Letteratura

La Nausea

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1. La Nausea e la Perdita di Libertà

Antoine Roquentin decide di tenere un diario per analizzare i cambiamenti nella sua percezione degli oggetti quotidiani, come un astuccio d’inchiostro, annotando accuratamente i dettagli senza esagerare le sensazioni. Descrive episodi come il tentativo fallito di imitare dei bambini che giocano con i ciottoli e un altro evento più complesso che gli ha generato paura, notando che i cambiamenti sembrano riguardare gli oggetti, non la sua sanità mentale. Dopo un temporaneo senso di guarigione, con la routine rassicurante della sera, Roquentin ammette che qualcosa è cambiato. Percepisce un nuovo modo di interagire con gli oggetti, come prendere una forchetta o la maniglia di una porta, che sembrano avere una propria personalità. Anche il riconoscimento delle persone diventa difficile. Riflette su un cambiamento interiore, una trasformazione che si accumula senza essere notata, portando a decisioni improvvise e apparentemente incoerenti, come l’episodio in Indocina, dove una statuetta e il profumo di una barba hanno scatenato un’improvvisa repulsione, portandolo a un ritorno in Francia. Teme un nuovo cambiamento, una nuova trasformazione che potrebbe portarlo a lasciare tutto. Descrive una giornata normale, trascorsa in biblioteca e al caffè Mably, dove il proprietario, il signor Fasquelle, offre un senso di normalità. Riflette sulla solitudine e sulla mancanza di interazione sociale, con l’eccezione di Francesca, la padrona del “Ritrovo dei ferrovieri”, con cui ha incontri sessuali senza scambio di parole. Nota come i giovani al caffè raccontino storie precise, mentre la sua percezione è alterata, rendendo difficile distinguere tra realtà e irrealtà. Descrive una scena vivida e surreale di una donna e un uomo di colore, che si scompone in elementi isolati. Riconosce di aver sempre cercato rifugio nella solitudine, ma ora sente di essere andato troppo oltre, evitando di guardare un bicchiere di birra, sentendo che c’è qualcosa di inspiegabile, percependo una crescente paura e solitudine, con il desiderio di parlare con qualcuno, magari Anny. Rivela di aver omesso un dettaglio importante: l’incapacità di raccogliere una carta per terra. Questo evento, apparentemente insignificante, ha generato una profonda impressione, la sensazione di non essere più libero. Descrive il piacere di raccogliere oggetti come castagne, stracci e soprattutto carte, e la frustrazione di non poterlo fare. Riconosce che gli oggetti, che dovrebbero essere inerti, suscitano emozioni insopportabili, come se fossero esseri viventi. Ricorda la sensazione di nausea provata con un ciottolo, una nausea che sembra provenire dagli oggetti stessi. Descrive la lamentela di Lucia, una cameriera, riguardo al marito alcolizzato e riflette sulla sua incapacità di abbandonarsi alla disperazione. Rilegge una nota su Rollebon, un personaggio storico che ha suscitato un grande interesse, ma che ora inizia ad annoiarlo, mettendo in discussione la veridicità delle fonti storiche e la propria capacità di ricostruire la vita di Rollebon, ammettendo che le ipotesi sono personali e che Rollebon sembra estraneo alla propria ricostruzione, percependo un senso di inutilità nel lavoro di ricerca. Descrive una giornata intollerabile, con un sole freddo che rende tutto sgradevole, riflettendo sulla perdita di grazia degli oggetti e sulla propria incapacità di lavorare. Si chiede se Rollebon abbia partecipato all’assassinio di Paolo I, analizzando diverse testimonianze e concludendo che non si può provare nulla con certezza. Percepisce una crescente oppressione e cerca rifugio nello specchio, dove osserva il proprio volto con disgusto, notando che non ha senso, non ha espressione umana, e percependo una somiglianza con il mondo vegetale. Perde l’equilibrio e si risveglia stordito, riflettendo sulla possibile difficoltà di comprendere il proprio viso e sulla solitudine come causa di questa percezione. Sente la Nausea, che ora colpisce anche al caffè, un luogo che prima era un rifugio. Descrive un’esperienza di disorientamento e nausea, con la percezione alterata degli oggetti e delle persone, notando le bretelle color malva del cugino Adolfo e la sua camicia azzurra, che causano un senso di nausea. Descrive una partita a carte e la sensazione che il tempo sia troppo vasto per essere riempito. Ascolta un vecchio ragtime, che offre un momento di felicità, una piccola felicità di Nausea, percependo un altro tempo, un tempo esterno alla Nausea, rappresentato dalla musica.

2. La Ricerca dell’Avventura e la Realtà del Tempo

La musica di una cantante nera inonda la stanza, provocando una reazione fisica che dissolve la Nausea. Il tempo si dilata, i suoni e i gesti si caricano di un’intensità nuova, come se ogni movimento fosse parte di un tema musicale più ampio. In questo contesto, anche la presenza di un amico assume un significato profondo, quasi una conclusione necessaria. Terminata la musica, rimane una sensazione di felicità. La scena si sposta poi a una partita a carte, dove ogni azione sembra il frutto di una concatenazione di eventi passati, un meccanismo di precisione che ricorda le avventure, i viaggi e gli incontri che hanno portato il protagonista a quel preciso istante. Quando la musica cessa, la notte irrompe nella stanza, portando con sé un senso di freddo. Il protagonista esce, dirigendosi verso il viale Noir, un luogo desolato e inumano, privo di vita, dove gli edifici mostrano solo muri ciechi, senza finestre. Mentre cammina nel buio, il protagonista si sente conquistato dalla purezza del luogo. Incontra Lucia, una donna che soffre per un amore perduto, e la osserva, invidiando la sua capacità di provare un dolore così intenso. Si allontana, riflettendo sulla statua di Gustave Impétraz, un uomo di bronzo che emana una forza oscura. Incontra poi l’Autodidatta, un uomo che studia in biblioteca seguendo un ordine alfabetico, e si interroga sulla sua volontà e sulla sua ricerca di conoscenza. Il protagonista si sente intrappolato nel presente, incapace di rivivere i suoi ricordi con la stessa intensità di un tempo. I ricordi appaiono come immagini sbiadite, le parole sembrano sostituire le sensazioni. L’Autodidatta, affascinato dai viaggi e dalle avventure, gli fa visita, e il protagonista, mostrandogli le sue foto di viaggio, si rende conto di non aver mai vissuto vere avventure. Riflette sulla natura delle avventure, concludendo che esse sono create dal racconto, mentre la vita vissuta è un susseguirsi di momenti senza inizio né fine. Il racconto trasforma gli eventi in qualcosa di significativo, e il protagonista desidera che la sua vita si svolga come un racconto, con veri inizi e fini. Si rende conto che le avventure sono nei libri, e che la sua vita non ha mai avuto quella qualità speciale che cercava. La sua vita è fatta di momenti che passano, e lui non può trattenerli. L’idea di non aver mai vissuto vere avventure lo tormenta. Si interroga sulla possibilità di vivere un’avventura, concludendo che è necessario raccontarla per farla diventare tale. La vita vissuta è un susseguirsi di momenti senza significato, mentre il racconto li trasforma in qualcosa di speciale. Il protagonista si rende conto che ha sempre vissuto la sua vita come se la stesse raccontando. Infine, si reca in città di domenica, osservando la folla e i rituali domenicali. La città si trasforma, le strade si riempiono di persone e le attività cambiano. Riflette sulla storia di via Tournebride, una strada che ha subito una trasformazione miracolosa.

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8. L’Inutilità dei Momenti Perfetti

I “momenti perfetti” sono situazioni privilegiate, trasformate attraverso azioni e atteggiamenti specifici, che richiedono una profonda passione e una certa grandezza esteriore. L’idea di situazioni privilegiate nasce dalle illustrazioni di un libro di storia, che rappresentavano eventi di particolare importanza, a cui si attribuiva un’essenza rara e preziosa, come l’essere re o morire. La morte, in particolare, era vista come un momento capace di elevare le persone al di sopra di sé stesse. Anche l’amore, e in particolare l’atto di unirsi nell’amore, è una situazione privilegiata. Esistono molte più situazioni privilegiate di quanto si pensi, e trasformarle in momenti perfetti è un dovere morale, un’opera d’arte in cui si deve mettere ordine in qualcosa di eccezionale. I momenti perfetti sono però un’illusione, non esistono avventure o momenti perfetti. Le persone cambiano insieme, ed è preferibile questo piuttosto che allontanarsi. Agire è difficile e ci si sente impotenti di fronte alla vita. Nel teatro i momenti perfetti vengono creati per gli altri, ma non sono vissuti dagli attori. La vita è un’esperienza che si vive nel passato, rielaborando gli eventi per creare una sequenza di momenti perfetti. La natura è una forza inarrestabile che aspetta di invadere le città, e la paura della natura si affianca a quella delle città. La vita a Bouville è un orrore, un luogo dove tutto è grasso e bianco. La libertà è paragonabile alla morte, è la fine della vita. Si è soli e la vita è una partita persa. Non resta che sopravvivere, mangiando, dormendo ed esistendo lentamente. La nausea è uno stato normale, e la noia è il cuore dell’esistenza. Le azioni quotidiane sono vane e si percepisce una profonda distanza dalle altre persone. La gente è pacifica e malinconica, vive una vita meccanica e ripetitiva. La natura è una forza senza leggi che può cambiare da un momento all’altro. Se la natura si manifestasse in modo violento, le persone si ritroverebbero sole e spaventate. L’esistenza è fonte di paura e solitudine. L’ultimo giorno a Bouville è segnato dalla ricerca dell’Autodidatta, ormai escluso dalla società. Durante una visita alla biblioteca, si assiste a una scena di umiliazione dell’Autodidatta da parte di due studenti. La vita a Bouville è finita, non resta che la partenza per Parigi.

9. La Coscienza dell’Esistenza

Un uomo, soprannominato l’Autodidatta, è al centro di un’accusa mossa da un còrso in biblioteca, che lo incolpa di aver tenuto comportamenti inappropriati. Il còrso, in preda all’ira, ammette di averlo osservato di nascosto per mesi. Una donna lì presente si unisce all’accusa, dicendo di averlo visto anche lei più volte. L’Autodidatta nega, ma il suo atteggiamento non tradisce sorpresa, quasi come se si aspettasse da tempo questo momento. Il còrso, per nulla soddisfatto dalle sue negazioni, passa alle mani, colpendolo al viso. L’Autodidatta, ferito e umiliato, tenta di allontanarsi, ma un altro uomo lo ferma, cercando di aiutarlo. Lui rifiuta l’aiuto e si allontana, lasciando una macchia di sangue sulla soglia. Dopo questo episodio, il narratore si sente come abbandonato dalla città, che sembra non curarsi più di lui, preparandosi ad accogliere nuove persone. Riflette sulla sua esistenza, sentendosi dimenticato e vuoto, e si interroga sul significato del suo “io”, che gli appare sempre più lontano e astratto. La sua coscienza sembra esistere in modo impersonale, come quella di un albero o di un filo d’erba, consapevole solo di essere di troppo. L’Autodidatta, al contrario, si aggira per la città tormentato dai ricordi e dalle accuse, incapace di liberarsi del suo “io” sofferente. Il narratore, pensando a questa situazione, capisce che l’Autodidatta non può liberarsi del suo io perché è ancora legato alla sua sofferenza, mentre lui, il narratore, si sente libero dal suo io, ma questa libertà lo fa sentire un mostro. Il narratore decide di andare in un bar per salutare la padrona, prima di partire per Parigi. Mentre ascolta un vecchio disco jazz, riflette sulla musica e sul suo significato. La musica sembra esistere al di là dell’esistenza, pura e ferma, mentre tutto il resto si deteriora. Il narratore si immedesima nel compositore del brano, un uomo che ha trasformato la sua sofferenza in arte, e questa idea lo sconvolge, regalandogli una sorta di gioia. Il narratore pensa di poter dare un senso alla propria esistenza attraverso la scrittura, immaginando di scrivere un libro che possa rendere la sua vita preziosa e quasi leggendaria, come quella del compositore e della cantante del disco. Questo libro, anche se all’inizio richiederà un lavoro faticoso, potrebbe permettergli di accettare il suo passato.

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I filosofi e le macchine. 1400-1700
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