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Informazioni
si tuffa in una delle domande più affascinanti: cos’è la coscienza e come funziona la nostra mente? Questo libro esplora il difficile equilibrio tra guardare dentro di noi, dalla nostra prospettiva in prima persona (la fenomenologia), e studiare il cervello e il comportamento dall’esterno, come fanno le scienze cognitive. Vedremo perché l’esperienza soggettiva non è solo un dettaglio, ma è fondamentale per capire tutto, dalla percezione più semplice al nostro senso di agenzia. Il libro ci porta a considerare il corpo vissuto non solo come un oggetto, ma come il punto di partenza della nostra esperienza e cognizione incarnata. Analizzeremo come percepiamo il tempo vissuto, come l’intenzionalità ci lega al mondo e come riusciamo a comprendere le altre menti (intersoggettività), esplorando dibattiti classici e approcci innovativi come la neurofenomenologia. È un viaggio che cerca di colmare il vuoto esplicativo tra l’attività cerebrale e la ricchezza della nostra coscienza, mostrando come filosofia della mente e scienze cognitive possano e debbano dialogare per afferrare davvero cosa significa avere una mente.Riassunto Breve
Lo studio della coscienza e della cognizione si confronta con la difficoltà di unire la prospettiva soggettiva in prima persona con l’osservazione oggettiva in terza persona. La scienza tradizionale tende a preferire l’approccio oggettivo, spesso trascurando o considerando inaffidabili i dati soggettivi. Metodi come l’eterofenomenologia cercano di analizzare i resoconti verbali dall’esterno, ma l’interpretazione stessa si basa sull’esperienza personale dello scienziato. La fenomenologia propone un metodo rigoroso per studiare l’esperienza in prima persona, non come semplice introspezione, ma come indagine sulle strutture essenziali dell’esperienza stessa, usando tecniche come la sospensione del giudizio (epoché) e la riduzione fenomenologica. Questo approccio cerca le strutture invarianti dell’esperienza e le verifica confrontandole con quelle di altri. È possibile integrare la fenomenologia con le scienze naturali, ad esempio usando modelli matematici o tramite la neurofenomenologia, che combina l’analisi fenomenologica con la sperimentazione sul cervello, correlando i resoconti soggettivi con l’attività neurale. L’esperienza cosciente include un’immediata consapevolezza di sé, un “sentirsi propri” preriflessivo, che è una caratteristica intrinseca e costante dell’esperienza, distinta dalla riflessione esplicita. Questa autocoscienza preriflessiva è fondamentale e si distingue da altre definizioni di sé o dalle teorie che vedono la coscienza come un oggetto per un altro stato mentale. La prospettiva in prima persona è essenziale, poiché l’oggettività scientifica si costruisce su esperienze individuali condivise. Esempi come la visione cieca mostrano che l’elaborazione non cosciente manca di questa qualità intrinseca di “mieità”. L’esperienza è profondamente legata al tempo; non è un punto istantaneo, ma abbraccia il passato immediato (ritenzione) e anticipa il futuro prossimo (protenzione), oltre al presente (impressione originaria). Questa struttura temporale unifica la coscienza e permette la percezione della durata, ed è correlata a sistemi dinamici neurali. La percezione è fondamentale e diretta, un incontro con il mondo non mediato da rappresentazioni interne. È un processo attivo e unitario, strettamente legato all’azione e al movimento del corpo (teoria enattiva). Percepire un oggetto implica anche co-intendere i suoi aspetti non visibili ed è intrinsecamente intersoggettivo. La coscienza è sempre diretta verso qualcosa (intenzionalità), legando costitutivamente mente e mondo. La cognizione umana è legata al corpo; non è un processo astratto disincarnato. Il corpo vissuto non è un oggetto, ma il soggetto dell’esperienza, il punto di origine da cui si percepisce e si agisce. È il fondamento dei sistemi di riferimento spaziale e diventa spesso “trasparente” durante l’azione. L’esistenza umana è caratterizzata dall’azione pratica. Il senso di agenzia è l’esperienza di essere l’autore della propria azione, distinto dal senso di proprietà, ed emerge dall’integrazione di segnali motori e feedback. La comprensione delle menti altrui è dibattuta tra l’uso di una teoria (teoria della teoria) e la simulazione mentale (teoria della simulazione). La fenomenologia suggerisce una percezione diretta delle intenzioni altrui attraverso il loro comportamento corporeo espressivo, supportata dall’intersoggettività primaria e secondaria. Esiste un sé esperienziale, un senso basilare di “essere proprio” radicato nella corporeità, distinto dal sé narrativo, la cui esistenza è supportata da studi su disturbi neurologici. La filosofia analitica e la fenomenologia, pur avendo radici comuni, si sono separate, creando un “vuoto esplicativo” nelle scienze cognitive riguardo all’esperienza soggettiva. Integrare la fenomenologia con le scienze cognitive, usandola come guida metodologica, è necessario per una comprensione completa della mente, riconoscendo la sua natura incarnata, temporale, intenzionale e intersoggettiva.Riassunto Lungo
1. Esplorare la Coscienza: Diverse Prospettive
Lo studio della coscienza e della cognizione si confronta con la differenza fondamentale tra l’esperienza personale diretta (la prospettiva in prima persona) e l’osservazione esterna e misurabile (la prospettiva in terza persona). La scienza tradizionale ha spesso favorito quest’ultima, considerando i dati derivati dall’esperienza soggettiva come troppo variabili e poco affidabili. Per questo motivo, l’introspezione, cioè l’atto di “guardare dentro” la propria mente, è stata criticata e in gran parte abbandonata dalla psicologia scientifica. Un metodo che tenta di studiare la coscienza esclusivamente dall’esterno è l’eterofenomenologia. Questo approccio analizza i racconti e i comportamenti di una persona come semplici dati da interpretare, senza dare per scontato che riflettano una vera esperienza interiore. Tuttavia, anche l’interpretazione di questi dati da parte dello scienziato si basa inevitabilmente sulla sua stessa esperienza personale, dimostrando quanto sia difficile mantenere una prospettiva completamente distaccata e in terza persona.La Fenomenologia: Un Approccio Rigoroso all’Esperienza
Un metodo che propone di studiare l’esperienza in prima persona in modo sistematico e rigoroso è la fenomenologia. Questa non è una semplice introspezione casuale, ma un’indagine filosofica profonda sulla struttura e sulle condizioni che rendono possibile l’esperienza stessa. Il metodo fenomenologico richiede di mettere temporaneamente da parte le nostre convinzioni sull’esistenza concreta del mondo esterno (questo passo è chiamato epoché) per concentrarsi su come le cose ci appaiono nella coscienza (la riduzione fenomenologica). L’obiettivo è scoprire le caratteristiche essenziali e universali dell’esperienza, quelle che rimangono costanti al di là delle singole variazioni individuali (attraverso la variazione eidetica). Queste scoperte vengono poi verificate confrontandole con quelle ottenute da altri (la corroborazione intersoggettiva). La fenomenologia non si concentra sull’esperienza unica e irripetibile di una singola persona, ma cerca di capire come è possibile per chiunque avere esperienza del mondo in generale.Integrare le Prospettive: Fenomenologia e Scienza
È possibile trovare modi per unire la fenomenologia con le scoperte e i metodi delle scienze naturali. Un approccio consiste nel tradurre le descrizioni dettagliate dell’esperienza fenomenologica in un linguaggio matematico, come quello della teoria dei sistemi dinamici. Questo permette di creare modelli che possano collegare i dati raccolti dall’esperienza soggettiva con quelli ottenuti da misurazioni oggettive. Un altro metodo promettente è la neurofenomenologia, che combina l’analisi fenomenologica, lo studio dei sistemi dinamici e la sperimentazione scientifica sul cervello. In questo approccio, le persone che partecipano agli esperimenti vengono addestrate a fornire descrizioni precise e dettagliate della loro esperienza interiore mentre vengono registrate le loro attività cerebrali. Questo consente di studiare come aspetti soggettivi, come il livello di attenzione o la qualità di una sensazione, possano influenzare i modelli di attività osservati nel cervello.Davvero la fenomenologia offre un rigore paragonabile a quello scientifico, o l’integrazione proposta nel capitolo non fa che nascondere l’abisso tra esperienza soggettiva e dati oggettivi?
Il capitolo presenta la fenomenologia come un approccio rigoroso e l’integrazione con la scienza come una via promettente. Tuttavia, la questione del rigore della fenomenologia rispetto ai criteri scientifici tradizionali è ampiamente dibattuta, così come la reale possibilità di “tradurre” l’esperienza soggettiva in termini oggettivi (matematici o neurali) senza perderne l’essenza. La “corroborazione intersoggettiva” fenomenologica differisce significativamente dalla replicabilità e falsificabilità scientifica. Per comprendere meglio queste sfide e le diverse posizioni, è utile approfondire la filosofia della mente e la neuroscienza. Autori come Edmund Husserl e Maurice Merleau-Ponty offrono la prospettiva fenomenologica, mentre Daniel Dennett presenta una critica radicale. Francisco Varela è fondamentale per l’approccio integrato della neurofenomenologia, e Thomas Nagel articola la difficoltà intrinseca del problema della coscienza soggettiva.2. L’esperienza e il suo intrinseco sentirsi propri
Quando facciamo un’esperienza cosciente, non siamo solo consapevoli di quello che c’è fuori, come un oggetto o un suono. Siamo anche consapevoli di noi stessi in modo immediato e diretto. Questa consapevolezza di sé, che non richiede di fermarsi a pensarci sopra, è sempre presente in ogni esperienza che viviamo. Non è qualcosa che accade dopo aver provato qualcosa, né un pensiero separato; è invece una parte fondamentale e costante dell’esperienza stessa. Per chiunque la viva, l’esperienza si sente subito come ‘mia’, in modo naturale, senza bisogno di introspezione o di usare concetti particolari.Non è la solita autocoscienza
Questa idea di come l’esperienza si senta ‘nostra’ è diversa da altri modi di definire l’autocoscienza. Non parliamo della capacità di dire ‘io penso’ o di avere un’idea chiara di chi siamo nel tempo. Non è nemmeno l’autocoscienza che viene dalle relazioni con gli altri, o quella che si prova riconoscendosi allo specchio. Non è neanche la capacità di capire che gli altri hanno una mente diversa dalla nostra. La prospettiva che stiamo esplorando si concentra invece su come l’esperienza si manifesta in modo fondamentale per chi la vive, sul suo aspetto più intimo e personale.La coscienza è dentro, non fuori
Ci sono altre teorie che spiegano la coscienza in modo diverso. Queste teorie, chiamate ‘di livello superiore’, dicono che uno stato mentale diventa cosciente solo quando un altro stato mentale (come un pensiero o una percezione) lo prende come oggetto. È come se per essere cosciente di provare qualcosa, dovessi avere un pensiero su quel qualcosa. Per queste teorie, la coscienza è qualcosa di ‘esterno’ o ‘relazionale’ allo stato mentale stesso. Ma la prospettiva che stiamo descrivendo vede la coscienza come una qualità che è già ‘dentro’ lo stato mentale, una sua proprietà intrinseca. Rifiuta l’idea che per essere cosciente di un’esperienza, questa debba diventare l’oggetto di un altro pensiero. L’esperienza immediata non viene vissuta come un oggetto da analizzare, ma come qualcosa che è cosciente di per sé.L’importanza del punto di vista personale
Capire che l’esperienza si sente intrinsecamente ‘nostra’ ci porta a considerare quanto sia fondamentale il punto di vista personale, la prospettiva ‘in prima persona’. Non esiste un modo di vedere le cose che sia puramente oggettivo, come guardare ‘da nessun luogo’. Anche la conoscenza scientifica, che cerca l’oggettività, si costruisce mettendo insieme le osservazioni e le esperienze che le singole persone fanno e poi condividono. La capacità di avere un’esperienza soggettiva è quindi non solo importante, ma essenziale per poter arrivare a conoscere il mondo, anche scientificamente.Quando manca l’esperienza personale: il caso della visione cieca
Un esempio che aiuta a capire questa idea è il caso della ‘visione cieca’. Alcune persone che hanno subito un danno al cervello, pur non vedendo nulla in modo cosciente, riescono comunque a elaborare alcune informazioni visive senza esserne consapevoli. Possono, per esempio, evitare un ostacolo pur non ‘vedendolo’. Questa elaborazione visiva non cosciente manca proprio di quella consapevolezza immediata di sé, di quel sentirsi ‘mia’, che invece c’è nella visione normale e cosciente. Le teorie che dicono che basta un pensiero ‘di livello superiore’ per rendere qualcosa cosciente fanno fatica a spiegare perché questo non accada nella visione cieca. La prospettiva che stiamo esplorando suggerisce invece che la differenza fondamentale sia proprio l’assenza di quella qualità intrinseca di ‘mieità’ nell’esperienza che non raggiunge la coscienza.Come la comprensione aiuta la scienza
Questa comprensione profonda dell’esperienza può anche essere molto utile per la ricerca scientifica. Le idee che vengono da questa analisi dell’esperienza, a volte chiamata ‘fenomenologia incorporata’, possono guidare gli scienziati a progettare esperimenti migliori. Permettono di studiare e testare in modo più preciso le differenze tra diversi tipi di esperienze, come distinguere tra il sentire di essere noi a compiere un’azione (senso di agenzia) e il sentire che qualcosa ci sta capitando (senso di proprietà). Questo si può fare anche con persone che non sono abituate a descrivere le proprie esperienze in modo tecnico o che hanno delle difficoltà. L’obiettivo non è solo accettare quello che l’analisi dell’esperienza suggerisce, ma usarlo per creare esperimenti che possano verificarlo nella pratica.Se la “mieità intrinseca” è una qualità fondamentale e non relazionale dell’esperienza, come si distingue scientificamente da un mero epifenomeno non causale?
Il capitolo presenta l’idea della “mieità intrinseca” come un aspetto cruciale dell’esperienza cosciente, distinguendola nettamente dalle teorie di livello superiore e da altre forme di autocoscienza. Tuttavia, l’argomento si basa su un’analisi fenomenologica, descrivendo come l’esperienza si sente dal punto di vista soggettivo. La transizione da questa descrizione soggettiva a una proprietà intrinseca e scientificamente rilevante dello stato mentale non è del tutto chiara. Per comprendere meglio questo passaggio e le sfide che pone, è utile approfondire la filosofia della mente, in particolare il problema mente-corpo e le diverse teorie sulla natura della coscienza (come quelle proposte da D. Dennett, D. Chalmers o J. Searle), nonché esplorare la neuroscienza cognitiva per valutare la possibilità di trovare correlati neurali specifici per questa “mieità”.3. La Struttura Temporale e l’Autocoscienza dell’Esperienza
L’esperienza che viviamo momento per momento ha una sua consapevolezza interna, anche senza che pensiamo attivamente a noi stessi; questa consapevolezza è chiamata autocoscienza preriflessiva ed è una caratteristica essenziale di ogni stato cosciente. È diversa dalla riflessione, che è invece un atto volontario e pensato, in cui decidiamo di concentrarci sulla nostra esperienza. L’autocoscienza che deriva dalla riflessione si appoggia sempre su questa consapevolezza preriflessiva di base.Processi non coscienti
Ci sono anche processi nel cervello che lavorano le informazioni senza creare una vera esperienza cosciente. Pensiamo alla visione cieca, dove chi ha certi danni cerebrali elabora stimoli visivi senza però vederli davvero, o ai movimenti automatici che facciamo ogni giorno, come prendere un bicchiere o guidare, dove molti dettagli sono gestiti senza la nostra attenzione cosciente. Questo ci mostra chiaramente che elaborare informazioni senza esserne coscienti è molto diverso dal vivere un’esperienza consapevole.
Il ruolo della riflessione
La riflessione ci permette di portare alla nostra attenzione l’esperienza preriflessiva che stiamo vivendo. Non inventa l’esperienza, ma piuttosto mette in luce e rende più chiare le caratteristiche che sono già presenti in modo implicito nel nostro vissuto. È importante notare, però, che riflettere trasforma un po’ il modo in cui l’esperienza ci appare e crea come una divisione dentro di noi: una parte che osserva e una che è osservata. La riflessione non riesce mai a capire se stessa completamente e lascia sempre qualcosa che non viene messo a fuoco. Nonostante queste limitazioni, la riflessione è fondamentale per poter giudicare i nostri pensieri e sentimenti e per scegliere come agire in modo consapevole. Il rapporto tra la riflessione e l’esperienza immediata è un continuo scambio e interpretazione reciproca.
L’esperienza nel tempo
L’esperienza che viviamo è strettamente legata al tempo. Per poter percepire il mondo in modo stabile e agire al suo interno, dobbiamo muoverci nel flusso del tempo, anticipando il futuro, ricordando il passato e mantenendo la consapevolezza del presente immediato. Problemi nel percepire il movimento o nella memoria mostrano quanto sia cruciale questa organizzazione temporale. La memoria non è un’unica capacità, ma piuttosto diversi sistemi che lavorano insieme, come la memoria degli eventi personali (episodica), quella per le cose da fare subito (di lavoro), quella per le abilità pratiche (procedurale) e quella per le conoscenze generali (semantica). Esempi di amnesia, come il famoso caso del paziente H.M. che non riusciva più a formare nuovi ricordi di eventi, dimostrano che perdere la capacità di collegare il passato al presente distrugge il senso di continuità della propria esperienza e identità personale.
Ma davvero la comprensione dell’altro si esaurisce nella percezione diretta, liquidando sbrigativamente approcci consolidati come la simulazione o la “teoria della mente”?
Il capitolo presenta una visione affascinante e coerente, ma la sua critica ad altre prospettive sulla comprensione dell’altro, come quelle basate sui neuroni specchio intesi in senso simulativo o sulla capacità di attribuire stati mentali (la cosiddetta “teoria della mente”), appare piuttosto netta, forse eccessivamente. Il dibattito scientifico e filosofico su questi temi è ancora molto acceso, e non è detto che questi approcci siano necessariamente in contraddizione con la percezione diretta; potrebbero piuttosto rappresentare livelli o aspetti diversi dello stesso fenomeno complesso. Per farsi un’idea più completa, è utile esplorare il campo delle Neuroscienze Cognitive, della Psicologia dello Sviluppo e della Filosofia della Mente, confrontando autori che sostengono le teorie criticate nel capitolo (come Rizzolatti per i neuroni specchio o Premack & Woodruff per la teoria della mente) con quelli che propongono la visione fenomenologica ed embodied (come Merleau-Ponty o Gallagher).10. Radici Condivise e Menti Consapevoli
La filosofia analitica e la fenomenologia sono state considerate per molto tempo come due ambiti distinti, specialmente quando si parla della filosofia della mente. Questa percezione di separazione deriva spesso da una conoscenza non completa della loro storia e dei loro metodi. In realtà, entrambe le correnti filosofiche hanno radici comuni nel pensiero di Rudolf Hermann Lotze. Condividono anche un obiettivo iniziale importante: l’antipsicologismo. Questo significa che entrambe sostengono che la logica e il significato hanno una loro validità indipendente dai processi mentali o psicologici di una persona.Radici Comuni e Obiettivi Iniziali
Franz Brentano, una figura fondamentale per la nascita della fenomenologia, ha proposto una distinzione cruciale. Ha separato la psicologia che studia i fenomeni mentali in modo empirico e cercando le cause (che lui chiamava psicologia genetica) dalla psicologia che descrive in modo filosofico i tipi essenziali di esperienze mentali, come percepire o giudicare (la psicologia descrittiva). Edmund Husserl ha sviluppato ulteriormente questa idea. Ha definito la fenomenologia come lo studio delle “essenze” delle esperienze, un’indagine che considera diversa dalla semplice introspezione e che deve precedere qualsiasi studio psicologico basato sull’esperienza. Questo modo di analizzare la struttura fondamentale dell’esperienza ha punti di contatto con l’analisi dei concetti tipica della filosofia analitica, come si può notare, per esempio, nel lavoro di Gilbert Ryle.La Separazione e il Vuoto Esplicativo
Nonostante questi legami iniziali, la filosofia analitica della mente e la fenomenologia si sono poi allontanate. La cosiddetta “rivoluzione cognitiva”, che ha portato a studiare la mente spesso usando modelli computazionali, ha spesso considerato la coscienza come un aspetto secondario o non essenziale per la ricerca scientifica sulla mente. Questo approccio, concentrato sui processi, ha creato quello che viene definito un “vuoto esplicativo” nelle scienze cognitive. Queste discipline riescono a descrivere come funzionano i processi mentali, ma spesso non spiegano l’esperienza soggettiva, cioè la qualità del sentire, la “fenomenicità” stessa.Verso l’Integrazione: Nuovi Approcci
La necessità di colmare questo vuoto ha portato a un rinnovato interesse per la fenomenologia e a diverse proposte su come integrarla con le scienze cognitive. Alcuni pensano che si debba “naturalizzare” la fenomenologia, adattandola per farla rientrare in un quadro scientifico naturalistico, magari abbandonando alcune delle sue posizioni originali. Altri studiosi, come Shaun Gallagher e Dan Zahavi, suggeriscono di usare la fenomenologia come una guida metodologica essenziale. Propongono di integrare la prospettiva in prima persona, che è il cuore della fenomenologia, nella progettazione degli esperimenti scientifici. Questo approccio aiuterebbe a contrastare un modo di vedere le cose troppo rigido e oggettivo e a comprendere meglio i fenomeni studiati. Le strutture fondamentali della soggettività, indagate dalla fenomenologia, possono quindi fornire informazioni preziose e orientare la ricerca scientifica sulla mente.Ma l’integrazione tra fenomenologia e scienze cognitive, proposta come soluzione al “vuoto esplicativo”, non rischia di essere più un auspicio che una realtà scientificamente fondata?
Il capitolo, pur evidenziando giustamente il problema del “vuoto esplicativo” nelle scienze cognitive, propone l’integrazione con la fenomenologia come via per superarlo. Tuttavia, la concreta realizzazione di questa integrazione, specialmente l’idea di usare la prospettiva in prima persona per “orientare la ricerca scientifica”, solleva interrogativi fondamentali sulla metodologia scientifica stessa e sulla possibilità di oggettivare l’esperienza soggettiva. Non è chiaro come le “strutture fondamentali della soggettività” possano tradursi in protocolli sperimentali rigorosi e replicabili, o come si possa evitare di cadere in nuove forme di introspezionismo non verificabile. Per approfondire questa complessa relazione e le sfide che essa comporta, è utile esplorare i dibattiti contemporanei nella filosofia della mente e nelle neuroscienze cognitive, leggendo autori come David Chalmers, Daniel Dennett, o studiosi che si occupano specificamente di neurofenomenologia e embodied cognition.Abbiamo riassunto il possibile
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