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Informazioni
“La scuola, le api e le formiche. Come salvare l’educazione dalle ossessioni normative” di Walter Tocci è quel tipo di libro che ti fa guardare il sistema scolastico italiano con occhi diversi. Tocci non si limita a criticare la Buona Scuola o le recenti riforme scolastiche, che secondo lui ripropongono vecchi problemi e aggiungono solo burocrazia inutile, ma scava a fondo nelle politiche educative degli ultimi anni. Parla di come l’autonomia scolastica sia diventata un alibi per non affrontare le diseguaglianze educative, di quanto sia grave il problema del neoanalfabetismo e della penuria cognitiva in Italia, e di come il nostro paese sprechi talenti e non riesca a connettere istruzione e mondo del lavoro. Non è un saggio noioso, ma un’analisi appassionata che mette in luce i problemi strutturali, come il ruolo degli insegnanti e dei dirigenti scolastici schiacciati dalla norma, e propone soluzioni concrete per ridisegnare la scuola, rendendola un vero centro di vita per la comunità, con una didattica rinnovata e una struttura meno centralizzata e più efficace, magari con l’aiuto di nuove figure e Reti di scuole. Tocci ci invita a smettere di inseguire leggi complicate e a recuperare il senso profondo dell’educazione, guardando alla scuola non come un insieme di regole, ma come un mondo vitale da curare.Riassunto Breve
La legge sulla Buona Scuola ripropone idee vecchie, spesso in modo confuso, puntando più sulla comunicazione che sull’efficacia. L’autonomia scolastica viene presentata come soluzione per molti problemi, ma non affronta le questioni strutturali che richiedono politiche nazionali. Le assunzioni di insegnanti sono state fatte per ridurre il precariato, non per le reali necessità delle scuole, creando squilibri e usando l’organico di potenziamento per coprire supplenze, danneggiando la continuità didattica. L’alternanza scuola-lavoro non è una novità e si delega la sua regolamentazione invece di attuare norme esistenti. Il potenziamento di alcune discipline avviene senza una visione didattica organica, rendendo l’insegnamento più estensivo. I finanziamenti per la formazione e gli incentivi non compensano i tagli e l’incentivo al merito, assegnato dal preside con criteri locali, rischia di favorire favoritismi. L’aumento del potere del preside nella scelta degli insegnanti elimina la titolarità della cattedra per i neoassunti e trasferiti, aumentando le disparità tra scuole. La legge è stata fatta senza esperti, con idee riciclate e un processo legislativo forzato che ha impedito il dibattito. La protesta degli insegnanti nasce dalla demotivazione e dalla percezione che la legge mini la loro professionalità. La legge non affronta problemi come la dispersione o l’analfabetismo adulto. L’approccio del governo è decisionista ma inefficace, creando una frattura con il mondo della scuola.Nella Seconda Repubblica, la relazione tra politica e scuola si caratterizza per troppe leggi con scarsi risultati, dovuti a un quadro politico incerto e alla mancata attuazione di riforme. I governi si concentrano su tagli e temi populisti, influenzati da logiche esterne e da un normativismo privo di profondità culturale. L’autonomia scolastica viene confusa con il decentramento, diventando un pretesto per l’assenza di strategie nazionali e politiche fiscali ingiuste. L’innovazione didattica viene delegata alle scuole senza supporto, mantenendo rigido il curricolo. Si ignorano le disuguaglianze strutturali, che il modello competitivo rischia di peggiorare. L’applicazione delle logiche di mercato alla scuola, con incentivi e penalizzazioni, è inefficace e aumenta le disparità. Questo approccio si basa su modelli economici che non comprendono la complessità educativa. Anche la valutazione è distorta dall’economicismo, privilegiando test standardizzati che portano all’omologazione e non misurano l’efficacia del sistema, ma riflettono contesti sociali. Il sistema di valutazione è confuso e frammentato. La politica scolastica è ossessionata dalla normazione, producendo leggi prolisse che aumentano la burocrazia e sono scollegate dalla realtà, ignorando il ruolo di enti locali e altre agenzie educative.Una grande parte degli adulti italiani, circa il 70%, non ha le competenze di base in lettura e calcolo, un fenomeno chiamato neoanalfabetismo, poco discusso e affrontato dalla politica. Le cause includono la difficoltà delle persone a riconoscere le lacune e una bassa domanda di istruzione. Esiste una visione ideologica che pensa che la modernità crei automaticamente le competenze, ignorando disuguaglianze e difficoltà, e porta a concentrare le riforme su aspetti amministrativi. La questione è una crisi *nell’*educazione, non *della* scuola, che riflette una mancanza di apprendimento collettivo nella società. La scuola italiana non supera le disuguaglianze legate all’origine familiare, all’indirizzo e al territorio, che sono connesse alle disuguaglianze economiche. Politiche recenti, come la selezione degli insegnanti da parte dei presidi e i meccanismi di finanziamento, rischiano di aumentare la polarizzazione tra scuole e favorire i più avvantaggiati e le scuole private. Il paese spreca competenze: pochi laureati e molti faticano a trovare lavoro qualificato, perché l’economia ha bassa domanda di alta formazione. L’Italia ha difficoltà nel passaggio all’economia immateriale, mostrando una disabilità cognitiva. La creatività legata alla cultura materiale fatica nell’era digitale. Questa crisi cognitiva si vede anche nel degrado del paesaggio e nella prevalenza della rendita sull’ingegno. Innovazione tecnologica e differenziazione sociale possono ostacolare l’accumulo cognitivo se non accompagnate da apprendimento sociale. Superare la crisi richiede un apprendimento sociale che integri competenze, innovazione e differenze, puntando a un’educazione integrale per tutti.La riduzione della disuguaglianza nell’istruzione e nei redditi si è fermata per le generazioni nate dopo gli anni ’50. Il sistema scolastico contribuisce a mantenere la stratificazione sociale. La disuguaglianza di origine influenza le scelte di studio e varia geograficamente. Il disagio economico incide sull’istruzione dei figli. È necessario portare la formazione a chi ne è escluso. Lo Stato non conosce bene le sue scuole. Le politiche recenti non prevedono interventi specifici per le zone a rischio e non riducono i divari territoriali. Le raccomandazioni di indagini parlamentari vengono ignorate. La gestione dei fondi europei non sempre si integra con le esigenze delle scuole. Sono stati tagliati fondi per le borse di studio e introdotte detrazioni fiscali per le scuole private. Le università sono indebolite da tagli e burocrazia, perdendo studenti e ricercatori, in un contesto economico di calo della produttività. Il sistema scolastico funziona a volte come ammortizzatore sociale. L’industrializzazione rapida ha favorito la ricchezza privata ma non lo spirito pubblico. La crisi attuale impedisce l’accumulo di forze produttive e spinge verso la rendita e il degrado dei beni comuni. Le élite si distaccano dalla gente comune. La scuola deve aiutare i giovani a individualizzarsi in una società con meno socializzazione tradizionale.I cicli scolastici italiani sono troppo lunghi e frammentati, causando abbandoni e disconnessione con università e lavoro. Serve una riforma che accorci i percorsi e integri l’educazione dalla prima infanzia all’età adulta. Gli edifici scolastici devono diventare spazi pubblici aperti, centri di vita sociale e culturale per la comunità. La didattica affronta nuove sfide: evoluzione del sapere, distanza tra insegnanti e studenti digitali, integrazione dei migranti. Serve un approccio sui saperi fondamentali e sull’apprendimento continuo. La qualità dell’insegnamento è cruciale e richiede migliore selezione e formazione dei docenti, con figure esperte che guidino i più giovani. L’autonomia scolastica deve essere motore di vitalità, non solo burocrazia. L’efficacia della scuola dipende dal clima interno e dalla professionalità degli insegnanti. I dirigenti scolastici devono avere un ruolo più pedagogico. Il sistema necessita una riforma del ministero, che diventi un centro strategico di rete, e strutture decentrate come le Reti di scuole per gestire procedure e personale, liberando i presidi per l’educazione.Per ridisegnare la scuola, servono Strateghi della didattica che guidino le innovazioni e supportino le scuole, dirigendo strutture locali e coordinando ricerca e agenzie. Nuovi Ispettori affiancano, formano e scelgono i dirigenti scolastici in base alla loro capacità di gestire le scuole, valutandoli nella collaborazione quotidiana. Il Corpo degli ispettori opera autonomamente dal ministero e presenta un rapporto annuale al Parlamento sulla situazione reale della scuola. La funzione amministrativa si trova nelle Reti, separata dall’influenza ministeriale e posta tra gli Ispettori e i Sovrintendenti. Questo limita il potere della burocrazia, che in Italia tende a prevalere sulle funzioni professionali, un problema aggravato da leggi complesse. È necessario cambiare il modo di fare le leggi, servono pochi articoli chiari che i dirigenti possano applicare direttamente. Molti dettagli possono essere definiti con semplici Direttive ministeriali, in linea con le indicazioni del Parlamento basate sul rapporto degli Ispettori. Questo permette al Parlamento di occuparsi dei contenuti importanti, al ministero di pianificare bene e ai dirigenti di prendere decisioni con meno vincoli, rafforzando il loro ruolo e riducendo il peso della burocrazia centrale. Le difficoltà economiche non impediscono il cambiamento, ma è la mancanza di un progetto diverso a limitare le risorse. È importante recuperare i fondi persi dalla scuola e migliorare come vengono spesi quelli attuali. Riformare i cicli aiuta l’educazione degli adulti. Rendere gli orari più flessibili può liberare fondi per pagare meglio gli insegnanti. Le Reti possono eliminare sprechi e aumentare i fondi per l’autonomia delle scuole. Il fallimento delle leggi passate ha ridotto le aspettative, rendendo difficile immaginare un cambiamento profondo. Senza una visione chiara, anche i piccoli passi non portano nella giusta direzione.Un progetto è necessario per governare la scuola, non è un sogno ma un modello che guida le scelte presenti e l’amministrazione. Chi rifiuta il progetto in nome del pragmatismo ignora la teoria che applica. Le riforme recenti mostrano ideologie passate. La parola “riforma” è stata svuotata e usata per mascherare la burocrazia. È necessario recuperare il suo significato per indicare il cambiamento: prendersi cura della scuola come mondo vitale. Questo significa riconoscere la sua capacità di generare, guardando al passato e al futuro, non restando bloccati nel presente normativo. La vera riforma richiede di guardare all’orizzonte dell’educazione e alla memoria. Le riforme che non hanno avuto successo o sono state dimenticate possono offrire spunti importanti, a differenza di quelle che si sono imposte e hanno reso il sistema rigido. La vitalità della scuola italiana si è manifestata spesso nei “sentieri interrotti” e nei movimenti nati dal basso, resistendo alla politica e alle norme. Esempi storici mostrano tentativi di rinnovamento e superamento del centralismo che non furono pienamente realizzati. Oggi, il compito è ripensare l’educazione per il futuro, poiché il modello del Novecento non è più sostenibile. Si prospettano scenari di “ri-scolarizzazione”, dove la scuola si apre alla vita e ai saperi informali, o di “de-scolarizzazione”, dove l’educazione diventa un bene di mercato. Sebbene politicamente opposti, questi scenari possono dialogare sul piano pedagogico. La crisi attuale non è della scuola, ma *nella* scuola, una questione culturale che richiede di dare priorità alla didattica e all’apprendimento lungo tutta la vita. La scuola è un mondo che si difende dalla burocrazia. Ribaltare l’idea in “la scuola è mondo” significa connettere l’apprendimento con la qualità della democrazia. L’autonomia intesa come comunità educante realizza questo compito. Le decisioni che generano vita e crescita nella scuola sono spesso nate dalla necessità o dalla mancanza di norme, come le comunità naturali che si organizzano. Il futuro richiede scelte generative consapevoli per la scuola come mondo vitale.Riassunto Lungo
1. Vecchie Novità e Problemi Irrisolti nella Buona Scuola
La legge sulla Buona Scuola si presenta come una novità, ma in realtà riprende molti concetti già esistenti. Spesso, questi concetti vengono semplicemente riscritti in modo confuso, dando l’impressione che l’obiettivo principale sia più la comunicazione esterna che una reale efficacia nel risolvere i problemi della scuola. Questo approccio crea aspettative elevate senza garantire gli strumenti necessari per raggiungerle e ripropone vecchie logiche politiche invece di promuovere un reale cambiamento.Idee Riciclate e Processo Affrettato
La legge si basa su idee già viste e su luoghi comuni spesso diffusi dai media, senza un vero coinvolgimento di esperti del settore educativo. Il processo con cui è stata elaborata è stato caratterizzato da incertezze e decisioni prese in modo affrettato. L’uso del voto di fiducia in Parlamento, ad esempio, ha impedito un dibattito serio e approfondito, portando a una legge che non rispecchia le reali esigenze e complessità del mondo della scuola. Questo modo di procedere, definito decisionismo, non porta a leggi di migliore qualità né garantisce che vengano poi applicate in modo efficace.Autonomia e Programmi Esistenti
L’autonomia scolastica viene presentata come la soluzione a molti problemi, elencando una lunga serie di obiettivi che erano già previsti da leggi precedenti. Ripetere questi obiettivi serve a far sembrare che la legge affronti ogni aspetto, ma il loro raggiungimento dipende in gran parte dalle risorse e dalle capacità delle singole scuole, non da un intervento nazionale strutturale. Allo stesso modo, l’alternanza scuola-lavoro, estesa a tutte le scuole superiori, non è una novità. Invece di attuare le norme già esistenti, la legge delega nuovamente la scrittura di un regolamento, posticipando una vera integrazione dell’alternanza nella didattica quotidiana, che dovrebbe essere un’occasione educativa e non solo ore trascorse fuori dall’aula.Personale Docente e Discrezionalità
Le assunzioni di insegnanti, presentate come legate al nuovo modello organizzativo, potevano in realtà essere realizzate con le leggi già in vigore. Queste assunzioni sono state fatte principalmente per ridurre il numero di precari, non in base alle reali necessità delle scuole o delle singole discipline. Questo ha creato squilibri tra le materie e tra le diverse regioni italiane, portando all’assunzione di personale che non sempre possiede le competenze più adatte alle specifiche esigenze didattiche. L’organico di potenziamento, pensato per arricchire l’offerta formativa, viene spesso utilizzato per coprire le supplenze, compromettendo così la continuità dell’insegnamento e la sua qualità complessiva.Potere dei Dirigenti e Valutazione
Un cambiamento significativo e fonte di tensioni è l’aumento del potere dei presidi nella scelta degli insegnanti, una deroga rispetto al sistema basato sulle graduatorie. Questo nuovo sistema elimina la titolarità della cattedra per gli insegnanti neoassunti o trasferiti, aumentando il rischio di disparità tra scuole diverse. I finanziamenti previsti per la formazione e gli incentivi per gli insegnanti non riescono a compensare i tagli subiti sugli stipendi nel corso degli anni. L’incentivo, presentato come una forma di valutazione del merito, è in realtà un premio deciso in modo discrezionale dal preside, basato su criteri definiti localmente da comitati che spesso non hanno le competenze pedagogiche necessarie. Questo meccanismo rischia di favorire favoritismi e comportamenti opportunistici, come la tentazione di alzare i voti degli studenti per ottenere riconoscimenti.Frattura con il Mondo della Scuola
La protesta degli insegnanti nasce da una profonda demotivazione accumulata nel tempo e dalla percezione che la legge mini la loro dignità professionale. Aspetti come la potenziale perdita della titolarità della cattedra e l’aumento del potere discrezionale dei dirigenti scolastici sono visti come un attacco alla loro autonomia e professionalità. La legge non affronta problemi fondamentali e urgenti per il sistema educativo, come la dispersione scolastica o l’analfabetismo degli adulti, mostrando un approccio che non migliora la qualità delle leggi né garantisce efficacia nell’attuazione. La frattura tra il governo e il mondo della scuola è profonda.Se la legge si limita a riproporre concetti vecchi e non risolve problemi fondamentali, qual era la situazione del sistema scolastico che si intendeva riformare?
Il capitolo critica giustamente l’approccio del “decisionismo” e la scarsa originalità della legge, sottolineando come molti obiettivi fossero già previsti e non siano stati forniti gli strumenti per raggiungerli. Tuttavia, per comprendere appieno il contesto e la presunta necessità di una riforma, sarebbe utile approfondire quale fosse lo stato del sistema educativo prima della legge, quali problemi specifici fossero percepiti come più urgenti da chi l’ha proposta, e quali fossero le ragioni (al di là della mera “comunicazione esterna”) che hanno spinto a un intervento legislativo così ampio. Approfondire la storia delle riforme scolastiche in Italia e l’analisi delle politiche pubbliche può fornire il contesto mancante.2. La Scuola nella Seconda Repubblica: Leggi, Equivoci e Illusioni
La relazione tra politica e scuola nella Seconda Repubblica si caratterizza per un’eccessiva produzione di leggi. Nonostante questo sforzo normativo, i risultati ottenuti sono modesti o addirittura dannosi. Questa inefficacia nasce da un quadro politico incerto e dalla mancanza di attuazione di riforme significative, proposte sia dalla destra che dalla sinistra. I governi scelgono spesso indirizzi tradizionali o si concentrano su tagli e temi populisti. Si nota una convergenza tra le diverse forze politiche, influenzata da fattori esterni, dall’ambiguità dell’autonomia scolastica e da un forte orientamento normativo. Manca la profondità culturale che caratterizzava il dibattito sulla scuola nella Prima Repubblica.Gli equivoci sull’autonomia scolastica
Questa tendenza politica dominante si manifesta in diversi equivoci. L’autonomia scolastica, ad esempio, viene spesso confusa con il semplice decentramento. Questo diventa un pretesto per l’assenza di strategie nazionali chiare e per l’introduzione di politiche fiscali percepite come ingiuste, come l’aumento dei contributi richiesti alle famiglie. L’innovazione didattica viene delegata alle singole scuole senza un adeguato supporto o accompagnamento. Allo stesso tempo, il curricolo tradizionale rimane rigido e difficile da modificare. Inoltre, si ignora il problema strutturale delle disuguaglianze sociali ed economiche. Il modello competitivo introdotto nella scuola rischia di peggiorare queste disparità in un sistema che è già di per sé fragile.L’applicazione delle logiche di mercato
L’applicazione delle logiche tipiche del mercato alla scuola, con l’introduzione di incentivi e penalizzazioni, si dimostra inefficace e dannosa. Questo approccio non riesce a migliorare le scuole che si trovano in difficoltà e, anzi, accentua ulteriormente le disparità esistenti. Un esempio lampante di questo fenomeno si osserva nel settore universitario. Questo tipo di approccio si basa su modelli economici eccessivamente semplificati. Questi modelli non riescono a comprendere la complessità intrinseca dell’educazione e le diverse motivazioni che spingono le persone a impegnarsi nel campo educativo.La distorsione della valutazione
Anche il sistema di valutazione viene distorto dall’influenza di una visione prettamente economica. Si tende a privilegiare la valutazione formale e standardizzata, spesso basata su test esterni, rispetto a quella formativa e informale, che considera il percorso di crescita dello studente. Questo porta a un’omologazione dei percorsi educativi e ignora le specificità e i contesti locali. I test standardizzati, infatti, non misurano realmente l’efficacia complessiva del sistema scolastico. Piuttosto, riflettono e sono influenzati dai contesti sociali e culturali in cui vengono applicati. C’è il rischio concreto che i contenuti didattici vengano orientati verso ciò che è facilmente misurabile da questi test, a scapito di apprendimenti più complessi e significativi. Nonostante anni di dibattito e tentativi di riforma, il sistema di valutazione nella scuola italiana risulta ancora oggi confuso e frammentato.L’ossessione normativa
Infine, la politica scolastica è afflitta da un’eccessiva attenzione alla produzione di norme. Si creano leggi prolisse e spesso ripetitive che, tuttavia, non riescono a risolvere i problemi concreti della scuola. Questa tendenza aumenta la burocrazia e appesantisce il lavoro degli operatori scolastici. Questa modalità operativa sostituisce la “decisione generativa” che caratterizzava la Prima Repubblica. In passato, le riforme nascevano spesso da esperienze concrete sul campo e da un dibattito culturale approfondito. Oggi, la politica sembra ridursi a una mera attività di normazione, scollegata dalla realtà sociale e territoriale. Non si tiene sufficientemente conto del ruolo fondamentale svolto dagli enti locali e dalle altre agenzie educative presenti sul territorio.Ma siamo davvero sicuri che la “decisione generativa” della Prima Repubblica fosse esente da limiti e contraddizioni?
Il capitolo dipinge un quadro della Seconda Repubblica caratterizzato da eccesso normativo e mancanza di profondità, contrapponendolo a una Prima Repubblica in cui le riforme nascevano da esperienze concrete e dibattito culturale. Tuttavia, questa contrapposizione rischia di idealizzare il passato. Per comprendere appieno la complessità della politica scolastica italiana, è fondamentale approfondire la storia dell’educazione anche nel periodo precedente, analizzando le sfide, le contraddizioni e i condizionamenti politici che hanno caratterizzato le riforme e le decisioni prese in quegli anni. Approfondire autori che si occupano di storia della scuola e di analisi delle politiche educative può offrire una prospettiva più completa.3. La Penuria Cognitiva e le Diseguaglianze Nascoste
Una parte ampia della popolazione adulta italiana, circa il 70%, non possiede le competenze di base in lettura e calcolo necessarie per vivere nella società attuale. Questo fenomeno si manifesta in diverse forme, includendo persone che non hanno mai acquisito queste abilità (analfabeti primari), chi le ha perse nel tempo (analfabeti di ritorno) e chi non riesce a usarle efficacemente nella vita di tutti i giorni (analfabeti funzionali). Nonostante riguardi una fetta così grande della popolazione, questo problema è quasi assente dal dibattito pubblico e dall’agenda politica. Le ragioni sono molteplici: spesso le persone non si rendono conto delle proprie lacune, c’è una minore richiesta di formazione a causa dell’indebolimento delle competenze generali e i livelli di istruzione sono bassi anche tra chi occupa posizioni di potere.Una visione che ignora il problema
Esiste una convinzione diffusa che la modernità porti automaticamente con sé le competenze necessarie, come se fossero un effetto naturale del progresso. Questa idea ignora le difficoltà e le disuguaglianze reali che esistono. Di conseguenza, si tende a vedere la scuola come un’istituzione sempre in ritardo e le riforme si concentrano su aspetti organizzativi e burocratici, trascurando i contenuti dell’insegnamento e il problema concreto delle competenze di base mancanti. La questione non riguarda tanto una crisi della scuola come istituzione, ma piuttosto una crisi più ampia nel sistema educativo e nella società, che dimostra una difficoltà generale nell’apprendere e adattarsi collettivamente.La scuola e le disuguaglianze
Il sistema scolastico italiano fatica a superare le differenze legate all’ambiente familiare di provenienza, al tipo di scuola scelta e alla zona geografica in cui si vive. Queste disuguaglianze nell’istruzione sono strettamente legate alle disuguaglianze economiche, creando un circolo vizioso difficile da spezzare. Alcune decisioni politiche recenti, come la possibilità per i dirigenti scolastici di scegliere gli insegnanti o i meccanismi di finanziamento che premiano le scuole (come lo school bonus o le detrazioni fiscali per le rette), rischiano di aumentare ulteriormente il divario tra le scuole e di favorire chi proviene da contesti più agiati o chi frequenta istituti privati.Talenti non sfruttati e economia
L’Italia spreca anche le competenze che le persone riescono ad acquisire. Anche se il numero di laureati non è altissimo rispetto ad altri paesi, molti di loro hanno difficoltà a trovare un lavoro che corrisponda alla loro preparazione. Questo accade perché l’economia italiana non richiede molta alta formazione e non investe abbastanza nell’innovazione. Questo squilibrio porta il sistema produttivo a orientarsi verso attività di minore qualità e a basso valore aggiunto.Una difficoltà più profonda nel cambiare
La difficoltà che l’Italia incontra nel passare a un’economia basata sulla conoscenza e sui servizi (l’economia immateriale) rivela una sorta di blocco, una incapacità di capire e di partecipare pienamente al mondo di oggi. La creatività italiana, storicamente legata alla produzione di oggetti e al lavoro manuale, trova difficile adattarsi all’era digitale. Questa crisi si vede anche nel modo in cui viene trattato il territorio, spesso degradato, e nel fatto che si tenda a guadagnare di più dalla proprietà (rendita) che dall’innovazione e dall’ingegno.La necessità di imparare insieme
L’innovazione tecnologica e le differenze sociali sono forze che spingono al cambiamento. Tuttavia, se non sono accompagnate da un processo di apprendimento che coinvolga tutta la società, possono diventare ostacoli. L’innovazione può rimanere chiusa in ambiti tecnici ristretti, mentre le differenze sociali possono portare a divisioni e chiusure identitarie. Per superare questa situazione, è fondamentale un apprendimento che riesca a mettere insieme competenze diverse, innovazione e le specificità di ognuno. Questo significa superare un modello educativo che separa le persone e puntare invece a una formazione completa e accessibile a tutti. Le università e le città possono avere un ruolo cruciale in questo percorso.Ma come si garantisce, nella pratica, la sbandierata autonomia degli ispettori e la reale riduzione della burocrazia, senza semplicemente spostarla altrove o crearne di nuova?
Il capitolo propone di affidare ruoli cruciali a nuovi Ispettori autonomi dal ministero e di collocare la funzione amministrativa nelle Reti, separandola dall’influenza ministeriale per limitare la burocrazia. Tuttavia, non viene spiegato in dettaglio come questa autonomia degli Ispettori sia concretamente assicurata da potenziali ingerenze politiche o di altra natura, né come la creazione delle Reti amministrative eviterà la formazione di nuove sacche di inefficienza o controllo burocratico. Per valutare la solidità di queste proposte, sarebbe indispensabile approfondire i meccanismi di governance delle istituzioni pubbliche e le complesse dinamiche delle riforme amministrative. Approfondire studi di diritto amministrativo e leggere autori che si occupano di organizzazione della pubblica amministrazione e di riforme istituzionali potrebbe offrire gli strumenti critici necessari per analizzare la fattibilità e i rischi di tali cambiamenti strutturali.7. La Scuola come Mondo Vitale
Il Progetto per la Scuola e il Senso della Riforma
Per guidare la scuola serve un progetto chiaro. Non è un sogno lontano, ma un modello pratico che orienta le decisioni di oggi e l’amministrazione quotidiana. Chi dice di essere pragmatico ma rifiuta l’idea di progetto, in realtà segue una teoria senza saperlo. Le riforme degli ultimi tempi spesso ripropongono idee vecchie. La parola stessa ‘riforma’ ha perso il suo vero significato, usata per nascondere complicate regole burocratiche. Dobbiamo ridare valore a questa parola: ‘riforma’ deve significare prendersi cura della scuola, vederla come un luogo pieno di vita. Questo vuol dire riconoscere che la scuola può creare cose nuove, guardando sia alla sua storia che al futuro, senza rimanere bloccati solo nelle regole del momento.Le Lezioni del Passato e la Vitalità dal Basso
Una vera riforma guarda lontano, all’orizzonte dell’educazione, e ricorda il passato. Le riforme che non hanno funzionato o che sono state dimenticate possono insegnarci molto, forse più di quelle che si sono imposte con forza e hanno reso tutto più rigido. La vitalità della scuola italiana si è vista spesso nei percorsi meno battuti, nei movimenti nati spontaneamente dal basso. Questi movimenti hanno saputo resistere alla politica e alle troppe regole. La storia ci mostra diversi tentativi di rinnovamento e di superamento di un sistema troppo centralizzato, tentativi che però non sono stati portati completamente a termine.Le Sfide di Oggi e le Idee per il Futuro
Oggi dobbiamo pensare all’educazione in modo nuovo per il futuro, perché il modello usato nel Novecento non funziona più come prima. Ci sono due idee principali per il futuro: una è la ‘ri-scolarizzazione’, dove la scuola si apre di più alla vita e ai saperi che si imparano fuori dalle lezioni. L’altra è la ‘de-scolarizzazione’, che vede l’educazione quasi come un servizio da comprare sul mercato. Anche se queste idee sono molto diverse dal punto di vista politico, possono confrontarsi su come insegnare e imparare. La difficoltà che viviamo ora non riguarda l’esistenza della scuola, ma è una crisi che si trova dentro la scuola stessa. È una questione che riguarda la nostra cultura e ci chiede di dare più importanza a come si insegna e si impara, pensando all’apprendimento che dura per tutta la vita.La Scuola come Mondo Vivo e la Forza dell’Autonomia
La scuola spesso si trova a difendersi dalle troppe regole e dalla burocrazia. Ma se pensiamo che ‘la scuola è un mondo’, allora colleghiamo direttamente l’apprendimento alla qualità della nostra democrazia. L’autonomia della scuola, vista come una comunità dove tutti imparano, aiuta a realizzare questa idea. Le decisioni che portano vita e fanno crescere la scuola nascono spesso per rispondere a un bisogno reale o perché mancano regole precise, un po’ come succede nelle comunità naturali che si organizzano da sole. Per il futuro, dobbiamo scegliere in modo consapevole le azioni che creano qualcosa di buono, per fare della scuola un mondo sempre più vivo.Come possono visioni del futuro della scuola così politicamente agli antipodi trovare davvero un terreno comune per confrontarsi sull’insegnamento e l’apprendimento, o è solo un’illusione?
Il capitolo introduce due idee per il futuro dell’educazione, la ‘ri-scolarizzazione’ e la ‘de-scolarizzazione’, riconoscendone la profonda differenza politica ma suggerendo una possibile convergenza sul piano didattico. Tuttavia, non chiarisce come questo confronto possa avvenire concretamente, né quali siano le implicazioni pratiche per l’insegnamento e l’apprendimento derivanti da modelli così distanti, uno orientato alla comunità e l’altro potenzialmente al mercato. Per approfondire questa complessa dinamica e comprendere le reali possibilità di dialogo (o la loro assenza) tra approcci radicalmente diversi, è utile esplorare la filosofia dell’educazione, l’analisi comparata dei sistemi educativi e le critiche alle politiche di mercato nell’istruzione. Autori come Ivan Illich, per la critica radicale all’istituzione scolastica, o John Dewey, per la visione della scuola legata alla democrazia e alla vita sociale, possono offrire spunti per inquadrare meglio il dibattito.Abbiamo riassunto il possibile
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