Contenuti del libro
Informazioni
“La rappresentazione del mondo nel fanciullo” di Jean Piaget ti porta dentro la testa di un bambino per capire come vede il mondo. Non è un romanzo, ma un viaggio affascinante attraverso la psicologia infantile e lo sviluppo cognitivo. Piaget esplora come i bambini, dai 5 ai 12 anni circa, costruiscono la loro comprensione della realtà, partendo da un realismo e un egocentrismo che confondono il pensiero con le cose esterne. Scoprirai perché un bambino pensa che i nomi siano dentro gli oggetti, che i sogni si vedano con gli occhi nella stanza, o che il sole e la luna lo seguano. Il libro analizza l’animismo infantile, cioè la tendenza ad attribuire vita e intenzioni a oggetti inanimati, e l’artificialismo infantile, la credenza che tutto, dalle montagne alle nuvole, sia stato fabbricato da uomini o esseri simili. Attraverso l’analisi di questi stadi di sviluppo, Piaget mostra come il pensiero infantile passi gradualmente da una visione magica e centrata su di sé a una comprensione più oggettiva e naturalistica del mondo, influenzata crucialmente dall’interazione sociale. È un testo fondamentale per chiunque voglia capire le origini del nostro modo di pensare.Riassunto Breve
Il pensiero del bambino non distingue subito tra il mondo esterno e il proprio io, portando a una visione “realistica” dove la prospettiva personale sembra oggettiva e non si riconosce l’influenza del soggetto sulla realtà. Nei primi anni, non c’è differenza tra interno ed esterno, né tra pensiero e cose. Il pensiero è spesso visto come materiale, simile all’aria o al vento, localizzato nella bocca o nelle orecchie, non un’attività interiore. Solo più tardi, verso i 7-8 anni, si sposta nella testa, ma resta l’idea che sia una sostanza fisica. Intorno agli 11-12 anni, il pensiero viene finalmente concepito come immateriale e separato dal corpo. Anche la nozione di nome segue un percorso simile. Inizialmente (5-6 anni), il nome è una proprietà della cosa stessa, come se emanasse da essa. Poi (7-8 anni), l’origine è attribuita a chi ha creato le cose. Verso i 9-10 anni, si comprende che i nomi sono dati dalle persone e trasmessi. La localizzazione del nome passa dall’essere “nelle cose” all’essere “dappertutto” o nella voce (7-8 anni), per poi essere collocato “nella testa” (9-10 anni), parallelamente all’interiorizzazione del pensiero. La distinzione tra nome e cosa è difficile; i bambini piccoli credono che le parole abbiano la stessa forza delle cose e che i nomi contengano l’idea della cosa (realismo logico) fino a circa 10 anni. Solo verso gli 11-12 anni si capisce che i nomi sono convenzionali. Questa progressiva separazione tra segno e cosa e l’interiorizzazione del pensiero, influenzate dal contatto sociale, portano alla comprensione della sua immaterialità.Questo realismo infantile, dove interno ed esterno e psichico e fisico si confondono, rende difficile capire fenomeni soggettivi come i sogni. Le idee sui sogni evolvono: inizialmente (5-6 anni) il sogno è esterno, viene dalla notte, è nella stanza e si vede con gli occhi, anche se non è “reale” nei fatti. L’immagine onirica esiste fuori. Poi (7-8 anni), si capisce che il sogno viene dalla testa o dal pensiero, ma è ancora localizzato fuori, nella stanza, visto con gli occhi. Si sa di essere gli unici a vederlo, ma c’è confusione tra essere esterno e sembrare esterno. Intorno ai 9-10 anni, il sogno è pienamente riconosciuto come interno, nella testa o negli occhi in modo interiore, e si sogna con il pensiero.Questo realismo si manifesta anche in sentimenti di partecipazione e pratiche magiche. La partecipazione è un legame percepito tra cose o persone senza contatto fisico o causa logica. La magia è l’uso di questi legami per influenzare la realtà. Questi fenomeni derivano dall’egocentrismo infantile, sia logico (il proprio punto di vista è l’unico) che ontologico (confusione tra sé e il mondo). Il bambino proietta i propri stati interni sul mondo, credendo che pensieri o gesti possano avere effetto diretto sulla realtà. Si osservano magie basate su gesti, pensieri, sostanze o intenzioni (animismo). L’ambiente sociale e le risposte degli adulti rafforzano l’idea di poter influenzare il mondo. L’evoluzione porta a superare questo realismo e a distinguere l’io dal mondo esterno.Si osserva una tendenza ad attribuire vita e intenzioni agli oggetti inanimati, chiamata animismo infantile, che si sviluppa in fasi. Fino a 6-7 anni, vita e coscienza sono attribuite a tutto ciò che è attivo o utile. Tra 6 e 9 anni, sono legate al movimento in generale. Tra 8 e 12 anni, solo gli oggetti con movimento proprio sono vivi e coscienti. Dagli 11-12 anni in poi, vita e coscienza sono riservate solo agli animali o a animali e piante. L’idea di vita si evolve leggermente prima di quella di coscienza. Questa progressione non è sempre rigida ed è influenzata dalla difficoltà del bambino nel sistematizzare il pensiero e nell’uso del linguaggio. L’animismo è spesso un orientamento implicito. La nozione di vita, legata all’idea che le cose abbiano uno scopo e una forza, fa da ponte tra una visione magica e una più meccanica del mondo.Il pensiero infantile parte da una visione dove non c’è chiara distinzione tra esseri viventi e oggetti inanimati. Tutto ciò che si muove o è attivo è visto come vivo, cosciente o con una volontà elementare. L’animismo non è una teoria, ma un modo primitivo di vedere la realtà. Un esempio è la credenza che sole e luna seguano il bambino, nata dall’osservazione e dall’egocentrismo. Questa idea evolve: prima gli astri si muovono per seguirlo, poi restano fermi ma i raggi lo seguono, infine si capisce che è un’illusione di prospettiva. La regolarità naturale è spiegata con regole più morali o sociali che fisiche; le cose si comportano in un certo modo perché “devono” farlo, spesso per l’uomo. Solo verso i 7-8 anni compare l’idea di determinismo fisico, che si mescola a lungo con la necessità morale. Questa visione deriva dall’incapacità iniziale di distinguere l’io dal mondo e di separare azione e intenzione. L’egocentrismo porta ad attribuire alle cose sentimenti o intenzioni reciproche a quelli provati dal bambino (introiezione). Fattori sociali, come il sentirsi osservati o le regole adulte, rafforzano l’attribuzione di intenzionalità e obblighi al mondo. Anche il linguaggio, con le personificazioni, può contribuire.L’origine dei fenomeni naturali (astri, cielo, pioggia, fiumi) è spiegata con una progressione di idee. Inizialmente, prevale l’artificialismo integrale: tutto è creato da umani o da una figura divina umana. Il sole nasce da un fiammifero, la pioggia da rubinetti celesti, i fiumi sono buchi scavati e riempiti. Poi, l’artificialismo mitigato: i fenomeni si formano con processi che sembrano naturali, ma la materia è artificiale (nubi dal fumo) o l’azione è diretta da volontà (nubi si muovono per far dormire i bambini). L’idea che le cose siano “fatte fare” si combina con una parziale comprensione fisica. Infine, le spiegazioni diventano naturali: gli astri si formano per condensazione naturale, la notte è assenza di luce, le nubi sono vapore, la pioggia è acqua dalle nubi, fiumi e laghi si formano naturalmente. Questa evoluzione mostra un passaggio da una causalità intenzionale/di fabbricazione a una basata su processi fisici. L’animismo spesso accompagna l’artificialismo, diminuendo con le spiegazioni naturali.Anche l’origine di materiali come legno, pietra e terra, e di elementi come le montagne, è spiegata per stadi. Inizialmente, prevale l’idea che tutto sia fabbricato dagli uomini. Il legno viene da mobili rotti, le pietre da case distrutte, le montagne sono costruite da operai. Questa visione artificialistica è legata all’idea che le cose esistano “per” l’uomo e siano state create da lui. Non deriva solo dall’educazione, ma è spontanea, connessa all’animismo: le cose sono vive e attive. La curiosità sull’origine nasce spesso dalle domande sulla nascita dei bambini, visti inizialmente come fabbricati dai genitori, figure onnipotenti che “fanno venire” le cose. L’artificialismo si attenua col tempo. Verso i 7-8 anni, si mescolano spiegazioni artificiali e naturali, mantenendo l’intervento umano. Intorno ai 9-10 anni, le spiegazioni diventano più naturalistiche. L’idea di fabbricazione umana scompare, ma l’artificialismo si trasferisce alla natura stessa, vista capace di generare e trasformare le cose con processi interni. Questo passaggio è influenzato dalla comprensione dei limiti umani e dalla diminuzione dell’egocentrismo.Riassunto Lungo
1. La realtà confusa: come il bambino vede il pensiero e i nomi
Il pensiero infantile non riesce a distinguere chiaramente il mondo esterno dalla propria interiorità. Questa mancanza di separazione porta a percepire la propria prospettiva come la realtà oggettiva, un fenomeno definito “realismo”. Il bambino non si rende conto di come le sue idee o percezioni influenzino la visione del mondo esterno. Nei primi anni di vita, non c’è differenza tra ciò che è dentro e ciò che è fuori, né tra un pensiero e una cosa concreta.Come il bambino vede il pensiero
All’inizio, il pensiero è spesso visto come qualcosa di fisico, identificato con la voce e localizzato in parti del corpo come la bocca o le orecchie, ed è considerato materiale quasi come l’aria o il vento. Non è percepito come un’attività che avviene solo nella mente. Intorno ai 7-8 anni, anche a causa dell’influenza degli adulti, l’idea della sede del pensiero si sposta verso la testa, ma permane la convinzione che sia una sostanza fisica. Soltanto verso gli 11-12 anni il pensiero viene finalmente concepito come qualcosa di immateriale e distinto dal corpo fisico.Come il bambino vede i nomi
Anche la comprensione di cosa sia un nome segue un percorso di sviluppo simile. Inizialmente, tra i 5 e i 6 anni, il nome è considerato una qualità innata dell’oggetto stesso, quasi come se emanasse dalla cosa e potesse essere scoperto semplicemente guardandola. Il nome è visto come se fosse “dentro” l’oggetto. Più tardi, intorno ai 7-8 anni, l’origine dei nomi viene attribuita a chi ha creato le cose, come Dio o i primi esseri umani, mantenendo ancora un legame forte tra il nome e l’esistenza dell’oggetto. Solo verso i 9-10 anni si inizia a capire che i nomi sono stati inventati dalle persone e che vengono poi trasmessi.La localizzazione dei nomi e la distinzione tra nome e cosa
La percezione di dove si trovino i nomi cambia con l’età. Dalla convinzione che siano “nelle cose”, si passa all’idea che siano “dappertutto”, nell’aria o nella voce, tra i 7 e gli 8 anni. Successivamente, intorno ai 9-10 anni, vengono collocati “nella testa”. Questa interiorizzazione del nome avviene parallelamente all’interiorizzazione del pensiero. La distinzione tra il nome e la cosa che esso indica è inizialmente molto difficile per il bambino. I più piccoli credono che le parole abbiano la stessa forza e concretezza delle cose che rappresentano. Fino a circa 10 anni, molti bambini sono convinti che i nomi non potessero essere diversi da come sono e che contengano in sé l’essenza o l’idea della cosa (realismo logico). È solo verso gli 11-12 anni che si arriva a comprendere che il nome è un’etichetta scelta in modo convenzionale, non una proprietà intrinseca dell’oggetto. La progressiva capacità di distinguere tra un segno (il nome) e la cosa significata, insieme all’interiorizzazione del pensiero, porta alla comprensione della sua natura immateriale, un processo fortemente influenzato dal contatto con gli altri e dallo sviluppo della consapevolezza di star pensando.Ma è davvero così lineare e universale lo sviluppo della comprensione del pensiero e dei nomi nel bambino, o il capitolo presenta una visione eccessivamente semplificata?
Il capitolo descrive un percorso di sviluppo per la comprensione del pensiero e dei nomi che appare rigidamente scandito per fasce d’età. Tuttavia, la psicologia dello sviluppo è un campo complesso dove i modelli a stadi sono spesso dibattuti e criticati per la loro tendenza a generalizzare e ignorare le profonde differenze individuali, culturali e contestuali. Per approfondire questa tematica e ottenere una visione più completa, sarebbe utile esplorare autori che offrono prospettive alternative o complementari, come Lev Vygotsky, che enfatizza il ruolo cruciale dell’interazione sociale e del contesto culturale nello sviluppo cognitivo, o leggere ricerche empiriche più recenti che mostrano una maggiore variabilità nei tempi e nei modi in cui i bambini acquisiscono queste comprensioni. Approfondire la psicologia dello sviluppo e la neuropsicologia infantile può fornire gli strumenti per valutare criticamente modelli come quello presentato nel capitolo.2. La Realtà Magica del Pensiero del Bambino
Il fanciullo vede la realtà in un modo che non distingue tra sé e il mondo esterno, né riconosce l’esistenza di pensieri interiori. Questo rende difficile per lui capire fenomeni che sono puramente soggettivi, come i sogni. Le idee che i bambini hanno sui sogni cambiano e si sviluppano attraverso diverse fasi.Come cambia l’idea dei sogni
All’inizio, intorno ai 5 o 6 anni, i bambini credono che i sogni siano qualcosa che viene da fuori, magari dalla notte o dal cielo. Pensano che i sogni si trovino nella loro stanza e che li vedano con gli occhi, proprio come vedono gli oggetti reali. Anche se capiscono che quello che sognano non succede davvero nella realtà, credono che l’immagine del sogno esista concretamente fuori di loro. A questa età, i sogni possono essere molto intensi emotivamente e a volte sono visti come una specie di punizione.Successivamente, verso i 7 o 8 anni, il bambino comincia a capire che il sogno nasce dentro di sé, dalla sua testa o dai suoi pensieri. Nonostante questa consapevolezza, continua a pensare che il sogno si trovi fuori dal suo corpo, nella stanza, davanti ai suoi occhi. Crede ancora di sognare usando gli occhi, guardando un’immagine che è esterna, anche se sa di essere l’unico a vederla. C’è ancora confusione tra qualcosa che è realmente fuori e qualcosa che sembra solo essere fuori.Infine, intorno ai 9 o 10 anni, il bambino raggiunge una comprensione più matura. Riconosce pienamente che il sogno viene dal suo pensiero e che si trova dentro la sua testa o dentro i suoi occhi, ma in un modo che è completamente interiore. A questo punto, capisce di sognare con il pensiero stesso.Il realismo infantile e la confusione tra interno ed esterno
Questa evoluzione nella comprensione dei sogni fa parte di un modo di vedere la realtà tipico dei bambini piccoli, che è più ampio e generale. Inizialmente, i bambini pensano che persino i nomi delle cose o i pensieri siano legati direttamente agli oggetti stessi, quasi come se fossero sostanze fisiche esterne, prima di capire che sono concetti interiori. Questa fase è caratterizzata da una forte confusione tra ciò che è dentro di sé e ciò che è fuori nel mondo, e tra ciò che è mentale e ciò che è fisico.Magia e partecipazione
Questo modo di pensare si manifesta anche in sentimenti di “partecipazione” e nell’uso di pratiche magiche. La partecipazione è la sensazione che esista un legame tra persone o cose o eventi, anche se non c’è un contatto fisico o una causa logica che li spieghi. La magia, per il bambino, è l’idea di poter usare questi legami percepiti per influenzare quello che succede nella realtà. Questi fenomeni nascono dal modo in cui il bambino pensa solo dal proprio punto di vista (egocentrismo logico) e dalla sua difficoltà a distinguere sé stesso dal resto del mondo (egocentrismo ontologico). Il bambino proietta i suoi stati d’animo, i suoi desideri e le sue intenzioni sul mondo esterno. Crede che i suoi gesti, i suoi pensieri, certi oggetti o le sue intenzioni possano avere un effetto diretto e concreto sulla realtà che lo circonda. Si possono osservare forme di magia basate su azioni concrete, sul potere del pensiero, sull’uso di particolari oggetti o sulla credenza che le cose abbiano un’anima o un’intenzione (animismo). L’ambiente in cui vive il bambino e il modo in cui gli adulti rispondono ai suoi bisogni spesso rafforzano in lui questa percezione di poter influenzare il mondo con la sua volontà o le sue azioni magiche.Questo modello a stadi è l’unica chiave per comprendere la mente infantile, o esistono altre prospettive?
Il capitolo descrive un percorso evolutivo del pensiero infantile, in particolare riguardo alla comprensione dei sogni e alla distinzione tra interno ed esterno, basato su fasi di età specifiche. Sebbene questa visione offra una struttura chiara, è fondamentale chiedersi se tale progressione sia universale e se altri fattori, come il contesto sociale e culturale, influenzino significativamente questi processi. Per esplorare a fondo questa questione e confrontare diverse interpretazioni dello sviluppo cognitivo infantile, si possono approfondire le teorie alternative a quelle basate sugli stadi rigidi, magari esplorando il lavoro di autori che enfatizzano l’interazione sociale e culturale nello sviluppo del pensiero, o che propongono modelli basati sull’elaborazione delle informazioni.3. L’anima delle cose e il senso del movimento
I bambini tendono a considerare gli oggetti inanimati come se fossero vivi e pensassero. Questo modo di vedere le cose si chiama animismo infantile e cambia in diverse tappe della crescita, seguendo un percorso preciso.La prima tappa (fino a 6-7 anni)
Nella prima tappa, che va fino a circa 6 o 7 anni, i bambini pensano che sia vivo e capace di sentire tutto ciò che si muove o che serve a qualcosa. Ad esempio, credono che un sasso possa provare dolore se viene rotto, o che una candela sia viva mentre fa luce e illumina la stanza. Per loro, qualsiasi attività, anche se l’oggetto la subisce e non la fa da solo, è un segno che l’oggetto è vivo e ha una sua coscienza. Questa idea lega la vita e la coscienza all’azione o all’utilità percepita.La seconda tappa (circa 6-9 anni)
Nella tappa successiva, tra i 6 e i 9 anni circa, l’idea di vita e coscienza si lega in modo più stretto al movimento in generale. I bambini considerano vivi e coscienti oggetti come il sole che si muove nel cielo, le nuvole che cambiano forma o una bicicletta che corre. Al contrario, un oggetto fermo, come un tavolo o un sasso immobile, non viene più visto come vivo in questa fase. Mentre nella fase precedente bastava un’azione subita, qui è il movimento in sé a fare la differenza tra ciò che è vivo e ciò che non lo è. Il criterio principale diventa quindi il semplice fatto di muoversi, qualsiasi tipo di movimento esso sia.La terza tappa (circa 8-12 anni)
Intorno agli 8-12 anni, si fa una distinzione importante: solo gli oggetti che si muovono da soli, con un movimento proprio, sono considerati vivi e coscienti. Esempi tipici sono gli astri che si spostano nel cielo, il vento che soffia o i fiumi che scorrono. Oggetti come biciclette o automobili, invece, non sono più visti come vivi perché il loro movimento dipende da qualcuno o qualcosa che li spinge. La capacità di muoversi senza un impulso esterno diventa il nuovo criterio fondamentale per attribuire vita e coscienza. Questa fase segna un passo avanti nella comprensione, separando il movimento autonomo da quello causato esternamente.La quarta tappa (dagli 11-12 anni in poi)
Infine, a partire dagli 11 o 12 anni, l’idea di vita e coscienza si avvicina molto di più a quella degli adulti. In questa fase, la vita e la coscienza vengono attribuite quasi esclusivamente agli animali. In alcuni casi, i bambini possono estendere questa idea anche alle piante, riconoscendo in esse una forma di vita. Il mondo degli oggetti inanimati viene definitivamente separato dalla sfera del vivente e del cosciente. Questa tappa rappresenta il superamento quasi completo dell’animismo, limitando la vita e la coscienza agli esseri che comunemente consideriamo tali.L’idea che i bambini hanno della vita si sviluppa un po’ prima rispetto all’idea di coscienza, e la influenza. Questo percorso di crescita non va sempre dritto e può avere alti e bassi. Questo succede perché per i bambini è difficile mettere in ordine i loro pensieri, capire bene le proprie idee e usare il linguaggio in modo preciso. Spesso, questo modo di vedere gli oggetti come vivi (l’animismo) non è una credenza chiara e pensata, ma più un modo spontaneo di affrontare il mondo. L’idea che le cose siano vive, perché sembrano avere uno scopo e la forza per raggiungerlo, fa da ponte tra un modo di pensare magico e uno più basato su come le cose funzionano davvero.
Ma questa progressione descritta nel capitolo è davvero universale, o è solo una delle tante possibili interpretazioni dello sviluppo cognitivo infantile?
Il capitolo descrive una progressione affascinante, ma non specifica su quali studi o osservazioni si basi questa precisa sequenza di stadi. La psicologia dello sviluppo, infatti, propone diversi modelli per spiegare come i bambini costruiscano la loro comprensione del mondo. Per capire meglio se questa descrizione sia l’unica valida o se esistano approcci differenti, sarebbe utile approfondire le teorie classiche dello sviluppo cognitivo. Autori come Jean Piaget o Lev Vygotsky offrono prospettive fondamentali, basate su metodologie specifiche, che possono aiutare a contestualizzare o mettere in discussione la linearità e l’universalità di questa progressione.6. La Fabbrica del Mondo Infantile
I bambini spiegano come nascono materiali come legno, pietra e terra, e come si formano elementi naturali come le montagne, attraverso diverse fasi di pensiero. All’inizio, sono convinti che tutto sia fabbricato dagli uomini. Il legno, per esempio, deriva da mobili rotti o da alberi piantati dalle persone; i semi sono fatti nei negozi; le pietre provengono da case distrutte o vengono piantate come semi. Le montagne, secondo questa visione, sono costruite da operai. Questa idea che le cose siano create dall’uomo è legata al fatto che i bambini pensano che le cose esistano “per” l’uomo, per un suo scopo, e quindi debbano essere state create da lui. Questa tendenza a vedere tutto come “fabbricato” non viene solo dall’educazione, ma è una caratteristica spontanea del modo di pensare dei bambini piccoli. È collegata all’animismo, cioè l’idea che le cose siano vive e possano agire. La curiosità su come nascono le cose nasce spesso dalle domande sulla nascita dei bambini stessi, che all’inizio sono immaginati come fabbricati o modellati dai genitori. I genitori sono visti come esseri potentissimi che “fanno venire” le cose al mondo.Come cambia l’idea nel tempo
Con il passare del tempo, l’idea che tutto sia fatto dall’uomo si indebolisce. Verso i 7-8 anni, i bambini iniziano a mescolare le spiegazioni di tipo “artificiale” con processi naturali, anche se pensano ancora che ci sia bisogno dell’intervento umano. Più tardi, intorno ai 9-10 anni, le spiegazioni si basano molto di più sulla natura. Le pietre si formano dalla terra che diventa dura per il caldo, e la terra deriva dalle pietre che si rompono. L’idea che siano gli uomini a fabbricare le cose scompare, ma l’idea di “fabbricazione” si sposta sulla natura stessa. La natura è vista come capace di creare e trasformare le cose attraverso i suoi processi interni, come l’acqua che si condensa o le cose che si rompono in piccole parti. Questo cambiamento avviene perché i bambini capiscono meglio i limiti di quello che gli esseri umani possono fare e perché diventano meno concentrati solo su se stessi.Ma questa ‘fabbrica del mondo infantile’ è davvero un processo universale e spontaneo, o risente pesantemente del contesto culturale e linguistico in cui il bambino cresce?
Il capitolo descrive un percorso di sviluppo del pensiero infantile che sembra implicare una progressione quasi automatica e universale. Tuttavia, sorge il dubbio su quanto questo processo sia effettivamente ‘spontaneo’ e quanto invece sia plasmato dall’ambiente esterno: le interazioni sociali, il linguaggio specifico parlato nella comunità, le narrazioni culturali sul mondo naturale. Per esplorare queste sfaccettature e capire se il modello presentato sia l’unica chiave di lettura, sarebbe utile confrontarsi con diverse scuole di pensiero all’interno della Psicologia dello Sviluppo, in particolare quelle che enfatizzano il ruolo del contesto socio-culturale. Approfondire autori come Lev Vygotsky o Jerome Bruner, e confrontare le loro teorie con quelle di Jean Piaget (probabilmente alla base del modello descritto nel capitolo), può offrire prospettive cruciali sull’interazione tra sviluppo cognitivo e ambiente.Abbiamo riassunto il possibile
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