto che protettivi, ipotizzando un danno erariale. Clausole sbilanciate, come quella con Morgan Stanley, e la scelta di strumenti meno adatti (come gli IRS invece dei Caps) sollevano dubbi sulla strategia adottata, suggerendo che a volte si sia privilegiata la convenienza di cassa a breve termine rispetto alla gestione prudente del rischio a lungo termine. Nonostante le critiche e le perdite, molti contratti derivati sono ancora attivi, alcuni con scadenze molto lontane, continuando a generare costi per lo Stato. Nuove linee guida vietano nuove operazioni in derivati, ma il peso di quelli esistenti rimane un problema significativo per i conti pubblici.Riassunto Lungo
1. Il Tesoro e la Scommessa sui Tassi
I derivati sono contratti finanziari particolari. Il loro valore e i guadagni o le perdite che generano dipendono dall’andamento futuro di qualcos’altro, come tassi d’interesse, prezzi di materie prime o valori di azioni. Sono strumenti che permettono di fare “scommesse” sul futuro dei mercati senza dover investire subito grandi somme di denaro. Proprio per questa caratteristica, possono comportare rischi molto alti. Warren Buffett, un noto investitore, li ha definiti “armi finanziarie di distruzione di massa” per i problemi che hanno causato in passato.Cosa sono gli Interest Rate Swap (IRS)
Un tipo comune di derivato è l’Interest Rate Swap, o IRS. In questo contratto, due parti si accordano per scambiarsi pagamenti legati ai tassi di interesse per un certo periodo. C’è un valore di riferimento, chiamato “nozionale”, che serve solo da base per calcolare i pagamenti, ma non viene mai scambiato tra le parti. Una parte si impegna a pagare un tasso fisso, l’altra un tasso variabile (come l’Euribor). Alla scadenza, invece di scambiarsi l’intero importo dei pagamenti, le parti si scambiano solo la differenza netta tra i due flussi. Se una parte perde, l’altra guadagna esattamente la stessa cifra. Questo meccanismo permette di speculare sull’andamento dei tassi senza muovere il capitale iniziale, ma espone a rischi significativi.Perché i governi usano i derivati
Anche i governi, che devono gestire il debito pubblico emettendo titoli di Stato come i BTP e pagando interessi, possono usare i derivati. Lo fanno spesso per proteggersi dall’aumento dei tassi d’interesse. Se i tassi salgono, il costo per finanziare il debito aumenta. Un derivato ben costruito può funzionare come un’assicurazione: se i tassi salgono, il derivato genera un incasso per lo Stato che compensa l’aumento del costo del debito. Al contrario, se i tassi scendono, il costo del debito diminuisce, ma lo Stato potrebbe subire una perdita sul derivato. L’uso dei derivati da parte dello Stato non è il problema in sé, ma diventa critico il modo in cui questi contratti sono stati negoziati e se il loro profilo di rischio è equilibrato o sbilanciato a svantaggio dello Stato fin dall’inizio.Il caso Italia: una scommessa costosa
Un esempio concreto dei rischi legati all’uso dei derivati da parte di un governo emerge da una nota nel bilancio 2011 di Morgan Stanley. Questa nota indicava un forte calo dell’esposizione al rischio della banca verso l’Italia nei primi giorni del 2012. Tra la fine di dicembre 2011 e l’inizio di gennaio 2012, il rischio dichiarato scese da 4,9 a 1,5 miliardi di dollari. Questo calo fu dovuto al pagamento di circa 3,4 miliardi di dollari ricevuto dalla banca da un cliente italiano. Successivamente, un articolo sulla rivista “Risk” rivelò che questo cliente era il Tesoro italiano. Il pagamento era il risultato di una “scommessa” finanziaria, definita “bet”, fatta dal Tesoro sull’andamento futuro dei tassi d’interesse attraverso un derivato.Se i derivati sono strumenti per “proteggersi dall’aumento dei tassi”, come si spiega che il Tesoro si sia ritrovato a pagare miliardi in una “scommessa costosa”?
Il capitolo introduce l’uso dei derivati da parte dei governi come strumento per la gestione del rischio sui tassi, ma poi presenta il caso italiano come una “scommessa” finita male, senza approfondire adeguatamente la strategia sottostante, i termini specifici dei contratti negoziati e il processo decisionale che ha portato a tale esito. Per comprendere meglio questa apparente contraddizione, sarebbe utile approfondire le discipline della finanza pubblica e dell’ingegneria finanziaria, studiando come i governi gestiscono il debito e quali sono le reali complessità e i potenziali rischi nella negoziazione di strumenti derivati complessi con controparti private.2. Strumenti complessi e rischi per lo Stato
L’uso di strumenti finanziari complessi da parte dello Stato italiano nasce negli anni Ottanta, durante i governi Craxi. L’obiettivo era gestire l’aumento del debito pubblico. Per rendere i titoli di Stato più interessanti per gli investitori stranieri, il Tesoro emetteva prestiti in valuta estera. Per proteggersi dal rischio che la svalutazione della lira rendesse più costoso rimborsare questi prestiti, lo Stato iniziò a usare derivati. Sottoscriveva contratti chiamati Cross Currency Swap con le banche. Questi contratti servivano a trasferire il rischio legato al cambio valuta alle banche.Espansione dell’uso dei derivati
A metà degli anni Novanta, un decreto del 1995 permise di ampliare l’uso dei derivati. Non più solo per i prestiti in valuta estera, ma anche per la gestione e la ristrutturazione dei prestiti già esistenti in lire. Lo scopo dichiarato era minimizzare il costo complessivo del debito pubblico. Questa strategia portò il Tesoro a utilizzare diversi tipi di strumenti finanziari complessi, negoziando contratti spesso molto articolati con le banche.I derivati più usati e i loro rischi
Tra gli strumenti finanziari utilizzati dallo Stato c’erano gli Interest Rate Swap e le swaption. Le swaption sono particolari opzioni che il Tesoro vendeva alle banche. Questi contratti davano alla banca che li acquistava la possibilità di decidere in futuro se stipulare uno swap con lo Stato, a condizioni stabilite in anticipo. Vendendo queste opzioni, il Tesoro incassava subito una commissione. In cambio, però, si assumeva un rischio significativo. A fine 2014, lo Stato italiano aveva contratti di swaption legati a un valore nominale di 19,5 miliardi di euro. Le perdite che lo Stato avrebbe potuto subire da questi contratti erano stimate in 9,1 miliardi di euro.L’accordo con Morgan Stanley e la posizione dello Stato
Già nel 1994, il Tesoro aveva firmato un accordo generale con la banca Morgan Stanley. Questo accordo conteneva una clausola molto svantaggiosa per lo Stato. Permetteva alla banca di chiudere i derivati collegati e incassare i profitti, ma solo se le condizioni di mercato le erano favorevoli. Questa possibilità non era invece prevista per il Tesoro. Questo accordo ha causato una perdita di 3,4 miliardi di dollari per l’Italia nel 2012. In un rapporto del 2012, il Tesoro stesso ha ammesso di aver provato, senza riuscirci, a modificare questa clausola che lo metteva in una posizione di debolezza. Questa situazione evidenzia una posizione di debolezza dello Stato italiano nel trattare con le grandi banche internazionali, che potevano imporre condizioni a proprio vantaggio. Inoltre, le informazioni sui contratti derivati sottoscritti dallo Stato sono state mantenute segrete, limitando la trasparenza su operazioni finanziarie che comportavano rischi significativi per le finanze pubbliche.Data la presunta necessità di ‘minimizzare il costo’ del debito, è logico che lo Stato abbia sottoscritto contratti che hanno generato miliardi di perdite e clausole unilaterali a favore delle banche?
Il capitolo presenta una narrazione degli eventi, ma lascia aperte questioni cruciali sulla razionalità delle decisioni prese e sulla reale natura del rapporto tra Stato e grandi istituzioni finanziarie. Per comprendere appieno come lo Stato possa essersi trovato in una “posizione di debolezza” tale da accettare clausole così svantaggiose, come quella con Morgan Stanley, è fondamentale approfondire la disciplina della finanza pubblica e l’economia politica, che analizzano le interazioni tra potere statale e mercati finanziari. Autori che si sono occupati criticamente della gestione del debito pubblico e del ruolo della finanza globale possono offrire prospettive diverse su queste dinamiche.3. Derivati di Stato: tra perdite, segreti e giustificazioni
Dopo un importante pagamento effettuato dal Tesoro, collegato a operazioni con derivati, l’opinione pubblica e il Parlamento iniziano a chiedere chiarimenti. Emergono dati che indicano potenziali perdite per lo Stato sui derivati che sono ancora attivi. Nel 2015, una commissione parlamentare viene istituita per indagare su queste operazioni. Quando la commissione chiede al Tesoro di poter esaminare i contratti, l’accesso ai documenti viene negato. Ci si interroga sul motivo per cui i contratti derivati non possano essere resi pubblici, nemmeno quelli che sono già stati chiusi. Mentre una banca può avere ragioni commerciali per non rivelare grandi guadagni ottenuti a discapito dei cittadini, un governo ha il dovere di garantire la massima trasparenza riguardo ai conti pubblici. Nonostante ciò, il Ministero dell’Economia non pubblica i dati necessari a comprendere se i contratti derivati sottoscritti siano stati convenienti o meno per lo Stato.Il precedente: i derivati degli enti locali
Negli anni precedenti, i problemi legati all’uso dei derivati avevano riguardato principalmente gli enti locali, come Regioni, Province e Comuni. L’utilizzo di questi strumenti da parte degli enti locali era aumentato a partire dal 1996, ricevendo un ulteriore impulso da un decreto del 2001 che ampliava gli scopi per cui potevano essere impiegati. Un successivo decreto del 2003, che nelle intenzioni doveva servire a regolamentare l’uso dei derivati, venne invece interpretato da molti come un’autorizzazione quasi illimitata. Molti enti locali hanno utilizzato i derivati per ottenere liquidità immediata, un meccanismo noto come “upfront”, posticipando però i costi e i rischi sul futuro. Indagini giudiziarie hanno successivamente rivelato che molti di questi contratti erano strutturati in modo distorto, causando perdite enormi e portando diversi enti locali a gravi difficoltà finanziarie, a volte fino al dissesto. Questa situazione ha portato all’introduzione di leggi nel 2009 e nel 2014 che hanno quasi completamente vietato l’uso dei derivati per gli enti locali.Capire i termini: Valore Nozionale e Mark to Market
Per comprendere le operazioni con i derivati, è utile conoscere due concetti fondamentali: il Valore Nozionale e il Valore di Mercato, spesso indicato con l’espressione inglese Mark to Market. Il Valore Nozionale rappresenta la cifra di riferimento su cui vengono calcolati gli scambi di denaro previsti tra le parti coinvolte nel contratto, ma non è una somma di denaro che viene effettivamente scambiata per intero. Per quanto riguarda il Tesoro, il valore nozionale complessivo dei suoi contratti derivati si aggira intorno ai 160 miliardi di euro. Il Mark to Market, invece, è il valore economico attuale di un derivato in un preciso momento; questo valore indica la differenza netta stimata dei flussi di cassa futuri che si dovrebbero verificare, basandosi sulle attuali condizioni del mercato. Comprendere questi termini è essenziale per valutare la situazione finanziaria legata ai derivati statali.Le perdite potenziali e le spiegazioni del Ministero
Alla fine del 2014, il valore Mark to Market totale dei derivati posseduti dal Tesoro indicava perdite potenziali per circa 42 miliardi di euro. I dirigenti del Ministero hanno fornito spiegazioni riguardo a questa cifra. Hanno sottolineato che questo valore rappresenta solo una stima teorica delle perdite, calcolata in base a condizioni di mercato che considerano eccezionali e non è una somma che lo Stato deve pagare immediatamente. Hanno inoltre sostenuto che per avere un quadro completo, è necessario considerare l’intero debito pubblico. In questo contesto più ampio, i bassi tassi di interesse prevalenti al momento portano a significativi risparmi sui costi di gestione del debito, rendendo il valore Mark to Market dei derivati meno rilevante o addirittura fuorviante se considerato isolatamente. Le perdite potenziali evidenziate dal Mark to Market sono presentate come il risultato di scelte fatte in passato, in un contesto economico e finanziario molto diverso da quello attuale. Secondo le previsioni del Ministero, si attende che queste perdite potenziali diminuiranno nel corso del tempo.Ma se il capitolo elenca costi ingenti e “valore negativo” senza quantificare i rischi evitati, come si può giudicare la razionalità di queste operazioni?
Il capitolo fornisce dati sui costi significativi, come il pagamento di 3.1 miliardi, ma lascia nell’ombra il contesto cruciale: quali rischi finanziari sono stati concretamente evitati o ridotti grazie a queste operazioni? Senza una chiara valutazione dei benefici ottenuti in termini di gestione del rischio, è difficile giudicare l’efficacia e la razionalità di tali scelte. Per comprendere meglio la complessità di queste decisioni e le metodologie di valutazione rischio-beneficio, si potrebbero approfondire i principi della finanza pubblica e della gestione del debito sovrano. Autori come Reinhart o Rogoff hanno trattato temi legati alla storia e alle crisi del debito pubblico.22. Strumenti finanziari e conti pubblici
Gli enti pubblici, come il Tesoro dello Stato e gli enti locali, utilizzano contratti derivati. Questi strumenti finanziari possono portare a perdite potenziali molto grandi, che si stimano in miliardi di euro.Le critiche sulla gestione e la mancanza di regole chiare
Ci sono molte critiche sul modo in cui questi contratti vengono gestiti. Spesso non c’è una gara d’appalto per scegliere le banche che gestiscono i derivati legati al debito pubblico. Non esiste una legge che obblighi a indicare in modo completo tutti i costi e le commissioni di ogni contratto. Non è sempre facile capire e controllare perché una decisione presa al momento della firma o dopo, come nelle rinegoziazioni, sia davvero nell’interesse pubblico. Non è nemmeno obbligatorio spiegare come verranno coperte le spese impreviste o le perdite future.Irregolarità e finalità speculative
La Corte dei Conti ha trovato problemi in alcune operazioni specifiche, calcolando anche un danno per lo Stato. Alcuni derivati non erano adatti a ristrutturare il debito pubblico, che era l’unico scopo permesso. Invece, sembravano fatti per guadagnare soldi velocemente, diventando così operazioni speculative. Anche la sostituzione di contratti vecchi è avvenuta senza che la banca proponesse un vero motivo valido e il Ministero ha accettato senza avere un ruolo attivo nella decisione.Controversie legali e casi specifici
Ci sono state anche liti in tribunale riguardo ai derivati, che hanno coinvolto enti come la Regione Calabria e il Comune di Milano. Nel caso di Milano, un accordo ha portato le banche a pagare una somma. Questa somma era basata sul fatto che alcuni contratti avevano un valore positivo per il Comune. Però, parte di quei soldi è stata usata come garanzia per un altro derivato che invece era svantaggioso per il Comune.Il valore negativo dei contratti e le sfide future
Il valore attuale sul mercato dei derivati che lo Stato italiano possiede è negativo per decine di miliardi di euro. Anche se ci sono delle regole generali, i decreti annuali permettono ancora di usare i derivati per ristrutturare il debito. Questo fa capire che servono indicazioni più precise per evitare rischi in futuro.Il caso Cassa depositi e prestiti e il debito “nascosto”
Infine, la Cassa depositi e prestiti è stata classificata fuori dal gruppo della Pubblica Amministrazione. Questo è successo perché sono entrati soci privati. Questa classificazione permette di non contare le sue operazioni nel calcolo del debito pubblico secondo le regole europee. Alcuni criticano questo fatto, dicendo che si usano questi strumenti per creare un debito “nascosto”.Ma se i derivati hanno causato miliardi di perdite e irregolarità, perché lo Stato continua a usarli?
Il capitolo espone con chiarezza i rischi enormi, le irregolarità riscontrate dalla Corte dei Conti e il valore attuale negativo dei contratti derivati in mano allo Stato, stimato in decine di miliardi. Tuttavia, non chiarisce in modo esaustivo le ragioni profonde per cui, nonostante questo quadro critico, l’utilizzo di tali strumenti per la gestione del debito pubblico non sia stato oggetto di una revisione radicale volta a imporre trasparenza, gare d’appalto obbligatorie e un controllo effettivo sull’interesse pubblico delle operazioni. Per approfondire questa apparente contraddizione e comprendere le dinamiche che permettono la persistenza di un approccio così rischioso, è fondamentale studiare la finanza pubblica, la regolamentazione dei mercati finanziari e la disciplina dell’economia politica. La lettura di autori che analizzano i rapporti tra finanza, Stato e potere può fornire spunti essenziali.Abbiamo riassunto il possibile
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